Alberto Collidà
La bicicletta è un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e
particolare all'area torinese
Capitolo 3
3. Modelli di riferimento
3.1 Le due scuole di pensiero: integrazione o segregazione?
Stabilita l'importanza della mobilità ciclistica all'interno del sistema dei
trasporti (e già questo è un punto importante), si tratta di decidere come
procedere per incrementarla in condizioni di sicurezza.
C'è un problema di fondo che deve essere risolto perchè sta alla base della
maggior parte degli interventi.
In sostanza il punto è questo: scegliere se separare la mobilità ciclistica
dal traffico motorizzato, immettendola in spazi riservati oppure integrare
le varie componenti con provvedimenti atti a renderle compatibili.
In generale si può dire che la scelta di segregazione è stata adottata
soprattutto nei Paesi nordeuropei, come Olanda o Germania. La integrazione è
ben osservabile in alcune città medio-piccole della pianura padana come
Ferrara. Una critica feroce alla segregazione è condotta in particolare
dall'americano Forester, autore di molti studi e pubblicazioni
sull'argomento.
Come sempre la ragione non è mai da una sola parte.
Innanzitutto le condizioni variano da caso a caso (tipologia della strada,
numero di utenti delle varie categorie, funzione da loro attribuita alla
strada, ....). A seconda della situazione la migliore soluzione può essere
diversa. Inoltre tra i due estremi vi sono possibilità intermedie come la
separazione solo visuale.
Vi sono poi problemi oggettivi: avere una rete ciclabile segregata estesa
come quella stradale è fisicamente impossibile oltre che costoso.
Una parte dei sostenitori della segregazione, in effetti, promuove tale
soluzione considerando soprattutto i vantaggi per la circolazione a motore
piuttosto che l'efficacia della rete ciclabile. E' chiaro che una rete
segregata toglie i ciclisti dalla sede stradale rendendo la circolazione più
veloce, ma non è detto che questo sia un vantaggio. Spesso nei centri urbani
il problema è proprio limitare la velocità.
Il problema della sicurezza si suddivide in sicurezza effettiva e sicurezza
percepita. Le piste segregate aumentano la sicurezza percepita: cioè danno
ai ciclisti intimoriti dal traffico la possibilità di muoversi in uno spazio
ad essi riservato, liberato dalle auto. Questo è fondamentale se si vogliono
creare le condizioni per un uso più diffuso della bici: la riqualificazione
dello spazio urbano si ottiene anche restituendo all'uso ciclistico e
pedonale ampie porzioni di territorio collegate tra loro in maniera
organica.
Il traffico ciclistico non è però omotachico. In molti viaggiano a velocità
anche triple rispetto ai più lenti. Su una pista segregata, troppo stretta o
frequentata questo è un problema.
La soluzione potrebbe essere la non obbligatorietà della pista ciclabile.
L'utente non è tenuto a percorrerla se non la ritiene valida.
La sicurezza percepita si riferisce ad alcuni potenziali pericoli che il
ciclista teme moltissimo: classica la paura di essere colpito da un veicolo
proveniente da dietro. Si tratta certo di un rischio reale, ma il ciclista
tende a sopravvalutarlo, mentre fa il contrario in altre situazioni, come
alle intersezioni in generale (dal passo carraio alle rotonde).
E' qui che avviene gran parte degli incidenti. Il problema riguarda sia la
scelta di integrare che di segregare. Nel secondo caso però gli
automobilisti tendono a perdere la consapevolezza della presenza dei
ciclisti e dunque a prestarvi meno attenzione.
3.2 La critica posizione di Forester
Nel dibattito tra integrazione e segregazione spicca la posizione
dell'americano John Forester, se non altro per l'intransigenza e la
determinazione con cui sostiene la propria tesi.
Nel 1994 è uscita la seconda edizione di "Bicycle Transportation" edita dal
M.I.T., il Massachussets Institute of Technology, che aggiorna la prima del
1977. E' questa l'opera a cui faccio riferimento (in altre pubblicazioni
come "Effective Cycling" di cui esiste anche un video, l'autore insegna ad
usare la bicicletta in sicurezza in totale commistione col traffico a
motore).
Forester è convinto che le piste ciclabili e gli interventi segregativi in
genere siano non soltanto inutili ma per giunta dannosi per i ciclisti.
Egli propugna una completa integrazione col traffico a motore. Sostiene che
la bicicletta deve essere considerata come un qualsiasi altro veicolo,
soggetto, nello stesso identico modo, al codice della strada. Il ciclista
impara a non aver paura del traffico e a muoversi con disinvoltura, i
veicoli provenienti da dietro e che lo sorpassano non lo spaventano e non
gli fanno compiere manovre evasive potenzialmente pericolose. Tutto questo
deve essere insegnato. Come gli automobilisti vanno a scuola guida anche i
ciclisti devono seguire corsi per imparare la circolazione stradale.
Acquisendo sicurezza e confidenza si dovrebbero limitare quegli errori che
causano la maggior parte degli incidenti.
Poter usare la normale rete stradale consente di andare dappertutto e a
velocità sostenuta (Forester considera una velocità di marcia di 30 km/h
più che normale, alla portata di tutti).
Questa ipotesi è chiamata "vehicular cycling principle", che si può
tradurre: uso della bicicletta come veicolo. Ad essa è contrapposta la
"cyclist inferiority superstition": la superstizione della
inferiorità del ciclista.
La scelta del nome è sintomatica delle convinzioni dell'autore. Egli è
convinto che i sostenitori delle piste segregate facciano degli errori
giganteschi senza accorgersene perchè esiste un vero e proprio complesso di
inferiorità di molti ciclisti rispetto al traffico a motore, radicato e
irrazionale come una superstizione.
I sostenitori di questa tesi temono soprattutto alcuni possibili incidenti,
in particolare di essere colpiti alle spalle da una macchina in fase di
sorpasso. Forester insiste sulla irrazionalità di tale paura. Stando ai suoi
dati sono pochissimi gli incidenti di questo tipo. Più pericoloso e
all'origine di incidenti è il comportamento su strada dei ciclisti che non
hanno la "visione veicolare della bicicletta".
Le piste segregate sono giudicate negativamente perchè alimentano questo
timore irrazionale. Ma la cosa più grave è che risultano meno sicure della
strada. Sono pericolose al loro interno perchè strette e con raggi di
curvatura limitati per le velocità a cui marcia il ciclista ideale di
Forester.
La riduzione delle collisioni con auto è minima dato che, per l'autore,
quasi tutti gli incidenti si verificano alle intersezioni. Lì le piste
ciclabili non offrono garanzie al ciclista, non migliorano la sua sicurezza
e lo costringono a perdite di tempo che non avrebbe sulla strada seguendo il
flusso degli autoveicoli (ad esempio se incontra un semaforo con fase
dedicata ai ciclisti che ritarda anche il traffico a motore).
Quali sono gli argomenti a sostegno di questa tesi?
Forester supporta le proprie idee con i risultati di indagini sugli
incidenti che hanno coinvolto i ciclisti. Vengono considerati innanzitutto i
tassi di incidentalità di varie popolazioni di ciclisti. Si tratta di
quattro ricerche statistiche riguardanti i bambini delle scuole elementari
(Stati Uniti, 1975), gli universitari di un college americano (nel 1976), i
ciclisti della "League of American Wheelmen" (1976) e quelli del "British
Cyclist's Touring Club" (1984, autore S. M. Watkins, opera non citata nella
bibliografia).
Gruppo di ciclisti |
miglia all'anno |
incidenti per milioni di miglia |
Scuola elementare |
580 |
720 |
Universitari |
600 |
500 |
League of American Wheelmen |
2400 |
113 |
Cyclists' Touring Club |
2000 |
66 |
Anche se le indagini sono state compiute da autori diversi in periodi
diversi Forester le paragona poichè ritiene la definizione di incidente
simile (per gli studenti era il danneggiamento del veicolo o eventuali
ferite, per i ciclisti della L.A.W. le collisioni o le serie cadute, per
quelli del C.T.C. ciò che provocava ricovero in ospedale o altri trattamenti
medici oppure danni al veicolo).
I risultati confermano che i ciclisti con maggiore esperienza su strada
hanno un tasso di incidentalità inferiore. Perciò è importante insegnare ad
usare bene la bicicletta accelerando gli effetti della esperienza personale,
anche per evitare errori irreversibili cioè incidenti gravi.
Un altro importante punto di riferimento per la tesi di Forester è lo studio
degli incidenti tra biciclette e autoveicoli compiuto da Kenneth Cross e
Gary Fisher per conto del National Highway Traffic Safety Administration nel
1977.
In tale studio sono stati analizzati 919 incidenti avvenuti in quattro
differenti aree degli Stati Uniti: Los Angeles, Denver-Boulder,
Orlando-Tampa, Detroit-Flint.
Il dato più rilevante è che nell'85 % dei casi l'incidente si è verificato
agli incroci o in fase di svolta.
Tipologia dell'incidente |
in città |
fuori città |
totale (%) |
svolte e intersezioni |
89 |
60 |
85 |
macchina che sorpassa bici |
7 |
30 |
9.5 |
altre collisioni in fase di marcia |
4 |
10 |
4.7 |
E' interessante l'estrapolazione riguardante la percentuale di ciclisti che,
quando è avvenuto l'incidente, stavano palesemente violando le norme del
codice stradale: ben il 52,3 % in ambito urbano e addirittura il 66,5 % in
territorio extraurbano.
Il comportamento di guida prima dell'incidente è dato nella tabella
seguente:
Stile di guida prima di una collisione con autoveicolo |
% urbana |
% extraurbana |
% totale |
posizione corretta sulla strada |
38 |
30 |
37 |
immissione in strada |
23 |
16 |
22 |
posizione sul lato contromano |
20 |
15 |
19 |
svolta, anche brusca dal ciglio strada |
14 |
37 |
16 |
pedalando sul marciapiede |
8 |
3 |
7 |
Tra le altre cose, Fisher e Cross hanno trovato una interessante
correlazione fra alcuni tipi di incidente e l'età dei ciclisti coinvolti. Vi
sono cioè particolari incidenti che sono tipici di alcune classi d'età.
Forester nota che i bambini sono coinvolti in incidenti causati da errori in
manovre, tutto sommato, facili da imparare. Invece aumentando l'età la
destrezza richiesta per evitare l'incidente è maggiore. Egli conclude perciò
che un'opera di prevenzione sia fondamentale: insegnare un corretto
comportamento su strada, insistendo soprattutto sugli errori più frequenti
ridurrebbe drasticamente gli incidenti.
Età media |
Tipo
di incidente |
<12 |
immissione in strada, manovra
brusca |
12-14 |
errata precedenza, pedalare in
contromano |
>14 |
ciclista che passa mentre cambia il semaforo, auto che esce di corsia,
auto che svolta, auto che supera |
Nello studio di Fisher e Cross mancano però dati riscontrabili sulle
collisioni tra biciclette. Forester dice che la loro frequenza è pari agli
scontri tra bici e autoveicoli. La stima è fatta sulla base dell'esperienza,
di interviste e dell'indagine svolta sui ciclisti della League of American
Wheelmen già citata.
Per quanto riguarda la incidentalità sulle piste ciclabili Forester non
dispone di studi formali sugli scontri fra biciclette. Ciò non gli impedisce
di concludere che essi sono uno dei tipi di incidente che rendono le piste
ciclabili così pericolose.
La valutazione del lavoro di Forester non è facile.
Al di là del tono, in certi casi fastidioso e supponente, che mal si adatta
a un testo scientifico, l'autore ha saputo cogliere il problema fondamentale
della sicurezza.
E' certamente giusta la scelta di rifarsi a una casistica degli incidenti.
Stupisce però che non vi siano indagini più recenti di quelle citate
(vecchie di 20 anni). La nuova edizione del testo è del 1994. Lo stesso
Forester non ha provato a tenere dati aggiornati, pur essendo il punto
centrale del suo ragionamento.
Ovviamente, ci sono state altre indagini sulla sicurezza dei ciclisti. Viene
citata quella della "Consumer Product Safety Commission". Nel novembre del
1993 ha pubblicato il rapporto "Bicycle use and hazard patterns in the U.S.
and option for injury reduction". Ma siccome le conclusioni sono a favore
delle piste ciclabili Forester lo contesta e non lo considera valido (pagine
39-40 e in appendice da pagina 325, opera non citata in bibliografia).
Inoltre sono grossolani certi passaggi dove, in mancanza di meglio, si rifà
alle proprie esperienze o interviste per giungere a conclusioni "sicure" (ad
esempio per le collisioni tra biciclette appena ricordate: pagina 54-55,
primo e ultimo paragrafo del brano intitolato "Bike-bike collisions").
Si può concordare con Forester sui seguenti punti:
- che si scelga integrazione o segregazione, i nodi critici per i ciclisti
restano le intersezioni
- la paura del traffico veicolare, senza scomodare la superstizione, è
molto diffusa e inibisce l'uso della bicicletta
- molti ciclisti sulla strada commettono infrazioni, causando anche
incidenti e non
sanno usare la bicicletta nel traffico
- la notevole differenza di velocità fra ciclisti è un problema sulle
piste ciclabili
- è necessario impostare la prevenzione degli incidenti insegnando ai
ciclisti, specie i più giovani, un corretto comportamento sulla strada
Non si può accogliere la tesi che le piste ciclabili non vanno mai
bene.
Può essere così per il ciclista ideale di Forester. Forse il suo errore è
proprio di non considerare altri tipi di ciclisti, molto più lenti, ad
esempio anziani che non intendono affrontare lo stress mentale, il continuo
livello d'attenzione necessario nel traffico.
La soluzione proposta di puntare sull'educazione stradale dei ciclisti è
giusta, ma non è sufficiente.
Oppure, forse, è meglio spiegare quali sono gli obiettivi prefissi. Infatti
Forester non sembra molto interessato a diffondere l'uso della bici in fasce
più ampie della società americana. Anzi è convinto che rimarra una cosa
piuttosto elitaria (pagina 116).
Dunque per lui l'obiettivo è solo di minimizzare i rischi di chi usa la bici
sulla strada anche se questo significa lasciare ai margini potenziali
categorie di ciclisti.
Bibliografia delle ricerche citate e considerate da Forester
- Chlapecka, T.W., S.A. Schupack, T.W. Planek, H. Klecka, & J.G. Driessen;
Bicycle
accidents and usage among elementary school children in the United States;
Chicago: National safety Council; 1975.
- Cross, Kenneth D., & Gary Fischer; A study of Bicycle/Motor-vehicle
accidents:
identification of problem types and coutermeasure approaches; National
highway
traffic safety Administration; 1977.
- Schupack, S.A., & G. J. Driessen; Bicycle accidents and usage among
young
adults: preliminary study; National safety Council; Chicago, IL; 1976.
- Kaplan, Jerrold A.; Characteristics of the regular adult bicycle user;
Master's
thesis, U. of Maryland; National technical information service,
Springfield, VA;
1976.
3.3 L'analisi del gruppo di studio del C.R.O.W olandese
C.R.O.W significa: "Centre for Research and Contract Standardization in
Civil and Traffic Engineering". Ha sede a Ede in Olanda.
Studia le problematiche attinenti l'ingegneria civile. Alla fine del 1990 si
è formato un gruppo di lavoro che si è occupato della bicicletta come mezzo
di trasporto.
E' nata una utilissima collaborazione fra i vari soggetti interessati
all'argomento: associazioni, enti locali, istituti di ricerca e il Ministero
dei Trasporti olandese che, all'inizio degli anni novanta ha varato il
"Bicycle Master Plan".
Tale progetto ha come obiettivo: "l'incremento dell'uso della bicicletta
come alternativa alle macchine, a condizione che la percentuale di incidenti
che coinvolgono i ciclisti (e chi usa i motorini) sia drasticamente
ridotta".
Fra le iniziative concertate all'interno del Master Plan ci sono anche i
lavori del gruppo del C.R.O.W. Essi hanno pubblicato numerosi documenti
("records", anche in lingua inglese) sui diversi aspetti del problema.
Il record numero 10, già citato nel precedente capitolo, affronta in modo
organico ed esaustivo anche il dilemma della separazione/integrazione. Viene
esaminata ogni soluzione, mettendo in rilievo i pro e i contro. Vediamo
qualche dettaglio.
Separazione fisica
- Funzione: garantire ai ciclisti e in certi casi ai ciclomotoristi
uno spazio proprio
- Uso:
- da parte dei ciclisti e a volte di ciclomotoristi
- con alte velocità e/o grande densità di traffico
- Soluzioni progettuali: separazione con ciglio o barriera, piste
ciclabili autonome
- Vantaggi:
- i ciclisti sono più protetti rispetto a altre soluzioni nell'area di
utilizzo
- i ciclisti si sentono più sicuri nell'area di utilizzo
- i mezzi a motore possono sorpassare agilmente le bici
- le bici non risentono di eventuali ingorghi del traffico
- pedalare diventa più confortevole
- usare la bici è più semplice
- è più facile riconoscere la rete ciclabile
- Svantaggi:
- la libertà di movimento diminuisce
- la velocità del traffico motorizzato aumenta
- il livello di attenzione degli automobilisti si attenua
- aumenta il rischio di incidenti ad intersezioni e attraversamenti
- il consumo di spazio è maggiore
- i costi di realizzazione sono i più elevati
Separazione visuale
- Funzione: delimitare uno spazio separato per ciclisti e in certi
casi ciclomotori
- Uso:
- da parte di ciclisti ed eventualmente ciclomotoristi
- con velocità comprese fra 30 e 60 km/h e alti volumi di traffico
- per migliorare la sicurezza percepita
- per mantenere una rete ciclabile coerente
- Soluzioni progettuali:separazione mediante una striscia che
delimita la corsia, che può essere pitturata di un altro colore per meglio
evidenziarne la differente destinazione d'uso
- Vantaggi:
- miglior protezione rispetto al profilo misto
- i ciclisti si sentono più sicuri rispetto al profilo misto nell'area di
utilizzo
- i mezzi a motore possono sorpassare agilmente le bici
- le bici non risentono di eventuali ingorghi del traffico a meno di gravi
scorrettezze degli automobilisti
- pedalare diventa piuttosto confortevole
- i ciclisti mantengono libertà di movimento
- usare la bici è più semplice
- l'attrattività della rete aumenta
- la riconoscibilità della rete è migliore
Svantaggi:
- in alcuni casi comporta un consumo di spazio a scapito di altre
destinazioni d'uso come il parcheggio auto
- la velocità del traffico motorizzato aumenta
- il livello di attenzione degli automobilisti è minore, tuttavia il
ciclista è tenuto in considerazione più che con la separazione fisica
- se il parcheggio è consentito, le auto attraversano la corsia ciclabile
- gli automobilisti possono utilizzare abusivamente lo spazio riservato
alle bici per i parcheggi in doppia fila o per superare il traffico fermo
agli incroci
- i mezzi pesanti possono usare la corsia ciclabile per manovrare
- i ciclisti possono oltrepassare la corsia a loro riservata, per
superare altri ciclisti, per evitare ostacoli sulla pista, per paura
dell'apertura improvvisa delle portiere delle auto parcheggiate, per
viaggiare fianco a fianco
L'ultimo punto ha risvolti anche positivi, in quanto riflette il grado di
libertà consentito da tale soluzione, ma sono tutte situazioni potenziali di
rischio, tenendo presente il minor livello di attenzione degli
automobilisti.
Profilo misto
Funzione: scorrimento regolare di tutte le componenti del traffico
sulla stessa sede
- Uso:
- non c'è separazione funzionale del traffico che risulta misto
- su strade con varie combinazioni di velocità e densità di traffico
limitate
- nelle "zone 30"
- Soluzioni progettuali: si realizza una sezione 'stretta' o
'larga', anche se il più delle volte se ne prende semplicemente atto
- Vantaggi:
- non è richiesto un consumo di spazio specifico
- i ciclisti hanno completa libertà di manovra
- la sicurezza alle intersezioni è maggiore
- Svantaggi:
- le sezioni stradali sono meno sicure
- il parcheggio è d'intralcio e pericoloso (apertura delle portiere,
manovre improvvise dei veicoli)
- il ciclista svolge la funzione di "inibitore umano della velocità", il
che può risultare poco piacevole a meno che i ciclisti siano in maggioranza
- il ciclista può rimanere imbottigliato nel traffico o per lo meno
rallentato anche se la bici è il mezzo più adatto per svicolare
Al progettista della rete ciclabile compete la scelta della soluzione più
idonea.
La scelta è fatta soprattutto in funzione dell'intensità e della velocità
del traffico a motore. Altri fattori, quali l'intensità del traffico
ciclistico non dovrebbero essere considerati (una strada "sicura" deve
esserlo sia per pochi che per molti utenti). Tale elemento è invece da
valutare quando si decidono le priorità di intervento sui tratti a
rischio.
Qualora si ritenga che l'integrazione non sia sostenibile la costruzione di
una pista ciclabile non è l'unica scelta a disposizione del
pianificatore. Si può anche agire sul traffico cercando di cambiarne le
caratteristiche.
Si può provare a limitare la velocità dei mezzi sia agli incroci che nelle
sezioni. Oppure si agisce sulla densità del traffico o sulla sua
composizione (per esempio escludendo il trasporto merci). Si può introdurre
un divieto di parcheggio.
La scelta dipende in gran parte dalla funzione e dall'uso della strada per
il traffico a motore e sulla situazione generale: non è realistica una
limitazione del traffico se non esiste una strada alternativa efficace.
Bisognerà anche valutare l'importanza del percorso ciclabile per la coerenza
della rete, lo spazio disponibile, la peculiarità del territorio
attraversato, la presenza del trasporto pubblico.
Se gli interventi sul traffico a motore non sono possibili o risultano
inefficaci si deve scegliere il tipo di infrastruttura ciclabile da
realizzare.
Un utile strumento di valutazione è stato messo a punto da un altro gruppo
di studiosi olandesi (l'Istituto di ricerca per la sicurezza stradale: lo
S.W.O.V. con sede a Leidschendam). In funzione di velocità e densità del
traffico a motore si sono determinate le soluzioni migliori. Il problema è
stato analizzato dal punto di vista della sicurezza, a prescindere dalla
coerenza della rete ciclabile o altro ancora.Il grafico, che riassume i
risultati, ha in ascisse la velocità reale a cui viaggia almeno l' 85 % dei
veicoli. In ordinate il numero di autoveicoli al giorno, in migliaia.
- Area 1: se la velocità 85 percentile del traffico motorizzato è più bassa di
30 km/h un profilo misto è generalmente raccomandabile. Corsie o piste
ciclabili possono essere realizzate con l'intento di migliorare
la sicurezza percepita o la continuità della rete. Nelle "zone 30", per loro
stessa definizione, non si dovrebbe costruire infrastrutture
dedicate.
- Area 2: combinazioni di basse velocità e alte densità sono molto rare. Non
è possibile dare indicazioni, ogni caso ha la sua specificità.
- Area 3: in linea di massima un profilo misto è accettabile. E' utile
considerare la velocità di progetto, che non è uguale a V85. Se risulta elevata
(per esempio Vp=60 Km/h), qualche intervento segregativo è ben accetto.
- Area 4: in questo caso una pista o una corsia ciclabile è certamente
desiderabile.
- Area 5: il volume del traffico è molto basso, ma la velocità elevata (60-80
km/h). Si può ancora scegliere un profilo misto. In caso contrario
proprio per l'alta velocità è meglio evitare la sola separazione visuale,
perchè da troppa sicurezza sia ai ciclisti che agli automobilisti.
- Area 6: la separazione fisica si deve sempre realizzare.
Come si è già detto, il grafico considera solo la velocità e la densità del
traffico. Vi sono anche altri fattori da considerare: se la domanda di
parcheggio è elevata (superiore all'85 % dei posti disponibili nelle ore di
punta) la corsia ciclabile non è opportuna perché quasi certamente verrebbe
usata per il parcheggio abusivo.
Se una strada si interseca con molte strada laterali frequentate (più di
1500 veicoli/giorno), l'eventuale pista ciclabile perde di efficacia. Vi
sono troppi incroci frequentati a cui prestare attenzione. Si può limitare
il danno organizzando le intersezioni nel modo più favorevole ai ciclisti
(precedenza coi veicoli al passo, ad esempio coi dossi), ma è certamente
costoso e non è detto che sia possibile. Con strade residenziali poco
frequentate (meno di 500 veicoli/giorno) il problema non si pone mentre
nella fascia intermedia 500-1500 si deve valutare volta per volta.
Se sulla strada esiste una linea tramviaria la separazione fisica è sempre
preferibile.
La valutazione del C.R.O.W è molto equilibrata. Non si danno giudizi
inappellabili ma indicazioni di carattere generale anche se precise e ben
motivate. Ogni situazione ha proprie specificità da analizzare caso per caso
e da verificare sul campo.
In molti casi prevale la scelta segregativa, con tutti i vantaggi e gli
svantaggi che sono stati esaminati.
In Olanda tale soluzione è molto comune. Le piste ciclabili sono diffuse sul
territorio e, ciò che più conta, sono usatissime.
Non si può dire lo stesso per il metodo propagandato da Forester: negli
Stati Uniti la bicicletta non è un mezzo di trasporto diffuso.
Però vi sono anche zone in cui, in regime di completa integrazione, la
percentuale modale del trasporto in bicicletta è consistente. E' il caso di
molte città della pianura padana tra cui spicca Ferrara.
3.4 Bici in libertà: la città di Ferrara
Ferrara è posta nel bel mezzo della pianura padana, in un territorio
assolutamente piatto, oggetto in passato di grandi opere di bonifica delle
zone paludose.
La popolazione è di 137.000 abitanti (dati 1994), distribuiti su una
superficie di circa 400 chilometri quadrati.
E' una delle città italiane più ricche di storia e di arte, ma anche
importante centro agricolo-commerciale, in particolare per il mercato
frutticolo. Pure la presenza industriale è notevole, specie nel settore
chimico-alimentare.
L'impianto urbanistico merita un piccolo approfondimento. Il centro
medievale, sorto intorno all'anno 1000, fu esteso verso nord in base al
piano regolatore del 1491. Si tratta della prima pianificazione
urbana in senso moderno in Europa. L'autore fu l'architetto ferrarese Biagio
Rossetti. La realizzazione è famosa col nome di "Addizione Erculea" dal nome
del duca Ercole I d'Este che incaricò il Rossetti.
Venne costruita una lunga cinta muraria (9 km) che comprendeva il nucleo
storico e i nuovi quartieri: un complesso armonioso di palazzi, piazze,
edifici vari, viali e ampie strade ortogonali.Ancora oggi la parte più
importante della città è dentro le mura estensi.
La dotazione di infrastrutture di trasporto è buona. La città si trova
sull'asse di grande comunicazione Bologna-Venezia che comprende l'autostrada
A 13, le statali 16 e 64, la linea ferroviaria Bologna-Padova (elettrificata
e a doppio binario). Dal casello di Ferrara-Sud si stacca la superstrada per
Comacchio e il mare. La viabilità ordinaria collega con Ravenna, Mantova e
gli altri centri minori.
Ci sono anche alcune linee ferroviarie secondarie: la Ferrara-Ravenna-Rimini
gestita dalle FS e la Suzzara-Ferrara-Codigoro in concessione
governativa.
Il territorio è fortemente caratterizzato dalla presenza dell'acqua. L'asta
principale del Po si trova pochi chilometri a nord mentre a ridosso delle
mura estensi, verso sud, si trova il Po di Volano, col porto turistico. I
due corsi d'acqua sono collegati dal canale Boicelli, a ovest della
città.
La bicicletta ha trovato in queste zone il terreno ideale per la propria
diffusione.
Appena introdotta, alla fine del secolo scorso, fu subito utilizzata dalle
grandi masse di braccianti agricoli e di operai per raggiungere il posto di
lavoro. Anche il ceto medio la apprezzò per la comodità negli spostamenti
cittadini.
Con l'arrivo della motorizzazione la bicicletta non è scomparsa. Anzi è un
elemento che tuttora condiziona le altre componenti del traffico.
In base ad una recente indagine sulla mobilità gli spostamenti giornalieri
totali a Ferrara sono circa 178.000. La ripartizione modale vede la
bicicletta al secondo posto, a poca distanza dalle auto.
Secondo una indagine pubblicata su "Il sole-24 ore" del 18 Febbraio 1995,
Ferrara è la città italiana dove si utilizza di più la bicicletta per andare
a scuola o al lavoro.
Il parco bici è notevole: più di 1000 biciclette per ogni 1000 abitanti.
Sono percentuali tra le più alte in Europa, analoghe a quelle olandesi.
I cicloparcheggi pubblici disponibili sono 2465. Quelli custoditi a
pagamento sono 330 (situati alla stazione FS dove ci sono anche più di 500
posti pubblici).
Bisogna poi aggiungere i portabici messi a disposizione dai privati, in
genere operatori commerciali davanti al proprio esercizio. Sono di capienza
limitata (8-10 posti), ma funzionali.
La dotazione di interventi segregativi risulta invece ridotta: sono circa 33
km di piste ciclabili di diversa tipologia così ripartiti:
in sede propria |
km 6,7 |
percorsi ciclopedonali separati |
km 10,5 |
corsie con segnaletica orizzontale e verticale |
km
2,7 |
corsie con segnaletica solo orizzontale |
km 8,8 |
tipologia mista |
km 4,3 |
Si sta realizzando un percorso turistico ad anello lungo i 9 chilometri
delle mura estensi.
Per il centro storico sono state realizzate interessanti soluzioni di arredo
urbano.
La pavimentazione in molte vie è ancora a ciottoli. Benchè esteticamente
gradevole, non favorisce certo la percorribilità di pedoni e ciclisti.
L'unico effetto positivo è di ridurre la velocità dei mezzi a motore. Si
sono inseriti dei percorsi longitudinali con lastroni di trachite o di
granito larghi 60-80 cm per rendere più comodo il passaggio
di ciclisti e pedoni. Nelle vie più larghe sono state inserite due corsie di
questo tipo. Per evitare che fossero utilizzate anche dalle auto la loro
distanza reciproca non corrisponde all'interasse delle ruote.
Si è inoltre introdotto il concetto di "stanze urbane" per la città
medioevale e rinascimentale. Cioè si organizza la viabilità in modo da
eliminare il traffico di transito e consentire solo quello di
origine/destinazione.
Sempre in centro si sono create le aree pedonali e la zona a traffico
limitato (Z.T.L.). La questione più importante da risolvere è l'asse
centrale di corso Giovecca-viale Cavour che taglia la città da est a ovest.
E' lungo 2,5 km e segna il confine tra città medioevale a sud e
rinascimentale a nord. Asse di penetrazione ideale, ampiamente dimensionato,
è in buona parte ostruito dal parcheggio delle auto. Si vorrebbe realizzare
una importante pista ciclabile passante, ma bisogna prima trovare un rimedio
per le macchine in sosta. La soluzione prevista consiste in alcuni parcheggi
di interscambio, con la bici e il mezzo pubblico, collocati nei punti
strategici.
La bicicletta è oggetto di una campagna di promozione per diffonderne l'uso
anche tra i molti turisti che visitano la città. Fra le varie iniziative
ricordiamo le bici a noleggio, la segnaletica specifica per i turisti e la
tessera Bicicard. La segnaletica specifica indica ai turisti qual'è
il percorso migliore, in bicicletta, per raggiungere musei, palazzi storici,
ecc. Chi acquista la Bicicard ha diritto al parcheggio custodito
dell'auto, al noleggio di una bici, ad entrare gratis nei musei civici, a
sconti negli esercizi commerciali convenzionati.
La maggior parte degli spostamenti in bicicletta avviene sulla strada,
condivisa col traffico a motore. Le strutture riservate sono poche, spesso
inservibili per colpa del parcheggio selvaggio (è il caso delle corsie
ciclabili).
I ciclisti ferraresi usano la strada con disinvoltura. Forti del loro numero
obbligano le auto a rallentare e a dare spazio.
In città sono piuttosto indisciplinati: occupano tutta la sede stradale, non
tengono la destra, non rispettano i sensi unici. Fuori dal centro urbano la
circolazione stradale si svolge invece normalmente, con velocità delle auto
elevate. Non a caso, proprio sulle strade esterne sono state chieste piste
separate, per un raggio di 20 km circa. Si garantirebbe così un accesso alla
città sicuro e confortevole.
3.5 Le infrastrutture ciclabili di Delft
Delft è una città olandese di medie dimensioni (100.000 abitanti circa). Si
trova vicino a L'Aia, 10 km a Sud.
E' una città molto vivace, ricca di industrie e commercio, ma anche di un
rinomato centro storico. E' famosa per la produzione di maioliche. Ospita
una notevole popolazione studentesca che frequenta le molte facoltà
universitarie (c'è anche un importante Politecnico).
Ciò che ci interessa particolarmente è il fatto che la percentuale modale di
spostamenti in bicicletta è altissima e si aggira intorno al 40%.
Tale risultato è stato raggiunto grazie a due fattori. Innanzitutto, un uso
già radicato della bicicletta che prima del 1985 era intorno al 20%. In
secondo luogo la precisa volontà degli amministratori pubblici. Venne
infatti deciso un piano di miglioramento generale della circolazione
ciclistica. La sua prima realizzazione, negli anni 1985-87, e le successive
implementazioni hanno raddoppiato l'uso della bicicletta.
L'impostazione è decisamente diversa rispetto al caso di Ferrara o alle idee
di Forester. Dopo il primo periodo di attuazione del piano ('85-'87) la
città disponeva di 180 km di infrastrutture ciclabili, tra nuove e
rinnovate.
Delft è considerata un modello di riferimento per il modo in cui ha saputo
gestire il processo di pianificazione e le soluzioni adottate.
Altri interessanti esempi di città europee, con dimensioni analoghe, che
hanno attuato interventi simili registrando notevoli successi sono Erlagen,
Mùnster, Odense, Tillburg.
Esaminiamo la situazione di Delft. La città, assolutamente piatta come ogni
città olandese, ha una struttura urbanistica a quadrettatura reticolare.
Sono ben delineate le separazioni tra il centro storico, sede di uffici e
servizi, i quartieri residenziali periferici, la cittadella
universitaria.
Elementi obbligati dello sviluppo urbanistico sono cinque assi che con
direzione prevalente nord sud sezionano la città. Più a ovest la nuova
autostrada A4 che ne segna il confine, poi la strada provinciale n° 15, la
ferrovia Rotterdam-L'Aia (una delle più frequentate del Paese che attraversa
la città in pieno centro, in parte su viadotto), il canale principale (ce ne
sono molti), l'autostrada A13.
In accordo con il metodo progettuale olandese, descritto nel capitolo 4, si
è provveduto a dotare la città di una rete primaria coerente, gli ostacoli
principali sono stati rimossi il più possibile, come si può vedere nelle
fotografie scattate.
Le maglie della rete urbana primaria sono larghe 400-600 metri. La sua
funzione è di collegare i vari quartieri con il centro città, la stazione
ferroviaria, i comuni vicini, eccetera. Viene usata per andare al lavoro o a
scuola.
La rete di quartiere è utile per collegare servizi come negozi e scuole.
Viene usata anche da bambini e anziani. La larghezza delle maglie è di
200-300 metri.
La rete di zona è usata per collegamenti brevi, tra gli insediamenti
residenziali, specie dai bambini. Le maglie sono intorno ai 100 metri.
Si è cercato di migliorare il più possibile la circolazione. Ad esempio
rendendo possibile la risalita contromano alle biciclette in alcune strade a
senso unico. Dove non è stato costruito un sottopasso per una strada
trafficata, si è messo un semaforo dedicato all'attraversamento ciclabile
oppure una banchina salvagente in centro alla strada. Si sono rifatte le
fermate degli autobus potenzialmente pericolose. Negli incroci con traffico
promiscuo si è spesso consentito l'attestamento dei ciclisti al semaforo in
prima fila in apposito spazio. Ai ciclisti è sempre concessa la svolta a
destra, anche col rosso. E' stata approntata una segnaletica specifica. E'
stato favorito lo scambio intermodale col treno aprendo un sottopasso
ciclabile sotto la stazione che consente relazioni più rapide, nei pressi ci
sono due parcheggi a pagamento e molti posti liberi.
Oltre alle infrastrutture è stata curata anche la promozione della
bicicletta: dibattiti, manifestazioni, uso ricreativo della bici. Si è
cercato e ottenuto il coinvolgimento della popolazione.
3.6 I dati sulla incidentalità ciclistica in Italia
L'analisi degli incidenti che hanno coinvolto i ciclisti è fondamentale per
valutare quale sistema di circolazione adottare e i provvedimenti da
attuare.
I dati sono forniti dall' Istat che, a livello nazionale, elabora tutte le
statistiche sugli incidenti stradali. A volte il dato sui velocipedi è
aggregato a tutti i veicoli a due ruote.
In generale, negli ultimi anni, i conducenti di biciclette coinvolti in
incidenti stradali rappresentano il 3% di tutti i conducenti di
autoveicoli.
Gli altri veicoli a due ruote hanno percentuali maggiori: 12% per i
ciclomotori e 5% per i motoveicoli.
Un incidente su cinque riguarda i veicoli a due ruote. Le conseguenze sono
più gravi rispetto agli altri veicoli: 88 feriti e 2 morti contro 40 feriti
e 1 morto ogni cento incidenti. Le cause sono da ricercarsi nella quasi
totale assenza di protezione in tali veicoli (in pratica solamente il
casco).
Esaminando il periodo 1985-1995 si riscontra, per i ciclisti, una
diminuzione dei morti del 24% (da 485 a 368) ed un aumento dei feriti del
17,4% (da 7.599 a 8.920).
Persone infortunate secondo il tipo di
veicolo. Anni 1985-1995 |
|
1985 |
1990 |
1995 |
Tipo di veicolo |
Feriti |
Morti |
Feriti |
Morti |
Feriti |
Morti |
Bicicletta |
7.599 |
485 |
7.737 |
443 |
8.920 |
368 |
Ciclomotore |
30.561 |
697 |
30.636 |
597 |
44.393 |
676 |
Motociclo |
34.729 |
981 |
24.044 |
733 |
17.988 |
502 |
Percentuali |
Bicicletta |
3,5 |
6,8 |
3,5 |
6,7 |
3,4 |
5,7 |
Ciclomotore |
14,1 |
9,8 |
13,9 |
9,0 |
17,1 |
10,4 |
Motociclo |
16,1 |
13,7 |
10,9 |
11,1 |
6,9 |
7,7 |
Un dato molto importante per il discorso svolto nei paragrafi precedenti
emerge dalla divisione in classi di età dei ciclisti infortunati.
Al di sotto dei 15 anni i feriti sono il 13,7% di tutti i ciclisti feriti e i
morti il 6,6%. Sotto i 15 anni, considerando solo i conducenti, la
bicicletta è il veicolo più pericoloso per il numero di morti.
E' evidente il motivo, dato che l'unico altro mezzo consentito a quelle età è il
ciclomotore e solo a partire dal 14° anno. Comunque i conducenti di
ciclomotore hanno già in questa fascia il maggior numero di feriti (1177
nell'anno 1994.
Nella fascia successiva (15-17 anni) il primo veicolo causa
di morte è il ciclomotore con 91 morti seguito dai motocicli con 53 vittime
(velocipedi a 14 morti, sempre anno '94).
Esaminiamo in particolare i dati sulla bici, relativi al 1994, in tutte le
classi d'età.
Conducenti di velocipedi infortunati, morti e
feriti, in classi d'età. Anno 1994. |
|
morti |
(%) |
morti/anno |
feriti |
(%) |
feriti/anno |
feriti/morti |
Fino a 5 anni |
/ |
/ |
/ |
20 |
(0,2) |
non def. |
/ |
6-9 anni |
7 |
(1,8) |
1,75 |
151 |
(1,8) |
37,75 |
21,6 |
10-14 anni |
19 |
(4,8) |
3,8 |
962 |
(11,7) |
192,4 |
50,6 |
15-17 anni |
14 |
(3,6) |
4,6 |
489 |
(5,9) |
163 |
35,4 |
18-20 anni |
5 |
(1,3) |
1,6 |
379 |
(4,6) |
126,34 |
79 |
21-24 anni |
10 |
(2,5) |
2 |
421 |
(5,1) |
84,2 |
42,1 |
25-29 anni |
9 |
(2,3) |
1,8 |
481 |
(5,8) |
96,2 |
53,4 |
30-44 anni |
40 |
(10,2) |
2,67 |
1.170 |
(14,2) |
78 |
29,2 |
45-54 anni |
31 |
(7,9) |
3,1 |
883 |
(10,7) |
88,3 |
28,5 |
55-59 anni |
21 |
(5,3) |
4,2 |
556 |
(6,7) |
111,2 |
26,5 |
60-64 anni |
36 |
(9,2) |
7,2 |
645 |
(7,8) |
129 |
17,9 |
65 e oltre |
201 |
(51,1) |
non def. |
2.085 |
(25,3) |
non def. |
10,4 |
Totale |
393 |
(100,0) |
|
8.242 |
(100,0) |
|
21 |
L'ampiezza delle fasce d'età fornite dall'Istat non é omogenea. Perciò oltre
ai valori percentuali è utile leggere anche gli infortunati medi per anno
riferiti ad ogni classe di età.
Ciò che colpisce è la altissima percentuale di morti in età avanzata: i
conducenti di velocipede morti con 65 anni e oltre sono il 51,1% del
totale!
L'andamento dei morti per anno ha un picco tra i 15-17 anni (4,6), poi
decresce e si mantiene basso fino ai 30 anni (1,6-2-1,8). Dopodichè aumenta,
prima lentamente (2,67-3,1-4,2) e poi, dopo i 60 anni, più in
fretta (7,2).
Per i feriti l'andamento è simile, però il maggior numero di infortunati si
rileva tra i più giovani nell'età tra i 10-14 anni (192,4 feriti/anno), poi
decresce (ancora alto fra i 15-17 anni: 163 feriti/anno). Nella fascia di
età 30-44 si raggiunge il minimo per poi risalire, ma in modo meno marcato
rispetto ai morti.
In funzione dell'età l'incidente ha conseguenze molto diverse: si va da 1
morto ogni 79 feriti tra i 18-20 anni fino a 1 morto ogni 10,4 feriti dai 65
in su.
Questo si spiega, in parte, con le diverse condizioni fisiche degli
infortunati. L'organismo di un'individuo giovane è più resistente rispetto
ad un anziano.
Lo stesso trauma può essere letale per uno e non per l'altro.
Inoltre una persona anziana ha tempi di reazione maggiore, per cui è più
difficile evitare gli incidente o limitare i danni.
Un'altra spiegazione parziale consiste nella distribuzione dei ciclisti in
funzione dell'età. Non ci sono dati nazionali precisi al riguardo ma è
verosimile che la bici venga usata di più da adolescenti e anziani.
Bisognerebbe anche esaminare la tipologia degli incidenti.
L'analisi di Forester mostrava che alcuni tipi di incidenti sono più comuni
a determinate età.
Anche questo potrebbe spiegare la distribuzione della gravità incidentale. I
dati Istat consultati non danno informazioni in tal senso. Però l'elevato
numero di feriti tra adolescenti e giovani (e morti tra 10 e 14 anni) può
essere verosimilmente attribuito alla poca esperienza, imperizia e
spericolatezza tipiche dell'età.
In questo caso Forester ha ragione. Se si insegnasse ai bambini come andare
in bicicletta correttamente molti incidenti potrebbero essere evitati.
L'esame tipologico degli incidenti sarebbe importante anche per capire e
limitare l'incidentalità dei ciclisti anziani, davvero troppo elevata.
Gli incidenti di tutti i veicoli a due ruote si sono verificati nell'88%
dei casi nei centri abitati (70% per gli altri veicoli, si conferma l'uso
urbano in sostituzione della automobile).
Per quanto riguarda le condizioni meteorologiche, gli incidenti avvenuti
sotto la pioggia hanno la percentuale di morti più bassa rispetto a
condizioni di cielo sereno, da 4,3% a 3,2%, mentre aumentano i feriti, da
90,6% a 94,6%, dati riferiti ai conducenti di velocipedi infortunati nel
1995.
Esaminiamo le circostanze e le cause degli incidenti.
Circostanze degli incidenti per tipo di
veicoli coinvolti. Percentuali anno 1995 |
|
Biciclette |
Ciclomotori |
Motocicli |
Altro |
Guida distratta |
15,3 |
13,1 |
13,9 |
12,2 |
Non rispetto della distanza di sicurezza |
5,2 |
5,4 |
5,7 |
8,6 |
Non rispetto precedenza |
6,2 |
5,1 |
2,5 |
8,3 |
Non rispetto stop |
3,6 |
2,7 |
1,1 |
3,8 |
Eccesso di velocità |
2,7 |
6,6 |
13,0 |
12,1 |
Ebbrezza alcolica |
0,3 |
0,5 |
0,2 |
0,7 |
Altre condizioni psicofisiche |
0,3 |
0,3 |
0,2 |
0,7 |
Altre circostanze |
66,4 |
66,3 |
63,4 |
53,6 |
I ciclisti sono la categoria più distratta e ciò causa un buon quindici per
cento di degli incidenti. La non osservazione del Codice della Strada è alla
base di un altro 17-18% di incidenti (eccesso di velocità, mancato rispetto
della distanza di sicurezza, della stop e della precedenza, in questi due
ultimi casi i ciclisti sono tra i più indisciplinati).
Anche questi dati vanno parzialmente a favore della tesi di Forester: molti
ciclisti non sanno andare in bici o non rispettano il codice. Purtroppo non
sono meglio specificate le circostanze in cui accadono gli altri due terzi
degli incidenti.
Cerchiamo di capire meglio la tipologia degli incidenti che riguarda le
biciclette.
Consideriamo ancora il 1994. In quell'anno i velocipedi coinvolti in
incidente sono stati 9.258, con 406 morti e 8.707 feriti. Vediamo chi è
stato coinvolto negli incidenti con i velocipedi (il seguente elenco non
considera gli incidenti in cui è coinvolto il singolo ciclista, in genere
per una caduta).
Incidenti tra velocipedi e veicoli in marcia,
infortunati. Anno 1994 |
|
Incidenti |
Morti |
Feriti |
Auto private fino a 1000 cc |
1.393 |
58 |
1.416 |
Auto private da 1001 a 1300
cc |
1.677 |
47 |
1.715 |
Auto private da 1301 a 1500
cc |
580 |
23 |
593 |
Auto private da 1501 a 1800
cc |
1.004 |
61 |
1.002 |
Auto private da 1801 a 2000 cc |
523 |
29 |
517 |
Auto private oltre a 2000 cc |
163 |
7 |
170 |
Auto private con cilindrata ignota |
951 |
41 |
974 |
Auto private con rimorchio |
3 |
/ |
3 |
|
TOTALE AUTO PRIVATE |
6.294 |
266 |
6.390 |
|
Auto pubbliche, soccorso, polizia |
34 |
/ |
36 |
Autobus/filobus urbani |
50 |
2 |
56 |
Autobus extraurbani |
22 |
1 |
22 |
Tram |
3 |
/ |
3 |
|
AUTO E TRASPORTI PUBBLICI |
109 |
3 |
117 |
|
Autocarri fino a 34 q.li |
80 |
7 |
81 |
Autocarri da 35 q.li ed oltre |
213 |
26 |
189 |
Autocarri con peso ignoto |
223 |
19 |
212 |
Autotreni con rimorchio |
35 |
15 |
21 |
Autosnodati |
36 |
11 |
27 |
Veicoli speciali, trattori |
26 |
5 |
59 |
|
TOTALE VEICOLI PESANTI |
613 |
83 |
589 |
|
Altri velocipedi |
124 |
3 |
163 |
Ciclomotori |
591 |
9 |
828 |
Motocicli a solo |
274 |
11 |
401 |
Motocicli con passeggero |
43 |
4 |
82 |
Motocarri e motofurgoni |
29 |
/ |
30 |
Veicoli a trazione animale |
2 |
/ |
2 |
|
TOTALE VEICOLI LEGGERI |
1.063 |
27 |
1.506 |
|
Veicoli ignoti, perché datisi alla fuga |
112 |
4 |
109 |
Le auto private sono responsabili del 68% di tutti gli incidenti che hanno
riguardato i velocipedi, i veicoli pesanti del 6,6%, i veicoli leggeri
dell' 11,5%.
Le conseguenze sono più gravi per i veicoli pesanti con 1 morto ogni 7,1
feriti. Seguono le auto private con 1 morto ogni 24 feriti e i veicoli
leggeri (1 a 55,7).
Le teorie di Forester si scontrano con la crudezza delle cifre. Che sappiano
o meno circolare sulle strade gli incidenti sono comunque troppi e per la
maggior parte sono dovuti alla promiscuità col traffico veicolare.
Vediamo ora i diversi tipi di incidente tra veicoli in marcia in cui sono
coinvolti i velocipedi.
Incidenti tra velocipedi e veicoli in
marcia per tipo. Anno 1994 |
|
v.a. |
% |
Scontro frontale |
505 |
7,6 |
Scontro frontale-laterale |
3.455 |
51,7 |
Scontro laterale |
1.372 |
20,5 |
Tamponamento |
1.019 |
15,2 |
Veicolo in arresto |
336 |
5,0 |
TOTALE |
6.687 |
100,0 |
L'incidente di gran lunga più frequente è lo scontro frontale-laterale,
seguito da quello laterale e dal tamponamento. Nell' 83% dei casi si
verifica con autovetture, pubbliche o private.
Gli incidenti ai velocipedi isolati nel 1994 hanno causato 22 morti tra i
ciclisti (il 5,6% del totale) e 1 tra i pedoni. La causa principale (16
casi su 22: 72,7%) è la fuoriuscita per sbandamento o altro.
Dalle statistiche è ancora possibile rilevare che non ci sono ciclisti
infortunati per l'apertura improvvisa delle portiere nè per l'insufficienza
meccanica del velocipede o dei suoi dispositivi visivi.
L'uso del casco, anche per i ciclisti, riduce il rischio di morte in caso di
incidente di tre volte. Molti ciclisti però non lo gradiscono e una sua
diffusione di massa, allo stato attuale, è poco probabile.
Conducenti infortunati secondo l'uso del
casco. Percentuali anno 1995 |
|
Con casco |
Senza casco |
BICICLETTA |
Illeso |
10,4 |
4,5 |
Ferito |
88,1 |
90,3 |
Morto |
1,5 |
5,2 |
CICLOMOTORE |
Illeso |
10,8 |
8,0 |
Ferito |
88,4 |
89,6 |
Morto |
0,8 |
2,4 |
MOTOCICLO |
Illeso |
9,9 |
8,6 |
Ferito |
87,7 |
84,4 |
Morto |
2,4 |
7,0 |
3.7 Biciclette e trasporto pubblico: competizione o sviluppo reciproco?
Considerare da una parte il trasporto pubblico e la bicicletta in
contrapposizione al traffico privato è troppo semplicistico. Una analisi più
approfondita rivela che in certi casi vi può essere concorrenza tra i primi
due mezzi di trasporto.
La bicicletta è in concorrenza col trasporto pubblico locale nei viaggi
corti (1,6-8 km). Un intenso uso della bicicletta (a meno che non risulti
con certezza dal minor uso dell'auto) può direttamente ridurre la quota di
utenti per il pubblico trasporto.
Le conseguenze possono essere negative, se lo scarso utilizzo del mezzo
pubblico porta ad un decremento della qualità o nel caso più estremo alla
sua soppressione.
Ci sono però aspetti positivi, ad esempio se nelle ore di punta il servizio
offerto non riesce a soddisfare la domanda, si ha a disposizione un altro
modo di trasporto alternativo di efficienza analoga.
Inoltre la bicicletta può essere un efficacissimo modo per accedere al
servizio pubblico (sia della rete urbana che extraurbana), accrescendo la
popolazione che può potenzialmente fruire della rete, un po' come un sistema
ettometrico.
Quest'ultimo punto vale particolarmente per le città di dimensioni
medio-grandi dove le distanze da percorrere sono maggiori ed esiste una
buona rete di trasporto pubblico ed il servizio ferroviario.
Anche l'andare a piedi, in parte, è in competizione con la bici: in
Germania, tra il 1976 e il 1982 la percentuale modale della bicicletta è
cresciuta dall' 8,6% fino al 10,2% a spese dell'andare a piedi: nello
stesso periodo i due modi complessivamente scendevano dal 43,2% al 40,0%.
Spazio sulla strada: biciclette e trasporto pubblico sono in competizione
per lo spazio in carreggiata. In certi casi gli si destina lo stesso spazio
in promiscuo ma ciò porta ad un reciproco intralcio.
Velocità media: il pricipale motivo d'intralcio consiste nel fatto che la
velocità media di un mezzo urbano è simile a quella dei ciclisti, ma mentre
questi viaggia con andatura regolare, il mezzo urbano ad ogni fermata deve
caricare e scaricare i passeggeri poi accelera, raggiunge la velocità
massima e quasi subito decelera per la fermata successiva. In questo modo è
facile che la bici e il mezzo pubblico si superino a vicenda svariate
volte.
Anche alle intersezioni regolate da semaforo può esserci competizione per la
determinazione dei tempi di fase riservati a ciascun mezzo.
Risorse finanziarie: la competizione c'è pure nelle quote di risorse che le
amministrazioni pubbliche devono assegnare.
Le indagini al riguardo non sono molte, ma alcune sono interessanti. Vale la
pena citarne una svoltasi a Londra nel 1981 (Greater London Council, 1981,
"Fulham Road, bicycle survey"). Nella zona di Fulham Road tra il 1976 e il
1981 l'uso della bici è cresciuto del 109%. I tre quarti circa dei ciclisti
intervistati prima usava un altro modo di trasporto. Di questi il 12% era
guidatore di auto o passeggero, il 5% usava un motociclo, il 13% andava a
piedi. Il resto, la maggior parte (il 70%!), proveniva dal trasporto
pubblico: 50% dal treno e 20% dai bus. Il cambio era motivato di più per
gli aspetti piacevoli della bici che non per la insoddisfacente qualità del
servizio pubblico.
Ulteriori indagini sempre a Londra confermano che la bici sostituisce più il
mezzo pubblico che l'auto privata.
A Delft che, come abbiamo visto, dedica la massima attenzione ai ciclisti,
la quota che usa il trasporto pubblico è bassa: 4%, inoltre tra il 1982 e
il 1987 a seguito della implementazione della rete la bici è cresciuta dal
40% al 43% gli altri modi sono rimasti stabili e il trasporto pubblico è
sceso dal 6% al 4%.
Bisogna anche riconoscere che l'uso dell'auto privata a Delft non è
aumentato, come invece è successo nel resto dei Paesi Bassi.
Nelle città europee di grandi dimensioni, Amsterdam ha la ripartizione
modale più equilibrata tra auto, pedoni, bici e mezzi pubblici (questi
ultimi due hanno circa la stessa quota).
In altre città come Bologna, Zurigo, Stoccolma vi è un buon trasporto
pubblico che risulta n volte maggiore della bicicletta.
L'auto è quasi sempre in prima posizione o seconda per poco (Stoccolma e
Zurigo).
Ad Amsterdam ma soprattutto Hannover e Monaco, dove la bici ha guadagnato
una buona quota, l'uso dell'auto privata non è sceso particolarmente.
Verosimilmente la quota di traffico è stata guadagnata di più a spese del
trasporto pubblico o dell'andare a piedi.
Conclusioni: convertire automobilisti in ciclisti è molto più difficile di
quanto si pensi. Il miglioramento delle infrastrutture ciclabili non basta,
serve anche una politica restrittiva verso l'auto.
Nelle città di piccole o medie dimensioni (vedi Delft o Groningen) è
possibile limitare l'uso dell'auto proponendo l'alternativa della
bicicletta.
Sembra quasi impossibile sviluppare contemporaneamente trasporto pubblico e
in bicicletta.
Nelle grandi città il maggior successo nel contenimento dell'auto privata è
registrato dal trasporto pubblico. In tali città si definisce per la
bicicletta soprattutto un ruolo di supporto e integrazione col servizio
pubblico. Si devono favorire le categorie dei ciclisti intermodali rispetto
ad altri come i ciclisti sportivi o monomodali. Le caratteristiche sono
diverse: i primi, in genere, sono meno veloci e possono essere ammessi nelle
zone pedonali, gli altri necessitano di piste separate ma convivono senza
timore col traffico veicolare.
Bibliografia
- AA.VV., "Sign up for the bike. Design manual for a cycle-friendly
infrastructure. Record no. 10", C.R.O.W, The Netherlands 1994
- AA.VV., "Statistica degli incidenti stradali, anno 1994", I.S.T.A.T.,
Settembre 1995
- AA.VV., "Gli incidenti stradali negli anni '90", I.S.T.A.T., Roma,
Aprile 1997
- AA.VV., "VIIth Velocity conference, the civilised city responses to new
transport priorities. Conference papers", Nottingham County Council,
Nottingham 1993
- John Forester, "Bicycle Transportation. A handbook for cycling
transportation engineers", The M.I.T. Press, Cambridge (Massachussets) 1994
[Frontespizio]
[Indice]
[Capitolo 1]
[Capitolo 2]
[Capitolo 4]
[Capitolo 5]
[Capitolo 6]
[Bibliografia generale]
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