Alberto Collidà
La bicicletta è un mezzo di trasporto urbano. Analisi generale e particolare
all'area torinese
Capitolo 1
La attuale organizzazione della mobilità urbana nelle città italiane è piuttosto
evidente.
E' difficile non accorgersi di come la componente principale sia la automobile
privata.
"Raschiando il fondo del barile" sarà ancora possibile un ulteriore incremento, ma ormai la motorizzazione di massa è avvenuta.
Ovvia conseguenza è stata la crescita esponenziale della domanda di infrastrutture
viarie.
L'offerta però non si è adeguata, per cui, in molti punti della rete stradale,
non soltanto urbana, si è rapidamente raggiunta e superata la capacità massima.
Il risultato non può che essere la congestione.
Una strada è in grado di portare un determinato numero di utenti, superato il
quale va in crisi e la circolazione si blocca. Con quali costi?
L'effetto della congestione è la sommatoria dei ritardi a cui ciascun utente
viene sottoposto. Essa equivale a perdite di tempo a cui in generale si
attribuisce un valore economico.
I costi della congestione sono perciò, oltre all'aumento dei consumi e
al relativo inquinamento, il valore monetizzato del tempo che la congestione
fa perdere.
Non sono facilmente valutabili (ogni utente vi attribuisce valore diverso), ma
quasi sempre sono sottostimati.
Infatti ognuno considera solamente il proprio tempo perso e non quello che fa
perdere agli altri utenti della strada.
In altre parole non vengono considerati i costi esterni della congestione.
Poiché tutti gli utenti si comportano così (valutando solo le proprie perdite),
i costi globali delle loro decisioni sono ampiamente sottovalutati e la domanda
di trasporto nei punti congestionati della rete resta elevata.
Questo non consente una efficace allocazione delle risorse per la società nel
suo complesso.
La questione delle esternalità è fondamentale per una corretta valutazione dei
costi del trasporto.
In una economia di mercato le scelte economiche sono in funzione soprattutto
dei prezzi, che dipendono dai costi.
Se non vengono considerate tutte le voci di costo, la domanda e l'offerta non
si incontreranno più nel punto di massimo vantaggio per la società nel suo
complesso: i costi esterni saranno, come dice la parola stessa, sostenuti da
terzi, senza alcuna contropartita.
Si verifica un "insuccesso del mercato", perché il singolo utente non considera
i costi sociali marginali derivanti dalle sue decisioni.
Si tratta quindi di determinare correttamente tutte le voci di costo del
trasporto e impostare una conseguente politica dei prezzi.
Per l'ambito urbano (ma sono considerazioni estendibili in generale) abbiamo
dunque accennato ai costi della congestione del traffico automobilistico.
Possiamo fare una classificazione di tutti i costi del trasporto privato a
motore, interni ed esterni, in 5 categorie.
Le spese di trasporto non soltanto hanno costi esterni che non ricadono
su chi li causa, ma succede che il singolo utente tenda a sottovalutare alcuni
capitoli di spesa che già adesso paga di tasca propria.
E' una situazione tipica del trasporto delle persone col mezzo privato a motore.
Per motivi di ordine culturale e psicologico molti computano soltanto il prezzo
del carburante e non considerano le altre voci di spesa per determinare il
costo chilometrico.
Spesso, costo del veicolo e relativo ammortamento vengono considerati a parte,
come se si trattasse di una spesa da fare comunque, senza correlarla ai
benefici ottenibili.
Le scelte di mercato dei consumatori, in qualche caso, rimangono più influenzate
da una pubblicità persuasiva che da una effettiva necessità.
Bisogna tuttavia riconoscere che molti utenti, anche se a conoscenza di tutti
i costi dell'automezzo privato, non hanno potuto fare una comparazione con
altre modalità di trasporto per il semplice fatto che queste non esistevano,
oppure non erano concorrenziali.
E' indubbio che l'automezzo privato ha delle qualità potenziali di praticità e
versatilità che la congestione inficia solo parzialmente.
Le scelte alternative, per essere credibili, devono avere un livello di qualità
paragonabile.
Sia l'oggetto di questo lavoro, la bicicletta, sia il trasporto pubblico,
soprattutto nei decenni passati, non sono stati messi in condizione di
competere col mezzo a motore privato.
Il problema dei costi delle infrastrutture e della loro realizzazione
in ambito urbano ha caratteristiche specifiche.
La presenza antropica dell'uomo condiziona tutto lo spazio a disposizione.
L'impianto urbanistico delle nostre città ha radici lontane, i centri storici
non sono certo stati dimensionati per grossi volumi di traffico e sosta
veicolare.
Questo è banale, ma anche quartieri più recenti e moderni sono in difficoltà
nel gestire il problema.
Costruire nuove strade o anche solo allargarle è una cosa che poteva
permettersi facilmente il Vittozzi, forte dell'autorità conferitagli da
Emanuele Filiberto, oppure lo Juvarra.
Oggi risulta già difficile imporre un senso unico o la sosta a pagamento degli
autoveicoli.
Vi è dunque un problema specifico di disponibilità di spazio che rende più
difficile realizzare nuove infrastrutture in ambito urbano.
La costruzione di infrastrutture nel sottosuolo "aggira", per così dire, il
problema sopracitato.
Il progresso delle tecniche di scavo apre nuove possibilità, ma tutto rimane
condizionato ai costi.
La questione dei costi e del sistema di imputazione degli stessi non è ancora
stata affrontata correttamente pur essendo centrale per il funzionamento del
mercato dei trasporti.
Facciamo una breve analisi. Per le infrastrutture dobbiamo distinguere tra
costi in conto capitale e costi di esercizio e manutenzione.
Il capitale investito da origine ad un costo fisso che non è in relazione col
livello di utilizzazione delle infrastrutture. Esso però deve essere in qualche
modo recuperato da chi ha investito il capitale.
Diverso è il discorso degli investimenti annuali fatti per migliorare le
infrastrutture già esistenti. Non è corretto imputarli agli utenti anche prima
della loro realizzazione (mentre dopo rientrano giustamente nel computo dei
costi annuali in conto capitale).
I costi di esercizio e manutenzione dipendono dalle quantità di traffico anche
se ci sono altri fattori da tenere in conto (ad esempio l'usura delle strade è
causata sia dal traffico che dalle condizioni ambientali come la pioggia o la
temperatura).
L'attuale sistema di recupero dei costi in Italia e in altri paesi europei è
basato sulle accise sui carburanti e sulle tasse automobilistiche annuali.
Per una parte della rete autostradale viene inoltre riscosso un pedaggio.
Da un punto di vista quantitativo il sistema consente probabilmente di
recuperare anche il valore dei costi esterni delle infrastrutture, ma presenta
due grossi difetti.
Innanzitutto il gettito così ottenuto non è direttamente impiegato per
compensare chi ha sopportato "direttamente" i costi esterni.
Inoltre il sistema di imputazione attuale è solo minimamente correlato
all'effettivo costo marginale che il singolo utente provoca all'infrastruttura.
Una tassazione basata sul chilometraggio realmente percorso e sul peso per
asse del veicolo sarebbe più giusta e più efficiente perché, soprattutto nel
trasporto merci, orienterebbe gli utenti verso soluzioni maggiormente
economiche limitando i viaggi inutili (ad esempio i ritorni a vuoto) o
scegliendo altre possibilità (come i trasporti intermodali).
La Svezia, prima di entrare nell'Unione Europea, aveva introdotto una tassa
chilometrica per i veicoli diesel in funzione della percorrenza (misurata da
un odometro) e del peso per asse.
Nel 1995 la Germania, la Danimarca e il Be.Ne.Lux. hanno imposto diritti di
utenza stradale per i veicoli pesanti, calcolati sull'effettivo impiego della
rete stradale.
Parlare dei costi degli incidenti non è piacevole.
Di fronte alle migliaia di persone che ogni anno muoiono sulle strade italiane,
ogni tentativo di monetizzare ciò che è causa di dolore e sofferenza potrebbe
sembrare fuori luogo e in parte lo è.
Tuttavia la "questione morale" esula dagli argomenti di questo lavoro. Quindi,
dopo aver osservato che una trattazione tecnico-economica dei problemi deve
essere sempre preceduta da una valutazione sotto il profilo "umano", non si
può non considerare il problema dei costi.
Questo perché le cifre degli incidenti sono impressionanti.
I dati dell' I.S.T.A.T. relativi al 1994, per quanto riguarda le strade
urbane in Italia, parlano di 2.713 morti (il 41,2% dei morti su ogni tipo di
strada) e di 165.617 feriti (il 69,2% di tutti gli infortunati) mentre il
numero degli incidenti ammonta a 124.965 (il 73,2% di tutti gli incidenti
stradali).
Esiste però un problema di definizione dei termini. Dal 1991 si intende per
incidente solo il sinistro che ha causato danni alle persone, mentre prima si
consideravano anche quelli che danneggiavano solo le cose.
Ci si è così uniformati alla definizione di incidente stabilita nel 1968 alla
Conferenza di Vienna sulla circolazione stradale. I dati precedenti al 1991
tengono dunque conto anche dei sinistri che hanno danneggiato solo le cose,
quelli successivi invece no: la valutazione dei costi da incidenti risulta
perciò sottostimata.
Su un altro punto, invece, le statistiche italiane non sono ancora armonizzate
con i dettami della Conferenza di Vienna: una persona viene considerata morta
solo se il decesso si verifica entro 7 giorni dall'incidente. Questo porta ad
una stima in difetto del 5% circa delle vittime per incidente stradale.
Correggendo il dato arriviamo a 2850 morti circa sulle strade italiane nel 1994.
Analizziamo l'andamento del fenomeno nel tempo.
Dal 1975 ad oggi si registra fortunatamente una diminuzione dei morti (9.511
nel 1975 contro 6.578 nel 1994, su ogni tipo di strada). La cosa spicca ancora
di più se si pensa che, nello stesso periodo, la motorizzazione è all'incirca
raddoppiata, mentre l'estesa chilometrica è quasi la stessa (in effetti qualche
aumento significativo c'è stato nelle autostrade, ma il relativo aumento di
traffico è stato di gran lunga superiore).
Il motivo è da ricercarsi nel miglioramento della sicurezza attiva e passiva
degli autoveicoli.
Invece il numero degli incidenti dal 1991 è fermo intorno alle 171.000 unità
(125.000 in ambito urbano). Fa eccezione il 1993 in cui ci sono stati 17.000
incidenti in meno. Questo si spiega con la recessione economica di quell'anno
che aveva ridotto la mobilità, sia delle merci che delle persone.
Analogo discorso per i feriti, stabili intorno a 240.000 infortunati (circa
166.000 in città), a parte il 1993, con 23.000 feriti in meno, per lo stesso
motivo.
I miglioramenti tecnici, almeno per adesso, incidono soprattutto sulla gravità
delle conseguenze più che sull'evitare gli incidenti. La soluzione va ricercata
principalmente in due campi. Prima di tutto con una maggiore cultura della
prevenzione. Purtroppo questa non è sufficientemente diffusa tra i guidatori,
sia occasionali che abituali. Inoltre, la diminuzione del traffico, come ci
confermano i dati del 1993, porta nelle condizioni attuali a un calo di
incidenti e feriti.
Questo si verifica soprattutto in città: la differenza tra il '93 e il '94 per
i feriti si è ottenuta nel 73,5% dei casi nelle aree urbane; per gli incidenti
ben il 77% della diminuzione si è verificata in città. Pure sotto questo
aspetto si evidenzia l'urgenza di dare alternative al trasporto privato.
Anche per questa voce di costo il sistema di imputazione non soddisfa del
tutto.
Una notevole quota è sostenuta dalla società nel suo complesso, non solo dagli
utenti della strada, mediante il sistema tributario generale.
Inoltre il sistema attuale dei premi assicurativi corrisponde solo minimamente
alla percentuale di rischio del singolo utente. Accettare, anche in questo
campo, il principio "chi inquina paga" significa che i premi devono essere
interamente proporzionati al rischio che ognuno produce.
Ciò è possibile, per esempio, riconoscendo il comportamento responsabile
dell'automobilista (registrazione delle violazioni del codice stradale) e la
sua abilità (esame e verifiche di guida più complete). Si incentiverebbe così
l'utente a ridurre il rischi o di incidenti nel modo che egli ritiene più
opportuno (maggiore prudenza, veicoli più sicuri, guidare meno, ... ecc.).
I costi per l'ambiente e la salute. E' una questione che riguarda
soprattutto le aree urbane.
Proprio lì, infatti, si produce la quota più rilevante dei fattori inquinanti.
Inoltre le conseguenze ricadono in gran parte direttamente sulle stesse aree
che hanno generato l'inquinamento.
Per essere precisi distinguiamo fra tre livelli: locale, regionale, globale.
Le maggiori responsabilità sono del trasporto su gomma ad ogni livello, ma la
cosa è ancora più accentuata nei grossi agglomerati cittadini.
A livello locale si registrano soprattutto danni alla salute (ad esempio
problemi respiratori) e alle cose (per esempio edifici e monumenti).
Le sostanze più dannose sono il biossido di zolfo, il piombo (ora ridotto nelle
nuove benzine) e il particolato.
A livello regionale è l'ambiente a subire le maggiori aggressioni, si pensi
al fenomeno delle piogge acide, ma gli effetti ricadono comunque sulla salute
umana.
Da un punto di vista planetario il fenomeno più preoccupante è "l'effetto
serra", per le emissioni di anidride carbonica. Fra gli altri gas di serra
ricordiamo i C.F.C. (emessi dai climatizzatori dei veicoli; saranno
sostituiti, in quanto distruggono l'ozono stratosferico, probabilmente dagli
H.C.F.C. che però sono ancora gas di serra) e l'ozono troposferico.
Quest'ultimo deriva dalle trasformazioni chimiche dei componenti organici
volatili e dei vari ossidi di azoto, dannosi anche a livello locale,
principalmente emissioni degli autoveicoli.
Un'altro tipo di inquinamento che ha effetti sulla salute è quello acustico,
appannaggio quasi esclusivo delle aree urbane.
In effetti, il modo in cui viene prodotto lo lega in maniera non lineare al
traffico: infatti esso dipende sia dal numero di sorgenti (gli autoveicoli),
sia dalla loro velocità.
Sarebbe comunque utile collegare la quantità di rumore emesso ad un sistema di
tassazione che favorisca i veicoli più silenziosi, comprese le due ruote, di
tutte le cilindrate.
Parte del rumore prodotto è causato dal rotolamento dei pneumatici sulla
strada. Il costo del danno che ne deriva si imputerà perciò alle infrastrutture
stradali che devono dotarsi di rivestimenti fonoassorbenti (anche dai
pneumatici sono ottenibili miglioramenti).
Come abbiamo detto, se si aumenta la velocità aumenta il rumore prodotto.
I miglioramenti tecnologici accennati possono ridimensionare il fenomeno.
In tali condizioni, la diminuzione del numero di sorgenti, in maggioranza
automezzi privati, consentirebbe di limitare con certezza l'inquinamento sonoro.
Le alternative si riconducono a due campi di azione: uno è il trasporto
pubblico, l'altro è il trasporto in bicicletta. Vi sono o vi possono essere
delle difficoltà già nel gestire al meglio le risorse, al fine di evitare
sovrapposizioni di intervento in certe zone e nulla in altre.
Gli effetti sulla salute sono variabili: se si pedala in un ambiente non
inquinato viene persino consigliato dai medici per gli effetti positivi che ha
sulla circolazione sanguigna e sul cuore stesso.Inoltre contribuisce a
mantenere alto il tono muscolare.
Le caratteristiche positive sin qui esaminate sono più o meno direttamente
collegate al motore "umano". L'altra faccia della medaglia riguarda le
limitate prestazioni che proprio questo motore è in grado di fornire.
Possiamo dire che esiste una finestra in cui la bicicletta è il veicolo più
idoneo (in breve gli spostamenti di persone con piccoli pesi in ambito urbano),
ma al di fuori di questo non è proponibile come trasporto di massa.
Un altro punto debole è la marcia su strade in salita. La già scarsa potenza
umana varia da soggetto a soggetto e non tutti sono in grado di vincere
pendenze elevate. Un buon cambio può ovviare a questo problema ma, se la
conformazione del territorio è tutta a saliscendi, la bici perde di efficacia.
1.2 Necessità di creare una rete di trasporti integrata più
razionale
Come abbiamo già accennato, la internalizzazione dei costi darebbe all'utente
una visione corretta sulle conseguenze delle proprie scelte di trasporto.
Questo dovrebbe orientarlo su altri modi di spostamento. Consideriamo la
mobilità delle persone in ambito urbano. Il punto è questo: qual'é il livello
di offerta alternativo al mezzo privato?
Per essere credibile la qualità deve avere lo stesso ordine di grandezza.
I criteri di valutazione sono molteplici.
Innanzitutto la capillarità, bisogna che siano raggiungibili tutti i
punti del tessuto urbano. Qualsiasi intervento deve essere concepito a livello
di rete.
La velocità, intesa come velocità media nel compiere il tragitto porta
a porta, deve essere uguale, se non maggiore, rispetto al veicolo privato. Diversamente l'automobilista non rinuncia al suo mezzo.
La disponibilità. Il grande pregio della mobilità privata consiste
nella libertà di scelta che permette all'utente: può partire quando vuole per
andare dove vuole (se il traffico non è congestionato). L'offerta alternativa
deve coprire tutte le fasce orarie.
La accessibilità: la difficoltà a trovare parcheggio ha ridotto questa
caratteristica per il mezzo privato, in molte zone urbane. In generale l'auto
resta, per adesso, molto più accessibile delle alternative (ad esempio la
bicicletta ha pochi spazi di sosta riservati oppure le stazioni ferroviarie
risultano a volte scomode da raggiungere, con percorsi poco agevoli, specie
per i disabili).
La piacevolezza è molto importante: il livello di comfort che le
autovetture presentano è elevatissimo, anche in vetture non di lusso.
Fa parte delle strategie commerciali dei produttori, per accrescere la propria
quota di mercato. Anche le alternative devono essere piacevoli (si pensi alle
stazioni del VAL, la metropolitana di Lille: ben curate, ciascuna arredata
con uno stile diverso, belle e facilmente riconoscibili).
Peraltro, esiste anche una complementarietà tra la bicicletta e il mezzo
pubblico. La prima, in molti casi, è un modo per accedere al secondo, quasi
come un sistema ettometrico. Questo può accrescere notevolmente la potenzialità
del servizio pubblico.
Esso deve però essere efficiente e garantire prestazioni migliori della
bicicletta stessa (si pensi alla velocità commerciale). In caso contrario
l'interscambio avrebbe poco senso, anzi molti abbandonerebbero il mezzo
pubblico a favore della bicicletta.
Ciò non è del tutto negativo, ad esempio se consente di limitare il
sovraccarico dei mezzi pubblici nelle ore di punta.
La concorrenza tra servizio pubblico e bicicletta è un problema di cui tenere
conto, ma la questione della razionalizzazione si gioca su ben altri fronti.
E' all'interno del servizio pubblico che l'integrazione molto spesso resta
insoddisfacente.
Ci sono, proprio in questi anni, iniziative positive che indicano un
cambiamento di tendenza, si pensi alle politiche di integrazione tariffaria
nelle maggiori città italiane.
Purtroppo la sovrapposizione dell'offerta è ancora frequente.
Capita che una stessa tratta venga servita per esempio da una linea ferroviaria
e da una di bus, senza la minima collaborazione sugli orari che risultano
quasi identici. Oppure che pullman vuoti passino davanti a fermate stracolme
di gente e non possano caricare nessuno perché il loro contratto non lo prevede.
Il concetto di rete è senza dubbio fondamentale, ma non deve essere accettato
acriticamente e senza soppesare tutti gli effetti. La scelta che 15 anni fa
portò Torino ad optare per il sistema di metropolitane leggere, al posto di
iniziare la costruzione di linee "pesanti", deve insegnare qualcosa.
Un sistema in superficie, anche se protetto, è più simile a un tram (certo non
da buttar via) che ad una metropolitana. Se poi se ne realizza solo una parte,
l'efficacia è ancora più bassa.
Si deve perciò pianificare con certezza la politica degli investimenti anche
sul lungo periodo, in modo da non disperdere le risorse già scarse di per sé.
1.3 Vantaggi e svantaggi della bicicletta
Qual'é il ruolo che la bicicletta può svolgere nel sistema dei trasporti
urbani?
Essa presenta delle caratteristiche funzionali che, almeno potenzialmente,
possono soddisfare una buona parte delle esigenze di mobilità.
Una delle ragioni è da ricercarsi nel rapporto più che favorevole tra massa
trasportata e massa del veicolo (potremmo definirlo come efficienza di massa
relativa).
Se considero una bicicletta media di 12 kg (ma le bici in commercio oggi pesano
anche meno), il rapporto varia più o meno tra 5 e 7, a seconda del peso del
ciclista.
Se lo stesso ciclista prende la macchina, una vettura media intorno ai 1.200
kg, il rapporto è decisamente più basso: due ordini di grandezza in meno!
Certamente l'auto può portare 4 o 5 persone, nel qual caso la biciclette
risultano "solo" 20 volte più efficienti. Sappiamo però che l'uso dell'auto
in città è caratterizzato proprio da uno scarso riempimento dei posti
disponibili.
Anche il confronto con i mezzi pubblici risulta vincente.
Prendiamo come riferimento l'autobus urbano a due assi "480" dell'IVECO, con
capienza massima di 115 posti. La tara è di 10.550 kg. La massa trasportabile,
a pieno carico, arriva a 7.820 kg. Il rapporto è uguale a 0,74 nel caso più
favorevole.
Le dimensioni di ingombro, sia in sosta che in movimento, sono minime. Ciò
consente di realizzare le già poche infrastrutture necessarie con spesa e
consumo di spazio limitati. Quest'ultima è una qualità preziosa nei nostri
spazi urbani. In particolare nei centri storici la bicicletta è in grado di
muoversi agilmente e di sfruttare spazi improponibili agli autoveicoli.
Un altro aspetto a favore della bicicletta è quello riguardante i costi per
l'utente.
Sia il costo di accesso, cioè per l'acquisto della bicicletta che il costo di
utilizzo (in pratica la manutenzione) sono molto bassi. Anche qui siamo
inferiori di due ordini di grandezza rispetto all'auto privata (in effetti la
gamma dei prezzi è amplissima).
Discorso diverso se si pedala in un ambiente inquinato come molte delle
strade cittadine. Gli aspetti positivi permangono, ma ne nascono altri negativi
legati alla qualità dell'aria e allo stress sonoro e psichico (se si è
coinvolti nel traffico). Non è più possibile affermare con la certezza di
prima che pedalare "faccia bene".
Però, in relazione agli altri utenti della strada le emissioni di inquinanti
sopportate dai ciclisti sono quasi le stesse. La concentrazione
dell'inquinamento varia con la altezza da terra (i passeggini bassi sono
pericolosi), ma per il resto è abbastanza uniforme.
La posizione del marciapiede non garantisce il pedone. Lo sforzo del ciclista
urbano medio è paragonabile al pedone. La sua respirazione è normale.
I polmoni assorbono la stessa quantità di inquinanti.
Anche rispetto agli automobilisti la situazione non è peggiore, dato che la
composizione dell'aria dentro l'abitacolo è la stessa di quella esterna.
La sensazione olfattiva è sensibile alle variazioni più che all'intensità,
l'abitacolo attenua queste variazioni, dando una sensazione fittizia di minor
inquinamento.
Dunque, rispetto al traffico motorizzato, l'inquinamento sopportato è circa
uguale, ma non certo quello prodotto. Infatti, dal punto di vista ambientale
le controindicazioni sono quasi nulle: nessuna emissione nociva, livello
sonoro generato prossimo a zero per le bici nuove o mantenute efficienti,
comunque molto basso anche nei casi peggiori.
Il record dell'ora su pista è di 55.291 metri, stabilito a Bordeaux il 5
Novembre 1994. Nelle gare su strada dei professionisti, di molte ore, si
tengono velocità medie oltre i 40 km/h, ma la massa dei ciclisti urbani è
lontanissima da tali prestazioni. Un obiettivo realistico, anche se già
difficile, potrebbe essere i 25-30 km/h mantenuti per un paio d'ore (cioè
quello che riesce a fare un ciclista sportivo dilettante senza pretese, nei
primi allenamenti).
I mezzi a motore, sia pubblici che privati, sono decisamente più veloci.
Anche per il trasporto merci la capacità della bicicletta è piuttosto scarsa.
C'è ancora la possibilità di usare un rimorchio (pesano 10-15 chili circa,
per una capienza intorno ai 200 litri), ma siamo ai limiti del motore umano.
In questo campo ci sono comunque interessanti margini di miglioramento: un
gruppo di studenti di architettura del Politecnico di Milano ha realizzato,
come tesi di laurea, un veicolo sperimentale, pensato proprio per fare la spesa.
In pratica è un triciclo con le ruote accoppiate davanti. Sopra di esse c'è
un vano bagagli che porta fino a 30 chili. La parte davanti, con ruote e vano
bagagli, è staccabile ed utilizzabile come carrello.
Il ciclista è soggetto più di altri agli agenti atmosferici. Questo problema
è però risolvibile con un minimo di organizzazione. Inoltre sono fattori che
influiscono anche sugli altri modi di trasporto.
Bibliografia