Alberto Collidà
La bicicletta è un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e particolare all'area torinese
Capitolo 1



1. Biciclette in città: perché?



1.1 Critica alle politiche di trasporto urbano basate sulla predominanza del mezzo a motore privato

La attuale organizzazione della mobilità urbana nelle città italiane è piuttosto evidente.
E' difficile non accorgersi di come la componente principale sia la automobile privata.
"Raschiando il fondo del barile" sarà ancora possibile un ulteriore incremento, ma ormai la motorizzazione di massa è avvenuta.
Ovvia conseguenza è stata la crescita esponenziale della domanda di infrastrutture viarie.
L'offerta però non si è adeguata, per cui, in molti punti della rete stradale, non soltanto urbana, si è rapidamente raggiunta e superata la capacità massima.
Il risultato non può che essere la congestione.
Una strada è in grado di portare un determinato numero di utenti, superato il quale va in crisi e la circolazione si blocca. Con quali costi?
L'effetto della congestione è la sommatoria dei ritardi a cui ciascun utente viene sottoposto. Essa equivale a perdite di tempo a cui in generale si attribuisce un valore economico.
I costi della congestione sono perciò, oltre all'aumento dei consumi e al relativo inquinamento, il valore monetizzato del tempo che la congestione fa perdere.
Non sono facilmente valutabili (ogni utente vi attribuisce valore diverso), ma quasi sempre sono sottostimati.
Infatti ognuno considera solamente il proprio tempo perso e non quello che fa perdere agli altri utenti della strada. In altre parole non vengono considerati i costi esterni della congestione.
Poiché tutti gli utenti si comportano così (valutando solo le proprie perdite), i costi globali delle loro decisioni sono ampiamente sottovalutati e la domanda di trasporto nei punti congestionati della rete resta elevata. Questo non consente una efficace allocazione delle risorse per la società nel suo complesso.
La questione delle esternalità è fondamentale per una corretta valutazione dei costi del trasporto.
In una economia di mercato le scelte economiche sono in funzione soprattutto dei prezzi, che dipendono dai costi. Se non vengono considerate tutte le voci di costo, la domanda e l'offerta non si incontreranno più nel punto di massimo vantaggio per la società nel suo complesso: i costi esterni saranno, come dice la parola stessa, sostenuti da terzi, senza alcuna contropartita.
Si verifica un "insuccesso del mercato", perché il singolo utente non considera i costi sociali marginali derivanti dalle sue decisioni.
Si tratta quindi di determinare correttamente tutte le voci di costo del trasporto e impostare una conseguente politica dei prezzi.
Per l'ambito urbano (ma sono considerazioni estendibili in generale) abbiamo dunque accennato ai costi della congestione del traffico automobilistico.
Possiamo fare una classificazione di tutti i costi del trasporto privato a motore, interni ed esterni, in 5 categorie.

Le spese di trasporto non soltanto hanno costi esterni che non ricadono su chi li causa, ma succede che il singolo utente tenda a sottovalutare alcuni capitoli di spesa che già adesso paga di tasca propria. E' una situazione tipica del trasporto delle persone col mezzo privato a motore.
Per motivi di ordine culturale e psicologico molti computano soltanto il prezzo del carburante e non considerano le altre voci di spesa per determinare il costo chilometrico.
Spesso, costo del veicolo e relativo ammortamento vengono considerati a parte, come se si trattasse di una spesa da fare comunque, senza correlarla ai benefici ottenibili.
Le scelte di mercato dei consumatori, in qualche caso, rimangono più influenzate da una pubblicità persuasiva che da una effettiva necessità.
Bisogna tuttavia riconoscere che molti utenti, anche se a conoscenza di tutti i costi dell'automezzo privato, non hanno potuto fare una comparazione con altre modalità di trasporto per il semplice fatto che queste non esistevano, oppure non erano concorrenziali.
E' indubbio che l'automezzo privato ha delle qualità potenziali di praticità e versatilità che la congestione inficia solo parzialmente. Le scelte alternative, per essere credibili, devono avere un livello di qualità paragonabile.
Sia l'oggetto di questo lavoro, la bicicletta, sia il trasporto pubblico, soprattutto nei decenni passati, non sono stati messi in condizione di competere col mezzo a motore privato.

Il problema dei costi delle infrastrutture e della loro realizzazione in ambito urbano ha caratteristiche specifiche.
La presenza antropica dell'uomo condiziona tutto lo spazio a disposizione. L'impianto urbanistico delle nostre città ha radici lontane, i centri storici non sono certo stati dimensionati per grossi volumi di traffico e sosta veicolare. Questo è banale, ma anche quartieri più recenti e moderni sono in difficoltà nel gestire il problema.
Costruire nuove strade o anche solo allargarle è una cosa che poteva permettersi facilmente il Vittozzi, forte dell'autorità conferitagli da Emanuele Filiberto, oppure lo Juvarra.
Oggi risulta già difficile imporre un senso unico o la sosta a pagamento degli autoveicoli.
Vi è dunque un problema specifico di disponibilità di spazio che rende più difficile realizzare nuove infrastrutture in ambito urbano.
La costruzione di infrastrutture nel sottosuolo "aggira", per così dire, il problema sopracitato.
Il progresso delle tecniche di scavo apre nuove possibilità, ma tutto rimane condizionato ai costi.
La questione dei costi e del sistema di imputazione degli stessi non è ancora stata affrontata correttamente pur essendo centrale per il funzionamento del mercato dei trasporti.

Facciamo una breve analisi. Per le infrastrutture dobbiamo distinguere tra costi in conto capitale e costi di esercizio e manutenzione.
Il capitale investito da origine ad un costo fisso che non è in relazione col livello di utilizzazione delle infrastrutture. Esso però deve essere in qualche modo recuperato da chi ha investito il capitale.
Diverso è il discorso degli investimenti annuali fatti per migliorare le infrastrutture già esistenti. Non è corretto imputarli agli utenti anche prima della loro realizzazione (mentre dopo rientrano giustamente nel computo dei costi annuali in conto capitale).
I costi di esercizio e manutenzione dipendono dalle quantità di traffico anche se ci sono altri fattori da tenere in conto (ad esempio l'usura delle strade è causata sia dal traffico che dalle condizioni ambientali come la pioggia o la temperatura).
L'attuale sistema di recupero dei costi in Italia e in altri paesi europei è basato sulle accise sui carburanti e sulle tasse automobilistiche annuali.
Per una parte della rete autostradale viene inoltre riscosso un pedaggio.
Da un punto di vista quantitativo il sistema consente probabilmente di recuperare anche il valore dei costi esterni delle infrastrutture, ma presenta due grossi difetti.
Innanzitutto il gettito così ottenuto non è direttamente impiegato per compensare chi ha sopportato "direttamente" i costi esterni.
Inoltre il sistema di imputazione attuale è solo minimamente correlato all'effettivo costo marginale che il singolo utente provoca all'infrastruttura.
Una tassazione basata sul chilometraggio realmente percorso e sul peso per asse del veicolo sarebbe più giusta e più efficiente perché, soprattutto nel trasporto merci, orienterebbe gli utenti verso soluzioni maggiormente economiche limitando i viaggi inutili (ad esempio i ritorni a vuoto) o scegliendo altre possibilità (come i trasporti intermodali).
La Svezia, prima di entrare nell'Unione Europea, aveva introdotto una tassa chilometrica per i veicoli diesel in funzione della percorrenza (misurata da un odometro) e del peso per asse.
Nel 1995 la Germania, la Danimarca e il Be.Ne.Lux. hanno imposto diritti di utenza stradale per i veicoli pesanti, calcolati sull'effettivo impiego della rete stradale.

Parlare dei costi degli incidenti non è piacevole.
Di fronte alle migliaia di persone che ogni anno muoiono sulle strade italiane, ogni tentativo di monetizzare ciò che è causa di dolore e sofferenza potrebbe sembrare fuori luogo e in parte lo è.
Tuttavia la "questione morale" esula dagli argomenti di questo lavoro. Quindi, dopo aver osservato che una trattazione tecnico-economica dei problemi deve essere sempre preceduta da una valutazione sotto il profilo "umano", non si può non considerare il problema dei costi.
Questo perché le cifre degli incidenti sono impressionanti.
I dati dell' I.S.T.A.T. relativi al 1994, per quanto riguarda le strade urbane in Italia, parlano di 2.713 morti (il 41,2% dei morti su ogni tipo di strada) e di 165.617 feriti (il 69,2% di tutti gli infortunati) mentre il numero degli incidenti ammonta a 124.965 (il 73,2% di tutti gli incidenti stradali).
Esiste però un problema di definizione dei termini. Dal 1991 si intende per incidente solo il sinistro che ha causato danni alle persone, mentre prima si consideravano anche quelli che danneggiavano solo le cose. Ci si è così uniformati alla definizione di incidente stabilita nel 1968 alla Conferenza di Vienna sulla circolazione stradale. I dati precedenti al 1991 tengono dunque conto anche dei sinistri che hanno danneggiato solo le cose, quelli successivi invece no: la valutazione dei costi da incidenti risulta perciò sottostimata.
Su un altro punto, invece, le statistiche italiane non sono ancora armonizzate con i dettami della Conferenza di Vienna: una persona viene considerata morta solo se il decesso si verifica entro 7 giorni dall'incidente. Questo porta ad una stima in difetto del 5% circa delle vittime per incidente stradale. Correggendo il dato arriviamo a 2850 morti circa sulle strade italiane nel 1994.

Analizziamo l'andamento del fenomeno nel tempo.
Dal 1975 ad oggi si registra fortunatamente una diminuzione dei morti (9.511 nel 1975 contro 6.578 nel 1994, su ogni tipo di strada). La cosa spicca ancora di più se si pensa che, nello stesso periodo, la motorizzazione è all'incirca raddoppiata, mentre l'estesa chilometrica è quasi la stessa (in effetti qualche aumento significativo c'è stato nelle autostrade, ma il relativo aumento di traffico è stato di gran lunga superiore).
Il motivo è da ricercarsi nel miglioramento della sicurezza attiva e passiva degli autoveicoli. Invece il numero degli incidenti dal 1991 è fermo intorno alle 171.000 unità (125.000 in ambito urbano). Fa eccezione il 1993 in cui ci sono stati 17.000 incidenti in meno. Questo si spiega con la recessione economica di quell'anno che aveva ridotto la mobilità, sia delle merci che delle persone.
Analogo discorso per i feriti, stabili intorno a 240.000 infortunati (circa 166.000 in città), a parte il 1993, con 23.000 feriti in meno, per lo stesso motivo.
I miglioramenti tecnici, almeno per adesso, incidono soprattutto sulla gravità delle conseguenze più che sull'evitare gli incidenti. La soluzione va ricercata principalmente in due campi. Prima di tutto con una maggiore cultura della prevenzione. Purtroppo questa non è sufficientemente diffusa tra i guidatori, sia occasionali che abituali. Inoltre, la diminuzione del traffico, come ci confermano i dati del 1993, porta nelle condizioni attuali a un calo di incidenti e feriti. Questo si verifica soprattutto in città: la differenza tra il '93 e il '94 per i feriti si è ottenuta nel 73,5% dei casi nelle aree urbane; per gli incidenti ben il 77% della diminuzione si è verificata in città. Pure sotto questo aspetto si evidenzia l'urgenza di dare alternative al trasporto privato.

Anche per questa voce di costo il sistema di imputazione non soddisfa del tutto.
Una notevole quota è sostenuta dalla società nel suo complesso, non solo dagli utenti della strada, mediante il sistema tributario generale.
Inoltre il sistema attuale dei premi assicurativi corrisponde solo minimamente alla percentuale di rischio del singolo utente. Accettare, anche in questo campo, il principio "chi inquina paga" significa che i premi devono essere interamente proporzionati al rischio che ognuno produce.
Ciò è possibile, per esempio, riconoscendo il comportamento responsabile dell'automobilista (registrazione delle violazioni del codice stradale) e la sua abilità (esame e verifiche di guida più complete). Si incentiverebbe così l'utente a ridurre il rischi o di incidenti nel modo che egli ritiene più opportuno (maggiore prudenza, veicoli più sicuri, guidare meno, ... ecc.).

I costi per l'ambiente e la salute. E' una questione che riguarda soprattutto le aree urbane. Proprio lì, infatti, si produce la quota più rilevante dei fattori inquinanti. Inoltre le conseguenze ricadono in gran parte direttamente sulle stesse aree che hanno generato l'inquinamento. Per essere precisi distinguiamo fra tre livelli: locale, regionale, globale. Le maggiori responsabilità sono del trasporto su gomma ad ogni livello, ma la cosa è ancora più accentuata nei grossi agglomerati cittadini. A livello locale si registrano soprattutto danni alla salute (ad esempio problemi respiratori) e alle cose (per esempio edifici e monumenti). Le sostanze più dannose sono il biossido di zolfo, il piombo (ora ridotto nelle nuove benzine) e il particolato. A livello regionale è l'ambiente a subire le maggiori aggressioni, si pensi al fenomeno delle piogge acide, ma gli effetti ricadono comunque sulla salute umana.
Da un punto di vista planetario il fenomeno più preoccupante è "l'effetto serra", per le emissioni di anidride carbonica. Fra gli altri gas di serra ricordiamo i C.F.C. (emessi dai climatizzatori dei veicoli; saranno sostituiti, in quanto distruggono l'ozono stratosferico, probabilmente dagli H.C.F.C. che però sono ancora gas di serra) e l'ozono troposferico. Quest'ultimo deriva dalle trasformazioni chimiche dei componenti organici volatili e dei vari ossidi di azoto, dannosi anche a livello locale, principalmente emissioni degli autoveicoli.
Un'altro tipo di inquinamento che ha effetti sulla salute è quello acustico, appannaggio quasi esclusivo delle aree urbane. In effetti, il modo in cui viene prodotto lo lega in maniera non lineare al traffico: infatti esso dipende sia dal numero di sorgenti (gli autoveicoli), sia dalla loro velocità. Sarebbe comunque utile collegare la quantità di rumore emesso ad un sistema di tassazione che favorisca i veicoli più silenziosi, comprese le due ruote, di tutte le cilindrate.
Parte del rumore prodotto è causato dal rotolamento dei pneumatici sulla strada. Il costo del danno che ne deriva si imputerà perciò alle infrastrutture stradali che devono dotarsi di rivestimenti fonoassorbenti (anche dai pneumatici sono ottenibili miglioramenti).
Come abbiamo detto, se si aumenta la velocità aumenta il rumore prodotto. I miglioramenti tecnologici accennati possono ridimensionare il fenomeno. In tali condizioni, la diminuzione del numero di sorgenti, in maggioranza automezzi privati, consentirebbe di limitare con certezza l'inquinamento sonoro.

1.2 Necessità di creare una rete di trasporti integrata più razionale

Come abbiamo già accennato, la internalizzazione dei costi darebbe all'utente una visione corretta sulle conseguenze delle proprie scelte di trasporto.
Questo dovrebbe orientarlo su altri modi di spostamento. Consideriamo la mobilità delle persone in ambito urbano. Il punto è questo: qual'é il livello di offerta alternativo al mezzo privato? Per essere credibile la qualità deve avere lo stesso ordine di grandezza.
I criteri di valutazione sono molteplici.
Innanzitutto la capillarità, bisogna che siano raggiungibili tutti i punti del tessuto urbano. Qualsiasi intervento deve essere concepito a livello di rete.
La velocità, intesa come velocità media nel compiere il tragitto porta a porta, deve essere uguale, se non maggiore, rispetto al veicolo privato. Diversamente l'automobilista non rinuncia al suo mezzo.
La disponibilità. Il grande pregio della mobilità privata consiste nella libertà di scelta che permette all'utente: può partire quando vuole per andare dove vuole (se il traffico non è congestionato). L'offerta alternativa deve coprire tutte le fasce orarie.
La accessibilità: la difficoltà a trovare parcheggio ha ridotto questa caratteristica per il mezzo privato, in molte zone urbane. In generale l'auto resta, per adesso, molto più accessibile delle alternative (ad esempio la bicicletta ha pochi spazi di sosta riservati oppure le stazioni ferroviarie risultano a volte scomode da raggiungere, con percorsi poco agevoli, specie per i disabili).
La piacevolezza è molto importante: il livello di comfort che le autovetture presentano è elevatissimo, anche in vetture non di lusso. Fa parte delle strategie commerciali dei produttori, per accrescere la propria quota di mercato. Anche le alternative devono essere piacevoli (si pensi alle stazioni del VAL, la metropolitana di Lille: ben curate, ciascuna arredata con uno stile diverso, belle e facilmente riconoscibili).

Le alternative si riconducono a due campi di azione: uno è il trasporto pubblico, l'altro è il trasporto in bicicletta. Vi sono o vi possono essere delle difficoltà già nel gestire al meglio le risorse, al fine di evitare sovrapposizioni di intervento in certe zone e nulla in altre.
Peraltro, esiste anche una complementarietà tra la bicicletta e il mezzo pubblico. La prima, in molti casi, è un modo per accedere al secondo, quasi come un sistema ettometrico. Questo può accrescere notevolmente la potenzialità del servizio pubblico.
Esso deve però essere efficiente e garantire prestazioni migliori della bicicletta stessa (si pensi alla velocità commerciale). In caso contrario l'interscambio avrebbe poco senso, anzi molti abbandonerebbero il mezzo pubblico a favore della bicicletta. Ciò non è del tutto negativo, ad esempio se consente di limitare il sovraccarico dei mezzi pubblici nelle ore di punta.
La concorrenza tra servizio pubblico e bicicletta è un problema di cui tenere conto, ma la questione della razionalizzazione si gioca su ben altri fronti.
E' all'interno del servizio pubblico che l'integrazione molto spesso resta insoddisfacente.
Ci sono, proprio in questi anni, iniziative positive che indicano un cambiamento di tendenza, si pensi alle politiche di integrazione tariffaria nelle maggiori città italiane.
Purtroppo la sovrapposizione dell'offerta è ancora frequente.
Capita che una stessa tratta venga servita per esempio da una linea ferroviaria e da una di bus, senza la minima collaborazione sugli orari che risultano quasi identici. Oppure che pullman vuoti passino davanti a fermate stracolme di gente e non possano caricare nessuno perché il loro contratto non lo prevede.
Il concetto di rete è senza dubbio fondamentale, ma non deve essere accettato acriticamente e senza soppesare tutti gli effetti. La scelta che 15 anni fa portò Torino ad optare per il sistema di metropolitane leggere, al posto di iniziare la costruzione di linee "pesanti", deve insegnare qualcosa.
Un sistema in superficie, anche se protetto, è più simile a un tram (certo non da buttar via) che ad una metropolitana. Se poi se ne realizza solo una parte, l'efficacia è ancora più bassa.
Si deve perciò pianificare con certezza la politica degli investimenti anche sul lungo periodo, in modo da non disperdere le risorse già scarse di per sé.

1.3 Vantaggi e svantaggi della bicicletta

Qual'é il ruolo che la bicicletta può svolgere nel sistema dei trasporti urbani?
Essa presenta delle caratteristiche funzionali che, almeno potenzialmente, possono soddisfare una buona parte delle esigenze di mobilità.
Una delle ragioni è da ricercarsi nel rapporto più che favorevole tra massa trasportata e massa del veicolo (potremmo definirlo come efficienza di massa relativa).
Se considero una bicicletta media di 12 kg (ma le bici in commercio oggi pesano anche meno), il rapporto varia più o meno tra 5 e 7, a seconda del peso del ciclista.
Se lo stesso ciclista prende la macchina, una vettura media intorno ai 1.200 kg, il rapporto è decisamente più basso: due ordini di grandezza in meno!
Certamente l'auto può portare 4 o 5 persone, nel qual caso la biciclette risultano "solo" 20 volte più efficienti. Sappiamo però che l'uso dell'auto in città è caratterizzato proprio da uno scarso riempimento dei posti disponibili.
Anche il confronto con i mezzi pubblici risulta vincente.
Prendiamo come riferimento l'autobus urbano a due assi "480" dell'IVECO, con capienza massima di 115 posti. La tara è di 10.550 kg. La massa trasportabile, a pieno carico, arriva a 7.820 kg. Il rapporto è uguale a 0,74 nel caso più favorevole.
Le dimensioni di ingombro, sia in sosta che in movimento, sono minime. Ciò consente di realizzare le già poche infrastrutture necessarie con spesa e consumo di spazio limitati. Quest'ultima è una qualità preziosa nei nostri spazi urbani. In particolare nei centri storici la bicicletta è in grado di muoversi agilmente e di sfruttare spazi improponibili agli autoveicoli.
Un altro aspetto a favore della bicicletta è quello riguardante i costi per l'utente.
Sia il costo di accesso, cioè per l'acquisto della bicicletta che il costo di utilizzo (in pratica la manutenzione) sono molto bassi. Anche qui siamo inferiori di due ordini di grandezza rispetto all'auto privata (in effetti la gamma dei prezzi è amplissima).

Gli effetti sulla salute sono variabili: se si pedala in un ambiente non inquinato viene persino consigliato dai medici per gli effetti positivi che ha sulla circolazione sanguigna e sul cuore stesso.Inoltre contribuisce a mantenere alto il tono muscolare.
Discorso diverso se si pedala in un ambiente inquinato come molte delle strade cittadine. Gli aspetti positivi permangono, ma ne nascono altri negativi legati alla qualità dell'aria e allo stress sonoro e psichico (se si è coinvolti nel traffico). Non è più possibile affermare con la certezza di prima che pedalare "faccia bene".
Però, in relazione agli altri utenti della strada le emissioni di inquinanti sopportate dai ciclisti sono quasi le stesse. La concentrazione dell'inquinamento varia con la altezza da terra (i passeggini bassi sono pericolosi), ma per il resto è abbastanza uniforme. La posizione del marciapiede non garantisce il pedone. Lo sforzo del ciclista urbano medio è paragonabile al pedone. La sua respirazione è normale. I polmoni assorbono la stessa quantità di inquinanti.
Anche rispetto agli automobilisti la situazione non è peggiore, dato che la composizione dell'aria dentro l'abitacolo è la stessa di quella esterna. La sensazione olfattiva è sensibile alle variazioni più che all'intensità, l'abitacolo attenua queste variazioni, dando una sensazione fittizia di minor inquinamento. Dunque, rispetto al traffico motorizzato, l'inquinamento sopportato è circa uguale, ma non certo quello prodotto. Infatti, dal punto di vista ambientale le controindicazioni sono quasi nulle: nessuna emissione nociva, livello sonoro generato prossimo a zero per le bici nuove o mantenute efficienti, comunque molto basso anche nei casi peggiori.

Le caratteristiche positive sin qui esaminate sono più o meno direttamente collegate al motore "umano". L'altra faccia della medaglia riguarda le limitate prestazioni che proprio questo motore è in grado di fornire. Possiamo dire che esiste una finestra in cui la bicicletta è il veicolo più idoneo (in breve gli spostamenti di persone con piccoli pesi in ambito urbano), ma al di fuori di questo non è proponibile come trasporto di massa.
Il record dell'ora su pista è di 55.291 metri, stabilito a Bordeaux il 5 Novembre 1994. Nelle gare su strada dei professionisti, di molte ore, si tengono velocità medie oltre i 40 km/h, ma la massa dei ciclisti urbani è lontanissima da tali prestazioni. Un obiettivo realistico, anche se già difficile, potrebbe essere i 25-30 km/h mantenuti per un paio d'ore (cioè quello che riesce a fare un ciclista sportivo dilettante senza pretese, nei primi allenamenti).
I mezzi a motore, sia pubblici che privati, sono decisamente più veloci.
Anche per il trasporto merci la capacità della bicicletta è piuttosto scarsa.
C'è ancora la possibilità di usare un rimorchio (pesano 10-15 chili circa, per una capienza intorno ai 200 litri), ma siamo ai limiti del motore umano. In questo campo ci sono comunque interessanti margini di miglioramento: un gruppo di studenti di architettura del Politecnico di Milano ha realizzato, come tesi di laurea, un veicolo sperimentale, pensato proprio per fare la spesa.
In pratica è un triciclo con le ruote accoppiate davanti. Sopra di esse c'è un vano bagagli che porta fino a 30 chili. La parte davanti, con ruote e vano bagagli, è staccabile ed utilizzabile come carrello.

Un altro punto debole è la marcia su strade in salita. La già scarsa potenza umana varia da soggetto a soggetto e non tutti sono in grado di vincere pendenze elevate. Un buon cambio può ovviare a questo problema ma, se la conformazione del territorio è tutta a saliscendi, la bici perde di efficacia.
Il ciclista è soggetto più di altri agli agenti atmosferici. Questo problema è però risolvibile con un minimo di organizzazione. Inoltre sono fattori che influiscono anche sugli altri modi di trasporto.



Bibliografia

  • Neil Kinnock, "Verso una corretta ed efficace determinazione dei prezzi nel settore dei trasporti - Libro verde", Commissione sui trasporti dell'Unione Europea, Bruxelles 1996
  • AA.VV., "Statistica degli incidenti stradali, anno 1994", I.S.T.A.T., Settembre 1995



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