Alberto Collidà
La bicicletta è un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e particolare all'area torinese
Capitolo 3



3. Modelli di riferimento



3.1 Le due scuole di pensiero: integrazione o segregazione?

Stabilita l'importanza della mobilità ciclistica all'interno del sistema dei trasporti (e già questo è un punto importante), si tratta di decidere come procedere per incrementarla in condizioni di sicurezza.
C'è un problema di fondo che deve essere risolto perchè sta alla base della maggior parte degli interventi.
In sostanza il punto è questo: scegliere se separare la mobilità ciclistica dal traffico motorizzato, immettendola in spazi riservati oppure integrare le varie componenti con provvedimenti atti a renderle compatibili.
In generale si può dire che la scelta di segregazione è stata adottata soprattutto nei Paesi nordeuropei, come Olanda o Germania. La integrazione è ben osservabile in alcune città medio-piccole della pianura padana come Ferrara. Una critica feroce alla segregazione è condotta in particolare dall'americano Forester, autore di molti studi e pubblicazioni sull'argomento.
Come sempre la ragione non è mai da una sola parte.
Innanzitutto le condizioni variano da caso a caso (tipologia della strada, numero di utenti delle varie categorie, funzione da loro attribuita alla strada, ....). A seconda della situazione la migliore soluzione può essere diversa. Inoltre tra i due estremi vi sono possibilità intermedie come la separazione solo visuale.
Vi sono poi problemi oggettivi: avere una rete ciclabile segregata estesa come quella stradale è fisicamente impossibile oltre che costoso.
Una parte dei sostenitori della segregazione, in effetti, promuove tale soluzione considerando soprattutto i vantaggi per la circolazione a motore piuttosto che l'efficacia della rete ciclabile. E' chiaro che una rete segregata toglie i ciclisti dalla sede stradale rendendo la circolazione più veloce, ma non è detto che questo sia un vantaggio. Spesso nei centri urbani il problema è proprio limitare la velocità.
Il problema della sicurezza si suddivide in sicurezza effettiva e sicurezza percepita. Le piste segregate aumentano la sicurezza percepita: cioè danno ai ciclisti intimoriti dal traffico la possibilità di muoversi in uno spazio ad essi riservato, liberato dalle auto. Questo è fondamentale se si vogliono creare le condizioni per un uso più diffuso della bici: la riqualificazione dello spazio urbano si ottiene anche restituendo all'uso ciclistico e pedonale ampie porzioni di territorio collegate tra loro in maniera organica.
Il traffico ciclistico non è però omotachico. In molti viaggiano a velocità anche triple rispetto ai più lenti. Su una pista segregata, troppo stretta o frequentata questo è un problema.
La soluzione potrebbe essere la non obbligatorietà della pista ciclabile. L'utente non è tenuto a percorrerla se non la ritiene valida.
La sicurezza percepita si riferisce ad alcuni potenziali pericoli che il ciclista teme moltissimo: classica la paura di essere colpito da un veicolo proveniente da dietro. Si tratta certo di un rischio reale, ma il ciclista tende a sopravvalutarlo, mentre fa il contrario in altre situazioni, come alle intersezioni in generale (dal passo carraio alle rotonde).
E' qui che avviene gran parte degli incidenti. Il problema riguarda sia la scelta di integrare che di segregare. Nel secondo caso però gli automobilisti tendono a perdere la consapevolezza della presenza dei ciclisti e dunque a prestarvi meno attenzione.

3.2 La critica posizione di Forester

Nel dibattito tra integrazione e segregazione spicca la posizione dell'americano John Forester, se non altro per l'intransigenza e la determinazione con cui sostiene la propria tesi.
Nel 1994 è uscita la seconda edizione di "Bicycle Transportation" edita dal M.I.T., il Massachussets Institute of Technology, che aggiorna la prima del 1977. E' questa l'opera a cui faccio riferimento (in altre pubblicazioni come "Effective Cycling" di cui esiste anche un video, l'autore insegna ad usare la bicicletta in sicurezza in totale commistione col traffico a motore).
Forester è convinto che le piste ciclabili e gli interventi segregativi in genere siano non soltanto inutili ma per giunta dannosi per i ciclisti.
Egli propugna una completa integrazione col traffico a motore. Sostiene che la bicicletta deve essere considerata come un qualsiasi altro veicolo, soggetto, nello stesso identico modo, al codice della strada. Il ciclista impara a non aver paura del traffico e a muoversi con disinvoltura, i veicoli provenienti da dietro e che lo sorpassano non lo spaventano e non gli fanno compiere manovre evasive potenzialmente pericolose. Tutto questo deve essere insegnato. Come gli automobilisti vanno a scuola guida anche i ciclisti devono seguire corsi per imparare la circolazione stradale. Acquisendo sicurezza e confidenza si dovrebbero limitare quegli errori che causano la maggior parte degli incidenti.
Poter usare la normale rete stradale consente di andare dappertutto e a velocità sostenuta (Forester considera una velocità di marcia di 30 km/h più che normale, alla portata di tutti).
Questa ipotesi è chiamata "vehicular cycling principle", che si può tradurre: uso della bicicletta come veicolo. Ad essa è contrapposta la "cyclist inferiority superstition": la superstizione della inferiorità del ciclista.
La scelta del nome è sintomatica delle convinzioni dell'autore. Egli è convinto che i sostenitori delle piste segregate facciano degli errori giganteschi senza accorgersene perchè esiste un vero e proprio complesso di inferiorità di molti ciclisti rispetto al traffico a motore, radicato e irrazionale come una superstizione.
I sostenitori di questa tesi temono soprattutto alcuni possibili incidenti, in particolare di essere colpiti alle spalle da una macchina in fase di sorpasso. Forester insiste sulla irrazionalità di tale paura. Stando ai suoi dati sono pochissimi gli incidenti di questo tipo. Più pericoloso e all'origine di incidenti è il comportamento su strada dei ciclisti che non hanno la "visione veicolare della bicicletta".
Le piste segregate sono giudicate negativamente perchè alimentano questo timore irrazionale. Ma la cosa più grave è che risultano meno sicure della strada. Sono pericolose al loro interno perchè strette e con raggi di curvatura limitati per le velocità a cui marcia il ciclista ideale di Forester.
La riduzione delle collisioni con auto è minima dato che, per l'autore, quasi tutti gli incidenti si verificano alle intersezioni. Lì le piste ciclabili non offrono garanzie al ciclista, non migliorano la sua sicurezza e lo costringono a perdite di tempo che non avrebbe sulla strada seguendo il flusso degli autoveicoli (ad esempio se incontra un semaforo con fase dedicata ai ciclisti che ritarda anche il traffico a motore).
Quali sono gli argomenti a sostegno di questa tesi?
Forester supporta le proprie idee con i risultati di indagini sugli incidenti che hanno coinvolto i ciclisti. Vengono considerati innanzitutto i tassi di incidentalità di varie popolazioni di ciclisti. Si tratta di quattro ricerche statistiche riguardanti i bambini delle scuole elementari (Stati Uniti, 1975), gli universitari di un college americano (nel 1976), i ciclisti della "League of American Wheelmen" (1976) e quelli del "British Cyclist's Touring Club" (1984, autore S. M. Watkins, opera non citata nella bibliografia).

Gruppo di ciclisti miglia all'anno incidenti per milioni di miglia
Scuola elementare 580 720
Universitari 600 500
League of American Wheelmen 2400 113
Cyclists' Touring Club 2000 66

Anche se le indagini sono state compiute da autori diversi in periodi diversi Forester le paragona poichè ritiene la definizione di incidente simile (per gli studenti era il danneggiamento del veicolo o eventuali ferite, per i ciclisti della L.A.W. le collisioni o le serie cadute, per quelli del C.T.C. ciò che provocava ricovero in ospedale o altri trattamenti medici oppure danni al veicolo).
I risultati confermano che i ciclisti con maggiore esperienza su strada hanno un tasso di incidentalità inferiore. Perciò è importante insegnare ad usare bene la bicicletta accelerando gli effetti della esperienza personale, anche per evitare errori irreversibili cioè incidenti gravi.
Un altro importante punto di riferimento per la tesi di Forester è lo studio degli incidenti tra biciclette e autoveicoli compiuto da Kenneth Cross e Gary Fisher per conto del National Highway Traffic Safety Administration nel 1977.
In tale studio sono stati analizzati 919 incidenti avvenuti in quattro differenti aree degli Stati Uniti: Los Angeles, Denver-Boulder, Orlando-Tampa, Detroit-Flint.
Il dato più rilevante è che nell'85 % dei casi l'incidente si è verificato agli incroci o in fase di svolta.

Tipologia dell'incidente in città fuori città totale (%)
svolte e intersezioni 89 60 85
macchina che sorpassa bici 7 30 9.5
altre collisioni in fase di marcia 4 10 4.7

E' interessante l'estrapolazione riguardante la percentuale di ciclisti che, quando è avvenuto l'incidente, stavano palesemente violando le norme del codice stradale: ben il 52,3 % in ambito urbano e addirittura il 66,5 % in territorio extraurbano.
Il comportamento di guida prima dell'incidente è dato nella tabella seguente:

Stile di guida prima di una collisione con autoveicolo % urbana % extraurbana % totale
posizione corretta sulla strada 38 30 37
immissione in strada 23 16 22
posizione sul lato contromano 20 15 19
svolta, anche brusca dal ciglio strada 14 37 16
pedalando sul marciapiede 8 3 7

Tra le altre cose, Fisher e Cross hanno trovato una interessante correlazione fra alcuni tipi di incidente e l'età dei ciclisti coinvolti. Vi sono cioè particolari incidenti che sono tipici di alcune classi d'età.
Forester nota che i bambini sono coinvolti in incidenti causati da errori in manovre, tutto sommato, facili da imparare. Invece aumentando l'età la destrezza richiesta per evitare l'incidente è maggiore. Egli conclude perciò che un'opera di prevenzione sia fondamentale: insegnare un corretto comportamento su strada, insistendo soprattutto sugli errori più frequenti ridurrebbe drasticamente gli incidenti.

Età media Tipo di incidente
<12 immissione in strada, manovra brusca
12-14 errata precedenza, pedalare in contromano
>14 ciclista che passa mentre cambia il semaforo, auto che esce di corsia, auto che svolta, auto che supera

Nello studio di Fisher e Cross mancano però dati riscontrabili sulle collisioni tra biciclette. Forester dice che la loro frequenza è pari agli scontri tra bici e autoveicoli. La stima è fatta sulla base dell'esperienza, di interviste e dell'indagine svolta sui ciclisti della League of American Wheelmen già citata.
Per quanto riguarda la incidentalità sulle piste ciclabili Forester non dispone di studi formali sugli scontri fra biciclette. Ciò non gli impedisce di concludere che essi sono uno dei tipi di incidente che rendono le piste ciclabili così pericolose.

La valutazione del lavoro di Forester non è facile.
Al di là del tono, in certi casi fastidioso e supponente, che mal si adatta a un testo scientifico, l'autore ha saputo cogliere il problema fondamentale della sicurezza.
E' certamente giusta la scelta di rifarsi a una casistica degli incidenti. Stupisce però che non vi siano indagini più recenti di quelle citate (vecchie di 20 anni). La nuova edizione del testo è del 1994. Lo stesso Forester non ha provato a tenere dati aggiornati, pur essendo il punto centrale del suo ragionamento.
Ovviamente, ci sono state altre indagini sulla sicurezza dei ciclisti. Viene citata quella della "Consumer Product Safety Commission". Nel novembre del 1993 ha pubblicato il rapporto "Bicycle use and hazard patterns in the U.S. and option for injury reduction". Ma siccome le conclusioni sono a favore delle piste ciclabili Forester lo contesta e non lo considera valido (pagine 39-40 e in appendice da pagina 325, opera non citata in bibliografia).
Inoltre sono grossolani certi passaggi dove, in mancanza di meglio, si rifà alle proprie esperienze o interviste per giungere a conclusioni "sicure" (ad esempio per le collisioni tra biciclette appena ricordate: pagina 54-55, primo e ultimo paragrafo del brano intitolato "Bike-bike collisions").

Si può concordare con Forester sui seguenti punti:

Non si può accogliere la tesi che le piste ciclabili non vanno mai bene.
Può essere così per il ciclista ideale di Forester. Forse il suo errore è proprio di non considerare altri tipi di ciclisti, molto più lenti, ad esempio anziani che non intendono affrontare lo stress mentale, il continuo livello d'attenzione necessario nel traffico.
La soluzione proposta di puntare sull'educazione stradale dei ciclisti è giusta, ma non è sufficiente.
Oppure, forse, è meglio spiegare quali sono gli obiettivi prefissi. Infatti Forester non sembra molto interessato a diffondere l'uso della bici in fasce più ampie della società americana. Anzi è convinto che rimarra una cosa piuttosto elitaria (pagina 116).
Dunque per lui l'obiettivo è solo di minimizzare i rischi di chi usa la bici sulla strada anche se questo significa lasciare ai margini potenziali categorie di ciclisti.

Bibliografia delle ricerche citate e considerate da Forester

3.3 L'analisi del gruppo di studio del C.R.O.W olandese


C.R.O.W significa: "Centre for Research and Contract Standardization in Civil and Traffic Engineering". Ha sede a Ede in Olanda.
Studia le problematiche attinenti l'ingegneria civile. Alla fine del 1990 si è formato un gruppo di lavoro che si è occupato della bicicletta come mezzo di trasporto.
E' nata una utilissima collaborazione fra i vari soggetti interessati all'argomento: associazioni, enti locali, istituti di ricerca e il Ministero dei Trasporti olandese che, all'inizio degli anni novanta ha varato il "Bicycle Master Plan".
Tale progetto ha come obiettivo: "l'incremento dell'uso della bicicletta come alternativa alle macchine, a condizione che la percentuale di incidenti che coinvolgono i ciclisti (e chi usa i motorini) sia drasticamente ridotta".
Fra le iniziative concertate all'interno del Master Plan ci sono anche i lavori del gruppo del C.R.O.W. Essi hanno pubblicato numerosi documenti ("records", anche in lingua inglese) sui diversi aspetti del problema.
Il record numero 10, già citato nel precedente capitolo, affronta in modo organico ed esaustivo anche il dilemma della separazione/integrazione. Viene esaminata ogni soluzione, mettendo in rilievo i pro e i contro. Vediamo qualche dettaglio.

Separazione fisica

Separazione visuale

L'ultimo punto ha risvolti anche positivi, in quanto riflette il grado di libertà consentito da tale soluzione, ma sono tutte situazioni potenziali di rischio, tenendo presente il minor livello di attenzione degli automobilisti.

Profilo misto

Al progettista della rete ciclabile compete la scelta della soluzione più idonea.
La scelta è fatta soprattutto in funzione dell'intensità e della velocità del traffico a motore. Altri fattori, quali l'intensità del traffico ciclistico non dovrebbero essere considerati (una strada "sicura" deve esserlo sia per pochi che per molti utenti). Tale elemento è invece da valutare quando si decidono le priorità di intervento sui tratti a rischio.
Qualora si ritenga che l'integrazione non sia sostenibile la costruzione di una pista ciclabile non è l'unica scelta a disposizione del pianificatore. Si può anche agire sul traffico cercando di cambiarne le caratteristiche.
Si può provare a limitare la velocità dei mezzi sia agli incroci che nelle sezioni. Oppure si agisce sulla densità del traffico o sulla sua composizione (per esempio escludendo il trasporto merci). Si può introdurre un divieto di parcheggio.
La scelta dipende in gran parte dalla funzione e dall'uso della strada per il traffico a motore e sulla situazione generale: non è realistica una limitazione del traffico se non esiste una strada alternativa efficace.
Bisognerà anche valutare l'importanza del percorso ciclabile per la coerenza della rete, lo spazio disponibile, la peculiarità del territorio attraversato, la presenza del trasporto pubblico.
Se gli interventi sul traffico a motore non sono possibili o risultano inefficaci si deve scegliere il tipo di infrastruttura ciclabile da realizzare.
Un utile strumento di valutazione è stato messo a punto da un altro gruppo di studiosi olandesi (l'Istituto di ricerca per la sicurezza stradale: lo S.W.O.V. con sede a Leidschendam). In funzione di velocità e densità del traffico a motore si sono determinate le soluzioni migliori. Il problema è stato analizzato dal punto di vista della sicurezza, a prescindere dalla coerenza della rete ciclabile o altro ancora.Il grafico, che riassume i risultati, ha in ascisse la velocità reale a cui viaggia almeno l' 85 % dei veicoli. In ordinate il numero di autoveicoli al giorno, in migliaia.

Grafico

Come si è già detto, il grafico considera solo la velocità e la densità del traffico. Vi sono anche altri fattori da considerare: se la domanda di parcheggio è elevata (superiore all'85 % dei posti disponibili nelle ore di punta) la corsia ciclabile non è opportuna perché quasi certamente verrebbe usata per il parcheggio abusivo.
Se una strada si interseca con molte strada laterali frequentate (più di 1500 veicoli/giorno), l'eventuale pista ciclabile perde di efficacia. Vi sono troppi incroci frequentati a cui prestare attenzione. Si può limitare il danno organizzando le intersezioni nel modo più favorevole ai ciclisti (precedenza coi veicoli al passo, ad esempio coi dossi), ma è certamente costoso e non è detto che sia possibile. Con strade residenziali poco frequentate (meno di 500 veicoli/giorno) il problema non si pone mentre nella fascia intermedia 500-1500 si deve valutare volta per volta.
Se sulla strada esiste una linea tramviaria la separazione fisica è sempre preferibile.

La valutazione del C.R.O.W è molto equilibrata. Non si danno giudizi inappellabili ma indicazioni di carattere generale anche se precise e ben motivate. Ogni situazione ha proprie specificità da analizzare caso per caso e da verificare sul campo.
In molti casi prevale la scelta segregativa, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che sono stati esaminati.
In Olanda tale soluzione è molto comune. Le piste ciclabili sono diffuse sul territorio e, ciò che più conta, sono usatissime.
Non si può dire lo stesso per il metodo propagandato da Forester: negli Stati Uniti la bicicletta non è un mezzo di trasporto diffuso.
Però vi sono anche zone in cui, in regime di completa integrazione, la percentuale modale del trasporto in bicicletta è consistente. E' il caso di molte città della pianura padana tra cui spicca Ferrara.

3.4 Bici in libertà: la città di Ferrara


Ferrara è posta nel bel mezzo della pianura padana, in un territorio assolutamente piatto, oggetto in passato di grandi opere di bonifica delle zone paludose.
La popolazione è di 137.000 abitanti (dati 1994), distribuiti su una superficie di circa 400 chilometri quadrati.
E' una delle città italiane più ricche di storia e di arte, ma anche importante centro agricolo-commerciale, in particolare per il mercato frutticolo. Pure la presenza industriale è notevole, specie nel settore chimico-alimentare.
L'impianto urbanistico merita un piccolo approfondimento. Il centro medievale, sorto intorno all'anno 1000, fu esteso verso nord in base al piano regolatore del 1491. Si tratta della prima pianificazione urbana in senso moderno in Europa. L'autore fu l'architetto ferrarese Biagio Rossetti. La realizzazione è famosa col nome di "Addizione Erculea" dal nome del duca Ercole I d'Este che incaricò il Rossetti.
Venne costruita una lunga cinta muraria (9 km) che comprendeva il nucleo storico e i nuovi quartieri: un complesso armonioso di palazzi, piazze, edifici vari, viali e ampie strade ortogonali.Ancora oggi la parte più importante della città è dentro le mura estensi.
La dotazione di infrastrutture di trasporto è buona. La città si trova sull'asse di grande comunicazione Bologna-Venezia che comprende l'autostrada A 13, le statali 16 e 64, la linea ferroviaria Bologna-Padova (elettrificata e a doppio binario). Dal casello di Ferrara-Sud si stacca la superstrada per Comacchio e il mare. La viabilità ordinaria collega con Ravenna, Mantova e gli altri centri minori.
Ci sono anche alcune linee ferroviarie secondarie: la Ferrara-Ravenna-Rimini gestita dalle FS e la Suzzara-Ferrara-Codigoro in concessione governativa.
Il territorio è fortemente caratterizzato dalla presenza dell'acqua. L'asta principale del Po si trova pochi chilometri a nord mentre a ridosso delle mura estensi, verso sud, si trova il Po di Volano, col porto turistico. I due corsi d'acqua sono collegati dal canale Boicelli, a ovest della città.

La bicicletta ha trovato in queste zone il terreno ideale per la propria diffusione.
Appena introdotta, alla fine del secolo scorso, fu subito utilizzata dalle grandi masse di braccianti agricoli e di operai per raggiungere il posto di lavoro. Anche il ceto medio la apprezzò per la comodità negli spostamenti cittadini.
Con l'arrivo della motorizzazione la bicicletta non è scomparsa. Anzi è un elemento che tuttora condiziona le altre componenti del traffico.
In base ad una recente indagine sulla mobilità gli spostamenti giornalieri totali a Ferrara sono circa 178.000. La ripartizione modale vede la bicicletta al secondo posto, a poca distanza dalle auto.
Secondo una indagine pubblicata su "Il sole-24 ore" del 18 Febbraio 1995, Ferrara è la città italiana dove si utilizza di più la bicicletta per andare a scuola o al lavoro.

Grafico: ripartizione modale spostamenti a Ferrara

Il parco bici è notevole: più di 1000 biciclette per ogni 1000 abitanti. Sono percentuali tra le più alte in Europa, analoghe a quelle olandesi.
I cicloparcheggi pubblici disponibili sono 2465. Quelli custoditi a pagamento sono 330 (situati alla stazione FS dove ci sono anche più di 500 posti pubblici).
Bisogna poi aggiungere i portabici messi a disposizione dai privati, in genere operatori commerciali davanti al proprio esercizio. Sono di capienza limitata (8-10 posti), ma funzionali.
La dotazione di interventi segregativi risulta invece ridotta: sono circa 33 km di piste ciclabili di diversa tipologia così ripartiti:

in sede propria km 6,7
percorsi ciclopedonali separati km 10,5
corsie con segnaletica orizzontale e verticale km 2,7
corsie con segnaletica solo orizzontale km 8,8
tipologia mista km 4,3

Si sta realizzando un percorso turistico ad anello lungo i 9 chilometri delle mura estensi.
Per il centro storico sono state realizzate interessanti soluzioni di arredo urbano.
La pavimentazione in molte vie è ancora a ciottoli. Benchè esteticamente gradevole, non favorisce certo la percorribilità di pedoni e ciclisti. L'unico effetto positivo è di ridurre la velocità dei mezzi a motore. Si sono inseriti dei percorsi longitudinali con lastroni di trachite o di granito larghi 60-80 cm per rendere più comodo il passaggio di ciclisti e pedoni. Nelle vie più larghe sono state inserite due corsie di questo tipo. Per evitare che fossero utilizzate anche dalle auto la loro distanza reciproca non corrisponde all'interasse delle ruote.
Si è inoltre introdotto il concetto di "stanze urbane" per la città medioevale e rinascimentale. Cioè si organizza la viabilità in modo da eliminare il traffico di transito e consentire solo quello di origine/destinazione.
Sempre in centro si sono create le aree pedonali e la zona a traffico limitato (Z.T.L.). La questione più importante da risolvere è l'asse centrale di corso Giovecca-viale Cavour che taglia la città da est a ovest. E' lungo 2,5 km e segna il confine tra città medioevale a sud e rinascimentale a nord. Asse di penetrazione ideale, ampiamente dimensionato, è in buona parte ostruito dal parcheggio delle auto. Si vorrebbe realizzare una importante pista ciclabile passante, ma bisogna prima trovare un rimedio per le macchine in sosta. La soluzione prevista consiste in alcuni parcheggi di interscambio, con la bici e il mezzo pubblico, collocati nei punti strategici.
La bicicletta è oggetto di una campagna di promozione per diffonderne l'uso anche tra i molti turisti che visitano la città. Fra le varie iniziative ricordiamo le bici a noleggio, la segnaletica specifica per i turisti e la tessera Bicicard. La segnaletica specifica indica ai turisti qual'è il percorso migliore, in bicicletta, per raggiungere musei, palazzi storici, ecc. Chi acquista la Bicicard ha diritto al parcheggio custodito dell'auto, al noleggio di una bici, ad entrare gratis nei musei civici, a sconti negli esercizi commerciali convenzionati.
La maggior parte degli spostamenti in bicicletta avviene sulla strada, condivisa col traffico a motore. Le strutture riservate sono poche, spesso inservibili per colpa del parcheggio selvaggio (è il caso delle corsie ciclabili).
I ciclisti ferraresi usano la strada con disinvoltura. Forti del loro numero obbligano le auto a rallentare e a dare spazio.
In città sono piuttosto indisciplinati: occupano tutta la sede stradale, non tengono la destra, non rispettano i sensi unici. Fuori dal centro urbano la circolazione stradale si svolge invece normalmente, con velocità delle auto elevate. Non a caso, proprio sulle strade esterne sono state chieste piste separate, per un raggio di 20 km circa. Si garantirebbe così un accesso alla città sicuro e confortevole.

3.5 Le infrastrutture ciclabili di Delft


Delft è una città olandese di medie dimensioni (100.000 abitanti circa). Si trova vicino a L'Aia, 10 km a Sud.
E' una città molto vivace, ricca di industrie e commercio, ma anche di un rinomato centro storico. E' famosa per la produzione di maioliche. Ospita una notevole popolazione studentesca che frequenta le molte facoltà universitarie (c'è anche un importante Politecnico).
Ciò che ci interessa particolarmente è il fatto che la percentuale modale di spostamenti in bicicletta è altissima e si aggira intorno al 40%.
Tale risultato è stato raggiunto grazie a due fattori. Innanzitutto, un uso già radicato della bicicletta che prima del 1985 era intorno al 20%. In secondo luogo la precisa volontà degli amministratori pubblici. Venne infatti deciso un piano di miglioramento generale della circolazione ciclistica. La sua prima realizzazione, negli anni 1985-87, e le successive implementazioni hanno raddoppiato l'uso della bicicletta.
L'impostazione è decisamente diversa rispetto al caso di Ferrara o alle idee di Forester. Dopo il primo periodo di attuazione del piano ('85-'87) la città disponeva di 180 km di infrastrutture ciclabili, tra nuove e rinnovate.
Delft è considerata un modello di riferimento per il modo in cui ha saputo gestire il processo di pianificazione e le soluzioni adottate.
Altri interessanti esempi di città europee, con dimensioni analoghe, che hanno attuato interventi simili registrando notevoli successi sono Erlagen, Mùnster, Odense, Tillburg.
Esaminiamo la situazione di Delft. La città, assolutamente piatta come ogni città olandese, ha una struttura urbanistica a quadrettatura reticolare. Sono ben delineate le separazioni tra il centro storico, sede di uffici e servizi, i quartieri residenziali periferici, la cittadella universitaria.
Elementi obbligati dello sviluppo urbanistico sono cinque assi che con direzione prevalente nord sud sezionano la città. Più a ovest la nuova autostrada A4 che ne segna il confine, poi la strada provinciale n° 15, la ferrovia Rotterdam-L'Aia (una delle più frequentate del Paese che attraversa la città in pieno centro, in parte su viadotto), il canale principale (ce ne sono molti), l'autostrada A13.
In accordo con il metodo progettuale olandese, descritto nel capitolo 4, si è provveduto a dotare la città di una rete primaria coerente, gli ostacoli principali sono stati rimossi il più possibile, come si può vedere nelle fotografie scattate.
Le maglie della rete urbana primaria sono larghe 400-600 metri. La sua funzione è di collegare i vari quartieri con il centro città, la stazione ferroviaria, i comuni vicini, eccetera. Viene usata per andare al lavoro o a scuola.
La rete di quartiere è utile per collegare servizi come negozi e scuole. Viene usata anche da bambini e anziani. La larghezza delle maglie è di 200-300 metri.
La rete di zona è usata per collegamenti brevi, tra gli insediamenti residenziali, specie dai bambini. Le maglie sono intorno ai 100 metri.
Si è cercato di migliorare il più possibile la circolazione. Ad esempio rendendo possibile la risalita contromano alle biciclette in alcune strade a senso unico. Dove non è stato costruito un sottopasso per una strada trafficata, si è messo un semaforo dedicato all'attraversamento ciclabile oppure una banchina salvagente in centro alla strada. Si sono rifatte le fermate degli autobus potenzialmente pericolose. Negli incroci con traffico promiscuo si è spesso consentito l'attestamento dei ciclisti al semaforo in prima fila in apposito spazio. Ai ciclisti è sempre concessa la svolta a destra, anche col rosso. E' stata approntata una segnaletica specifica. E' stato favorito lo scambio intermodale col treno aprendo un sottopasso ciclabile sotto la stazione che consente relazioni più rapide, nei pressi ci sono due parcheggi a pagamento e molti posti liberi.
Oltre alle infrastrutture è stata curata anche la promozione della bicicletta: dibattiti, manifestazioni, uso ricreativo della bici. Si è cercato e ottenuto il coinvolgimento della popolazione.

3.6 I dati sulla incidentalità ciclistica in Italia

L'analisi degli incidenti che hanno coinvolto i ciclisti è fondamentale per valutare quale sistema di circolazione adottare e i provvedimenti da attuare.
I dati sono forniti dall' Istat che, a livello nazionale, elabora tutte le statistiche sugli incidenti stradali. A volte il dato sui velocipedi è aggregato a tutti i veicoli a due ruote.
In generale, negli ultimi anni, i conducenti di biciclette coinvolti in incidenti stradali rappresentano il 3% di tutti i conducenti di autoveicoli.
Gli altri veicoli a due ruote hanno percentuali maggiori: 12% per i ciclomotori e 5% per i motoveicoli.
Un incidente su cinque riguarda i veicoli a due ruote. Le conseguenze sono più gravi rispetto agli altri veicoli: 88 feriti e 2 morti contro 40 feriti e 1 morto ogni cento incidenti. Le cause sono da ricercarsi nella quasi totale assenza di protezione in tali veicoli (in pratica solamente il casco).
Esaminando il periodo 1985-1995 si riscontra, per i ciclisti, una diminuzione dei morti del 24% (da 485 a 368) ed un aumento dei feriti del 17,4% (da 7.599 a 8.920).



Persone infortunate secondo il tipo di veicolo. Anni 1985-1995
1985 1990 1995
Tipo di veicolo Feriti Morti Feriti Morti Feriti Morti
Bicicletta 7.599 485 7.737 443 8.920 368
Ciclomotore 30.561 697 30.636 597 44.393 676
Motociclo 34.729 981 24.044 733 17.988 502
Percentuali
Bicicletta 3,5 6,8 3,5 6,7 3,4 5,7
Ciclomotore 14,1 9,8 13,9 9,0 17,1 10,4
Motociclo 16,1 13,7 10,9 11,1 6,9 7,7

Un dato molto importante per il discorso svolto nei paragrafi precedenti emerge dalla divisione in classi di età dei ciclisti infortunati.
Al di sotto dei 15 anni i feriti sono il 13,7% di tutti i ciclisti feriti e i morti il 6,6%. Sotto i 15 anni, considerando solo i conducenti, la bicicletta è il veicolo più pericoloso per il numero di morti.
E' evidente il motivo, dato che l'unico altro mezzo consentito a quelle età è il ciclomotore e solo a partire dal 14° anno. Comunque i conducenti di ciclomotore hanno già in questa fascia il maggior numero di feriti (1177 nell'anno 1994.
Nella fascia successiva (15-17 anni) il primo veicolo causa di morte è il ciclomotore con 91 morti seguito dai motocicli con 53 vittime (velocipedi a 14 morti, sempre anno '94).
Esaminiamo in particolare i dati sulla bici, relativi al 1994, in tutte le classi d'età.

Conducenti di velocipedi infortunati, morti e feriti, in classi d'età. Anno 1994.
morti (%) morti/anno feriti (%) feriti/anno feriti/morti
Fino a 5 anni / / / 20 (0,2) non def. /
6-9 anni 7 (1,8) 1,75 151 (1,8) 37,75 21,6
10-14 anni 19 (4,8) 3,8 962 (11,7) 192,4 50,6
15-17 anni 14 (3,6) 4,6 489 (5,9) 163 35,4
18-20 anni 5 (1,3) 1,6 379 (4,6) 126,34 79
21-24 anni 10 (2,5) 2 421 (5,1) 84,2 42,1
25-29 anni 9 (2,3) 1,8 481 (5,8) 96,2 53,4
30-44 anni 40 (10,2) 2,67 1.170 (14,2) 78 29,2
45-54 anni 31 (7,9) 3,1 883 (10,7) 88,3 28,5
55-59 anni 21 (5,3) 4,2 556 (6,7) 111,2 26,5
60-64 anni 36 (9,2) 7,2 645 (7,8) 129 17,9
65 e oltre 201 (51,1) non def. 2.085 (25,3) non def. 10,4
Totale 393 (100,0) 8.242 (100,0) 21

L'ampiezza delle fasce d'età fornite dall'Istat non é omogenea. Perciò oltre ai valori percentuali è utile leggere anche gli infortunati medi per anno riferiti ad ogni classe di età.
Ciò che colpisce è la altissima percentuale di morti in età avanzata: i conducenti di velocipede morti con 65 anni e oltre sono il 51,1% del totale!
L'andamento dei morti per anno ha un picco tra i 15-17 anni (4,6), poi decresce e si mantiene basso fino ai 30 anni (1,6-2-1,8). Dopodichè aumenta, prima lentamente (2,67-3,1-4,2) e poi, dopo i 60 anni, più in fretta (7,2).
Per i feriti l'andamento è simile, però il maggior numero di infortunati si rileva tra i più giovani nell'età tra i 10-14 anni (192,4 feriti/anno), poi decresce (ancora alto fra i 15-17 anni: 163 feriti/anno). Nella fascia di età 30-44 si raggiunge il minimo per poi risalire, ma in modo meno marcato rispetto ai morti.
In funzione dell'età l'incidente ha conseguenze molto diverse: si va da 1 morto ogni 79 feriti tra i 18-20 anni fino a 1 morto ogni 10,4 feriti dai 65 in su.
Questo si spiega, in parte, con le diverse condizioni fisiche degli infortunati. L'organismo di un'individuo giovane è più resistente rispetto ad un anziano.
Lo stesso trauma può essere letale per uno e non per l'altro.
Inoltre una persona anziana ha tempi di reazione maggiore, per cui è più difficile evitare gli incidente o limitare i danni.
Un'altra spiegazione parziale consiste nella distribuzione dei ciclisti in funzione dell'età. Non ci sono dati nazionali precisi al riguardo ma è verosimile che la bici venga usata di più da adolescenti e anziani.
Bisognerebbe anche esaminare la tipologia degli incidenti.
L'analisi di Forester mostrava che alcuni tipi di incidenti sono più comuni a determinate età. Anche questo potrebbe spiegare la distribuzione della gravità incidentale. I dati Istat consultati non danno informazioni in tal senso. Però l'elevato numero di feriti tra adolescenti e giovani (e morti tra 10 e 14 anni) può essere verosimilmente attribuito alla poca esperienza, imperizia e spericolatezza tipiche dell'età.
In questo caso Forester ha ragione. Se si insegnasse ai bambini come andare in bicicletta correttamente molti incidenti potrebbero essere evitati.
L'esame tipologico degli incidenti sarebbe importante anche per capire e limitare l'incidentalità dei ciclisti anziani, davvero troppo elevata.

Gli incidenti di tutti i veicoli a due ruote si sono verificati nell'88% dei casi nei centri abitati (70% per gli altri veicoli, si conferma l'uso urbano in sostituzione della automobile).
Per quanto riguarda le condizioni meteorologiche, gli incidenti avvenuti sotto la pioggia hanno la percentuale di morti più bassa rispetto a condizioni di cielo sereno, da 4,3% a 3,2%, mentre aumentano i feriti, da 90,6% a 94,6%, dati riferiti ai conducenti di velocipedi infortunati nel 1995.
Esaminiamo le circostanze e le cause degli incidenti.

Circostanze degli incidenti per tipo di veicoli coinvolti. Percentuali anno 1995
Biciclette Ciclomotori Motocicli Altro
Guida distratta 15,3 13,1 13,9 12,2
Non rispetto della distanza di sicurezza 5,2 5,4 5,7 8,6
Non rispetto precedenza 6,2 5,1 2,5 8,3
Non rispetto stop 3,6 2,7 1,1 3,8
Eccesso di velocità 2,7 6,6 13,0 12,1
Ebbrezza alcolica 0,3 0,5 0,2 0,7
Altre condizioni psicofisiche 0,3 0,3 0,2 0,7
Altre circostanze 66,4 66,3 63,4 53,6

I ciclisti sono la categoria più distratta e ciò causa un buon quindici per cento di degli incidenti. La non osservazione del Codice della Strada è alla base di un altro 17-18% di incidenti (eccesso di velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza, della stop e della precedenza, in questi due ultimi casi i ciclisti sono tra i più indisciplinati).
Anche questi dati vanno parzialmente a favore della tesi di Forester: molti ciclisti non sanno andare in bici o non rispettano il codice. Purtroppo non sono meglio specificate le circostanze in cui accadono gli altri due terzi degli incidenti.
Cerchiamo di capire meglio la tipologia degli incidenti che riguarda le biciclette.
Consideriamo ancora il 1994. In quell'anno i velocipedi coinvolti in incidente sono stati 9.258, con 406 morti e 8.707 feriti. Vediamo chi è stato coinvolto negli incidenti con i velocipedi (il seguente elenco non considera gli incidenti in cui è coinvolto il singolo ciclista, in genere per una caduta).

Incidenti tra velocipedi e veicoli in marcia, infortunati. Anno 1994
Incidenti Morti Feriti
Auto private fino a 1000 cc 1.393 58 1.416
Auto private da 1001 a 1300 cc 1.677 47 1.715
Auto private da 1301 a 1500 cc 580 23 593
Auto private da 1501 a 1800 cc 1.004 61 1.002
Auto private da 1801 a 2000 cc 523 29 517
Auto private oltre a 2000 cc 163 7 170
Auto private con cilindrata ignota 951 41 974
Auto private con rimorchio 3 / 3

TOTALE AUTO PRIVATE 6.294 266 6.390

Auto pubbliche, soccorso, polizia 34 / 36
Autobus/filobus urbani 50 2 56
Autobus extraurbani 22 1 22
Tram 3 / 3

AUTO E TRASPORTI PUBBLICI 109 3 117

Autocarri fino a 34 q.li 80 7 81
Autocarri da 35 q.li ed oltre 213 26 189
Autocarri con peso ignoto 223 19 212
Autotreni con rimorchio 35 15 21
Autosnodati 36 11 27
Veicoli speciali, trattori 26 5 59

TOTALE VEICOLI PESANTI 613 83 589

Altri velocipedi 124 3 163
Ciclomotori 591 9 828
Motocicli a solo 274 11 401
Motocicli con passeggero 43 4 82
Motocarri e motofurgoni 29 / 30
Veicoli a trazione animale 2 / 2

TOTALE VEICOLI LEGGERI 1.063 27 1.506

Veicoli ignoti, perché datisi alla fuga 112 4 109

Le auto private sono responsabili del 68% di tutti gli incidenti che hanno riguardato i velocipedi, i veicoli pesanti del 6,6%, i veicoli leggeri dell' 11,5%.
Le conseguenze sono più gravi per i veicoli pesanti con 1 morto ogni 7,1 feriti. Seguono le auto private con 1 morto ogni 24 feriti e i veicoli leggeri (1 a 55,7).
Le teorie di Forester si scontrano con la crudezza delle cifre. Che sappiano o meno circolare sulle strade gli incidenti sono comunque troppi e per la maggior parte sono dovuti alla promiscuità col traffico veicolare.
Vediamo ora i diversi tipi di incidente tra veicoli in marcia in cui sono coinvolti i velocipedi.

Incidenti tra velocipedi e veicoli in marcia per tipo. Anno 1994
v.a. %
Scontro frontale 505 7,6
Scontro frontale-laterale 3.455 51,7
Scontro laterale 1.372 20,5
Tamponamento 1.019 15,2
Veicolo in arresto 336 5,0
TOTALE 6.687 100,0

L'incidente di gran lunga più frequente è lo scontro frontale-laterale, seguito da quello laterale e dal tamponamento. Nell' 83% dei casi si verifica con autovetture, pubbliche o private.

Gli incidenti ai velocipedi isolati nel 1994 hanno causato 22 morti tra i ciclisti (il 5,6% del totale) e 1 tra i pedoni. La causa principale (16 casi su 22: 72,7%) è la fuoriuscita per sbandamento o altro.
Dalle statistiche è ancora possibile rilevare che non ci sono ciclisti infortunati per l'apertura improvvisa delle portiere nè per l'insufficienza meccanica del velocipede o dei suoi dispositivi visivi.

L'uso del casco, anche per i ciclisti, riduce il rischio di morte in caso di incidente di tre volte. Molti ciclisti però non lo gradiscono e una sua diffusione di massa, allo stato attuale, è poco probabile.

Conducenti infortunati secondo l'uso del casco. Percentuali anno 1995
Con casco Senza casco
BICICLETTA
Illeso 10,4 4,5
Ferito 88,1 90,3
Morto 1,5 5,2
CICLOMOTORE
Illeso 10,8 8,0
Ferito 88,4 89,6
Morto 0,8 2,4
MOTOCICLO
Illeso 9,9 8,6
Ferito 87,7 84,4
Morto 2,4 7,0

3.7 Biciclette e trasporto pubblico: competizione o sviluppo reciproco?

Considerare da una parte il trasporto pubblico e la bicicletta in contrapposizione al traffico privato è troppo semplicistico. Una analisi più approfondita rivela che in certi casi vi può essere concorrenza tra i primi due mezzi di trasporto.
La bicicletta è in concorrenza col trasporto pubblico locale nei viaggi corti (1,6-8 km). Un intenso uso della bicicletta (a meno che non risulti con certezza dal minor uso dell'auto) può direttamente ridurre la quota di utenti per il pubblico trasporto.
Le conseguenze possono essere negative, se lo scarso utilizzo del mezzo pubblico porta ad un decremento della qualità o nel caso più estremo alla sua soppressione.
Ci sono però aspetti positivi, ad esempio se nelle ore di punta il servizio offerto non riesce a soddisfare la domanda, si ha a disposizione un altro modo di trasporto alternativo di efficienza analoga.
Inoltre la bicicletta può essere un efficacissimo modo per accedere al servizio pubblico (sia della rete urbana che extraurbana), accrescendo la popolazione che può potenzialmente fruire della rete, un po' come un sistema ettometrico.
Quest'ultimo punto vale particolarmente per le città di dimensioni medio-grandi dove le distanze da percorrere sono maggiori ed esiste una buona rete di trasporto pubblico ed il servizio ferroviario.

Anche l'andare a piedi, in parte, è in competizione con la bici: in Germania, tra il 1976 e il 1982 la percentuale modale della bicicletta è cresciuta dall' 8,6% fino al 10,2% a spese dell'andare a piedi: nello stesso periodo i due modi complessivamente scendevano dal 43,2% al 40,0%.

Spazio sulla strada: biciclette e trasporto pubblico sono in competizione per lo spazio in carreggiata. In certi casi gli si destina lo stesso spazio in promiscuo ma ciò porta ad un reciproco intralcio.

Velocità media: il pricipale motivo d'intralcio consiste nel fatto che la velocità media di un mezzo urbano è simile a quella dei ciclisti, ma mentre questi viaggia con andatura regolare, il mezzo urbano ad ogni fermata deve caricare e scaricare i passeggeri poi accelera, raggiunge la velocità massima e quasi subito decelera per la fermata successiva. In questo modo è facile che la bici e il mezzo pubblico si superino a vicenda svariate volte.
Anche alle intersezioni regolate da semaforo può esserci competizione per la determinazione dei tempi di fase riservati a ciascun mezzo.

Risorse finanziarie: la competizione c'è pure nelle quote di risorse che le amministrazioni pubbliche devono assegnare.

Le indagini al riguardo non sono molte, ma alcune sono interessanti. Vale la pena citarne una svoltasi a Londra nel 1981 (Greater London Council, 1981, "Fulham Road, bicycle survey"). Nella zona di Fulham Road tra il 1976 e il 1981 l'uso della bici è cresciuto del 109%. I tre quarti circa dei ciclisti intervistati prima usava un altro modo di trasporto. Di questi il 12% era guidatore di auto o passeggero, il 5% usava un motociclo, il 13% andava a piedi. Il resto, la maggior parte (il 70%!), proveniva dal trasporto pubblico: 50% dal treno e 20% dai bus. Il cambio era motivato di più per gli aspetti piacevoli della bici che non per la insoddisfacente qualità del servizio pubblico.
Ulteriori indagini sempre a Londra confermano che la bici sostituisce più il mezzo pubblico che l'auto privata.
A Delft che, come abbiamo visto, dedica la massima attenzione ai ciclisti, la quota che usa il trasporto pubblico è bassa: 4%, inoltre tra il 1982 e il 1987 a seguito della implementazione della rete la bici è cresciuta dal 40% al 43% gli altri modi sono rimasti stabili e il trasporto pubblico è sceso dal 6% al 4%.
Bisogna anche riconoscere che l'uso dell'auto privata a Delft non è aumentato, come invece è successo nel resto dei Paesi Bassi.
Nelle città europee di grandi dimensioni, Amsterdam ha la ripartizione modale più equilibrata tra auto, pedoni, bici e mezzi pubblici (questi ultimi due hanno circa la stessa quota).
In altre città come Bologna, Zurigo, Stoccolma vi è un buon trasporto pubblico che risulta n volte maggiore della bicicletta.
L'auto è quasi sempre in prima posizione o seconda per poco (Stoccolma e Zurigo).
Ad Amsterdam ma soprattutto Hannover e Monaco, dove la bici ha guadagnato una buona quota, l'uso dell'auto privata non è sceso particolarmente. Verosimilmente la quota di traffico è stata guadagnata di più a spese del trasporto pubblico o dell'andare a piedi.

Conclusioni: convertire automobilisti in ciclisti è molto più difficile di quanto si pensi. Il miglioramento delle infrastrutture ciclabili non basta, serve anche una politica restrittiva verso l'auto.
Nelle città di piccole o medie dimensioni (vedi Delft o Groningen) è possibile limitare l'uso dell'auto proponendo l'alternativa della bicicletta.
Sembra quasi impossibile sviluppare contemporaneamente trasporto pubblico e in bicicletta.
Nelle grandi città il maggior successo nel contenimento dell'auto privata è registrato dal trasporto pubblico. In tali città si definisce per la bicicletta soprattutto un ruolo di supporto e integrazione col servizio pubblico. Si devono favorire le categorie dei ciclisti intermodali rispetto ad altri come i ciclisti sportivi o monomodali. Le caratteristiche sono diverse: i primi, in genere, sono meno veloci e possono essere ammessi nelle zone pedonali, gli altri necessitano di piste separate ma convivono senza timore col traffico veicolare.



Bibliografia



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