Alberto Collidà
La bicicletta e' un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e
particolare all'area torinese
Capitolo 2
2. CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA BICICLETTA
2.1 Breve storia della bicicletta
L'evoluzione della bicicletta inizia intorno al 1790 e dura circa un secolo.
Intorno al 1890 arriviamo a modelli concettualmente simili a quelli attuali
(anche se ci sono miglioramenti e novità continue, soprattutto nei
materiali).
Tuttavia è doveroso segnalare la geniale intuizione che molto tempo prima
ebbe Leonardo da Vinci (1452-1519). Su un foglio del suo Codice Atlantico
è stato trovato uno schizzo di velocipede con trasmissione a catena e
demoltiplica (che verrà introdotta solo intorno al 1885).
I primi mezzi effettivamente prodotti, di cui si ha notizia, risalgono ad un
certo signor de Sivrac, un aristocratico di Parigi. Nel 1791 egli realizzò
un mezzo battezzato "celerifero", in verità rozzo e rudimentale: due
ruote di legno unite da una trave (era poco più che l'adattamento ad un
adulto del cavalluccio di legno per bimbi).
Generalmente si considera come legittimo capostipite della bicicletta il
modello che il barone tedesco Karl von Drais fece brevettare nel 1817. In
suo onore venne battezzato "Draisina". La importante innovazione
introdotta era la ruota anteriore sterzante che consentiva di mantenere
l'equilibrio senza poggiare i piedi a terra e ovviamente di poter cambiare
direzione.
Il passo successivo fu l'aggiunta dei pedali, calettati direttamente sul
mozzo della ruota anteriore: non era più necessario mettere i piedi a terra
per imprimere il movimento. La paternità dell'invenzione non è sicura (forse
fu un tedesco, Philipp Fischer nel 1853 o forse altri ancora), ma il lancio
commerciale e la relativa diffusione è certamente attribuibile ai francesi
Pierre ed Ernest Michaux, padre e figlio. Essi realizzarono e misero in
vendita i primi modelli a pedale nel 1861, con notevole successo.
Il loro principale difetto era il rapporto fisso di 1 a 1 tra i giri della
ruota e i giri dei pedali. Lo sviluppo della pedalata, cioè lo spazio
percorso in un giro completo della pedivella (che per definizione è il
doppio del passo pedalico), in tal caso dipende solo dal diametro della
ruota.
Ora, considerando costante la frequenza delle pedalate in marcia normale
(circa 1,4 pedalate al secondo, come per una persona che cammina), l'unico
modo per aumentare la velocità di spostamento è di aumentare il diametro
della ruota su cui è montata la pedivella. Così, i modelli successivi videro
la crescita continua della ruota anteriore, fino a sfidare i limiti posti
dalle dimensioni anatomiche dei ciclisti.
Nel 1871 venne presentato il modello "Ariel", realizzato da William
Hillman e James Starley, con la ruota anteriore di circa 1,5 metri di
diametro (passo pedalico analogo o addirittura superiore alle biciclette
moderne).
Il modello più conosciuto di questo tipo di biciclette è la
"Ordinary". Negli anni settanta del secolo scorso ebbero una forte
diffusione con migliaia di esemplari in tutto il mondo (cinquantamila nella
sola Inghilterra).
C'erano molti inconvenienti, prima di tutto la frenatura: ora che la
velocità era aumentata il freno sulla ruota posteriore a pattino delle
vecchie bici era inefficace, per la dimensione minima di tale ruota (ormai
serviva solo per l'equilibrio) e per lo scarso peso aderente, tutto spostato
in avanti.
La grossa ruota poneva problemi di rigidezza e solidità. Sempre James
Starley nel 1874 depositò il brevetto dei raggi tangenti che sono utilizzati
ancora oggi.
Quel modello restava comunque poco pratico e con il costante pericolo del
ribaltamento in avanti: bisognava cercare un'altra soluzione.
Fu l'inglese Henry Lawson, nel 1879, il primo a lanciare sul mercato (c'era
stato qualche prototipo in precedenza) un modello che risolveva il problema
della velocità e della sicurezza in un colpo solo: trazione posteriore
tramite catena e corona dentata di demoltiplica. Così il diametro della
ruota davanti era "solo" di un metro, inoltre il manubrio e la sella erano
leggermente arretrati (più comodi) e si era data una avancorsa che
consentiva maggior stabilità. Per tutte queste garanzie di sicurezza che il
mezzo offriva venne battezzato "Safety bike". Commercialmente fu un
insuccesso, ma le soluzioni adottate erano quelle giuste.
Il successo per tali soluzioni arrivò poco più tardi. Nel 1884 John Starley
(nipote del citato James) e William Sutton realizzarono il "Rover"
che, con le successive versioni, era ormai molto simile alle bici moderne:
ruote quasi uguali e di diametro paragonabile alle attuali, telaio in tubi
d'acciaio a trapezio (da cui nascerà, con l'aggiunta del tubo piantone, il
telaio a diamante che è oggi il più usato), sterzo diretto, trazione
posteriore con catena e demoltiplica, freno a tampone abbastanza potente
sulla ruota anteriore. Il record di velocità su strada nella gara tra
Brighton e Londra nel 1885, stabilito da una Rover, era di 23 chilometri
all'ora.
L'ultimo grosso problema da risolvere era il contatto tra ruote e terreno.
Le ruote rigide usate fino ad allora, anche se ricoperte con anelli di gomma
piena erano molto scomode e trasmettevano le vibrazioni provocate dal
terreno praticamente senza attutirle. Inoltre il coefficiente di attrito e
la relativa resistenza al moto erano elevate.
Fu uno scozzese, John Dunlop, a brevettare nel 1888 i primi pneumatici in
tela gommata riempiti d'aria (ancora una volta ci furono dei precursori:
Robert Thomson, ingegnere civile scozzese brevettò nel 1845 dei pneumatici
che sfruttavano un nuovo materiale, la gomma vulcanizzata, scoperta
dall'inglese Charles Goodyear sei anni prima; l'idea fu accantonata, anche
perché Thomson pensava alle carrozze a cavallo e non alle bici).
I mezzi così equipaggiati erano più veloci e comodi di quelli tradizionali,
ma presentavano alcuni difetti: si foravano facilmente e non si riusciva a
staccarli dai cerchioni.
La soluzione venne da Edourd e Andrè Michelin (anche se alcuni inglesi
fecero progetti analoghi). I fratelli francesi nel 1891 depositarono la loro
invenzione: un tubo di caucciù munito di valvola, inserito in un altro più
spesso e resistente, facilmente smontabile dal cerchione.
Nel 1896 ci furono altre importanti migliorie: la ruota libera che
consentiva di riposare stando fermi sui pedali e i rapporti multipli, per
correre in pianura e arrampicarsi in montagna nelle migliori condizioni.
Forte di tutte queste innovazioni la diffusione della bicicletta fu enorme
(nel 1897, soltanto negli Stati Uniti, vennero prodotti due milioni di
esemplari).
Negli anni a cavallo del secolo l'industria della bicicletta fece da base a
quella dei veicoli a motore che ne sfruttò molte idee ma soprattutto gli
uomini, sia progettisti e inventori che imprenditori. Non a caso le prime
fabbriche di veicoli a motore molto spesso in precedenza costruivano
biciclette.
Nel nostro secolo i miglioramenti hanno riguardato soprattutto i materiali,
sempre più leggeri e resistenti.
Di rilievo ci sono state due nuove tipologie di modelli: la prima negli anni
cinquanta con la bici pieghevole e di dimensioni ridotte (la versione
italiana, la "Graziella" della Carnielli vendette un milione di
esemplari).
La seconda novità, grazie anche ai migliori materiali, è tuttora in fase di
espansione.
Si tratta del modello noto come "rampichino" o anche "mountain
bike" sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Ottanta e che sta avendo
un grosso successo anche in tutto il mondo. La produzione di rampichini in
Italia rappresenta al momento il 43 % del mercato totale (la produzione
italiana complessiva nel 1994 era di 2.400.000 cicli, nel 1990 si arrivò a
3.500.000 unità, con una buona esportazione).
Pensato per l'uso in "condizioni estreme", su pendenze elevate, strade non
asfaltate o sentieri, il rampichino è apprezzato da molti anche in città:
comodo e maneggevole, dotato di ruote larghe, non veloci, ma che consentono
di affrontare con maggior sicurezza ostacoli come i binari del tram e di
ridurre lo spazio di frenata (in genere sono dotati di robusti freni a
cantilever).
Alcuni accorgimenti studiati per il rampichino sono poi stati utilizzati
sulle bici tradizionali (come la leva del cambio al manubrio).
L'evoluzione tecnologica è tuttora in corso, ad esempio per le forcelle
dotate di ammortizzatore.
2.2 Cenni sui principi di funzionamento :
l'equilibrio
Il ciclista mantiene facilmente in equilibrio la bici in movimento, mentre
da fermo la cosa è molto più difficile. Per quale motivo?
Nella ruota in moto si genera una piccola coppia girostatica che si oppone
al rovesciamento e mantiene la bici nel piano verticale.
Consideriamo una singola ruota che gira intorno al proprio centro O con
velocità angolare .
Incliniamo la ruota rispetto all'asse orizzontale A B con velocità angolare
.
Si consideri una massa elementare m1 appartenente alla corona di questa
ruota. Quando m1 supera il punto A, la sua velocità di spostamento dal piano
verticale è pari a , con r che aumenta nel primo quadrante.
Dunque la massa m1 è soggetta ad una variazione di velocità, quindi è sede
di forze di inerzia con verso contrario alla direzione di m1.
Nel quadrante III, per una massa m3 simmetrica di m1 rispetto al centro,
avviene lo stesso, ma in direzione opposta.
Si crea perciò una coppia che si oppone alla caduta.
Nel quadrante II si passa da velocità di caduta maggiori a minori, perciò le
forze di inerzia sono dirette nel verso della caduta. L'opposto capita nel
quadrante IV.
La coppia risultante, su tutta la ruota, si oppone alla caduta cercando di
far girare la ruota per riportarla in una posizione più stabile.
Nella bicicletta le ruote non cadono attorno al diametro AB, ma si ribaltano
intorno al punto di appoggio del terreno. Questo non influisce sulla coppia
girostatica: le masse dei quadranti I e IV danno luogo a forze d'inerzia
dirette in senso contrario alla caduta, mentre nei quadranti II e III le
forze d'inerzia sono dirette nello stesso senso della caduta.
La coppia formata dai due sistemi di forza sollecita la ruota anteriore a
divergere dal suo piano con una rotazione intorno all'asse dello
sterzo.
La ruota posteriore non è libera di obbedire a questo richiamo.
Quella anteriore invece può girarsi attorno all'asse del cannotto di sterzo
e infatti esce dal proprio piano. Perciò, col nuovo orientamento della
ruota, il punto di appoggio sul terreno esce dal piano mediano nel verso
della caduta (di una distanza pari a ,
non considero per adesso altri
elementi come l'avancorsa) e dà origine a un momento
che si oppone al
momento rovesciante (dove Q è il peso che la ruota scarica a terra). Così la
bici può non cadere.
In effetti, per non cadere, deve verificarsi che il momento stabilizzatore
sia maggiore o uguale a quello rovesciante e che la rotazione della ruota,
sotto l'effetto della coppia girostatica, possa verificarsi. Questo perché
esiste una coppia resistente che si oppone alla rotazione della ruota. Essa
è originata dall'attrito fra il terreno e il copertone della ruota che,
deformandosi, poggia sul terreno con una zona di contatto di ampiezza
variabile in funzione della velocità. Quando la bici è ferma, l'ampiezza è
massima, l'impronta del copertone sul terreno è simile ad un ellisse,
simmetrico rispetto alla proiezione a terra del centro ruota : in questo
caso la coppia di attrito esprime il suo massimo valore; anche l'esperienza
ci dice che sterzare il manubrio in queste condizioni è più faticoso.
Quando la bici è in movimento, per effetto della isteresi con cui la gomma
schiacciata riprende la forma normale, la metà posteriore delle reazioni del
terreno diminuisce rapidamente con la velocità e rimane solo quella
anteriore, che è poi la causa della resistenza al rotolamento della
ruota.
Perciò in condizioni di velocità ottimali la coppia di attrito vale la metà
rispetto alla bici ferma: la coppia girostatica è in grado di agire facendo
uscire dal suo piano mediano la ruota e dunque permettendo che nasca un
momento stabilizzatore.
La diminuzione della coppia di attrito (che dipende dalla velocità, dalle
superfici di contatto, dal carico sulla ruota) ha l'effetto di abbassare la
velocità minima al di sotto della quale la coppia girostatica, essendo
minore di quella di attrito, non è in grado di intervenire per ristabilire
l'equilibrio.
L'abilità del ciclista ha comunque un ruolo attivo, nella dinamica
dell'equilibrio. Infatti, se vuole mantenere un andamento rettilineo, egli
deve correggere la curva impostata dalla coppia girostatica. Può farlo
agendo sul manubrio con le mani e spostando il peso del corpo (oppure, con
maggior destrezza, solo spostando il peso del corpo).
Vi è un'altra importante caratteristica della bicicletta che influisce sulla
facilità di guida e rende possibile, per esempio, andare avanti senza mani:
l'avancorsa.
Si definisce avancorsa la distanza tra il punto di contatto
della ruota col terreno e la proiezione dell'asse dello sterzo sul terreno
stesso.
Più propriamente si parla di avancorsa, se la proiezione dell'asse dello
sterzo sopravanza il punto di contatto ruota terreno, mentre la si definisce
retrocorsa nel caso contrario. Si tratta di un elemento
geometrico che caratterizza invariabilmente ogni bicicletta. In genere la
distanza tra i due punti è di pochi centimetri.
Qual'é la funzione dell'avancorsa?
Essa interviene in maniera complementare alla coppia girostatica, ma se non
le si dà il giusto valore può addirittura annullarne l'effetto
equilibratore: come abbiamo visto, quando una bici cade da una parte, ad
esempio verso destra, la coppia girostatica fa sterzare la ruota dalla
stessa parte. Se l'avancorsa è positiva, il centro di sterzatura si trova
davanti al punto di appoggio. A seguito della sterzata detto punto si porta
dalla parte opposta rispetto alla quale la bici ha iniziato la caduta. Ma
questo non fa che aumentare il valore del momento ribaltante.
Dunque, se considerassimo solo questo fenomeno, la coppia girostatica
avrebbe un effetto negativo sull'equilibrio e la caduta sarebbe
inevitabile.
Fino ad ora però non si è tenuto conto della forza centrifuga che invece è
il primo motivo per cui la bicicletta non cade. Non appena la ruota sterza,
la bici entra in una traiettoria curvilinea, per cui nasce una forza
centrifuga che si oppone alla caduta.
Alle basse velocità però, la forza centrifuga è limitata.
Lo stesso vale per l'effetto della coppia girostatica che, come si è detto,
è contrastata da quella di attrito nella zona di contatto terreno-ruota:
l'equilibrio diventa molto precario. E' in questa situazione che l'avancorsa
si rivela utile.
Per effetto di quest'ultima, infatti, lo spostamento del centro di appoggio
della ruota avviene dalla parte opposta della caduta. Ora, poiché su tale
punto di appoggio si esercita la spinta di propulsione della bicicletta, con
direzione parallela alla traccia del piano della ruota posteriore spingente,
si determina una coppia concorde a quella girostatica che rafforza o
addirittura sostituisce quando, a basse velocità, la coppia di attrito
cresce fino ad annullare quella girostatica.
2.3 Sagoma limite di riferimento
Il fabbisogno di spazio che la bicicletta in movimento richiede è certamente
limitato rispetto ad altri modi di trasporto. Tuttavia una certa quantità è
necessaria. Essa è dovuta alle dimensioni del ciclista e del suo mezzo e
agli inevitabili scostamenti laterali che si verificano nel moto.
Tali scostamenti sono dovuti alle correzioni necessarie per mantenere
l'equilibrio e la marcia in linea retta.
A 20 km/h o più di velocità, tali scostamenti sono molto piccoli. Però se la
velocità diminuisce le correzioni e lo spazio laterale necessario al
ciclista per mantenere l'equilibrio aumentano.
La stabilità è influenzata anche dalle irregolarità della superficie
stradale come buche o tombini e dal tipo di rivestimento: asfalto, pavé,
acciottolato, ghiaia, ....
Lo stesso vale per il vento laterale, specie se a raffiche o improvviso
(nelle vicinanze di grossi edifici). La stabilità è messa a rischio anche
dalle turbolenze causate dai mezzi pesanti che superano da vicino i
ciclisti.
Il ghiaccio rende praticamente impossibile il controllo del mezzo.
Per quanto riguarda la neve, dipende dalla quantità e dal tipo: se la neve
non è bagnata è possibile avanzare con stabilità a velocità leggermente
ridotta, anche con 5-10 cm di neve. La neve umida invece si attacca alle
ruote, agli ingranaggi del cambio e alla catena rendendo difficoltosa e
imprecisa la marcia.
In assenza di fattori destabilizzanti a velocità maggiori di 11 km/h la
traccia della bicicletta è facilmente contenuta in una striscia di 20
cm.
In caso di vento laterale o superficie irregolare arriviamo a 30 cm.
A velocità minori (per esempio agli incroci) il franco libero necessario
aumenta fino ad 80 cm.
Le dimensioni della sagoma statica della bicicletta sono le seguenti:
Lunghezza |
<=1,90 m |
Larghezza |
<=0,75 m |
Altezza al manubrio |
<=1,15 m |
Altezza dell'occhio |
<=1,81 m (ma per i bambini è un metro) |
In base a questi dati si può considerare una sagoma dinamica larga circa un
metro e alta 2,5 metri (le dimensioni delle piste ciclabili terranno conto
di un ulteriore franco di sicurezza, a seconda della tipologia
adottata).
2.4 Analisi delle resistenze al moto
Le biciclette vengono sospinte dalla forza muscolare del ciclista. In
generale la potenza è comunque limitata, inoltre non è in grado di far
fronte a variazioni di sforzo come un motore meccanico. Una buona
infrastruttura ciclabile deve limitare le perdite di energia e le eccessive
variazioni di sforzo.
Vediamo quali sono le perdite di energia.
- perdite di attrito nella catena e nei cuscinetti a sfera
- resistenza al rotolamento tra pneumatico e strada
- resistenza del vento
- perdite attraverso le vibrazioni di telaio, sella e pneumatici
- frenate e cambi di rapporto
- forza di gravità da vincere nelle strade in salita (non del tutto
restituita in discesa)
Le perdite meccaniche per una bici in buono stato di manutenzione sono molto
piccole (1-2 % del totale).
Tutte le altre dipendono, almeno in parte, dal disegno della strada e dai
materiali impiegati. E' dunque importante che il progettista sia a
conoscenza di tali perdite per fornire delle soluzioni funzionali che
ottimizzino lo sforzo del ciclista. In particolare ogni volta che il
ciclista deve fermarsi perde energia cinetica. Quando riparte dovrà di nuovo
vincere le forze di inerzia e la resistenza dell'attrito statico, perciò il
percorso deve essere regolare col minor numero di interruzioni possibile.
La resistenza al rotolamento e le perdite in vibrazioni sono dovute
principalmente al tipo di strada e alle sue imperfezioni. Con pneumatici ben
gonfiati e strada in buone condizioni la resistenza è di circa 0,06 N/Kg. Su
strade scadenti questo valore diventa n volte maggiore.
Riguardo al problema dell'attrito possiamo dire che l'uniformità e la
presenza di giunzioni hanno una maggiore influenza sulla resistenza al
rotolamento rispetto a ruvidità e granulosità della superficie.
Queste ultime caratteristiche hanno anche un effetto positivo sulla
stabilità e quindi sulla sicurezza del ciclista.
La resistenza dell'aria diventa significativa per velocità maggiori di 20
km/h.
La presenza di vento laterale o contrario, invece, è fastidiosa anche a
basse velocità.
Il vento a raffiche costringe il ciclista a continui rallentamenti e
successivi sforzi per riacquistare velocità.
L'espressione della resistenza al moto F, in Newton, è la
seguente:
F=0,0981 * i * m + 0,0721 * m + 0,374 * vrel2
i = pendenza della strada [in % ]
m = massa totale di bici e ciclista [kg]
vrel = velocità relativa del ciclista rispetto alla velocità del
vento [m/s]
vrel = v + v
vento *
= angolo tra la direzione del vento
e del ciclista
v = velocità del ciclista
Noto il valore della resistenza si ricava facilmente la potenza necessaria
per mantenere una certa velocità costante.
2.5 Capacità potenziali del ciclista urbano, stress
fisico e mentale
Andare in bicicletta richiede uno sforzo fisico e mentale. Oltre alla fatica
muscolare causata dal pedalare è necessario anche un livello di attenzione
in funzione delle condizioni del traffico. Se quest'ultimo è molto intenso
il ciclista trova difficoltà a proseguire ed è costantemente impegnato a
sorvegliare i movimenti degli altri utenti della strada. Le categorie più
deboli dei ciclisti (come gli anziani) in tali condizioni preferiscono
scendere portando la bici a mano oppure usare altri mezzi di trasporto.
Non esiste un ciclista standard.
La versatilità del mezzo è tale che viene usato da tutti. La composizione
statistica dei ciclisti è molto varia per età, sesso e motivazione e
potrebbe esserlo di più se si favorissero le categorie più deboli.
A volte questo può essere un problema. Non si può considerare allo stesso
modo un ciclista sportivo che viaggia a 30-35 km/h e una persona anziana che
si muove a 15 km/h.
Nella progettazione delle infrastrutture ciclabili bisogna tener conto di
questa estrema variabilità ad esempio per la pendenza delle rampe, per i
tempi di attraversamento semaforici, per la visibilità della segnaletica o
di eventuali punti pericolosi (abbiamo visto come varia l'altezza
dell'occhio da terra da un bimbo a un adulto).
Peraltro è anche vero che alcuni percorsi sono tipicamente usati per recarsi
al lavoro o a scuola, mentre altri soprattutto per divertimento e svago (la
velocità media sarà maggiore nel primo caso). Il progettista dovrà dunque
migliorare prima le caratteristiche più importanti a seconda della
utilizzazione prevalente (se il ciclista va al lavoro apprezza di più la
rapidità del percorso, se sta facendo un giro di svago ovviamente preferisce
passare in posti belli e panoramici).
Per valutare lo stress fisico bisogna considerare il limite di potenza
muscolare dinamica disponibile in una data unità di tempo. Come parametro di
riferimento prendiamo il massimo sforzo che può essere sopportato per
quattro minuti.
Per valutare il comfort di un certo percorso consideriamo il rapporto tra lo
sforzo compiuto e quello massimo sopportabile.
Il massimo sforzo sopportabile dipende dalla durata complessiva del tragitto
in bici e, in parte, dalla motivazione del viaggio (lavoro, sport,
divertimento). Esso cala rapidamente con l'allungarsi del percorso.
La velocità rimane perciò influenzata da tutti questi fattori.
Anche l'età e il sesso hanno la loro importanza. Mediamente il massimo
sforzo sopportabile è maggiore negli uomini che nelle donne, ma è
sufficiente un po' di allenamento per cambiare le cose. Più discriminante il
fattore dell'età; anche in questo caso la pratica regolare dell'attività
fisica mantiene il tono muscolare.
Come propone l'olandese Van Laarhoven si assume, quale ciclista medio di
riferimento, un individuo maschio tra i 50 e i 60 anni.
Le infrastrutture ciclabili devono adeguarsi alle sue caratteristiche.
Nel periodo di quattro minuti prima considerato può sopportare uno sforzo di
circa 100 Watt, con punte di 150-200 Watt per un minuto.
Lo sforzo mentale è in funzione dei luoghi attraversati e delle categorie di
utenti (pedoni, automobilisti, ...) con cui si condividono tali spazi.
Condurre la bicicletta richiede sempre un po' di attenzione, per mantenere
l'equilibrio, per sterzare nelle curve, per seguire la strada, ma ciò che
seriamente impegna l'attenzione del ciclista
è il rapporto con gli altri utenti della strada.
La potenziale
vulnerabilità, l'elevata accelerazione/decelerazione e velocità dei mezzi a
motore capaci di manovre improvvise, l'imprevedibilità dei pedoni,
costringono ad una attenzione continua che alla lunga risulta stressante.
Non tutti sono disposti a sopportarla, specie gli anziani e i più giovani
(per interposta decisione dei genitori).
Non è dunque un caso che l'ideale per il ciclista risulti essere viaggiare a
16-20 km/h su una tranquilla pista ciclabile ben separato dagli altri
utilizzatori della strada e senza incroci da affrontare.
Il ciclista può persino lasciare il manubrio e proseguire senza mani.
Inoltre l'efficienza muscolare a questa velocità è ottima: potrebbe andare
avanti per ore.
Analizzando casi reali come la rete ciclabile di Delft si è visto che le
condizioni ideali di comfort descritte sono basilari per incrementare l'uso
della bicicletta.
Se non c'è un accettabile comfort il ciclista prova una sensazione di
"insicurezza soggettiva". Raggiunto il proprio limite di sopportazione,
alcuni ciclisti preferiscono scendere dalla sella e fare le tratte difficili
a piedi oppure rinunciano in toto e usano altri mezzi. Ma anche per chi
resiste la situazione non è ideale: maggiore lo stress, maggiore il rischio
di fare errori. Esiste una stretta relazione tra il livello di comfort e la
sicurezza stradale.
Bibliografia
- AA.VV., "Storia della bicicletta", Touring Club Italiano, Milano
1991
- A. Nanni, "Tutta la bicicletta", Edizioni Lavagnolo, Torino 1956
- AA.VV., "Sign up for the bike. Design manual for a cycle-friendly
infrastructure. Record no. 10", C.R.O.W, The Netherlands 1994
[Frontespizio]
[Indice]
[Capitolo 1]
[Capitolo 3]
[Capitolo 4]
[Capitolo 5]
[Capitolo 6]
[Bibliografia generale]
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