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CD Stradivarius
STR 33895 (Milano, 2011)
prodotto da Rive-Gauche Concerti
con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT.
Quinto CD della serie dedicata al repertorio vocale da camera contemporaneo.
Interpreti:
Duo Alterno (Tiziana Scandaletti soprano,
Riccardo Piacentini
pianoforte),
con la partecipazione dell'Orchestra
I Pomeriggi Musicali diretta da
Roberto Gianola
e con
Carla Savoldi
flauto
Virginia
Arancio chitarra elettrica.
Note musicologiche di Guido Barbieri.
Riduzione per il Duo Alterno Lorenzo Ferrero
Canzoni d'amore (1985)
I. Mi palpita il cuore
II. Se un altro amore
III. Che legge spietata
IV. Torna la calma in noi
V. Se altro che lacrime
VI. Pensa che resto e soffro
VII. Sono un fiume che gonfio di umori
Testi di Pietro Metastasio rivisitati da Marco Ravasini e Lorenzo FerreroGiorgio Battistelli
Lettera di Angela (2008-10)
Dall'opera “Divorzio all'italiana”
Testo di Giorgio Battistelli
Fabio Vacchi
Estratto dall'Autore per il Duo Alterno
Aria di Nadia (2009)
Dall'opera “Lo stesso mare”
Testo di Amos Oz
Dedicato al Duo Alterno
Quattro Divertissement amorosiPieralberto Cattaneo
Se... (2009)
per voce, flauto e pianoforte
Sull'aria “Se tu m'ami” di Giovan Battista Pergolesi
Testo di Paolo Antonio Rolli
Carla Savoldi flautoVictor Andrini
Dedicato al Duo Alterno
Marcello's Divertissement (2008)
per soprano, chitarra e pianoforte
Sull'aria “Quella fiamma che m'accende” attr. a Benedetto Marcello
Testo di Anonimo
Virginia Arancio chitarra elettricaRiccardo Piacentini
Canson piemontéisa (2010)
per soprano, pianoforte, orchestra e foto-suoni
Su un'antica melodia popolare piemontese (“La pastora e 'l lüv”)
Testo di Anonimo
Duo Alterno e Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano diretta da Roberto Gianola
ESECUZIONE LIVE, MILANO, TEATRO DAL VERME, 28.11.2010Da “Quattro canzóne napulitane” (2010)
per soprano, pianoforte, orchestra e foto-suoni
Su romanze napoletane di Gaetano Donizetti
I. La conocchia
II. Me voglio fà 'na casa
III. Lu trademiento
Testi di Anonimo
Duo Alterno e Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano diretta da Roberto Gianola
ESECUZIONE LIVE, MILANO, TEATRO DAL VERME, 28.11.2010
Il Duo Alterno racconta...
Canti d’amore. Una prospettiva irrinunciabile anche nella musica “contemporanea” più colta e impegnata. Si può tranquillamente dire, in questo caso schematizzando, che non ci sia compositore per definizione “colto” oppure “popolare”, autore di musica “leggera” oppure “pesante” (come amava ironizzare Franco Donatoni), algido madrigalista o dark rockettaro, ipersensibile ai trionfi dello share o al contrario indifferente ed eburneo, che non venga colpito e a sua volta colpisca con almeno un canto d’amore. Magari involontariamente, in modo implicito o persino imbarazzato...
La «cultura» – scriveva Max Weber nel 1904 sulla rivista Archivio di scienza sociale e politica sociale – «è una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo». E ancora, nel 1905 in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo: l’analisi storica è sempre «prospettica», è un «punto di vista» basato su «costruzioni idealtipiche» che l’uomo «liberamente» adotta.
Sembrano dichiarazioni d’amore, queste di Weber, che forse sua moglie Marianne, sociologa e femminista ante litteram, inseparabile compagna anche quando si trattò di proseguire l’opera del marito post mortem, potrebbe confermare come tali. In quel capolavoro di definizione di un termine altrimenti cattedraticamente asettico e non certo colluso con banali faccende sentimentali c’è un non so che di inquieto, di passionale ed erotico, c’è un porre al centro l’uomo con i suoi “punti di vista” e le sue fisiologiche pulsioni che, in assoluto, sono senza senso ma, relativamente ovvero contestualmente, assumono un significato profondissimo. In una parola, sono umani.
Abbiamo pensato che non possa che essere legittimo, ed anzi necessario, visti i fatti, dedicare questo CD della silloge La voce contemporanea in Italia a quella prospettiva irrinunciabile che ancora oggi, se non soprattutto oggi, emerge nella cultura, nell’arte e nella musica (perché la musica, “leggera” o “pesante” che sia, è comunque cultura!) e che si traduce sorprendentemente in canto d’amore.
Dalle Canzoni d’amore di Lorenzo Ferrero su testi di Metastasio rivisitati con sorriso intelligente e malizioso da Marco Ravasini e dallo stesso Ferrero, agli estratti così ricchi di espressività e passione dalle recenti opere di Giorgio Battistelli (Divorzio all’italiana) e Fabio Vacchi (Lo stesso mare), traslati per voce e pianoforte proprio per il Duo Alterno, ai Quattro Divertissement amorosi, sempre dedicati al Duo Alterno, che concludono il disco, si sono qui raccolte diverse declinazioni dell’amore, non escludendo un affondo in tradizioni vocali (Marcello, Pergolesi, Donizetti, Sinigaglia) che dei canti d’amore sono maestre non certo dimenticate dai compositori dell’oggi.
Accanto al sorriso disincantato e post-moderno, è l’erotismo che prorompe in lavori come le Canzoni d’amore (1985) di Lorenzo Ferrero, carichi di energia irrefrenabile e birichina che ti trascina dal primo al settimo brano, con qualche momento di apparente calma (come nel n. 4, Torna la calma in noi, che in realtà crea uno stato di sospensione interrogativa e tutt’altro che rassicurante). Eseguire questo lavoro di oltre venti minuti, qui inciso per la prima volta nella sua versione integrale per voce e pianoforte, è un’esperienza atletica di notevole impegno. Prima dell’incisione ne abbiamo curato diverse esecuzioni pubbliche, anche se parziali, dalla Serbia a Singapore, l’Australia e, per l’Italia, a Torino e Noto, sempre con entusiastici apprezzamenti da parte del pubblico.
Più brevi, ma intensissime, le più recenti composizioni di Giorgio Battistelli e Fabio Vacchi. La prima, Lettera di Angela (2008-10), è un’aria dalla connotazione viscerale e neo-verista, un’autentica scena di teatro che abbiamo eseguito per la prima volta al Lee Foundation Theater della Nanyang Academy of Fine Arts di Singapore il 6 ottobre 2010 tra un pubblico di professori e studenti con gli occhi a mandorla da cui trapelava visibilmente, anche agli occhi di noi occidentali, un’emozione curiosa e sincera. La seconda composizione, Aria di Nadia (2009), da noi eseguita in prima assoluta al Beijing Modern Music Festival il 25 maggio 2010 per un pubblico quasi interamente cinese ma con la presenza di una nutrita delegazione della Julliard School di New York tra cui spiccavano personalità come Samuel Adler e Joel Sachs, è anch’essa dedicata a una figura femminile sbalzata sullo stage cameristico da una vera e propria scena teatrale, ma in questo caso dalla natura vagamente saffica e profumata da suggestive atmosfere esoticheggianti. In entrambi i casi, i compositori hanno predisposto un estratto opportunamente elaborato per il Duo Alterno.
I “Quattro divertissement amorosi” che compongono la seconda parte del disco sono stati anch’essi composti nell’arco degli ultimi tre anni e costituiscono una sorta di polittico nel quale il nostro Duo ha collaborato di volta in volta con artisti e formazioni esterne quali il chitarrista di Portland (Oregon) Bryan Johanson, il flautista Massimo Mercelli, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano. Queste collaborazioni si aggiungono, per quel che riguarda La voce contempornea in Italia, a quelle precedenti con la violoncellista di New York Madeleine Shapiro (secondo CD) e il Quartetto Penderecki di Toronto (quarto). Inutile dire che si è trattatato di collaborazioni oltremodo preziose per la crescita umana e artistica del Duo Alterno. In questo caso, però, per ragioni pratico-logistiche unite alla volontà di coinvolgere una fascia di musicisti anagraficamente giovani, sono stati scelti la chitarrista alessandrina Virginia Arancio e, da Bergamo, la flautista Carla Savoldi che regolarmente collaborano con i rispettivi compositori.
Tutti i divertissement nascono per il nostro Duo e su una precisa idea di Tiziana: lasciando inalterata o quasi la parte del canto, rivisitare alcune note arie da camera del Sette-Ottocento italiano recontestualizzandole in un universo di suoni dichiaratamente attualizzato. Il risultato, come comprensibile, varia sensibilmente da autore ad autore e, se nel brano di Pieralberto Cattaneo (che sulla partitura si firma Pergolaneo) si dà un sottile e ricercato contrappunto a tre dove l’umorismo non è mai smaccato ma anzi pieno di garbo e gentilezza, pallido antidoto al dolore per un grave lutto familiare occorso al compositore pochi mesi prima, nel Marcello’s divertissement di Victor Andrini la chitarra elettrica si intromette come un “Pierino guastafeste” che interagisce attraverso una miriade di live effects che sembrano voler minare la stabilità di un Duo che, malgrado tutto, “tira dritto” e pare dirsi «non ti curar di loro, ma guarda e passa». Interessante metafora dei nostri tempi...
Diallettali gli ultimi due pezzi, sul filone di una serie articolata di lavori frequentemente programmati dal Duo Alterno, parte viva del suo repertorio: Regata veneziana di Gioachino Rossini, romanze napoletane di Gaetano Donizetti (versioni originali per voce e pianoforte), ‘A vucchella di Francesco Paolo Tosti, Vecchie canzoni popolari del Piemonte di Leone Sinigaglia, Quattro canti su antichi testi napoletani di Giorgio Federico Ghedini, Quattro favole romanesche di Alfredo Casella, El fior robà da “Quattro liriche per canto e pianoforte” di Valentino Bucchi, Quattro canzoni popolari di Luciano Berio... fino ai viventi, tra cui Ada Gentile con Come passa la giornata Betty Boop (con frammenti in romanesco su testi di Sandro Cappelletto) e Giorgio Colombo Taccani con L’àgnili, in dialetto sardo, lavori entrambi dedicati al Duo Alterno.
La Canson piemontèisa e le Quattro canzone napulitane sono presentate con il Duo Alterno in live recital del 28 novembre 2010 al Teatro Dal Verme insieme all’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano diretta da Roberto Gianola. La loro particolarità sta nel fatto che la rilettura mantiene inalterata la parte vocale delle melodie popolari di origine, desunte nel primo caso dalla raccolta di Costantino Nigra successivamente utilizzata da Leone Sinigaglia e, nel secondo, da quattro delle più celebri canzoni in dialetto napoletano di Gaetano Donizetti (l’ultima, per essere precisi, di incerta attribuzione). Il “multiverso” sonoro che si sviluppa intorno è davvero una «costruzione idealtipica» poliprospettica, forse anche un po’ eccedente se non debordante considerata la presenza dei “foto-suoni” (ovvero estratti del paesaggio sonoro secondo la poetica del foto-suono di cui si possono trovare notizie su www.rivegaucheconcerti.org) e la densa elaborazione contrappuntistica del tessuto orchestrale. Ciò si pone sulla scia di un repertorio “generoso”, che non solo risponde pienamente alla definizione weberiana di cultura ma, più recentemente, fa eco allo splendido monito dell’anarchismo metodologico di un campione della libertà di pensiero come Paul Feyerabend: non omologare incorrendo in imperdonabili e strumentali semplificazioni, ma piuttosto «conquistare l’abbondanza»!
Note illustrative, a cura di Guido Barbieri
L’aporia più misteriosa della modernità è il canto. Una contraddizione irrisolvibile, un enigma, un peso insopportabile: non poter più cantare ciò che si è sempre cantato. Un dolore, spesso una rinuncia. E senza sapere nemmeno di preciso il perché. Perché è così difficile tendere l’arco del canto quando si rinuncia, volontariamente o storicamente, alla regola della gerarchia tra i suoni, ossia alla “carta costituzionale” del sistema tonale? Perché la linea del canto, sottratta al principio di differenza e di attrazione tra i suoni, sembra piegarsi sotto il peso del testo e non può far altro che rifugiarsi nel compromesso della declamazione? Un modus cantandi potente, formidabile, fatto di fuoco, di tempesta e di pietra, ma irrimediabilmente alieno rispetto al canto. E perché l’aporia del canto solo non sembra togliere il fiato, ad esempio al “cantare insieme” e tanto meno alle infinite forme del cantare senza voce? C’è forse qualche cosa nella vox humana, e nella sua disposizione naturale alla monodia, che richiede, per necessità, una successione di suoni regolata dai principi della tensione e della risoluzione, una prosodia regolata dalle norme della cadenza e della sensibile? Perché il flatus vocis, durante la corsa della intonatio, sembra aver bisogno, quasi fosse un maratoneta stanco, della sosta, del riposo e poi, alla fine, del ritorno allo status quo ante, alla ipostasi gloriosa della tonica?
Il nuovo capitolo della indagine svolta dal Duo Alterno intorno alle forme della vocalità contemporanea vuole, se non rispondere, quanto meno condividere la serie inquieta di questi interrogativi sospesi… I sei compositori di diversa generazione, e di diversissima ambientazione stilistica, riuniti per l’occasione nella “casa” di questo disco, sembrano innanzitutto condividere una premessa estetica che si trasforma all’istante in una opzione “militante”: nessuno di loro pare avere alcuna intenzione di rinunciare alla battaglia, di evitare lo scontro duro e dall’esito per niente scontato, con le aporie del canto. Nessuno ha l’aria un po’ furbetta di rifugiarsi nel compromesso, nella melina, nella danza del pugile che saltella su se stesso, o disegna cerchi leziosi intorno all’avversario per paura di sferrare per primo il sinistro. Ognuno di loro, naturalmente, interpreta il match contro Mister “The Monster” Song ricorrendo alle molteplici strategie della noble art, ma tutti rimangono a gambe ferme al centro del ring.
Lorenzo Ferrero, ad esempio, mette in scena con le sue Canzoni d’amore sette micro opere che possiedono la veste della romanza da camera, ma il corpo di veri e propri melodrammi in miniatura. Regia, scene e costumi sono racchiusi nella voce femminile, orchestra e direttore si muovono invece sulla tastiera del pianoforte. Non sono solo le scelte poetiche del musicista a soffiare il flatus vocis del teatro nella trama esile dei testi: Ferrero, con la complicità di Marco Ravasini, si rivolge alla “poesia per musica” di Pietro Metastasio e si lascia guidare con molta fiducia, dalla metrica, dalla prosodia, dall’incedere ritmico dei sette componimenti: ma è la scrittura vocale di Ferrero a possedere una immediata icasticità rappresentativa. L’intonazione del verso è, prevalentemente, di tipo sillabico e non lascia affiorare alcun intento di tipo virtuosistico: l’escursione intervallare è limitata e il canto procede per gradi vicini senza mai disegnare archi melodici troppo ampi. Per contro l’accompagnamento pianistico è denso, corposo, di carattere accordale, e tiene lontana ogni tentazione astrattamente contrappuntistica. Dove abita allora la profonda, istintiva teatralità di queste pagine? Nella capacità di ogni singola parola di evocare, attraverso il suono, una immagine narrativa precisa e definita. Grazie a questo artifizio retorico, che i rètori antichi definivano “ipotiposi” (ma non c’è niente di artificioso nei procedimenti di intonazione adottati da Ferrero…), ogni testo si trasforma, come accade nella prassi del lied tedesco, in un minuscolo teatro in miniatura in cui la voce è il gesto, il pianoforte l’orchestra, il testo la scena.
Anche la Lettera di Angela di Giorgio Battistelli, frammento, ben rappresentativo dell’insieme, dell’opera Divorzio all’italiana, rivela all’ascolto una esplicita inclinazione narrativa. Si tratta però, rispetto alle Canzoni di Ferrero, di una narratività più immediata e trasparente, meno allusiva e metaforica: dal teatro in miniatura del lied si passa qui al gran teatro del mondo… Il libretto dell’opera, andata in scena per la prima volta a Nancy nel 2008, segue con affettuosa fedeltà la sceneggiatura del film di Pietro Germi che nel 1961 segnò una svolta angolare nella storia della “commedia all’italiana”: il genere madre del cinema nazionale stava proprio allora abbandonando la farsa “a soggetto”, legata agli stereotipi comici dello “spettacolo di varietà”, per adottare modelli narrativi più complessi che, raccogliendo in parte l’eredità della breve stagione del neorealismo, insinuava nel canonico canovaccio della “commedia di caratteri” l’ombra realistica, se non del dramma, almeno, della comédie serieuse. Una “serietà”, a volte sconfinante in un mood malinconicamente amaro, ottenuta con mezzi, per così dire, impropri e cioè con una intenzionale forzatura del registro parodistico. E’ proprio questa la vena che Battistelli coltiva con particolare acribia nell’orto della sua partitura. La scelta strategica di affidare tutte le “parti in commedia” tranne quella di Angela a interpreti maschili (incluso il ruolo già di per sé grottesco di Donna Rosalia) va esattamente in questa direzione: pervenire al grado zero della farsa spingendo parossisticamente sul pedale stilistico della parodia. Una sorta di potente cura omeopatica che ha effetti davvero miracolosi… La versione pianistica della Lettera di Angela, espressamente dedicata al Duo Alterno, sembra discostarsi, apparentemente, dal main stream stilistico dell’opera: nel rivolgersi in modo accorato e tenero al suo “Fefé adorato” Angela, interpretata nel film di Germi da una giovanissima Stefania Sandrelli, schiude all’ascolto più il registro patetico- sentimentale-nostalgico che quello farsesco e parodistico. Eppure la linea del canto lascia affiorare una serie di figure stilistiche piuttosto contraddittorie: nelle prime quattro misure, ad esempio, il glissato ripetuto sulle quarte discendenti che intonano il nome di Fefè, oppure il trillo piuttosto aspro che insiste sul registro acuto del pianoforte e poi tocca tutti suoni della vertiginosa scala ascendente finale. O ancora gli intervalli ampi e marcati che intonano, seguendo una forte curvatura ascendente-discendente, le cellule motiviche fondamentali della parte vocale. Tutti sintomi, sembra di poter dire, di una “smorfia” appena visibile, quasi di un “tic” facciale (simile a quello che affiora a tratti sul volto marmoreo di Marcello Mastroianni) che deforma la sobria e cantabile linearità della lettera di Angela. E che lascia intravedere, pur nella apparente compostezza dell’incedere melodico, il ghigno obliquo della parodia: anche in questa pagina apparentemente atipica, dunque, si coglie dietro la facciata del codice d’amor borghese, la presenza di un eros insistente, pervasivo ed onnipresente.
E’ un teatro intimo, un teatro da camera (quasi “musica reservata”…) quello che fa da cornice, invece, alla Aria di Nadia di Fabio Vacchi, anch’essa “frammento d’opera”, come nel caso della Lettera di Battistelli: questa piccola tessera dai colori tenui e quasi esitanti appartiene al mosaico prossimo venturo de Lo stesso mare, il lavoro teatrale nato dalla “amicizia poetica” con Amos Oz che vedrà la luce al Teatro Petruzzelli di Bari nel corso del 2011. Impossibile dire ovviamente, in questo caso, se la tessera, per altro davvero “in miniatura”, sia davvero rappresentativa del mosaico o se invece ne rappresenti una più meno vistosa anomalia. Si può azzardare l’ipotesi però che lungo le trentadue scarne misure dello spartito per canto e pianoforte (un’altra dedica ad personam al Duo Alterno) Vacchi adotti uno stile di intonazione fortemente sperimentale, non molto frequente nelle sue composizioni “drammatiche”. La linea di canto, di per sé piana, discorsiva, fondata su minimi scarti intervallari e sulla frequente ribattitura di una iterativa “corda di recita”, viene continuamente spezzata, incurvata, frammentata, da una serie di frequentissime acciaccature: cellule di uno, due o tre suoni che come prescrive lo spartito devono “eseguirsi come portamenti, sempre il più velocemente possibile”. Ogni suono cardine della melodia principale viene sistematicamente anticipato da un gruppetto di acciaccature in modo che la voce giunga ad intonare la nota “prescritta” dopo una rapidissima serie di oscillazioni, ondeggiamenti, approssimazioni, come accadeva nella tecnica antica, propria del canto trobadorico, del “cercar la nota”. Come se il suono fosse insomma una leggera creatura alata che tocca terra dopo essersi consegnata al corso delle correnti. L’effetto all’ascolto, per ciò che si può inferire dalla notazione scritta, è duplice: da un lato l’arco melodico non può che piegare, fatalmente, verso una declamazione rapinosa, veloce, quasi sussurrata che insinua nel ductus testuale frammenti sonori e cellule asemantiche del tutto irrelate rispetto all’ordine discorsivo. Dall’altro si crea, quasi come negli arcaici organa medievali, uno sdoppiamento del tutto immaginario tra la melodia principale e la melodia secondaria: il tenor è costituito dai suoni “larghi” che segnano la scansione sillabica del testo, mentre il duplum risulta dai suoni stretti, dai frammenti “decorativi” disegnati dalle acciaccature. E in alcuni passaggi, come accade nelle Invenzioni a due voci di Bach, le due parti reali creano una parte “terza” invisibile, immaginaria, ma perfettamente udibile, prodotta dagli effetti di eco e di risonanza tra i suoni reali. E’ proprio in questo spazio immaginario che trova significato e ragione l’esile tracciato dell’ Aria di Nadia: se il testo di Amos Oz sembra descrivere una sorta di nostalgico, intimo planctus arcadico, un malinconico congedo dalla vita scandito dalla presenza di semplici oggetti concreti (una tovaglietta che non sarà mai finita, il vino, il latte di capra, l’ombra delle montagne, il canto dell’usignolo) il canto ha (letteralmente) l’”aria” di voler trascendere la cornice delle “piccole cose” per tracciare il diagramma fedele di una ansietà, di un flatus vocis irrequieto e febbrile che non sa rassegnarsi, in realtà, allo strappo dell’esistenza.
Una oasi appartata è costituita, nel progetto del disco, dai due “divertissements amorosi” di Pieralberto Cattaneo e Victor Andrini. Se e Marcello’s Divertissement sono due pezzi per molti versi “gemelli” e costituiscono un sorta di dittico “ideale” in cui le evidenti simmetrie sono tanto forti quanto i reciproci contrasti. Entrambi, per cominciare, smontano e rimontano due semplici oggetti musicali che nel lessico del leggendario Parisotti si sarebbero chiamati “arie antiche”: nel primo caso l’aria “Se tu m’ami” di Giovanni Battista Pergolesi su testo di Paolo Antonio Rolli, nell’altro l’aria “Quella fiamma che m’accende” attribuita a Benedetto Marcello e su testo anonimo. Il principio estetico coltivato dai due compositori non è però quello del calco, della citazione, della mera riscrittura in chiave “moderna” di un testo del passato: semmai il disegno stilistico è quello del sincretismo, della ibridazione tra matrici profondamente e irriducibilmente diverse. Anche l’organico dei due brani presenta evidenti relazioni di identità: la voce e il pianoforte rappresentano, in tutti e due i casi, i poli estremi della scrittura, ossia l’individuazione del principio monodico e di quello polifonico. Al centro “prospettico” di questa opposizione vi sono due voci “aliene”: nel pezzo di Cattaneo il flauto, in quello di Andrini la chitarra elettrica. Qui si interrompe però il gioco delle somiglianze e dei richiami. La scrittura vocale e strumentale dei due lavori non potrebbe presentare caratteri più differenziati.
Se… si presenta alla lettura (e all’ascolto) come un consapevole, smaliziato, coltissimo studio sulle forme storiche della vocalità cameristica. Il riferimento esplicito, fin troppo “esibito”, all’aura stilistica del tempo di Pergolesi non possiede dunque alcun intento parodistico, né alcuna intenzione restaurativa. L’aria da camera “Se tu m’ami, se sospiri”, di per se stessa estranea all’universo operistico, svolge dunque la semplice funzione di un segna tempo storico: è un punto di partenza temporale che viene immediatamente superato dal palese riferimento, in apertura del brano, alle tecniche e alle forme della contemporaneità: prima dell’ingresso della voce il flauto, sulle armonie cromatiche del pianoforte, espone una piccola antologia delle sonorità tipicamente novecentesche dello strumento: gli armonici sui suoni sovracuti, le linee fortemente spezzate della melodia, il frullato prolungato su una nota fissa. Un gesto sonoro “ampio”, di forte impatto immaginativo, che viene in un certo senso raddoppiato nel finale quando la partitura, dopo la ripresa dell’incipit, prescrive agli interpreti di pronunciare la sillaba “se” (alfa e omega del brano) parlando “dentro” lo strumento e creando dunque imprevedibili effetti di risonanza. Tra questi due “estremi” voce, flauto e pianoforte sfogliano il libro di storia della vocalità cameristica restituendo ogni possibile forma di intonazione del testo: una straniata melodia cromatica discendente della voce (nelle prime misure), una declamazione fortemente accentata molto vicina al cantato-parlato, un “canto a due” in contrappunto col flauto, un arioso che tende l’arco vocale fino a raggiungere una esplicita ed esibita cantabilità.
La ratio stilistica di Marcello’s Divertissement è in certo senso più netta ed icastica: in questo brano di forte “visionarietà” timbrica, le relazioni tra il testo e la sua amplificazione sonora sembrano sorvegliate da due figure retoriche prevalenti: la ridondanza e l’opposizione. Contrariamente al testo “cameristico” di Rolli adottato da Cattaneo, quello scelto da Andrini possiede una marcatissima gestualità teatrale: “Quella fiamma che m’accende” evoca immediatamente l’atteggiamento, la postura, la pronuncia della grande aria d’opera. E l’intonazione del testo asseconda con sottile humour parodistico questa evidente inclinazione al parossismo. La voce enfatizza ad esempio fino al limite di rottura l’iterazione delle parole “che giammai si estinguerà” che chiudono la strofa iniziale. Un palese effetto di ridondanza reso ancora più efficace dalla estrema nitidezza del ductus lineare della voce: l’intonazione è prevalentemente sillabica ed assicura dunque al testo una sostanziale intelligibilità, l’arco melodico è fluido, basato su intervalli contigui e naturali, mentre l’artifizio di mutare ogni volta la cellula motivica corrispondente alle parole “che giammai” rende ancora più evidente il meccanismo della iterazione parodistica. L’applicazione del principio di opposizione produce un effetto in certo senso più “spettacolare” perché investe in pieno la dimensione percettiva del brano, la sua forte inclinazione all’ascolto. I due poli del contrasto sono espliciti, senza tonalità intermedie: da un lato l’impianto sostanzialmente tonale del melos vocale, ribadito persino dall’armatura in chiave, dall’altro i blocchi accordali, netti e “primitivi” prodotti dalla chitarra elettrica e resi ancora più stridenti dall’uso del distorsore. Nella sezione B dell’aria la chitarra lascia affiorare sonorità più delicate e una sintassi più discorsiva, consentendo tra l’altro al pianoforte di disegnare un profilo di accompagnamento estremamente nitido, ma la canonica ripresa del “da capo” non può trattenere una certa sfrenata energia virtuosistica che si placa soltanto nel fortunoso, quasi insperato ritrovamento della tonica iniziale.
L’orizzonte che chiude, in lontananza, il paesaggio della vocalità contemporanea disegnato in questo disco lascia intravedere una terra nuova: le relazioni tra la voce contemporanea e la “camicia di ferro”, come l’ha definita Elliott Carter, della orchestra sinfonica classico-romantica. Proseguendo l’indagine “storica” sulle infinite risonanze che legano l’universo della musica d’arte a quello della musica popolare Riccardo Piacentini è approdato a due testi che sembrano tracciare una sorprendente continuità tra due tradizioni musicali apparentemente lontane: da un lato la “rivisitazione creativa”, come la definisce l’autore, di una antica canzone popolare piemontese, La bergera e ‘l luv (La pastora e il lupo), dall’altro la “trascrizione divertita” di quattro romanze per canto e pianoforte di Gaetano Donizetti su testi di anonimo autore napoletano. La Canson piemontèisa e le Quattro canzóne napulitane non sono soltanto sapienti, colti e “divertiti” esercizi di trascrizione orchestrale: cercano al contrario di creare, intorno al ductus melodico dei testi originali, un’aura sonora che riconduca la voce “antica” nell’alveo di un suono esplicitamente contemporaneo. “Nel primo caso – scrive Piacentini – la melodia di origine è stata utilizzata in modo testuale e reiterato, mentre l’universo sonoro circostante fiorisce e reinventa il materiale armonico suggerito nella più storica delle riletture”. Nel secondo caso, in modo speculare, “le melodie originali sono state utilizzate alla lettera”, mentre gli accenti della contemporaneità sono prodotti, in particolare, dalla “reinvenzione secondo nuovi codici della parte pianistica”.
Alcune recensioni sul CD Duo Alterno - La voce contemporanea in Italia 5