Alberto Collidà
La bicicletta e' un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e particolare all'area torinese
Capitolo 2



2. CARATTERISTICHE TECNICHE DELLA BICICLETTA



2.1 Breve storia della bicicletta

L'evoluzione della bicicletta inizia intorno al 1790 e dura circa un secolo. Intorno al 1890 arriviamo a modelli concettualmente simili a quelli attuali (anche se ci sono miglioramenti e novità continue, soprattutto nei materiali).
Tuttavia è doveroso segnalare la geniale intuizione che molto tempo prima ebbe Leonardo da Vinci (1452-1519). Su un foglio del suo Codice Atlantico è stato trovato uno schizzo di velocipede con trasmissione a catena e demoltiplica (che verrà introdotta solo intorno al 1885).
I primi mezzi effettivamente prodotti, di cui si ha notizia, risalgono ad un certo signor de Sivrac, un aristocratico di Parigi. Nel 1791 egli realizzò un mezzo battezzato "celerifero", in verità rozzo e rudimentale: due ruote di legno unite da una trave (era poco più che l'adattamento ad un adulto del cavalluccio di legno per bimbi).
Generalmente si considera come legittimo capostipite della bicicletta il modello che il barone tedesco Karl von Drais fece brevettare nel 1817. In suo onore venne battezzato "Draisina". La importante innovazione introdotta era la ruota anteriore sterzante che consentiva di mantenere l'equilibrio senza poggiare i piedi a terra e ovviamente di poter cambiare direzione.
Il passo successivo fu l'aggiunta dei pedali, calettati direttamente sul mozzo della ruota anteriore: non era più necessario mettere i piedi a terra per imprimere il movimento. La paternità dell'invenzione non è sicura (forse fu un tedesco, Philipp Fischer nel 1853 o forse altri ancora), ma il lancio commerciale e la relativa diffusione è certamente attribuibile ai francesi Pierre ed Ernest Michaux, padre e figlio. Essi realizzarono e misero in vendita i primi modelli a pedale nel 1861, con notevole successo.
Il loro principale difetto era il rapporto fisso di 1 a 1 tra i giri della ruota e i giri dei pedali. Lo sviluppo della pedalata, cioè lo spazio percorso in un giro completo della pedivella (che per definizione è il doppio del passo pedalico), in tal caso dipende solo dal diametro della ruota.
Ora, considerando costante la frequenza delle pedalate in marcia normale (circa 1,4 pedalate al secondo, come per una persona che cammina), l'unico modo per aumentare la velocità di spostamento è di aumentare il diametro della ruota su cui è montata la pedivella. Così, i modelli successivi videro la crescita continua della ruota anteriore, fino a sfidare i limiti posti dalle dimensioni anatomiche dei ciclisti.
Nel 1871 venne presentato il modello "Ariel", realizzato da William Hillman e James Starley, con la ruota anteriore di circa 1,5 metri di diametro (passo pedalico analogo o addirittura superiore alle biciclette moderne).
Il modello più conosciuto di questo tipo di biciclette è la "Ordinary". Negli anni settanta del secolo scorso ebbero una forte diffusione con migliaia di esemplari in tutto il mondo (cinquantamila nella sola Inghilterra).
C'erano molti inconvenienti, prima di tutto la frenatura: ora che la velocità era aumentata il freno sulla ruota posteriore a pattino delle vecchie bici era inefficace, per la dimensione minima di tale ruota (ormai serviva solo per l'equilibrio) e per lo scarso peso aderente, tutto spostato in avanti.
La grossa ruota poneva problemi di rigidezza e solidità. Sempre James Starley nel 1874 depositò il brevetto dei raggi tangenti che sono utilizzati ancora oggi.
Quel modello restava comunque poco pratico e con il costante pericolo del ribaltamento in avanti: bisognava cercare un'altra soluzione.
Fu l'inglese Henry Lawson, nel 1879, il primo a lanciare sul mercato (c'era stato qualche prototipo in precedenza) un modello che risolveva il problema della velocità e della sicurezza in un colpo solo: trazione posteriore tramite catena e corona dentata di demoltiplica. Così il diametro della ruota davanti era "solo" di un metro, inoltre il manubrio e la sella erano leggermente arretrati (più comodi) e si era data una avancorsa che consentiva maggior stabilità. Per tutte queste garanzie di sicurezza che il mezzo offriva venne battezzato "Safety bike". Commercialmente fu un insuccesso, ma le soluzioni adottate erano quelle giuste.
Il successo per tali soluzioni arrivò poco più tardi. Nel 1884 John Starley (nipote del citato James) e William Sutton realizzarono il "Rover" che, con le successive versioni, era ormai molto simile alle bici moderne: ruote quasi uguali e di diametro paragonabile alle attuali, telaio in tubi d'acciaio a trapezio (da cui nascerà, con l'aggiunta del tubo piantone, il telaio a diamante che è oggi il più usato), sterzo diretto, trazione posteriore con catena e demoltiplica, freno a tampone abbastanza potente sulla ruota anteriore. Il record di velocità su strada nella gara tra Brighton e Londra nel 1885, stabilito da una Rover, era di 23 chilometri all'ora.
L'ultimo grosso problema da risolvere era il contatto tra ruote e terreno. Le ruote rigide usate fino ad allora, anche se ricoperte con anelli di gomma piena erano molto scomode e trasmettevano le vibrazioni provocate dal terreno praticamente senza attutirle. Inoltre il coefficiente di attrito e la relativa resistenza al moto erano elevate.
Fu uno scozzese, John Dunlop, a brevettare nel 1888 i primi pneumatici in tela gommata riempiti d'aria (ancora una volta ci furono dei precursori: Robert Thomson, ingegnere civile scozzese brevettò nel 1845 dei pneumatici che sfruttavano un nuovo materiale, la gomma vulcanizzata, scoperta dall'inglese Charles Goodyear sei anni prima; l'idea fu accantonata, anche perché Thomson pensava alle carrozze a cavallo e non alle bici).
I mezzi così equipaggiati erano più veloci e comodi di quelli tradizionali, ma presentavano alcuni difetti: si foravano facilmente e non si riusciva a staccarli dai cerchioni.
La soluzione venne da Edourd e Andrè Michelin (anche se alcuni inglesi fecero progetti analoghi). I fratelli francesi nel 1891 depositarono la loro invenzione: un tubo di caucciù munito di valvola, inserito in un altro più spesso e resistente, facilmente smontabile dal cerchione.
Nel 1896 ci furono altre importanti migliorie: la ruota libera che consentiva di riposare stando fermi sui pedali e i rapporti multipli, per correre in pianura e arrampicarsi in montagna nelle migliori condizioni. Forte di tutte queste innovazioni la diffusione della bicicletta fu enorme (nel 1897, soltanto negli Stati Uniti, vennero prodotti due milioni di esemplari).
Negli anni a cavallo del secolo l'industria della bicicletta fece da base a quella dei veicoli a motore che ne sfruttò molte idee ma soprattutto gli uomini, sia progettisti e inventori che imprenditori. Non a caso le prime fabbriche di veicoli a motore molto spesso in precedenza costruivano biciclette.
Nel nostro secolo i miglioramenti hanno riguardato soprattutto i materiali, sempre più leggeri e resistenti. Di rilievo ci sono state due nuove tipologie di modelli: la prima negli anni cinquanta con la bici pieghevole e di dimensioni ridotte (la versione italiana, la "Graziella" della Carnielli vendette un milione di esemplari). La seconda novità, grazie anche ai migliori materiali, è tuttora in fase di espansione.
Si tratta del modello noto come "rampichino" o anche "mountain bike" sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni Ottanta e che sta avendo un grosso successo anche in tutto il mondo. La produzione di rampichini in Italia rappresenta al momento il 43 % del mercato totale (la produzione italiana complessiva nel 1994 era di 2.400.000 cicli, nel 1990 si arrivò a 3.500.000 unità, con una buona esportazione).
Pensato per l'uso in "condizioni estreme", su pendenze elevate, strade non asfaltate o sentieri, il rampichino è apprezzato da molti anche in città: comodo e maneggevole, dotato di ruote larghe, non veloci, ma che consentono di affrontare con maggior sicurezza ostacoli come i binari del tram e di ridurre lo spazio di frenata (in genere sono dotati di robusti freni a cantilever).
Alcuni accorgimenti studiati per il rampichino sono poi stati utilizzati sulle bici tradizionali (come la leva del cambio al manubrio).
L'evoluzione tecnologica è tuttora in corso, ad esempio per le forcelle dotate di ammortizzatore.

2.2 Cenni sui principi di funzionamento : l'equilibrio


Il ciclista mantiene facilmente in equilibrio la bici in movimento, mentre da fermo la cosa è molto più difficile. Per quale motivo?
Nella ruota in moto si genera una piccola coppia girostatica che si oppone al rovesciamento e mantiene la bici nel piano verticale.

schizzo ruota 1 Consideriamo una singola ruota che gira intorno al proprio centro O con velocità angolare Omega .

Incliniamo la ruota rispetto all'asse orizzontale A B con velocità angolare omega .

schizzo ruota 2 Si consideri una massa elementare m1 appartenente alla corona di questa ruota. Quando m1 supera il punto A, la sua velocità di spostamento dal piano verticale è pari a omega r , con r che aumenta nel primo quadrante.
Dunque la massa m1 è soggetta ad una variazione di velocità, quindi è sede di forze di inerzia con verso contrario alla direzione di m1.

schizzo ruota 3 Nel quadrante III, per una massa m3 simmetrica di m1 rispetto al centro, avviene lo stesso, ma in direzione opposta.
Si crea perciò una coppia che si oppone alla caduta.
Nel quadrante II si passa da velocità di caduta maggiori a minori, perciò le forze di inerzia sono dirette nel verso della caduta. L'opposto capita nel quadrante IV.
La coppia risultante, su tutta la ruota, si oppone alla caduta cercando di far girare la ruota per riportarla in una posizione più stabile.
Nella bicicletta le ruote non cadono attorno al diametro AB, ma si ribaltano intorno al punto di appoggio del terreno. Questo non influisce sulla coppia girostatica: le masse dei quadranti I e IV danno luogo a forze d'inerzia dirette in senso contrario alla caduta, mentre nei quadranti II e III le forze d'inerzia sono dirette nello stesso senso della caduta.
La coppia formata dai due sistemi di forza sollecita la ruota anteriore a divergere dal suo piano con una rotazione intorno all'asse dello sterzo.
La ruota posteriore non è libera di obbedire a questo richiamo.
Quella anteriore invece può girarsi attorno all'asse del cannotto di sterzo e infatti esce dal proprio piano. Perciò, col nuovo orientamento della ruota, il punto di appoggio sul terreno esce dal piano mediano nel verso della caduta (di una distanza pari a delta , non considero per adesso altri elementi come l'avancorsa) e dà origine a un momento Q delta che si oppone al momento rovesciante (dove Q è il peso che la ruota scarica a terra). Così la bici può non cadere.
In effetti, per non cadere, deve verificarsi che il momento stabilizzatore Q delta sia maggiore o uguale a quello rovesciante e che la rotazione della ruota, sotto l'effetto della coppia girostatica, possa verificarsi. Questo perché esiste una coppia resistente che si oppone alla rotazione della ruota. Essa è originata dall'attrito fra il terreno e il copertone della ruota che, deformandosi, poggia sul terreno con una zona di contatto di ampiezza variabile in funzione della velocità. Quando la bici è ferma, l'ampiezza è massima, l'impronta del copertone sul terreno è simile ad un ellisse, simmetrico rispetto alla proiezione a terra del centro ruota : in questo caso la coppia di attrito esprime il suo massimo valore; anche l'esperienza ci dice che sterzare il manubrio in queste condizioni è più faticoso.
Quando la bici è in movimento, per effetto della isteresi con cui la gomma schiacciata riprende la forma normale, la metà posteriore delle reazioni del terreno diminuisce rapidamente con la velocità e rimane solo quella anteriore, che è poi la causa della resistenza al rotolamento della ruota.

schizzo ruota 4

Perciò in condizioni di velocità ottimali la coppia di attrito vale la metà rispetto alla bici ferma: la coppia girostatica è in grado di agire facendo uscire dal suo piano mediano la ruota e dunque permettendo che nasca un momento stabilizzatore.
La diminuzione della coppia di attrito (che dipende dalla velocità, dalle superfici di contatto, dal carico sulla ruota) ha l'effetto di abbassare la velocità minima al di sotto della quale la coppia girostatica, essendo minore di quella di attrito, non è in grado di intervenire per ristabilire l'equilibrio.
L'abilità del ciclista ha comunque un ruolo attivo, nella dinamica dell'equilibrio. Infatti, se vuole mantenere un andamento rettilineo, egli deve correggere la curva impostata dalla coppia girostatica. Può farlo agendo sul manubrio con le mani e spostando il peso del corpo (oppure, con maggior destrezza, solo spostando il peso del corpo).
Vi è un'altra importante caratteristica della bicicletta che influisce sulla facilità di guida e rende possibile, per esempio, andare avanti senza mani: l'avancorsa.
Si definisce avancorsa la distanza tra il punto di contatto della ruota col terreno e la proiezione dell'asse dello sterzo sul terreno stesso.
Più propriamente si parla di avancorsa, se la proiezione dell'asse dello sterzo sopravanza il punto di contatto ruota terreno, mentre la si definisce retrocorsa nel caso contrario. Si tratta di un elemento geometrico che caratterizza invariabilmente ogni bicicletta. In genere la distanza tra i due punti è di pochi centimetri.

schizzo ruota 5
Qual'é la funzione dell'avancorsa?
Essa interviene in maniera complementare alla coppia girostatica, ma se non le si dà il giusto valore può addirittura annullarne l'effetto equilibratore: come abbiamo visto, quando una bici cade da una parte, ad esempio verso destra, la coppia girostatica fa sterzare la ruota dalla stessa parte. Se l'avancorsa è positiva, il centro di sterzatura si trova davanti al punto di appoggio. A seguito della sterzata detto punto si porta dalla parte opposta rispetto alla quale la bici ha iniziato la caduta. Ma questo non fa che aumentare il valore del momento ribaltante.

schizzo ruota 6

Dunque, se considerassimo solo questo fenomeno, la coppia girostatica avrebbe un effetto negativo sull'equilibrio e la caduta sarebbe inevitabile.
Fino ad ora però non si è tenuto conto della forza centrifuga che invece è il primo motivo per cui la bicicletta non cade. Non appena la ruota sterza, la bici entra in una traiettoria curvilinea, per cui nasce una forza centrifuga che si oppone alla caduta.
Alle basse velocità però, la forza centrifuga è limitata.
Lo stesso vale per l'effetto della coppia girostatica che, come si è detto, è contrastata da quella di attrito nella zona di contatto terreno-ruota: l'equilibrio diventa molto precario. E' in questa situazione che l'avancorsa si rivela utile.
Per effetto di quest'ultima, infatti, lo spostamento del centro di appoggio della ruota avviene dalla parte opposta della caduta. Ora, poiché su tale punto di appoggio si esercita la spinta di propulsione della bicicletta, con direzione parallela alla traccia del piano della ruota posteriore spingente, si determina una coppia concorde a quella girostatica che rafforza o addirittura sostituisce quando, a basse velocità, la coppia di attrito cresce fino ad annullare quella girostatica.

2.3 Sagoma limite di riferimento


Il fabbisogno di spazio che la bicicletta in movimento richiede è certamente limitato rispetto ad altri modi di trasporto. Tuttavia una certa quantità è necessaria. Essa è dovuta alle dimensioni del ciclista e del suo mezzo e agli inevitabili scostamenti laterali che si verificano nel moto.
Tali scostamenti sono dovuti alle correzioni necessarie per mantenere l'equilibrio e la marcia in linea retta.
A 20 km/h o più di velocità, tali scostamenti sono molto piccoli. Però se la velocità diminuisce le correzioni e lo spazio laterale necessario al ciclista per mantenere l'equilibrio aumentano.
La stabilità è influenzata anche dalle irregolarità della superficie stradale come buche o tombini e dal tipo di rivestimento: asfalto, pavé, acciottolato, ghiaia, ....
Lo stesso vale per il vento laterale, specie se a raffiche o improvviso (nelle vicinanze di grossi edifici). La stabilità è messa a rischio anche dalle turbolenze causate dai mezzi pesanti che superano da vicino i ciclisti.
Il ghiaccio rende praticamente impossibile il controllo del mezzo.
Per quanto riguarda la neve, dipende dalla quantità e dal tipo: se la neve non è bagnata è possibile avanzare con stabilità a velocità leggermente ridotta, anche con 5-10 cm di neve. La neve umida invece si attacca alle ruote, agli ingranaggi del cambio e alla catena rendendo difficoltosa e imprecisa la marcia.
In assenza di fattori destabilizzanti a velocità maggiori di 11 km/h la traccia della bicicletta è facilmente contenuta in una striscia di 20 cm.
In caso di vento laterale o superficie irregolare arriviamo a 30 cm.
A velocità minori (per esempio agli incroci) il franco libero necessario aumenta fino ad 80 cm.
Le dimensioni della sagoma statica della bicicletta sono le seguenti:

Lunghezza <=1,90 m
Larghezza <=0,75 m
Altezza al manubrio <=1,15 m
Altezza dell'occhio <=1,81 m (ma per i bambini è un metro)

In base a questi dati si può considerare una sagoma dinamica larga circa un metro e alta 2,5 metri (le dimensioni delle piste ciclabili terranno conto di un ulteriore franco di sicurezza, a seconda della tipologia adottata).

2.4 Analisi delle resistenze al moto


Le biciclette vengono sospinte dalla forza muscolare del ciclista. In generale la potenza è comunque limitata, inoltre non è in grado di far fronte a variazioni di sforzo come un motore meccanico. Una buona infrastruttura ciclabile deve limitare le perdite di energia e le eccessive variazioni di sforzo.
Vediamo quali sono le perdite di energia.


Le perdite meccaniche per una bici in buono stato di manutenzione sono molto piccole (1-2 % del totale).
Tutte le altre dipendono, almeno in parte, dal disegno della strada e dai materiali impiegati. E' dunque importante che il progettista sia a conoscenza di tali perdite per fornire delle soluzioni funzionali che ottimizzino lo sforzo del ciclista. In particolare ogni volta che il ciclista deve fermarsi perde energia cinetica. Quando riparte dovrà di nuovo vincere le forze di inerzia e la resistenza dell'attrito statico, perciò il percorso deve essere regolare col minor numero di interruzioni possibile.
La resistenza al rotolamento e le perdite in vibrazioni sono dovute principalmente al tipo di strada e alle sue imperfezioni. Con pneumatici ben gonfiati e strada in buone condizioni la resistenza è di circa 0,06 N/Kg. Su strade scadenti questo valore diventa n volte maggiore.
Riguardo al problema dell'attrito possiamo dire che l'uniformità e la presenza di giunzioni hanno una maggiore influenza sulla resistenza al rotolamento rispetto a ruvidità e granulosità della superficie.
Queste ultime caratteristiche hanno anche un effetto positivo sulla stabilità e quindi sulla sicurezza del ciclista.
La resistenza dell'aria diventa significativa per velocità maggiori di 20 km/h.
La presenza di vento laterale o contrario, invece, è fastidiosa anche a basse velocità.
Il vento a raffiche costringe il ciclista a continui rallentamenti e successivi sforzi per riacquistare velocità.
L'espressione della resistenza al moto F, in Newton, è la seguente:

F=0,0981 * i * m + 0,0721 * m + 0,374 * vrel2
i = pendenza della strada [in % ]
m = massa totale di bici e ciclista [kg]
vrel = velocità relativa del ciclista rispetto alla velocità del vento [m/s]
vrel = v + v vento * cos tau
tau = angolo tra la direzione del vento e del ciclista
v = velocità del ciclista

Noto il valore della resistenza si ricava facilmente la potenza necessaria per mantenere una certa velocità costante.

2.5 Capacità potenziali del ciclista urbano, stress fisico e mentale

Andare in bicicletta richiede uno sforzo fisico e mentale. Oltre alla fatica muscolare causata dal pedalare è necessario anche un livello di attenzione in funzione delle condizioni del traffico. Se quest'ultimo è molto intenso il ciclista trova difficoltà a proseguire ed è costantemente impegnato a sorvegliare i movimenti degli altri utenti della strada. Le categorie più deboli dei ciclisti (come gli anziani) in tali condizioni preferiscono scendere portando la bici a mano oppure usare altri mezzi di trasporto.

Non esiste un ciclista standard.
La versatilità del mezzo è tale che viene usato da tutti. La composizione statistica dei ciclisti è molto varia per età, sesso e motivazione e potrebbe esserlo di più se si favorissero le categorie più deboli.
A volte questo può essere un problema. Non si può considerare allo stesso modo un ciclista sportivo che viaggia a 30-35 km/h e una persona anziana che si muove a 15 km/h.
Nella progettazione delle infrastrutture ciclabili bisogna tener conto di questa estrema variabilità ad esempio per la pendenza delle rampe, per i tempi di attraversamento semaforici, per la visibilità della segnaletica o di eventuali punti pericolosi (abbiamo visto come varia l'altezza dell'occhio da terra da un bimbo a un adulto).
Peraltro è anche vero che alcuni percorsi sono tipicamente usati per recarsi al lavoro o a scuola, mentre altri soprattutto per divertimento e svago (la velocità media sarà maggiore nel primo caso). Il progettista dovrà dunque migliorare prima le caratteristiche più importanti a seconda della utilizzazione prevalente (se il ciclista va al lavoro apprezza di più la rapidità del percorso, se sta facendo un giro di svago ovviamente preferisce passare in posti belli e panoramici).
Per valutare lo stress fisico bisogna considerare il limite di potenza muscolare dinamica disponibile in una data unità di tempo. Come parametro di riferimento prendiamo il massimo sforzo che può essere sopportato per quattro minuti.
Per valutare il comfort di un certo percorso consideriamo il rapporto tra lo sforzo compiuto e quello massimo sopportabile.
Il massimo sforzo sopportabile dipende dalla durata complessiva del tragitto in bici e, in parte, dalla motivazione del viaggio (lavoro, sport, divertimento). Esso cala rapidamente con l'allungarsi del percorso.
La velocità rimane perciò influenzata da tutti questi fattori.
Anche l'età e il sesso hanno la loro importanza. Mediamente il massimo sforzo sopportabile è maggiore negli uomini che nelle donne, ma è sufficiente un po' di allenamento per cambiare le cose. Più discriminante il fattore dell'età; anche in questo caso la pratica regolare dell'attività fisica mantiene il tono muscolare.
Come propone l'olandese Van Laarhoven si assume, quale ciclista medio di riferimento, un individuo maschio tra i 50 e i 60 anni.
Le infrastrutture ciclabili devono adeguarsi alle sue caratteristiche.
Nel periodo di quattro minuti prima considerato può sopportare uno sforzo di circa 100 Watt, con punte di 150-200 Watt per un minuto.

Lo sforzo mentale è in funzione dei luoghi attraversati e delle categorie di utenti (pedoni, automobilisti, ...) con cui si condividono tali spazi. Condurre la bicicletta richiede sempre un po' di attenzione, per mantenere l'equilibrio, per sterzare nelle curve, per seguire la strada, ma ciò che seriamente impegna l'attenzione del ciclista è il rapporto con gli altri utenti della strada.
La potenziale vulnerabilità, l'elevata accelerazione/decelerazione e velocità dei mezzi a motore capaci di manovre improvvise, l'imprevedibilità dei pedoni, costringono ad una attenzione continua che alla lunga risulta stressante. Non tutti sono disposti a sopportarla, specie gli anziani e i più giovani (per interposta decisione dei genitori).
Non è dunque un caso che l'ideale per il ciclista risulti essere viaggiare a 16-20 km/h su una tranquilla pista ciclabile ben separato dagli altri utilizzatori della strada e senza incroci da affrontare.
Il ciclista può persino lasciare il manubrio e proseguire senza mani. Inoltre l'efficienza muscolare a questa velocità è ottima: potrebbe andare avanti per ore.
Analizzando casi reali come la rete ciclabile di Delft si è visto che le condizioni ideali di comfort descritte sono basilari per incrementare l'uso della bicicletta.
Se non c'è un accettabile comfort il ciclista prova una sensazione di "insicurezza soggettiva". Raggiunto il proprio limite di sopportazione, alcuni ciclisti preferiscono scendere dalla sella e fare le tratte difficili a piedi oppure rinunciano in toto e usano altri mezzi. Ma anche per chi resiste la situazione non è ideale: maggiore lo stress, maggiore il rischio di fare errori. Esiste una stretta relazione tra il livello di comfort e la sicurezza stradale.



Bibliografia



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