Duo Alterno - La voce contemporanea in Italia 4

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  Presentazione del CD La voce contemporanea in Italia 4
Recensioni sul CD La voce contemporanea in Italia 4
Interviste del CD La voce contemporanea in Italia 4
 

 

CD Stradivarius (Milano, 2009) prodotto da Rive-Gauche Concerti con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT.

Quarto CD della serie dedicata al repertorio vocale da camera italiano del '900 e contemporaneo.

Interpreti: Duo Alterno (Tiziana Scandaletti soprano, Riccardo Piacentini pianoforte),
con la partecipazione del Penderecki String Quartet.

Note musicologiche di Quirino Principe.

 

Sylvano Bussotti, Lachrimae (1978)
per ogni voce. Un balletto ideale
Versione per voci e pianoforte autorizzata dall'Autore
Frammenti di lingua inglese, tedesca, francese antica, italiana
Edizioni Ricordi

Mauro Bortolotti, Schatten (1995)
Ein Spiel (1995) (...)
per soprano e pianoforte
Testi di Michael Marshall von Biberstein
Inedito

Marcello Abbado, Vocalizzo sopra “Ma se mi toccano dov'è il mio debole” dal Barbiere di Siviglia (1997) (...)
dedicato al Duo Alterno
per voce femminile e pianoforte
Dedicato al Duo Alterno
Inedito

Gilberto Bosco, ...im Traume (2007)
dedicato al Duo Alterno
Testo di Heinrich Heine
per soprano e pianoforte
Dedicato al Duo Alterno
Edizioni Suvini Zerboni

Cathy Berberian, Stripsody (1966)
per voce sola. Graphics by Roberto Zamarin
Edizioni Peters

Franco Donatoni, ...ed insieme bussarono (1978)
per voce femminile e pianoforte
Testo di Kabir
Edizioni Ricordi

Riccardo Piacentini, An Mozart (2008)
versione per soprano, pianoforte, quartetto d'archi e foto-suoni
Testi liberamente tratti da Johann Georg Jacobi e Johann Peter Uz
Con la partecipazione del Penderecki String Quartet
Inedito
dedicato al Penderecki String Quartet

Il Duo Alterno racconta...

"Tradizione" significa etimologicamente "consegna", "trasmissione". Questa avviene, per usare la terminologia dell’etologo Richard Dawkins, attraverso due vie: i "geni" e i "memi", intesi come bagaglio informativo veicolato dalla cultura. In apparenza, o per studiata recita, molti dei compositori che hanno mosso i loro primi passi negli anni ‘50-60 dimostravano una forte propensione a far tabula rasa dei "memi" del passato. E si può anche dire che un frequente malinteso legato alla parola "creativo", applicata come bollino di garanzia ad ogni espressione artistica a partire dai primi decenni del ‘900 (cfr. Cor Blok in Feyerabend e Thomas [a cura di], Arte e scienza, tr. it. Milano 1989), ha contribuito a ratificare una stretta quanto non necessaria relazione tra arte e novità, meglio se dissacrante.

A questa illusoria dissacrazione, peraltro responsabile di aver prodotto notevoli capolavori, è dedicato il quarto volume de La voce contemporanea in Italia, concepito trasversalmente tra passato e presente, tra urgenze dell’oggi e memorie di un passato qualche volta lontano – con tanto di citazioni di testi, anche medievali, e di musiche da Debussy a Brahms, Schumann, Rossini, Mozart e oltre –, un passato che non cessa di essere "memeticamente" vivo e ricco di sollecitazioni.

I due momenti emergenti di questo percorso di ricerca di cui il Duo Alterno si è innamorato sono forse i lavori, ormai storici, di Sylvano Bussotti (Lachrimae) e di Franco Donatoni (...ed insieme bussarono). Sarà un caso, ma entrambi sono stati scritti nel 1978, che è l’anno immediatamente precedente a quello in cui una delle due metà del Duo Alterno imboccava la strada della "composizione contemporanea", e lo faceva incrociando sul suo cammino proprio Bussotti. Siamo nel 1979. Pochi anni e nel 1983 ci sarebbe stato l’incontro con Donatoni, più che un incontro un’autentica frequentazione "da vicino", e senza pause, per quattro anni consecutivi, poi decisamente più rarefatta. Il Duo Alterno non era ancora costituito, ma in qualche modo le sue basi erano già poste.

Sia Bussotti sia Donatoni, pur così diversi, hanno (ma per Donatoni bisogna purtroppo dire aveva) una consapevolezza storica di eccezione e una preparazione, almeno sul fronte della tradizione occidentale, di grande respiro. La "totalità" con cui si è espresso e si esprime tutt’oggi Bussotti – dalla composizione tout cour intesa, alla pittura, la danza, la letteratura, il teatro – è per il Duo Alterno un esempio da tradurre in ogni performance artistica, dove l’esecutore si amplifica nella figura dell’ermeneuta e creatore che partecipa dell’opera e crea l’opera stessa, sotto tutte le declinazioni possibili, non meno di quanto lo possa fare il compositore. Lachrimae, che il Duo Alterno ha preparato mantenendo un link costante con Sylvano ma salvando la propria autonomia interpretativa, è in questo senso un vulcano quasi indicibile di stimoli che ti catapulta su più dimensioni tra passato e presente: i testi sono tetralingui (Francese antico, Inglese, Tedesco, Italiano spesso scomposto in sillabe e fonemi), i grafismi che evocano suggerimenti gestuali sono a bella posta polivoci e ondeggiano tra movenze di danze cicisbee e prosaica quotidianità, le sequenze di note sono citazioni più o meno segrete e intimamente espressive, variamente somiglianti a qualcosa di déjà vu o, meglio, di déjà ecouté. Immergersi in questa frenesia creativa che attraversa in una sola pagina secoli e secoli di storia è un’avventura unica ed entusiasmante, rinnovabile in mille modi diversi.

Per ...ed insieme bussarono valgono l’affetto, il ricordo, le lezioni di scuola e di vita che l’insegnante e amico Franco ci ha trasmesso (anche questa è tradizione!). Si è trattato di quasi vent’anni. Tra l’80 e il ‘90 Donatoni usava richiamare spesso gli autori del ‘7-800 e citava frequentemente Haydn, qualche volta Beethoven, soprattutto Bach, su cui lavorò a una versione a dodici voci dei contrappunti dell’Arte della fuga. Ma negli ultimi anni aveva assunto un atteggiamento che, in barba allo strutturalismo che pure gli era incontestabilmente caro, si avvicinava a una sorta di "post-anarchismo" per il quale funzionava bene il motto di Paul Feyerabend, e non solo suo, «anything goes». Con questa immagine se n’è andato e con questa il Duo Alterno lo porta in sé, trasferendo nella sua lettura di ...ed insieme bussarono rigore e anarchia insieme. Come sia possibile, lo racconta a nostro avviso qualunque lettura "filologicamente corretta" della musica di Donatoni.

Il CD conta, a dire il vero, un altro lavoro ormai storicamente acquisito e di indubbio rilievo: è il gestualissimo Stripsody di Cathy Berberian, del 1966, che abbiamo tentato almeno un paio di volte di sottoporre all’ascolto di Luciano Berio durante i nostri incontri a Firenze e Roma, senza però riuscirci, perché lui preferiva ascoltare altri brani e probabilmente riteneva che quel brano dovesse rimanere custodito nei master incisi da Cathy e da lei soltanto. Noi, come già altri performer, abbiamo dissacrato questo tabù, lavorando da un lato sul segno contenuto sulla partitura e dall’altro sulle registrazioni della Berberian. Anche qui il risultato è un mix di passato e presente, non solo perché nella partitura sono presenti citazioni da Brahms ai Beatles, ma perché il temperamento di Tiziana si innesta senza falsi pudori, qui e adesso, sui materiali preesistenti assunti come fulcro per ulteriori indagini. E certo è stato problematico e al tempo stesso molto intrigante fare in modo che la gestualità fisica richiesta dal pezzo si trasferisse per studiato incanto su un rigido supporto ottico e per di più digitale.

L’avventura gestuale, questa volta con un dichiarato link al più famoso dei barbieri, quello di Rossini, prosegue con l’equivoco ma non troppo Ma se mi toccano [...] di Marcello Abbado, lavoro a noi espressamente dedicato, che ci dà una versione attualizzata e... "contestualizzata" (visto che il Duo Alterno è un duo anche al di fuori dell’attività artistica) delle malizie del personaggio di Rosina. Qui si fondono teatralità tradizionalmente intesa e gestualità contemporanea, con generoso uso di extended techniques sia al pianoforte sia soprattutto alla voce, ora sospirosa, ora lamentosa, ora esagitata e stridula, in un godibilissimo gioco di titillamenti in progress che bene si intonano ai lavori di Bussotti e Berberian. La tradizione non potrebbe essere più rispettata e, insieme, tradita.

Sorridente, e in più post-moderno, è anche il brano mozartiano che il Duo Alterno ha confezionato per questo CD insieme al Penderecki String Quartet. Lo abbiamo provato dal vivo tre volte prima di inciderlo: al SoundaXis Festival di Toronto, al Festival Mozart di Rovereto (con il Quartetto Kernel) e nella stagione di Musiche in mostra alla GAM di Torino. Il lavoro però non vuole essere in sé dissacrante, meno che mai nei confronti di Mozart, ma (soltanto?) utilizzare i materiali melodici di due Lieder mozartiani i cui titoli iniziano per An contrappuntandoli secondo codici odierni più o meno criptici. Potrebbe sembrare, detta così, un’operazione asettica e di ordine puramente meccanico, ma una ricca presenza di foto-suoni (ossia reportage acustici che in questo caso sono stati raccolti a Graz e Vienna e sulla cordiera di uno splendido pianoforte Grotrian-Steinweg) unita alle caratteristiche modulari del lavoro (eseguibile per solo quartetto, o per quartetto e foto-suoni, o ancora per quartetto, foto-suoni, soprano e pianoforte) con una voce birichina che smozzica e ricompone le quintessenze mozartiane, tutto questo comunica una curiosa e un po’ destabilizzante mobilità di prospettive, come un gioco di scatole che scivolano più o meno imprevedibilmente l’una sull’altra e, nella versione con voce, da questa vengono in qualche modo pilotate e rimesse ognuna al proprio posto. La voce è il vero guardiano di questo pezzo, la "trovata" che ne trasforma con un clic il senso.

Più "seri", ma non certo accigliati, i rimandi a un post-impressionismo temperato da movenze viennesi (vere e proprie citazioni di stile) nei due brani in lingua tedesca di Mauro Bortolotti. A questo compositore, già allievo di Petrassi e scomparso poco dopo l’uscita del nostro terzo volume de La voce contemporanea, abbiamo voluto dedicare uno spazio duplice. Mauro teneva che questi due piccoli Lieder venissero eseguiti insieme, anche se, stando alla partitura, non vi corre obbligo a farlo. Oltre ad averli presentati più volte in pubblico, li abbiamo eseguiti a tu per tu nel suo studio scoprendo che ne voleva un’interpretazione mitteleuropea più che francese. Uno di questi, il secondo, lo abbiamo anche eseguito in sua presenza a Roma pochi mesi prima che morisse. È stata un’esperienza davvero interessante. Dapprima Bortolotti si impettì perché il lavoro non era accoppiato all’altro (dov’era scritto che così dovesse essere?), ma poi gli applausi del pubblico per quel singolo Lied così breve e fulmineo furono tanto convinti e convincenti che prontamente lui cambiò idea. È questa la ragione per cui vorremmo invitare ad ascoltare questi due Lieder sia separati sia insieme, quasi un dittico le cui parti sono perfettamente autonome, constatando che l’uno o l’altro tipo di ascolto funzionerà comunque, e ovviamente con esiti diversi. Altro esempio di "poliprospettiva".

A Schumann si riconnette infine il brano che Gilberto Bosco ci ha da poco dedicato e che, fresco di scrittura, abbiamo eseguito a Berlino, Wolfsburg, Monaco e Colonia. La voce si muove in volute di forte emozionalità sugli appassionati versi di Heine che già erano serviti a Schumann per il suo indimenticabile Dichterliebe op. 48. Le qualità "memiche" si traducono qui in una profonda immedesimazione da parte del compositore nel celebre testo Ich grolle nicht e in una tipologia di lettura che è molto simile, ma proiettata verso una sensibilità più vicina all’oggi, a quella che ne aveva dato Schumann. L’affondo nella tradizione è completo, il pianoforte ripropone note ribattute analoghe a quelle del Lied schumanniano, la voce è espressivamente tesa sin dal principio e cresce, cresce sempre... La trama è sostanzialmente la stessa e, proprio per questo, il "tradimento" è implicito, non meno che sincero.

Note illustrative, a cura di Quirino Principe

Ritorniamo sempre, inseguendo la voce, alla questione capitale che Giovan Battista Marino per primo formulò con chiarezza pari al rimpianto nostalgico di un tempo trasformato in archetipo, e perciò mitizzato: «Musica e poesia son due sorelle / ristoratrici de l’afflitte genti» (Adone, VII, 1623). Ritornando, cogliamo l’irrequietudine dialettica che si avverte nella prefazione scritta nel 1639 da Giulio Strozzi per il suo dramma La Delia: «La musica è sorella di quella poesia che vuole assorellarsi seco». Ma come? Due autori italiani di quattro secoli or sono si pongono con cartesiana chiarezza il problema di quel rapporto “Ton-Wort” che nella nozione diffusa è un problema tutto romantico, e, sostanzialmente, consanguineo alla cultura tedesca? E non sembra forse, la cultura tedesca, possedere essa, in esclusiva, gli strumenti linguistici, lessicali, terminologico-filosofici più adatti a definire e ad analizzare quel rapporto?

C’è una risposta. La sua prima parte è facile e immediata, la seconda è amara. Nell’epoca in cui Marino e Strozzi scrivevano, esercitando autorevolezza e prestigio in Europa, l’Italia era la fonte di ogni idea forte e di ogni innovazione culturale, e nessuno straniero avrebbe potuto esercitare un’attività d’arte e di pensiero che avesse originalità e personalità senza conoscere la nostra lingua. Se oggi quella condizione appare interamente rovesciata, tutta la responsabilità è degli ultimi quattro secoli di cultura italiana. In particolare, il devastante crollo della cultura musicale in Italia è dovuto essenzialmente al tipo di formazione filosofica da cui provenne la classe cosiddetta dirigente dell’Italia unita a partire dal 1861: un neohegelismo mal cucinato e malissimo digerito, che dell’Aesthetik di Hegel aveva assimiliato un’ideaguida, l’essere cioè la musica l’unica fra le arti a non avere alcun significato logico e definito (!). A partire da Francesco De Sanctis, convinto che la musica fosse un’attività “svirilizzante” e non adatta a formare la gioventù della nuova Italia, e perciò primo demolitore, in quanto primo ministro della Pubblica Istruzione dello Stato unitario, dell’immensa tradizione di sapienza musicale acquisita dal nostro Paese, e attraverso i neohegeliani Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Antonio Gramsci (discepolo di Gentile e formato nell’alveo del suo pensiero, non del pensiero marxiano), si attuò un grandioso e delittuoso processo storico di “straniamento” della musica dalla cultura italiana, e in particolare (un tragico paradosso, una crudele nemesi rispetto alle parole di uomini come Marino, Strozzi, Crescimbeni…) un doloroso allontanamento della musica dalla letteratura, dalla poesia.

L’egemonia del teatro d’opera rispetto alla musica strumentale e vocale non operistica, fenomeno tanto vistoso quanto malsano, squilibrante e diseducativo (ne ebbero coscienza uomini come Benedetto Marcello, Ranieri de’ Calzabigi, più tardi Arrigo Boito), fu un gigante dai piedi di sabbia: l’attuale crisi del teatro musicale in Italia, dovuta anche ma non soltanto alla criminale ottusità dei pubblici poteri, è una nemesi ulteriore.

Certo: è molto difficile trovare, nella poesia italiana del Novecento, autori dotati di una formazione musicale degna di un protagonista della cultura (le eccezioni, come Michelstädter o Sbarbaro o Montale, si contano sulle dita di mezza mano), e ancor più arduo è trovarne fra i narratori, o fra i saggisti che ancora una generazione fa erano in gran parte di ascendenza crociana. Chi non ricorda i manuali di storia della letteratura italiana, in cui si parlava di Petrarca, di Tasso, di Leopardi, di Berchet, di Manzoni, di D’Annunzio, di Pascoli, ma non si trovava una sola parola dedicata alla musica connessa in varie maniere con l’opera dei sunnominati scrittori? Sarebbe come scrivere una monografia su Goethe o su Nietzsche e non nominare mai Schubert o Wagner.

Bene: abbiamo compiuto la nostra buona azione quotidiana, pronunciando la nostra consueta “predica inutile” in stile einaudiano e denunciando le responsabilità passate e presenti di chi, per nostra immensa e comune sventura, regge i destini politici, economici, culturali, giudiziari, ecclesiastici del nostro paese. Ma per ora abbandoniamo i limiti di questa riflessione: essa risponde a verità, ma è parziale, ristretta. La difficoltà nei rapporti tra poesia e musica investe oggi tutta la cultura occidentale, l’intero “sistema delle arti” come lo concepiva nel suo splendore utopico il filosofo Alain (al secolo, Émile Chartier). L’analisi la sappiamo condurre anche noi, forse chiunque saprebbe farlo, ma non possiamo eludere un libro fra i massimi nel pensiero estetico degli ultimi tre secoli, ed è quel libro la migliore guida, una sorta di grande sviluppo della Patmos hölderliniana nel ricapitolare la grandezza e il dolore (“Leiden und Größe”) dell’Occidente.

Alludiamo a Verlust der Mitte (“Perdita del centro”, 1948) di Hans Sedlmayr. Dovrebbe essere nota a tutti la tesi centrale di quell’opera: è esistita un’era in cui tutte le arti erano riunite in un unico luogo deputato (la cattedrale: ma questa non è un’ipoteca religiosa e tanto meno cattolica sulla storia delle arti “im Abendlande”, è soltanto una circostanza storica, il coincidere di linee di forza), e l’edificio per il culto era il massimo impegno degli architetti d’allora, anzi era l’architettura “tout court”, ma conteneva pittura e scultura, poesia e musica e teatro post-antico agli albori, tutte espressioni d’arte che non avrebbero trovato luogo altrove. Poi le arti si separarono, acquistarono autonomia, trasmigrarono nella pinacoteca o nella gliptoteca o nel palazzo signorile e regale o nelle case della borghesia facoltosa o nelle accademie o nei teatri pubblici a pagamento o nelle università o…nelle redazioni dei giornali e degli enti radio-televisivi. Anche questo è stato un fenomeno grandioso, e di quale grandiosità! Separandosi, le arti hanno trovato autonomia, si sono secolarizzate e rese libere, di conseguenza si sono irrobustite e affinate, ciascuna secondo il proprio linguaggio e i propri mezzi adatti a comunicare. Ma, allontanandosi l’una dall’altra, creando una bene educata e civile “distanza di sicurezza”, si sono anche immalinconite, e alla fine, reincontrandosi, sono sovente come due vecchi amici che, dopo il primo moto di gioia nel ritrovarsi, si accorgono di non saper che dire l’uno all’altro.

Ritorniamo, senza acrimonia, alla qualità culturale dei rapporti tra musica e poesia in Italia, e quindi all’impiego della vocalità con riferimento a un sistema “forte” di significati poetico-musicali, stretti da nodi di autentico vigore. Se è vero che il rapporto “Ton-Wort” ha attraversato una crisi nell’ultimo secolo di musica occidentale (l’età aurea sono stati, per l’area anglo-fiamminga e per quella italiana, i secoli XV-XVI; per l’area austro-tedesca, francese, russa, il secolo XIX e il primo ventennio del XX), è altrettanto indubbio che convergenze tra poeta e musicista come quelle che nella musica vocale hanno annodato insieme Goethe e Schubert, Eichendorff / Heine e Schumann, Storm e Brahms, Puškin e Čajkovskij, Baudelaire e Debussy, Verlaine e Fauré, Mallarmé e Ravel, in Italia sarebbero state impensabili.

Proprio per questo, il lavoro compiuto da molti compositori italiani delle ultime generazioni per riguadagnare il terreno perduto, e per ricostituire il tessuto culturale ed emotivo di una vocalità italiana d’alta tradizione, è stato prezioso. Preziosa è di conseguenza l’azione di raccolta e di testimonianza di cui la presente incisione fa parte. C’è da aggiungere che i sette autori qui rappresentati, scelti opportunamente in modo tale da offrire all’ascolto autori dalle diverse formazioni, distribuiti secondo varie fasce di generazione, inclini a diverse scelte di linguaggio e di stile, agiscono tutti secondo una linea forte di collaborazione tra testo e musica nella ricerca della vocalità.

Un percorso che incide il terreno e lascia il segno è già, di per sé, la scelta dei testi, o la loro invenzione da parte degli stessi compositori. C’è un grande solitario d’Occidente, Heinrich Heine (1797-1856) e un grande solitario d’Oriente, il mistico indiano Kabir (1440-1518), perseguitato da due consorterie religiose per avere auspicato l’unione di induismo e Islam e l’abolizione delle caste. Un poeta del nostro tempo, appartato e severo, Michael von Biberstein, fa da contrappeso a due autori del secolo XVIII il cui lavoro letterario fu a metà strada tra la poesia vera e propria e la filosofia in versi, tra l’illuministica promozione della cultura e l’attrazione per esoterici misteri: Johann Georg Jacobi (1740-1814) e Johann Peter Uz (1720-1796). Mario Lavagetto ha definito i libretti d’opera “quei più modesti romanzi”, e certo essi si collocano, se non al di sotto, almeno ai margini dell’autentica letteratura, proponendosi come una ”letteratura applicata” o “letteratura di servizio”.

Ma i misteri alchemici che si occultano nel connubio tra parola e musica fanno sì, talvolta, che un testo librettistico sia trainato e reso memorabile dalla musica che gli dà energia, e divenga energia esso stesso. Nelle opere di Rossini, almeno in quelle che la desuetudine non riusci a scalfire neppure nei decenni dell’eclissi rossiniana, ciò avviene in sovrabbondanza. Frammenti di dialogo non escono più dalla memoria collettiva, entrano nel lessico anche di chi sia insensibile alla musica: «Nacqui all’affanno e al pianto», «Di tanti palpiti…». Ma è Il barbiere di Siviglia, su libretto dell’abile, intelligente, colto e poliglotta Cesare Sterbini (1783-1831: eppure, con tante doti, era un alto funzionario delle Dogane Pontificie… ”incredibile dictu”!), l’opera rossiniana che ci dà la maggiore messe di frammenti testuali “forti”: «La calunnia è un venticello…», «Tutti mi cercano, tutti mi vogliono…», «Uno alla volta, per carità !...», «Una voce poco fa…», «…ma se mi toccano dov’è il mio debole…». Quest’ultimo lo ripeschiamo tra breve, ma in una veste alquanto eccentrica.

Infine, ci sono i “testi babelici” e i “non testi”. Di questi ultimi, diciamo che “non testo” non significa “non linguaggio”. Dei penultimi, dichiariamo che essi non esigono la confusione delle lingue: sono soltanto strumenti per attivare una sorta di alta velocità della mente. Matthew Arnold (1822-1888), in Culture and Anarchy (1869), applicò all’analisi storica la distinzione tra età organiche ed età critiche. Oggi, e da almeno tre secoli, stiamo attraversando una fase del secondo tipo, né ci occorre una dimostrazione. Caratteristica delle fasi critiche è, fra l’altro, la tendenza di ogni arte ad essere inequivocabilmente “altro” rispetto ad arti che seguano percorsi paralleli. Ebbene, i sette compositori qui presentati intervengono sulla fenomenologia della voce nei modi più diversi, e i loro artifici sembrano convergere in un obiettivo comune: liberare il più possibile musica e testo da quella loro reciproca alterità.

Marcello Abbado (n. Milano, giovedì 7 ottobre 1926), di cui è nota la predilezione per le operazioni perifrastiche sulla materia-forma musicale già radicata nella memoria e nella coscienza, soprattutto su quei frammenti depositati così a fondo e tanto storicizzati da agire quasi per automatismo, nel Vocalizzo sopra “Ma se mi toccano dov’è il mio debole” dal Barbiere di Siviglia per voce femminile e pianoforte (1997) sottopone la melodia definita dal titolo (il secondo semiperiodo della cabaletta “Io sono docile”, a sua volta seconda sezione della cavatina “Una voce poco fa” nel I atto del Barbiere) a un trattamento di radicale destrutturazione. Secondo le didascalie dell’autore, «la cantante canta chinata dentro al pianoforte, facendo risuonare la voce nella casa armonica», e dal canto suo «il pianista suona in piedi; il coperchio del pianoforte sarà alzato al massimo,il leggìo sarà tolto, vi sarà un leggìo laterale». Il testo, in quanto tale, scompare nella sostanza fluida del vocalizzo, il quale alterna l’intonazione a bocca aperta con quella a bocca chiusa, il che significa che l’autore scende lungo tre gradi di straniamento del testo: dalla memoria delle parole che non ci sono più, a una melodia cantata senza parole, a una intonazione senza canto. Così la voce si riduce allo spettro di sé stessa. Del testo rimane il ritmo, ma smisuratamente dilatato, come avviene per il Salterio di Ginevra nella Cantata BWV 130 di Bach. L’unica connotazione del vocalizzo che sembri essere, per un fuggevole istante, il germe di una verbalità, sono i sospiri della voce cantante, articolati su varie vocali: “Ah”, “Eh”, “Ih”, “Oh”. Il pianista impone al proprio strumento una’analoga destrutturazione del suono: percuote le corde con le nocche, con il pugno, con il dito a scatto, o, in alternativa, le pizzica con l’unghia. Fino a qual punto una simile destrutturazione può spingersi senza che la divertita e dispettosa sperimentazione diventi la tragedia del disfacimento che minaccia anche la musica nelle sue espressioni più verdeggianti e vitali?

Con la sua leggendaria micro-composizione, Stripsody (1966), Cathy Berberian (Attleboro, Massachusetts, mercoledì 4 luglio 1928 – Roma, domenica 6 marzo 1983) è certo molto lontana per ciò che riguarda la materia elaborata: non più l’ombra di un testo, un’ombra che per quanto dilatata e “detestualizzata” sia ancora riconoscibile se osservata a distanza, bensì interiezioni, onomatopee, espressioni imitative di rumori, o meglio, “trascrizioni” analogiche di rumori secondo le convenzioni in uso nei fumetti di marchio americano (“strips”, da cui il titolo della composizione, dove il suffissoide “-odia”, “ody” in lingua inglese, ha il significato universale di “configurazione in musica”). Sì, tecnicamente molto lontano da Vocalizzo di Abbado, ma “dalla stessa parte” per ciò che riguarda l’intento di destrutturazione e di ripensamento di ciò che è possibile nella sfera dei suoni.

Il tema culturale da cui eravamo partiti, l’alleanza tra le arti e in particolare la loro liberazione dal senso di reciproca alterità, ha un testimone molto attento in Gilberto Bosco (n. Torino, mercoledì 6 febbraio 1946). Questo compositore è fra quelli intervistati da Renzo Cresti nel libro che affronta il nucleo di quel tema, I linguaggi delle arti e della musica (Il Molo,Viareggio 2007). Bosco dichiara in proposito: «La pittura mi ha influenzato molto. Intanto perché ho amici pittori, e spesso ho parlato con loro (più che con colleghi musicisti) di problemi legati alla composizione; ricevendone stimoli e suggerimenti che mi sono sembrati generalmente più acuti di quelli che i miei amici musicisti riuscivano a trasmettermi: ma questo può anche essere un limite della mia ricettività. Dai pittori ho, credo, imparato una “disponibilità” di fronte all’evento, di fronte al manifestarsi di un’opera, di fronte alla sua fisicità, che non ho mai trovato nelle esperienze musicali: di nuovo, solo un mio problema?

[…] Anche se con i testi poetici ho l’abitudine di convivere a lungo, spesso l’inizio della composizione è in parte irrazionale, inseguendo la sonorità e i suggerimenti puramente musicali di alcune parole […]. Spesso il lavoro si sostanzia, in seguito, in una complicata strategia in cui accenti (sdruccioli, tronchi...), vocali aperte e non, madrigalismi vari entrano in una sorta di polifonia mentale, addensando o rarefacendo momenti diversi della composizione. Ciò che fa la voce o il coro provoca poi dei livelli diversi di echi, secondo l’organico strumentale del brano, spesso quasi delle provocazioni, o dei falsi madrigalismi, o dei giochi (molti probabilmente del tutto privati, validi solo per me) di finte o vere citazioni o allusioni».

Il lavoro di Bosco che qui presentiamo, …im Traume (“…in sogno”, 2007), visita un luogo sacro del romanticismo musicale europeo, il Lied n. 7 del ciclo Dichterliebe op. 40 di Robert Schumann, su testi tratti da una delle raccolte poetiche più immerse nel male di vivere, Lyrisches Intermezzo di Heinrich Heine. Qui il compositore applica direttamente, sulla materia “giusta”, una delle idee che lo guidano nel suo lavoro e che egli sente come particolarmente, il ricordo come più che traccia di un’esperienza (di un “Erlebnis”): propriamente, come segno che è in noi ma che è già noi. Nel riprendere da principio la celebre sequenza di accordi ribattuti che accompagna l’intero Lied “Ich grolle nicht”, e nel deformarne immediatamente la configurazione armonica e melodica, il musicista di oggi intravede il Maestro di ieri, maestro anche del “male di vivere”, come in sogno, ricostituendo la fondamentale situazione poetica del Lied romantico, quella onirica, appunto. Lo straniamento, secondo un testo heiniano già terribilmente antifrastico che dice “non sento odio” e nello stesso tempo freme di odio inestinguibile e di senso di morte, avviene da principio, poiché subito, sin dai primi accordi ribattuti, il Lied ci avverte che esso non è ciò che dovrebbe essere. In questo annuncio desolato e dolorosamente vivo, parola e suono riconoscono reciprocamente la propria consanguineità.

Mauro Bortolotti (Narni [Terni], venerdì 26 novembre 1926 – Roma, giovedì 15 novembre 2007), che fra gli altri meriti artistici fu socio fondatore di “Nuova Consonanza”, è presente in questa incisione con due lavori del 1995, Schatten (“Ombre”, intendendo la parola tedesca al plurale) e Ein Spiel (“Un gioco”, ma anche “Uno spettacolo”), su testi di Michael von Biberstein. Entrando nella musica di Bortolotti, artista che cercò sempre il rapporto con poeti certo dolorosi e aspri (Alfredo Giuliani, Elio Pecora…) ma affermativi, siamo lontanissimi da progetti di verifica mediante destrutturazione: la scrittura musicale è di alta e complessa tradizione, e il rapporto “Ton-Wort” è un labirintico intreccio, in cui il testo invita a fermarsi e a guardare il mondo percorrendo un’arcata, dalle stelle alle caverne profonde, e la musica riempie quello spazio moltiplicandosi all’infinito.

Sylvano Bussotti (n. Firenze, giovedì 1° ottobre 1931), in Lachrimae (1978), con sottotitolo: …per ogni voce: un balletto ideale, lavora su testi in quattro diverse lingue: francese antico, inglese, tedesco, italiano. Essi appaiono nella partitura, collocati al posto “giusto” con scrupolosa precisione, ma in realtà, rimescolabili come carte da gioco, si prestano a un alto numero combinatorio di opzioni possibili. Ma illuminante è soprattutto, come sempre, quello che lo stesso Bussotti indica alla nostra attenzione. «Nessuna indicazione di movimento, però. Dinamiche, piuttosto. Quindi l’astratta libertà di confuse apparenze: una scrittura cifrata, reiterando il privato, che mischia le carte di un gioco più intimo, arreso ai sentimenti. [..] Nel crearsi balletto, Lachrimae ha per soggetto quel tanto d’irreale che il palcoscenico e la danza possono perfettamente realizzare in se stessi. […] Si dovranno attentamente consultare i testi poetici (osservando la preponderanza dell’antico francese), traendone alla lettura elementi precisi, sia per la coreografia che per l’ambientazione o l’eventuale progressione drammatica».

Franco Donatoni (Verona, giovedì 9 giugno 1927 – Milano, giovedì 17 agosto 2000) è presente con un lavoro del 1978, Ed insieme bussarono, su testo del già menzionato poeta indiano Kabir. Un testo squisito e umbratile, anch’esso, come suona il suo verso finale, paragonabile a un seme che cerca la forza di germogliare: una musica di suprema leggerezza, dall’irresistibile fascino, racchiusa nella cornice dinamica di una serie di “nuances” tutte contenute nell’idea di pianissimo.

Riccardo Piacentini (Moncalieri, giovedì 3 luglio 1958), che, fra l’altro, interviene con la propria voce recitante e con la discreta intromissione di un pianoforte in Lachrimae di Bussotti, chiude la rassegna presentata in questa incisione con un lavoro recentissimo, An Mozart (2008), su testi dei già ricordati Johann Georg Jacobi e Johann Peter Uz. I testi appartengono a due Lieder di Mozart, An Chloe (“A Cloe”) K. 524 (1787) e An die Freude (“Alla gioia”) K. 53 (1768), e sono assoggettati a molteplici riletture “in codice”. Nel sottotitolo, l’autore definisce An Mozart come Pezzo modulare per quartetto d’archi con o senza foto-suoni” con o senza voce e pianoforte. Chiunque conosca la musica di Piacentini sa dell’importanza che in essa ha il concetto di “foto-suono” (come dire: suono-luce, suono-illuminazione, suono-lampeggiamento). Piacentini lo intende come un “reportage acustico”, in cui permanga la traccia di un ambiente organizzato. Una realtà insieme uditiva e visiva. La scrittura musicale di An Mozart è priva di qualsiasi elemento di aleatorietà, e questa è probabilmente la composizione più “strutturante” fra quelle presentate in questa serie dedicata alla voce contemporanea in Italia.

Alcune recensioni sul CD Duo Alterno - La voce contemporanea in Italia 4
 

Da “il Giornale della Musica” di novembre 2010: Voci d'oggi

“[...] Ormai provetti i due bravissimi interpreti, massimamente nel repertorio contemporaneo, nel quale fanno valere una straordinaria duttilità nell'affrontare lavori assai differenti per estetica e tecnica compositiva, dimostrando quanto l'organico conservi ancora oggi enormi potenzialità di approfondimento.” (Alessandro Mastropietro)

Da “Classic Voice” di febbraio 2010: La voce contemporanea in Italia n. 4

“[...] L'idea è semplice ed importante allo stesso tempo; i due artisti [del Duo Alterno] si stanno dedicando all'incisione di lavori per voce e pianoforte di autori italiani contemporanei, molti dei quali - come qui nel caso di Marcello Abbado (Vocalizzo sopra ‘Ma se mi toccano’ dal Barbierre di Siviglia) e Gilberto Bosco (... im Traume) - sono stati loro dedicati. La perizia dei due interpreti non si limita, com'è ovvio, all'indubbia bravura tecnica, ma s'estende opportunamente alla ben più importante capacità d'aderire stilisticamente a lavori diversissimi tra loro, sempre mettendo al servizio dei compositori, e non del proprio ego, la loro arte. A parte i magnifici e noti pezzi di Franco Donatoni (... ed insieme bussarono) e Sylvano Bussotti (Lachrimae), si segnalerà un'intrigante versione di Stripsody di Cathy Berberian [...] un vero e proprio ‘sesto grado’ della voce, magistralmente eseguito dalla Scandaletti. Accanto al divertente e ironico pezzo di Marcello Abbado [...] si segnaleranno le composizioni di Gilberto Bosco (ispirato al celeberrimo Lied Ich grolle nicht di Schumann) e dello stesso Piacentini, An Mozart, il quale - grazie anche alla complicità del Quartetto Penderecki - lavora sulla base musicale di due Lied di Mozart, utilizzandone i materiali melodici, trasformandoli però secondo moderni codici contrappuntistici.” (Elvio Giudici)

Da “La Stampa – Torino Sette” del 12 febbraio 2010: Duo Alterno: se la timida Rosina del “Barbiere” gioca a far la sexy

“Tra i promotori più assidui di musica contemporanea c'è il torinese Duo Alterno [...] I due giungono alla quarta incisione discografica della serie La voce contemporanea in Italia della Stradivarius (nei precedenti tre, autori come Dallapiccola, Petrassi, Berio, Manzoni, Maderna, Nono, Vacchi, Mosso, Colla, Pinelli e altri). Nel quarto il Duo Alterno aggrega a sé, in una pagina di Piacentini stesso, il Penderecki String Quartet: è An Mozart [...] in cui giocano in modo decisivo i cosiddetti ‘foto-suoni’, cioè [...] ‘suoni-luce’, ‘suoni-lampeggiamento’. In Lachrimae interviene anche la voce di Piacentini con frammenti in varie lingue [...] Franco Donatoni è ricordato da una ermetica pagina sui misteri della vita e della morte. Rimarchevole il Vocalizzo che Marcello Abbado ha dedicato al Duo Alterno [...] la melodia è ampiamente detrutturata, sovente ridotta a semplici vocali, che Tiziana trasforma in una pagina simpaticamente erotica [...] Gilberto Bosco sfoggia la sua abilità di trarre il significato profondo delle parole appoggiandosi a un celebre Lied di Schumann. In mezzo a queste pagine, Tiziana Scandaletti si lancia nel brano per voce sola ‘Stripsody’ [...] geniale [...] legando versi, rumori, gorgoglii, grugniti, parole onomatopeiche da fumetto.” (Leonardo Osella)

Da “Amadeus” di ottobre 2009: La voce contemporanea in Italia, Vol. 4. Giudizio artistico ****, giudizio tecnico ****

“Giunta al IV volume la raccolta del duo formato dal pianista e compositore Riccardo Piacentini e dal soprano Tiziana Scandaletti dedicata alla voce contemporanea [...] repertorio che si iscrive nel solco della nobile tradizione dei Lieder [...] A quel mondo si richiamano infatti il dittico in lingua germanica di Mauro Bortolotti Schatten (1995) e Ein Spiel (1995), così come il Lied ...im Traume (2007) di Gilberto Bosco [...] Stesso discorso per quanto riguarda An Mozart (2008) dello stesso Piacentini, che rielabora materiali liederistici mozartiani, allargando l'organico a cinque parti strumentali con l'aggiunta del Penderecki String Quartet. Con Vocalizzo [...] (1997) di Marcello Abbado si tocca il mondo dell'opera lirica con una rinnovata sensualità che rende questa una delle migliori pagine del disco. Ai fascinosi anni '70 guardano le composizioni, entrambe del 1978, di Donatoni e Bussotti: rispettivamente ...ed insieme bussarono [...] e Lachrimae (della versione per voci e pianoforte autorizzata dall'autore si può apprezzare una performance teatral-gestuale su YouTube). Infine Stripsody (1966) di Cathy Berberian [...] ambitissimo terreno di confronto per le cantanti d'oggi.” (Michele Coralli)

Da “Musica e Scuola”  del 15 settembre 2009: La voce contemporanea in Italia, Vol. 4

“Ormai sulla scena internazionale da diversi anni, il Duo Alterno, formato da due valenti professionisti, Tiziana Scandaletti (voce) e Riccardo Piacentini (pianoforte), con questo quarto cd dedicato ai compositori contemporanei [...] offrono un panorama diverso dedicato alla voce e pianoforte [...] Un grande plauso al Duo Alterno che con un lavoro certosino e immane riesce a trasmettere e a lasciare in registrazioni il patrimonio musicale del nostro tempo.” (Michele Gioiosa)

Da “Io Donna – Corriere della Sera”  del 12 settembre 2009: La voce contemporanea in Italia, Vol. 4

“Il soprano Tiziana Scandaletti e il pianista Riccardo Piacentini, ovvero Duo Alterno, [...] in questa quarta tappa affrontano pagine quanto mai differerenziate di Bussotti, Bortolotti, Abbado, Donatoni, Berberian, Bosco e dello stesso Piacentini. Lo fanno con le consuete duttilità stilistica e intelligenza interpretativa, rivelando anche sapori dimenticati.” (Enrico Girardi)

Da “allmusic” dell'1 settembre 2009: La voce contemporanea in Italia, Vol. 4

“La raccolta edita da Stradivarius La voce contemporanea in Italia rappresenta una panoramica esauriente della nuova musica vocale italiana [...] L'interprete di tutti i volumi della serie, di cui questo è il quarto, è il Duo Alterno [...] Scandaletti è un ‘soprano della nuova musica’ dal grande talento (‘very gifted’) [...] ben versata soprattutto nelle tecniche dell'avanguardia; più come Cathy Berberian, Jan De Gaetani, Esperanza Abad e altri soprano di una grande generazione. Piacentini si dimostra esperto dentro il pianoforte e nel maneggiare sorgenti sonore esterne così come anche alla tastiera. Per il lavoro di Riccardo Piacentini, An Mozart (2008), il duo è insieme al Penderecki String Quartet [...] un programma davvero forte che sembra avere l'eredità dell'opera nel suo cuore [...] Lachrimae di Sylvano Bussotti [...] emerge come un ‘twelve-tone vampire intermezzo’, con un perfido riso (‘wicked laughter’) and un alto senso di drammatica ironia. Macello Abbado [...] è rappresentato dal Vocalizzo sopra ‘Ma se mi toccano dov'è il mio debole’ dal Barbiere di Siviglia (1997); la celebre aria di Rossini è trasformata in gemiti erotici con il favore delle atmosfere rese dall'abile trattamento della cordiera del pianoforte da parte di Piacentini. Tuttavia il cavallo di battaglia è l'assolo della Scandaletti in Stripsody (1966) di Cathy Berberian [...] un tour de force per un soprano lirico che guarda oltre. Scandaletti lo esegue con rimarchevole entusiasmo ed è un grande divertimento (‘a great deal of fun’).” (Uncle Dave Lewis)

Da “La Gazzetta di Parma” del  24 agosto 2009: Classico in discoteca. Musica e poesia. Voci contemporanee delle due “sorelle” [...]

“[...] un interessantissimo disco dedicato alla ‘Voce contemporanea in Italia’, quarta tappa di un percorso che il Duo Alterno, composto dal soprano Tiziana Scandaletti e dal pianista e compositore Riccardo Piacentini, è andato disegnando per la Stradivarius nell'intendimento di ricostruire la varietà di atteggiamenti che hanno contrassegnato nel Novecento il rapporto tra le ‘due sorelle’ [musica e poesia]. Rapporto non propriamente idilliaco, e le ragioni storiche ce le spiega appunto con la sua penetrante intelligenza Principe [autore delle note illustrative del booklet] soffermandosi sull'isolamento italiano rispetto alle felici convergenze offerte da altre civiltà, dalle raffinatezze fiamminghe all'avvoglente interiorità del liederismo romantico. E proprio in rapporto a tale fondale sembra porsi in controluce il profilo di questa proposta, nel gioco alterno tra musicisti che, non senza rovelli e magari utopisticamente, lasciano affiorare tale passato ed altri che invece sembrano affrontare il rapporto tra poesia e musica dopo aver azzerato la tavola. Come sembra fare Donatoni nella breve pagina ...ed insieme bussarono toccata da quella impagabile felicità con cui animava anche il ripiegamento decostruttivista; e pure il più impegnativo lavoro di Bussotti, Lachrimae, nel modo con cui agita nel suo inquieto crogiolo quattro lingue diverse avvitandole nella congeniale vocazione coreografica. Non poteva mancare in questo avvincente viaggio il ricordo della strepitosa vocazione vocalistica di Cathy Berberian di cui Tiziana Scandaletti rinnova con bravura e intelligenza il fascino ricomponendo una delle sortite più famose, Stripsody. E sempre sul filo di una sottile parodia si muove Marcello Abbado giocando tra fonemi e gestualità nel Vocalizzo sopra una nota pagina del Barbiere rossiniano. Il passato invece riaffiora, senza insistita nostalgia, ma come una trepida, allarmata veronica, dalle due tenere pagine di Mauro Bortolotti così come il richiamo liederistico allo Schumann di Ich grolle nicht diventa oltremodo istigante per Gilberto Bosco. Infine, un sollecitante gioco dello stesso Piacentini, An Mozart, divertente per gli ascoltatori non meno che per gli esecutori, divenuti sei nel caso, ché ai ben compresi componenti del Duo Alterno si unisce il Penderecki String Quartet.” (Gian Paolo Minardi)

Da “Il Cittadino” del 15 luglio 2009: La scena contemporanea

“Quarto poderoso mattone di un’architettura che, ancora più in questi tempi di magra, sa di eroico, l’ultimo caparbio volume che l’etichetta Stradivarius dedica alla voce contemporanea in Italia. Superbo, davvero, in questa ‘restituzione’ tutta italiana il Duo Alterno di Riccardo Piacentini e Tiziana Scandaletti, rispettivamente pianoforte e voce di un’infinita palette di colori e umori giocati in totale adesione alle pagine e all’insieme. Un contemporaneo che poggia sull’antico, sul mai rinnegato universo dell’ordine possibile e della parola felice, quello del melodramma e delle lingue morte, che affiorano come busti marmorei in un sentiero frondoso. Un intero giro di compasso nel tempo e nello spazio, un’antologia insieme personale e universale [...] il maestro sommo Bussotti, lo scienziato Donatoni, l’onnivora Cathy Berberian, il malinconico Gilberto Bosco. Un’ora di ascolto che riavvolge e raggruma una manciata di anni febbrili per la musica nazionale, per ora irripetibili. A suggellare il tutto, un Piacentini intenso compositore allevato alla scuola di Bussotti, con un personalissimo sguardo ‘An Mozart’.” (Elide Bergamaschi)

Da “Musica e dischi” di luglio 2009

“[...] il bellissimo quarto volume di La voce contemporanea in Italia: pagine di Bussotti, M. Abbado, Donatoni, Bortolotti, Cathy Berberian e Bosco [...]” (Diana Leva)

Da “Blow Up” di luglio 2009

“Il soprano Tiziana Scandaletti, con il sussidio di Riccardo Piacentini al pianoforte e in un caso del Penderecki String Quartet, compila un'antologia di brani [... in cui] ritroviamo Lachrimae di Bussotti, ...ed insieme bussarono di Donatoni, Stripsody di Cathy Berberian insieme con brani di Bortolotti, Abbado, Bosco e dello stesso Piacentini. Molta e diversa carne al fuoco ma ben arrostita da un'esecuzione di livello.” (Piercarlo Poggio)

Da SentireAscoltare” del 19 giugno 2009: La voce contemporanea in Italia vol. 4, Duo Alterno, Stradivarius

“Progetto ambizioso quello del Duo Alterno [...] Singoli volumi, pubblicati, a partire dal 2005, a cadenza più o meno annuale, che partono da un’idea unificante, da un ‘leit-motiv’, come lo definisce la Scandaletti. Il primo è costruito sul rapporto tra alcuni compositori italiani e grandi poeti a loro contemporanei (basti ricordare, tra i tanti, i legami artistici tra Petrassi e Quasimodo o tra Corghi e Ungaretti); il secondo (uscito nel 2006) riflette sulla ‘contaminazione’ tra generi, lingue e linguaggi (rappresentata da autori come Morricone, Maderna, Sciarrino), mentre il terzo approfondisce il discorso linguistico concentrando l’attenzione su compositori che hanno lavorato su testi in lingua tedesca (tra cui ClementiManzoni e i più giovani Alberto Colla e Luca Lombardi). Il nuovo anello della catena, che non sembra doversi chiudere, a detta degli stessi musicisti (che abbiamo intervistato nella rubrica ‘I cosiddetti Contemporanei’), raggruppa una serie di compositori che hanno tratto ispirazione, per alcune loro opere, ai classici del passato. Tra questi si inserisce anche Piacentini stesso che, insieme al Penderecki String Quartet, presenta la sua An Mozart, una partitura concepita per quartetto d’archi e “foto-suoni” (un’interessante idea [...] che prevede l'interazione tra suono e immagine fotografica) ed elaborata a partire da due Lieder di Mozart. Un posto di particolare riguardo spetta a Lachrimae di Sylvano Busotti (‘un capolavoro di strutturalismo anarchico’ la ha definita Riccardo) e alla bella interpretazione della Scandaletti del testo-non testo di Cathy Berberian, Stripsody, una ‘partitura’ che richiede capacità di recitazione e una libertà interpretativa non indifferenti [...]” (Daniele Follero)

Da musicycle.net” del 19 giugno 2009: Duo Alterno, La voce contemporanea in Italia vol. 4

http://www.musicycle.net/index.php?option=com_content&task=view&id=495&Itemid=10081

Da corrierebit.com” del 12 giugno 2009: Brani vocali di musicisti contemporanei per la Stradivarius

“[...] Protagonisti dell'interessante lavoro il Duo Alterno e, in uno degli otto brani presenti, anche il Penderecki String Quartet. Il Duo, di livello internazionale, è formato dal soprano Tiziana Scandaletti e dal pianista-compositore Riccardo Piacentini. Nel cd La voce contemporanea in Italia - vol. 4 si possono ascoltare brani composti tra il 1966 e il 2008 da Bussotti, Bortolotti, Abbado, Donatoni, Berberian, Bosco e lo stesso Piacentini. La voce femminile ha sempre un ruolo centrale in tutte le composizioni. I brani ‘storici’ di Bussotti e Donatoni, Lachrimae e ...ed insieme bussarono, sono entrambi del 1978 [...] una forte componente gestuale e teatrale si evidenzia nel primo e un bisogno di libertà strutturale, ben definita sino dai primi attacchi timbrici della voce femminile, nel secondo. Questo bisogno di teatralità espressiva è ancora più evidente nel brano per sola voce Stripsody del 1966 [...] della grande Cathy Berberian. Ottima l'interpretazione della Scandaletti. [...] Vocalizzo sopra ‘Ma se mi toccano dov'è il mio debole’ dal Barbiere rossiniano di Marcello Abbado, composto per il Duo Alterno, è un bell'esempio di divertissement musicale scritto nel 1997, che gioca su un'infinita possibilità di variazioni timbriche della voce. ...im Traume, brano del 2007 di Gilberto Bosco, ancora dedicato al Duo, ha il testo in tedesco: parte da Schumann per arrivare a una appassionante trasofrmazione in chiave moderna [...] An Mozart, scritto da Piacentini nel 2008, unisce la voce e il pianoforte ad un quartetto d'archi e presenta caratteristiche musicali dove le influenze della tradizione tedesca del primo Novecento si uniscono nel finale ad un passato musicale facilmente riconoscibile. La ricerca sul testo è mediata da un linguaggio visionario ricco di suggestive immagini. Un cd ottimamente interpretato che raccomandiamo a tutti gli amanti della vocalità.”

Da ESZ News” di giugno 2009: Una notte postmoderna

“[...] ...im Traume per voce e pianoforte su testo di Heine, nell'interpretazione del Duo Alterno [...], è uscito nel CD miscellaneo La voce contemporanea in Italia - vol. 4 (Stradivarius 33833), una «bellissima antologia [...] un panorama che onora l'arte italiana del Novecento» (Claudio Strinati su la Repubblica) con cui Bosco s'inserisce nell'importante serie di autori contemporanei meritoriamente portati all'attenzione del pubblico dai due artisti, «portavoce di assoluto riferimento per sensiibilità e preparazione e di encomiabile coerenza nelle scelte interpretative e di repertorio» (Claudio Bolzan su Hortus Musicus).”

Da “4ARTS” del 3 maggio 2009: Il nuovo disco del duo Alterno dedicato alla voce contemporanea

“Il Duo Alterno [...] esce con la raccolta n° 4 de La voce contemporanea in Italia. Non è facile trovare nel già asfittico panorama discografico italiano operazioni così coraggiose. Un tributo a Bussotti, con il suo straordinario Lachrimae, Donatoni, Berberian, tanto per citarne alcuni, con l'eccellente esecuzione del Duo che ormai si conferma come uno tra i più prestigiosi ensemble nel panorama italiano.” (Daniele Ribustini)

 
Alcune interviste sul CD Duo Alterno - La voce contemporanea in Italia 4
 

Intervista di Giovanni Conti e Sergio Romano al Duo Alterno
Radio Svizzera Italiana, 11 settembre 2009

Sergio Romano: Abbiamo ascoltato una pagina di Sylvano Bussotti. È per introdurre e salutare il nostro ospite, il pianista e compositore italiano Riccardo Piacentini. E in studio qui con me c’è Giovanni Conti. Un saluto quindi ad entrambi.
Giovanni Conti: Un saluto a te, Sergio, ed un saluto a Riccardo Piacentini naturalmente, che dovrebbe essere in collegamento.

Riccardo: Sì, sono in collegamento. Buongiorno. C’è qui vicino a me anche Tiziana Scandaletti.

G. C.: Esatto, stavo per salutarla…

Tiziana: Buongiorno. Sono qua anch’io. Buongiorno dunque a tutti gli ascoltatori.

G. C.: Buongiorno, Tiziana. La voce che abbiamo appena sentito nel brano di Bussotti è quella del soprano Tiziana Scandaletti che i nostri ascoltatori - insieme a Riccardo Piacentini - già conoscono perché siamo qui a parlare del quarto volume de «La voce contemporanea in Italia» di cui voi siete - oserei dire - i protagonisti assoluti nel senso che dal primo disco fino a questo quarto voi siete gli interpreti di riferimento. In questo disco poi - avremo modo anche di parlarne più avanti - c’è come ospite un quartetto d’archi. Ne parleremo dopo con i nostri ospiti ed avremo modo di ascoltare alcune pagine del Novecento italiano, naturalmente, visto che la serie di dischi s’intitola «La voce contemporanea in Italia». Brani che vedono insieme il pianoforte e la voce, ma ascolteremo anche brani da Cathy Barberian, «Stripsody» del 1966 per voce sola, e ascolteremo dunque da sola la bellissima voce di Tiziana Scandaletti. Poi andremo - più avanti nella trasmissione - ad ascoltare un brano che porta la firma di Riccardo Piacentini. Noi lo ricordiamo ai nostri ascoltatori, Piacentini non è solo un pianista - già solo mi sembra riduttivo dire questa parola - però è anche un compositore; dopo lo ascolteremo appunto in questa composizione «An Mozart» del 2008. Dunque, Piacentini, questo è il quarto volume di un’avventura che sta avendo grandi successi: siete reduci infatti da tournées assolutamente di successo.

Riccardo: Sono cinque anni che stiamo portando avanti questa ‘avventura’ - come giustamente l’ha chiamata Lei - nel campo della vocalità contemporanea italiana. Cerchiamo sempre di mettere a prova in esecuzioni live i brani che poi incideremo sui nostri dischi. Quindi per noi è essenziale portare nei nostri concerti in Italia, ma in molti casi anche all’estero nelle nostre tournée, i brani che di lì a poco incideremo su cd. In particolare in questo quarto cd della serie c’è una componente gestuale molto forte ed è stata una vera scommessa riuscire attraverso il solo audio a rendere la gestualità e la teatralità di questi brani. Per esempio il brano di Bussotti di cui prima abbiamo ascoltato un estratto è un brano che dal vivo comporta una vera e propria spettacolarità con movimenti scenici. Noi abbiamo cercato di riprodurre questa teatralità sul cd attraverso dei movimenti microfonici particolari che danno l’idea che il soprano, che Tiziana si stia spostando da una parte all’altra del palcoscenico e così pure il pianista che di quando in quando si alza, sedendosi o spostandosi a lato del pianoforte; e infatti in questo caso non solo la voce di Tiziana - si può dire - ne combina di tutti i colori, ma anche al pianoforte spettano delle cose abbastanza particolari: per esempio devo spesso utilizzare la cordiera direttamente all’interno del pianoforte, cioè non solo suonare sulla tastiera ma all’interno del pianoforte, e poi devo intervenire con la mia voce. Infatti il pezzo di Bussotti è stato autorizzato dallo stesso compositore ad essere eseguito in questa versione unica a cui lui ha dato un ‘bollino di garanzia’ e che quindi ci ha dato la possibilità di eseguire in questa particolarissima versione per voci - quella di Tiziana e la mia - e pianoforte.

G. C.: Devo dire che ascoltando il disco questa idea del movimento la si percepisce in maniera assolutamente efficace e devo dire che è un esperimento - se possiamo chiamarlo così - perfettamente riuscito. Una pagina - questa di Bussotti - che vi sollecita ad esprimervi in inglese, in francese antico, in tedesco ed in italiano. Insomma, in qualche modo dovete sollecitare la parte di attore che c’è in voi.

Riccardo: Assolutamente. Noi consideriamo queste non semplicemente delle esecuzioni, ma vere e proprie performance in cui la recitazione non significa soltanto che noi dobbiamo parlare o dobbiamo pronunciare delle parole, ma dobbiamo proprio atteggiarci come attori, quindi siamo dei performer a trecentosessanta gradi.

G. C.: Piacentini, una domanda. Non è sempre facile, e credo che Lei che si occupa di musica contemporanea lo colga in maniera chiara, non è facile sempre per l’ascolatore medio diciamo così ‘impadronirsi’ del fascino che scaturisce appunto da una pagina di musica contemporanea. Nelle note che accompagnano questo cd passando in rassegna nomi come Bussotti, Bertolotti, Marcello Abbado, Donatoni, Bosco e Lei stesso, si parla di ‘tradizionÈ della musica contemporanea. Ci aiuti a capire meglio.

Riccardo: In questo caso intendo il termine ‘tradizione’ in almeno due sensi. Tradizione, come dice Lei, della musica contemporanea, perché in questa accezione dagli anni ‘50 in poi si è costruito un vero e proprio repertorio che poi è quello che noi stiamo cercando di ‘fissare’ su questi cd affinché non vada dimenticato. Ma parlo di ‘tradizione’ anche nel senso più acquisito del termine, perché tutti i compositori rappresentati in questo cd si sono rivolti o a materiali testuali o materiali musicali del passato. Questo è il fil rouge di tutto il disco. E stiamo parlando di compositori di primaria grandezza. Parliamo di Gioachino Rossini per il vocalizzo sopra «Ma se mi toccano» di Marcello Abbado, mentre Cathy Berberian, all’interno del suo brano apparentemente così poco tradizionale, c’è una chiarissima citazione della «Ninna Nanna» di Johannes Brahms come pure di brani di Verdi e dei Beatles, tradizione pure loro. Ma anche Gilberto Bosco nel suo «…im Traumen» ha ricostruito alcuni aspetti di un famoso Lied di Schumann e quindi c’è questa citazione ricorrente, anche se volutamente fraintesa dal compositore. Nel mio pezzo, non a caso intitolato «An Mozart», i materiali mozartiani sono alla base dell’elaborazione compositiva. Quindi tradizione anche in questo senso: non solo nel ristretto campo della musica contemporanea, ma tradizione dei secoli passati della nostra civiltà musicale.

G. C.: Voglio dire che per esprimersi la musica contemporanea non può assolutamente perdere il contatto, il legame con ciò che ha con il passato, come invece si era cercato di fare in alcuni casi.

Riccardo: Beh, diciamo questo: assolutamente il compositore non può mai permettersi di smarrire la coscienza delle proprie radici, e anche le situazioni più ‘irriverenti’ nei confronti della tradizione vanno costantemente rapportate a ciò che le ha precedute. Perdere la percezione della propria storia, perderne la memoria, credo sia deleterio e che somigli molto all’ignoranza. Nello stesso tempo è ben vero che ci sono stati dei momenti nella storia della musica - non solo nel ’900 - dove gli artisti hanno cercato di recidere le proprie radici. Si è trattato di casi spesso utili e ‘propedeutici’, nel senso che è servito sicuramente a qualche cosa il tentativo di fare tabula rasa senza peraltro riuscirvi. La nostra storia non sarebbe così se, nel bene e nel male, non si fosse tante volte tentato di recidere il proprio passato. In molti casi questo può apparire negativo, ma nel caso specifico della musica contemporanea vorrei essere un po’ più… transigente, più aperto, e ammettere che esistano degli aspetti positivi e insostituibili in questo tipo di operazioni. Basta osservare criticamente che cosa è successo negli anni ‘50, e fuori balzeranno insieme aspetti positivi e negativi, almeno se valutati con il senno di poi, entrambi da non dimenticare o nascondere, in fondo entrambi prospetticamente utili e importanti.

G.C.: Certamente. Senta, io propongo a Lei e naturalmente a Tiziana Scandaletti di ascoltare e di ‘riascoltarsi’ con questo brano di Cathy Berberian «Stripsody». Subito dopo parleremo con Tiziana di questo brano che è per voce sola. E poi parleremo anche di altro. Dunque «Stripsody» di Cathy Berberian per voce sola. E la voce è quella di Tiziana Scandaletti.

[... esempio musicale…]

G.C.: Una pagina straordinaria di Cathy Berberian, «Stripsody», che gioca sulle onomatopee fumettistiche con la voce di Tiziana Scandaletti che abbiamo anche in collegamento telefonico. Ne approfittiamo quindi per chiederle di quella che è a mio parere una vera e propria impresa, quella di confrontarsi con l’originale perché in questo caso - a differenza di altri grandi virtuosi del passato, che so... penso a Paganini - abbiamo anche il documento sonoro, la versione registrata da Cathy Berberian stessa. Tiziana cosa ci racconta?

Tiziana: Io ho una straordinaria ammirazione per Cathy Berberian. È una specie di Bibbia personale; ascolto sempre i suoi cd. Nello studiare «Stripsody» ovviamente sono partita da questo punto di riferimento, però poi il pezzo è così accattivante, così divertente che non si può eseguire se non lo fai proprio e così ci si dimentica anche il punto di riferimento e ci si lascia andare al proprio temperamento, alla propria ironia. E quindi è un bellissimo rapporto, il confronto ma nel contempo anche una maturazione personale con questi disegni, con questi cartoon che sono disegnati.

S. R.: In effetti a mio parere è una versione che regge decisamente il confronto quella che troviamo sul disco della Stradivarius da cui oggi facciamo alcuni assaggi «La voce contemporanea in Italia», volume 4, disco che Giovanni Conti mi ha portato in studio.

Tiziana: C’è da dire che anche qui ovviamente la componente gestuale è evidente nella produzione del suono, ma io la applico in maniera particolare quando faccio delle esecuzioni live perché ho preparato per l’occasione una partitura dove ho incollato tutti i cartoon in modo che il pubblico possa vedere e anch’io in piccolo li possa leggere; così è come se io camminando ‘eseguissi’ la striscia che è lunga tre metri e chiedo più d’una volta al pubblico di venire a tenermi su bene teso questo grande lenzuolo. È molto divertente e anche coinvolgente.

G.C.: Non c’è dubbio. Cercare di coinvolgere il pubblico. Poi, in questa cosa è decisamente stimolante. Tiziana Scandaletti, parliamo dunque anche degli altri brani che sono in questo disco. Ce n’è uno che forse la fa vibrare di più rispetto agli altri?

Tiziana: Se si parla di vibrare internamente, certamente è il brano di Marcello Abbado dove bisogna veramente ricercare delle vibrazioni interne. È un brano divertentissimo che mette a prova l’interprete sotto molti aspetti; anche quello psicologico perché affrontare il brano nel suo complesso è stato molto divertente, all’inizio anche un po’ imbarazzante, ma poi ci si lascia andare sull’onda dell’interpretazione. È bellissimo perché ci sono soltanto delle vocali e l’idea è che, sollecitata dalle corde del pianoforte, il soprano comincia a vibrare e le vocali sono quelle di «Ma se mi toccano» dal Barbiere di Rossini ed è divertentissimo perché il compositore si compiace nel vedere come si può far vibrare una voce, in quali modi; quindi con la carezza, con il pizzicato, con una percussione in un crescendo via via sempre più intenso, con un’esplosione finale. Veramente molto divertente.

G.C.: Bene vorremmo proporlo nei prossimi giorni al nostro pubblico; non vogliamo dare subito tutto di questo quarto volume. Il tempo scorre veloce e andiamo verso la fine di questo collegamento Vogliamo parlare ancora un attimo con Lei e poi ci passa Riccardo Piacentini per parlare della sua composizione «An Mozart». Questa pagina vede impegnata la voce, il pianoforte ma anche in quartetto d’archi.

Tiziana: Questo pezzo l’abbiamo fatto per la prima volta in Canada nel 2008, alla Music Gallery di Toronto, per il SoundaXis Festival. È un brano - anche questo - molto divertente e ne parlerà in dettaglio Riccardo Piacentini. Per quanto riguarda me, la cosa più interessante è stato l’inizio perché c’è un piccolo escamotage per cui io fingo di suonare dentro il pianoforte, le corde, di percuoterle mentre in realtà c’è una fonte sonora pre-registata che emette questi suoni che io fingo di suonare. Però mi da un senso di grande libertà: questo esprimermi suonando il pianoforte.

G.C.: Insomma, sempre di più queste vostre esecuzioni diventano degli spettacoli che si distaccano dal vero momento musicale.

Tiziana: È una ricerca che stiamo facendo proprio in questo senso. Siamo molto determinati, molto attenti nel fare questo percorso.

G.C.: Perseverate. Questo è un augurio più che un consiglio.

Tiziana: Grazie.

G.C.: Piacentini, in «An Mozart» - la sua composizione che chiude questo collegamento, ma chiude anche il disco - c’è la partecipazione di un quartetto d’archi. Ci dice dunque come nasce?

Riccardo: Il Penderecki String Quartet è un quartetto che abbiamo conosciuto nel 2003. È stato un incontro di quelli fortunati, risalente alla nostra seconda tournée in Canada (la prima era stata nel 1997). Gli organizzatori facevano capo al Penderecki String Quartet, quartet in residence della Wilfrid Laurier University, a due passi da Toronto; vennero a conoscenza di questa nostra tournée e ci vollero invitare. In quell’occasione noi abbiamo avuto l’occasione di conoscere questo quartetto con il quale è iniziata una collaborazione che si è concretizzata infine con il mio brano «An Mozart», poi eseguito di nuovo a Toronto, al SoundaXis Festival, l’anno successivo. Bisogna dire che la prima esecuzione è stata a Toronto, ma che il primo stimolo è nato dal Festival Mozart di Rovereto e Trento dove mi avevano chiesto un brano per quartetto d’archi con il Duo Alterno. Io mi sono accordato in modo tale da costruire un pezzo che funzionasse per entrambe le occasioni. Così è nato «An Mozart». I materiali sono rigorosamente mozartiani: ci sono due Lied: nello specifico «An Chloe», che è un Lied della maturità, e il giovanile «An die Freude» («Alla felicità»). Bene: io ho utilizzato questi due Lied e li ho contrappuntati tra loro scoprendo una cosa che potevo già immaginare in Mozart: la genialità di quest’uomo che riusciva a comporre brani che in qualche modo erano tra loro complementari pur essendo autonomamente belli, anzi bellissimi, e in molti casi sovrapponibili, contrappuntabili uno all’altro. Questi due Lied infatti, se li si trasporta nella stessa tonalità (perché uno è originariamente in fa maggiore e l’altro in mi bemolle maggiore), possono essere eseguiti parzialmente insieme e anche l’uno capovolto e l’altro no! Con piccoli accorgimenti tutto miracolosamente funziona. Inoltre, come diceva Tiziana, ho utilizzato questi suoni pre-registrati, che io chiamo ‘foto-suoni’ perché sono delle fotografie sonore (io le chiamo così, le vivo e le interpreto così), facendoli provenire direttamente dall’interno del pianoforte. Ovviamente nella registrazione non si percepisce questo. Dal vivo invece si sentono dei suoni che provengono non si sa esattamente da dove… e questo è mozartianamente divertente e anche un po’ destabilizzante…

G.C.: Bene Piacentini, io sono felicissimo di questa cosa perché ci ha fatto scoprire una volta di più la genialità di Mozart. Me lo lasci dire alla faccia di coloro che vorrebbero vedere genialità in persone che si chiamano Allevi...

Riccardo: Non commento.

G.C.: Piacentini, ci fermiamo qui in attesa di avere ulteriori possibilità di collegarci con voi. Complimenti per questo quarto volume de «La voce contemporanea in Italia». Intanto in sottofondo sentiamo le note di «An Mozart». Velocemente: state preparando il quinto volume?

Riccardo: Sì, diciamo che non è immediato perché nel frattempo stiamo lavorando a un altro volume che affonda nel ‘900 storico e che si chiamerà «La voce crepuscolare». Andiamo, in questo caso, a cercare le nostre radici per la musica italiana contemporanea. Dopo di che, tra un paio di anni, usciremo nuovamente con un quinto volume. Quindi l’avventura continua, per usare il Suo termine!

G.C.: Bene, e noi saremo qui ad accoglierla.

Intervista di Daniele Follero al Duo Alterno
SentireAscoltare, Digital Magazine luglio/agosto 2009, n. 57/58

Quando vi siete avvicinati alla musica? E quando avete deciso che la musica avrebbe occupato la parte più importante (almeno dal punto di vista professionale) della vostra vita?

Tiziana: Ho sempre amato la musica sin da piccola, ma è da quando ho cominciato il liceo che la passione per il canto è divenuta rapidamente una vera e propria ragione di vita, tant’è che a 18 anni mi sono presentata a una selezione per entrare nel coro del Teatro Comunale di Treviso, l’ho vinta e ho potuto iniziare la mia attività professionale. Poi il diploma, la laurea in Lettere, l’attività all’Arena di Verona e, soprattutto, l’attività solistica per la quale ho approfondito il repertorio vocale da camera che insegno anche nei miei corsi in Conservatorio.

Riccardo: Anche per me la passione per la musica risale a quando ero piccolo. I miei genitori mi regalarono una fisarmonica con cui riproducevo le melodie che più mi piacevano e avevo anche inventato un modo per trascriverle, con numeri, lineette, spaziature, ecc. Gli studi regolari sono iniziati a 11 anni,  a 16 sono entrato, convinto, in Conservatorio e a 22 ho conseguito i diplomi in Composizione e Pianoforte. Quindi la laurea e l’attività professionale, entrando da subito a insegnare in Conservatorio.

Immagino siate partiti da studi classici. Qual è stato, invece, il vostro primo approccio alla musica cosiddetta “contemporanea”? E come mai avete scelto di specializzarvi in questi repertori?

Tiziana: Certo, studi classici, liceo e università compresi. Alla musica contemporanea mi sono avvicinata a Venezia negli anni ’80, collaborando con amici compositori…

Riccardo: … mentre nel mio caso i primi contatti sono avvenuti tra la fine degli anni ’70 e i primi ’80, quando intercettai i corsi estivi di Sylvano Bussotti (a Sargiano) e di Franco Donatoni (all’Accademia Chigiana di Siena). Con quest’ultimo ho frequentato quattro anni no stop di corsi e gli devo moltissimo. Non voglio però dimenticare i miei insegnanti di prima, importantissimi: Carlo Pinelli per la Composizione e Roberto Cognazzo per il pianoforte.

Tiziana: Insieme, come Duo Alterno, la scelta di specializzarci nel repertorio contemporaneo è stata quasi d’obbligo. Io provenivo da studi universitari di Filologia, oltre che da quelli di Canto, e Riccardo proveniva da studi seri di Composizione, oltre ad essere diplomato in Pianoforte. Risultato: se volevamo collaborare insieme, non rimaneva che mettere insieme le nostre rispettive forze e competenze, e l’atteggiamento del filologo che lavora sui manoscritti calza alla perfezione con i nuovi segni della musica contemporanea e con la passione e il rigore che questa musica richiede.

Sono ormai 12 anni che suonate insieme. In che modo è cominciato questo vostro rapporto artistico?

Riccardo: In parte la risposta sembrerebbe già contenuta nella precedente, ma in realtà, prima di formare il Duo Alterno, la nostra collaborazione era già piuttosto solida, in quanto Tiziana eseguiva spesso mie musiche, e anzi io, a partire dal 1992, componevo le mie musiche quasi esclusivamente per la sua voce!

Tiziana: Sì, erano pezzi per voce sola (come Fugitives. Tre frammenti da Baudelaire) o per voce e nastro magnetico (come 7x7+7. Otto filastrocche per voce di mamma) o per voce e ensemble o ancora per voce e orchestra (come L’aura per soprano, flauto e orchestra). Questo tipo di collaborazione continua tuttora, e infatti spesso io eseguo brani di Riccardo…

Riccardo: … ma dal 1997 abbiamo deciso di aggiungere qualcosa di importante alla nostra collaborazione, costituendo il Duo Alterno e dando il via a una certa “irrequietudine geografica” che ci accomuna: abbiamo cominciato a viaggiare, praticamente in tutti i continenti, Australia compresa, proponendo un repertorio insolito, ma anche straordinariamente affascinante, di musiche italiane del ‘900 e contemporanee…

Tutti conosciamo le difficoltà che si incontrano (in qualsiasi ambito musicale) nel riuscire ad intraprendere una carriera professionale come musicisti. Come riescono musicisti come voi a vivere di musica pur avendo scelto un repertorio affascinante quanto “impopolare”?

Riccardo: L’insegnamento in Conservatorio è una base economica, oltre che formativa, da cui noi non possiamo prescindere e di cui dobbiamo ringraziare per averla (penso a quanti bravissimi musicisti non hanno questa opportunità, soprattutto negli ultimi due decenni). Ma i concerti non sono certo un puro divertimento, e trovarli comporta a sua volta un grande lavoro che richiede tempo, coerenza e stabilità emotiva, anche una buona predisposizione a livello organizzativo e manageriale. Per “coerenza” intendo la volontà, l’energia di proporre un repertorio in cui si crede fortemente, per il quale ci si sente preparati e di cui si è sicuri che non deluderà farlo scoprire al pubblico più sensibile e alla critica. Noi non crediamo che fare cultura sia una cosa “comoda” e necessariamente “popolare” (nel senso di non impopolare). Infatti ci chiamiamo Duo Alterno.

Quali sono le principali differenze, a distanza di tanto tempo, nel suonare insieme? Sotto quali aspetti siete principalmente cresciuti, musicalmente?

Tiziana: Sotto tantissimi aspetti. La voce e il pianoforte, il canto e la composizione… sono binomi già di per sé problematici e ti obbligano a crescere, modularti, coabitare in modo non sempre facile e immediato. Così, studiando ore e ore insieme, con un repertorio in costante espansione, non puoi che cambiare nel corso del tempo. Quando ascoltiamo le nostre prime incisioni discografiche fatte come Duo Alterno (parliamo del 1998) e poi quelle più recenti scopriamo che abbiamo maturato ad esempio una dimensione più gestuale e teatrale del far musica, che la nostra passione filologica nel campo della musica del ‘900 e contemporanea è un’avventura sempre più imprevedibile e creativa (la creatività è imprevedibile!), perché studiare a fondo qualcosa vuol dire saperla reinterpretare.

Riccardo: Sì, ci piace l’idea del “performer ermeneuta”, una specie di esploratore che scava nei meccanismi più nascosti della composizione e lo fa fedelmente e trasgressivamente insieme. È possibile, anzi irrinunciabile, è una sorta di sano “pregiudizio”, come direbbe Gadamer, che sta alla base di ogni lettura per quanto seria e filologicamente fondata. Se non come si farebbe a essere creativi?

 

Ci sono dei compositori con le cui musiche vi sentite maggiormente a vostro agio?

Tiziana: Direi i compositori con cui abbiamo un feeling e una frequentazione costanti, compositori vivi e operanti (“viventi e scriventi”, come diceva di essere Morricone quando ottantenne vinse l’Oscar alla carriera) con cui possiamo direttamente confrontarci. Sarebbe lungo fare un elenco di quelli che in questi anni ci hanno dedicato loro lavori, o quanto meno ne hanno seguito o curato una versione per il nostro Duo Alterno. Faccio in primo luogo i nomi di Giacomo Manzoni, Ennio Morricone, Sylvano Bussotti, ma abbiamo anche avuto la possibilità di confrontarci con Luciano Berio, Goffredo Petrassi… e tutta una nutrita serie di generazioni successive che ci hanno dedicato loro composizioni, da Solbiati a Vacchi, Cifariello Ciardi, Gentile, Bosco, ecc. E poi c’è il repertorio italiano da camera del primo ‘900: parliamo di Ghedini, Casella, Alfano, Malipiero… Dei primi due abbiamo eseguito decine e decine di volte brani come i Quattro canti su antichi testi napoletani o le Deux chansons anciennes, che traggono ispirazione dal folclore popolare rivisitato in chiave colta. Un po’ come le successive Quattro canzoni popolari di Berio, un nostro cavallo di battaglia che eseguiamo con le diverse cadenze dialettali richieste dai testi di ciascuna canzone. Ecco, questo repertorio ”misto” ci piace moltissimo e, fra l’altro, piace anche moltissimo al pubblico, incluso quello che sulle prime si dimostra prevenuto.

Eseguire la musica di altri è una pratica di per sé creativa, che presuppone uno studio, un metodo di lavoro ed una successiva interpretazione. Come approcciate (tecnicamente, ma anche cognitivamente) ad una nuova partitura?

Riccardo: Ottima domanda che al suo interno contiene già alcune affermazioni che condividiamo in pieno. La creatività sul piano performativo non è mai qualcosa di capriccioso, non è neppure cosa da star hollywoodiane permalose e scostanti. Al contrario richiede una grande disciplina e una strategia di azione molto attenta, anche se spesso nascosta, tutt’altro che esibita. È la parte del performer che non fa spettacolo. È l’arte di far sembrare facili cose che non lo sono affatto, di portare alla luce ciò che alla luce può arrivare solo in seguito a una lunga operazione di scavo. Qualunque atto creativo, nella composizione come nella sua interpretazione, comporta ore e ore, giornate intere di metodico lavoro. Un esempio recente è stato per noi lo studio di due partiture esemplari della vocalità da camera degli ultimi decenni: Lachrimae di Sylvano Bussotti e …ed insieme bussarono di Franco Donatoni. Il primo richiede una totale ricomposizione, a partire però da una pletora di elementi che vanno letti-intesi-fraintesi in modo logico e conseguente, e quelli devono essere, non altri. Il secondo, il brano di Donatoni, è un capolavoro di “strutturalismo anarchico”, ossimoro che significa: la composizione nasce idealmente secondo una concezione strutturalistica, ma l’esito finale – e l’interpretazione non può non tenerne conto – ha un sapore fortemente anarchico. Anything goes, ma solo con quelle note, quelle durate, quelle dinamiche, quelle precise richieste espressive… per un’apologia della libera anarchia. Un capolavoro che sfida non certo solo il buon senso, ma addirittura il senso. Per capire questo, bisogna respirarlo a pieni polmoni e in modo continuativo: ne esci trasformato.

I processi compositivi dell’alea hanno ridefinito il rapporto tra il compositore e l’esecutore, chiamati a rivestire ruoli diversi rispetto al passato. Come vi rapportate a questo tipo di esperimenti?

Tiziana: Ecco, appunto, come diceva Riccardo in Lachrimae di Sylvano Bussotti l’esperienza dell’alea è stata per noi straordinaria. Non che non l’avessimo già provata prima in altri lavori, ma qui tocca delle punte davvero altissime. Ti trovi di fronte a una pagina fitta di segni, apparentemente scollegati, ma poi cerchi un filo, lo inventi nel senso che “lo trovi” (in latino, come sappiamo, inventare vuol dire trovare!) e quasi non ti sembra vero, ma poi tutto funziona, incredibilmente funziona. È la lezione di Cage tradotta in Italiano.

Riccardo: È per questo che noi non amiamo il termine “sperimentale”, almeno in musica. In musica non si danno esperimenti, ma soltanto risultati, e risultati sonanti, che non saranno sempre capolavori, d’accordo, ma per questo neanche Beethoven ha scritto soltanto capolavori. Quando nella vita fai un’esperienza, è una cosa vera ed acquisita, in altri termini un fatto che va al di là di una qualsiasi ideologica sperimentalità, come dire: mi è sembrato di fare questo e forse non l’ho fatto? In un brano di musica non c’è nulla di sperimentale, ma tutto è un fatto e per di più “sonante”. Persino nell’alea è così, quando si concreta in una performance che, come tale, è sempre sperimentabile, ossia esperibile, assai più che sperimentale.

Compositori del calibro di Giacomo Manzoni ed Ennio Morricone hanno scritto appositamente per voi. Da cosa è nato questo interesse? Come si è svolta la collaborazione? Avete partecipato in qualche modo, al processo compositivo?

Tiziana: Nel caso di Giacomo Manzoni, è stata una bella collaborazione con le Edizioni Curci a favorire questa circostanza. Riccardo contribuiva, e contribuisce tuttora, alla Rassegna Musicale Curci e pubblicava e pubblica anche sue musiche per questa casa editrice; così, quando Manzoni nel ’98 fu richiesto di pubblicare per la Curci e noi eravamo in stretto contatto con lui per una comune partecipazione al Festival di Musica Contemporanea di Vancouver (dove il Duo Alterno fece il suo primo concerto), nacque Du Dunkelheit a noi dedicato.

Riccardo: Con Morricone, invece, dopo la prima esecuzione di Grido per voce e orchestra, in cui Tiziana era la voce solista, ci furono diverse esecuzioni parziali dei suoi Epitaffi sparsi nella versione per voce e pianoforte. In un’occasione, che peraltro non trovò sbocco immediato, la celebre coreografa Lucinda Childs chiese a Morricone l’aggiunta di alcuni piccoli preludi e postludi nel corso della composizione che avremmo dovuto eseguire a Losanna, Parigi e altre sedi. Morricone scrisse per noi una decina di micropreludi e postludi e noi, da allora, eseguiamo gli Epitaffi sparsi in questa versione modificata per noi.

La Voce Contemporanea In Italia contiene un progetto ambizioso: raccogliere i differenti stili vocali della musica italiana del Novecento. Approcci diversi alla vocalità che immagino abbiano richiesto una notevole disponibilità di adattamento a cotanta varietà. Come avete affrontato, dal punto di vista esecutivo, queste difficoltà?

Riccardo: L’obiettivo era proprio quello, di dimostrare quanta varietà ci fosse nella produzione vocale-cameristica italiana d’oggi, ma anche rintracciare alcune linee-guida, perlopiù ignorate finora dalla stessa musicologia, che permettessero una mappatura per così dire “più comprensibile”, insomma “comprensiva” e “comprensibile”…

Tiziana: … e così in ogni disco abbiamo lavorato intorno a un leit motiv, sostenuti non solo dalla nostra ricerca ma anche dal contributo di musicologi come Quirino Principe, Paolo Petazzi, Carmelo Di Gennaro, Stefano Leoni e Sandro Cappelletto. Il primo CD indaga i rapporti tra compositori italiani e grandi poeti loro contemporanei (tipo Petrassi-Quasimodo, Corghi-Ungaretti, Scelsi-Aleramo, ecc.); il secondo approfondisce il discorso delle “contaminazioni” tra generi e lingue; il terzo riunisce compositori che hanno lavorato su testi in lingua tedesca; il quarto compositori che traggono ispirazione nei loro brani da grandi autori del passato.

In cosa consiste il progetto “foto-musica”, che vi ha visti protagonisti alla Biennale Internazionale di Fotografia di Torino? In cosa consistono i “foto-suoni”?

Riccardo: Sì, progetto è la parola giusta, perché si tratta di un’operazione di ampio respiro che utilizza reportage acustici da me registrati durante i viaggi all’estero e spesso in situazioni anomale (i cosiddetti “foto-suoni”, intesi come fotografie acustiche di mercati popolari, metropolitane, strade, mari e oceani, fiumi, pioggia, vento, autobus, ecc.). Questi oggetti sonori vengono trattati nella foto-musica alla stregua dei fotogrammi di una pellicola cinematografica o, se si preferisce, di fotografie di un album musicalmente organizzato. L’idea che sta a monte è che qualsiasi suono, e dico qualsiasi, può farsi musica purché ci sia dietro il pensiero di un compositore. In questa avventura la voce di Tiziana ha un ruolo insostituibile. Se non ci fosse lei, la foto-musica non sarebbe mai nata.

Siete stati i primi artisti italiani ad essere invitati in Uzbekistan. Cosa ricordate di quella esperienza? Cosa avete eseguito e come è stata l’accoglienza?

Tiziana: Per noi un’esperienza importante e indimenticabile. In Uzbekistan siamo stati al Festival di Musica Contemporanea di Tashkent per due anni consecutivi. Ricordo un pubblico attentissimo e un’atmosfera magica. Il primo anno abbiamo eseguito brani di Petrassi e di Riccardo, il secondo una prima di Manzoni (il brano a noi dedicato Du Dunkelheit), di Landini e ancora di Riccardo (7x7+7, spettacolo per bambini in cui mi sono trovata a recitare in lingua russa). Esperienza fantastica.

L’aggettivo “contemporaneo” associato alla musica, contiene in sé molte contraddizioni, anche se, spesso, è venuto a coincidere con l’arte dei compositori del Novecento. Come definireste voi il significato di questo aggettivo? Che cos’è, per voi, “contemporaneo”?

Riccardo: “Contemporaneo” è un attributo doppiamente relativo: va riferito a due sostantivi che ne modificano volta a volta il senso. Per esempio “la musica contemporanea a Schumann” non era meno contemporanea di quella riferita all’oggi. Nel primo caso i due sostantivi di riferimento sono “musica” e “Schumann”. Noi sappiamo che Schumann era un compositore non meno avanzato per i suoi tempi di quanto lo fosse Stravinskij con il Sacre del 1913, ma in entrambi i casi non si può dare una valutazione assoluta. Contemporaneo è ciò che accade qui, adesso, e che non sarebbe potuto accadere prima semplicemente perché non c’erano ancora le convergenze storiche, culturali, sociali, ecc. che oggi ci sono.

Tiziana: Riccardo vuol dire che se l’artista non vive profondamente l’oggi, è un falso artista. E io sono d’accordo. Aggiungerei che considerare la contemporaneità una prerogativa della musica d’oggi vuol dire assolutizzare un termine che nella lingua italiana ha sempre valore relativo. Il che cambia totalmente la prospettiva e, come minimo, disinnesca certi rigidi pregiudizi che sono principalmente dovuti a non conoscenza.

Quanto è importante, secondo voi, definire dei confini in musica?

Tiziana: Se si tratta di inscatolare i generi, non credo bisogni essere troppo rigidi… Bisogna però sapere che formazioni diverse comportano modalità di approccio dell’arte diverse, e questo è una ricchezza le cui varie connotazioni vanno esaltate…

Riccardo: … come dice il filosofo a noi caro Paul Feyerabend: conquistare l’abbondanza, non semplificarla o ridurla a un preteso uno, in altri termini evitare di omologarla per fini di strumentalizzazione. Ciò permette di valorizzare il molteplice, ma anche di riconoscervi dei confini interni, non assoluti ma relativi, non dogmatici ma “liberi”, aperti, modificabili. I confini ci sono, vanno riconosciuti e studiati, ma a nostro avviso non devono servire per costruire dei recinti o peggio dei ghetti, ma piuttosto per delimitare pragmaticamente i diversi ambiti e poter agire in modo più efficace.

Qual è il vostro rapporto con la musica di tradizione orale? (non mi riferisco ovviamente soltanto ai repertori legati al folclore, ma anche a quella che viene definita popular music) E con la musica elettronica?

Tiziana: Beh, spesso io eseguo Stripsody di Cathy Berberian e con Riccardo abbiamo congegnato degli interi concerti con musiche popolari rivisitate dai grandi della nostra musica da camera, da Giorgio Federico Ghedini ad Alfredo Casella, Leone Sinigaglia, Luciano Berio, persino Luigi Dallapiccola… Insomma, se per popular music non si intende quella che alcuni cantautori hanno chiamato “musica popolare contemporanea” ma il grande bacino della tradizione popolare italiana così come reinventato da Berio con i suoi Folk Songs o da Ghedini con i suoi splendidi Canti su antichi testi napoletani, ebbene viva la popular music!

Riccardo: Con la musica elettronica invece, da La fabbrica illuminata di Luigi Nono alla foto-musica, il discorso è un altro, ma il nostro rapporto resta costante dal ’97 a oggi. Nel ’97 eravamo a Vancouver insieme per il nostro primo recital, ma anche per la prima rappresentazione della mia opera Mal’akhim, dove la componente elettronica era decisiva. Anche in 7x7+7 c’è un nastro magnetico e, come dicevo, ogni brano di foto-musica ha una presenza “digitale” insopprimibile. Quindi, grande feeling per noi con la musica elettronica, anche se non accademicamente intesa.

Dopo La Voce Contemporanea In Italia avete in programma altri progetti tematici come questo?

Riccardo: La voce contemporanea in italia è giunta al quarto volume e non abbiamo intenzione di fermarci. Rimangono ancora molti autori che ci hanno dedicato pezzi che non abbiamo ancora inciso e il volume quinto sarà l’occasione per proseguire la nostra perlustrazione…

Tiziana: … ma ora, per il prossimo anno, vorremmo tornare a esplorare il primo ‘900 prendendo spunto da questo anno per cui sono vive le celebrazioni del Futurismo, salvo che noi non vorremmo celebrare il Futurismo ma il movimento di segno contrario ad esso contemporaneo (ecco che la parola contemporaneo ritorna con tutta la sua forza “relativa”). Mi riferisco al crepuscolarismo…

Riccardo: … così il nostro prossimo disco si chiamerà La voce crepuscolare. Notturni e Serenate del ‘900 e sarà un omaggio a Malipiero, Tosti, il Casella della dannunziana Sera fiesolana, il Ghedini delle Liriche di Pascoli, ecc. Un inno alla musica più poetica del primo ‘900, giusto per non dimenticare che, accanto all’aggressiva propositività del Futurismo, conviveva una dimensione diversa e non per questo meno vera e rappresentativa.

C’è qualche composizione o qualche autore che non avete ancora eseguito, ma che vi affascina particolarmente?

Tiziana: Se la cosa andrà in porto come sembra, studieremo presto un intero programma di Lieder di Alban Berg, e la cosa ci fa un grande piacere. Ma aspettiamo anche lavori da compositori italiani come Luca Francesconi, Ivan Fedele, Nicola Sani e altri ancora, perché vogliamo coinvolgere il meglio della contemporaneità in Italia oggi. Un duo per voce e pianoforte fa meno gola a un compositore rispetto a un grande apparato orchestrale, ma in compenso è molto più agile e ha maggiori possibilità, secondo il nostro modo alternativo di vedere, di infiltrarsi nel tessuto culturale e sociale odierno.

Collaborate con compositori attivi? Esiste un rapporto artisticamente privilegiato con qualcuno di essi?

Riccardo: Noi cerchiamo sempre di collaborare con compositori “viventi e scriventi”. Poi, se come nel caso di Ennio Morricone è possibile instaurare un rapporto continuativo, utile e costruttivo, è allora che nascono le situazioni “privilegiate”. Non le scegliamo noi, ma nascono da una sintonia a tre: il Duo Alterno e il compositore.

 

Intervista di Giacomo Giuliani e Danilo Lorenzini al Duo Alterno
Radio Classica, 19 giugno 2009

G. G.: Abbiamo ascoltato di Cathy Berberian «Stripsody», brano del 1966 per voce sola; la voce era quella di Tiziana Scandaletti, il cd è della Stradivarius, «La voce contemporanea in Italia vol. 4», un cd che illustra aspetti diversi della voce del secondo ‘900 e in particolare un anno chiave, il 1978, con «Lachrimae» di Bussotti e «...ed insieme bussarono» di Donatoni, ma ci sono appunto anche altri brani precedenti, come questo celebre «Stripsody» della Cathy Berberian che qui è ripreso appunto dalla Scandaletti, e brani anche più vicini a noi di Gilberto Bosco e Riccardo Piacentini. Abbiamo tra l’altro con noi proprio gli interpreti, che saluto subito.

Tiziana e Riccardo: Buongiorno a tutti.

G. G.: Buongiorno. Tra l’altro noi abbiamo qua in studio anche un altro compositore con noi oggi che forse voi conoscete: è Danilo Lorenzini.

Riccardo: Certo! Allora un caro saluto a Lorenzo.

Tiziana: Ciao Lorenzo.

D. L.: Ciao Riccardo, ciao Tiziana [...] Sono sempre informato delle attività che svolgete a Torino e in giro per il mondo… così intense… Complimenti per tutto quello che state realizzando.

Tiziana e Riccardo: Grazie.

D. L.: Una domanda che forse potrei fare, visto che è un’antologia per voce e pianoforte. Quali sono le linee guida che vi hanno portato a compilare questo cd? Perché avete fatto una scelta e il repertorio è molto vasto e interessante...

Riccardo: Sì, il repertorio è in certo qual senso troppo vasto e troppo interessante, e infatti non abbiamo trovato nella musicologia delle vere e proprie linee guida; le abbiano cercate noi attraverso una ricerca che sta durando ormai da almeno una dozzina d’anni, e così è da qualche anno che con questa raccolta «La voce contemporanea in Italia» cerchiamo dei temi, degli argomenti che individuino delle prospettive all’interno della produzione vocale italiana nel campo della musica da camera d'oggi.

D. L.: Certo. In particolare nel caso di questo quarto volume qual è questa prospettiva che volete delineare?

Riccardo: Si è trattato di mettere insieme brani e autori che hanno una stretta relazione con le musiche del passato. Faccio un esempio: nel brano di Marcello Abbado ci sono dei riferimenti molto chiari, dal titolo al materiale musicale adottato, al «Barbiere» di Rossini. Ma allo stesso modo all’interno del brano di Gilberto Bosco ci sono dei riferimenti espliciti a un famosissimo Lied di Robert Schumann; nel caso di Bussotti ci sono dei riferimenti alla musica trobadorica, e in questo caso i riferimenti si estendono anche ai testi che sono in quattro lingue: il francese antico, l’italiano, l’inglese, il tedesco, con citazioni di grandissimi autori, da Shakespeare in giù... Poi il mio brano che conclude il cd, realizzato insieme al Penderecki Quartet di Toronto, è invece ispirato a brani di Mozart... e all’interno di tutti i lavori presentati nel cd ci sono citazioni piuttosto esplicite. Lo stesso brano di Cathy Berberian che è stato citato e che abbiamo ascoltato prima contiene citazioni da Brahms, dai Beatles e da altri autori di riferimento del passato.

D. L.: In effetti, scorrendo poi l’elenco degli autori che avete scelto, si vede veramente uno spaccato anche di diverse generazioni del ‘900, dalla generazione del 1926 di Bortolotti, quindi Abbado...

Riccardo: Sì, in questo noi siamo apparentemente non rigorosi. In realtà quello che ci interessa è presentare un panorama molteplice della contemporaneità e spesso anche andare a trovare - come è accaduto nel primo disco della «Voce contemporanea in Italia» - dei brani dell’autore non particolarmente conosciuti, che sono parte integrante del suo repertorio e rappresentano sicuramente qualcosa di significativo nel quadro della sua produzione: ad esempio di Scelsi abbiamo inciso i «Tre Canti di primavera», che sono un lavoro che potremmo definire quasi “para-straussiano” degli anni ‘30. Insomma ci piace spaziare all’interno degli autori, anche tra generazioni diverse che caratterizzano la contemporaneità in Italia.

D. L.: Bene. Allora forse potremmo passare ad un secondo ascolto ancora da questo disco. Cosa ne dici?

G. G.: Certo. Per esempio potremmo proporre di Franco Donatoni «...ed insieme bussarono», del 1978 e poi magari ci ritroviamo ancora con i due interpreti di questo cd, Riccardo Piacentini e Tiziana Scandaletti A tra poco...

Tiziana e Riccardo: Benissimo.

G. G: Di Franco Donatoni abbiamo ascoltato «...ed insieme bussarono», del 1978 per voce femminile e pianoforte. La voce era quella del soprano Tiziana Scandaletti, al pianoforte Riccardo Piacentini, che compongono insieme il Duo Alterno. Il cd è il quarto volume de «La voce contemporanea in Italia», uscito proprio i questi giorni per la Stradivarius: cd che ci dà modo di ascoltare vari usi della voce anche in modo come si diceva prima un po’ post-moderno, con varie citazioni e rivisitazioni del passato. Parliamone ancora un po’ con il soprano Tiziana Scandaletti. Dicevamo prima con Riccardo Piacentini di questo citazionismo che è implicito in diversi brani. Secondo te, Tiziana, questo è un epigonismo rispetto alla grande tradizione del Lied della musica vocale da camera o è un nuovo modo di far musica con la voce che ha prospettive future.

Tiziana: Io credo che sia la seconda soluzione, cioè che questo possa essere un modo per nuove soluzioni; è molto stimolante, anche per la voce, perché ovviamente io sono un soprano, e quindi vengo da una formazione classica tradizionale e amo molto anche il repertorio tradizionale, e quindi confrontarmi idealmente con questo repertorio, ma nello stesso tempo estendere la mia tecnica e mettermi a prova con nuove soluzioni, è molto divertente e stimolante.

D. L.: Certo. Complimenti anche da noi per la versatilità della tua voce. Noi sappiamo anche tra l’altro che sei docente in Conservatorio a Vicenza...

Tiziana: Sì, tra l’altro i mie allievi sono stati tutti avvisati dell’intervista e li avremo sicuramente tra i nostri ascoltatori. In Conservatorio a Vicenza insegno Musica vocale da camera, e quindi insegno liederistica, mélodies francesi, repertorio italiano dell’800, sempre cameristico, fino ai contemporanei; e anche questo è interessante, perché continuamente mi confronto con la tradizione europea, ma anche con quella americana e quella contemporanea italiana; questo è un continuo arricchimento anche attraverso l’insegnamento.

D. L.: Certamente. Ecco, una curiosità da parte mia. Io lavoro spesso come pianista con le cantanti e a volte c’è un po’ questo pregiudizio: che il lavoro magari su certa musica contemporanea possa talvolta - se fatto male, non certo ad un alto livello come lo fai tu - possa interferire invece con l’altro repertorio liederistico tradizionale... Tu cosa ne pensi?

Tiziana: Penso che in un certo senso questo possa essere vero, ma il discorso è un po’ complesso. Conservare la salute dell'organo vocale dipende dall'uso che se ne fa e dalla padronanza tecnica, nel senso che io mi sono specializzata in questo repertorio e quindi dedico quasi la totalità della mia pratica, del mio studio, della mia attività performativa a questo repertorio e non frequento più il repertorio operistico. Certamente per passare dall'uno all’altro - e certamente si può e si deve passare dall'uno all’altro ed è un arricchimento - si richiede un continuo controllo tecnico perché bisogna sempre verificare che gli appoggi e i meccanismi muscolari centrino perfettamente le tecniche richieste di volta in volta, quindi bisogna sempre rimettersi a puntino in base a quello che si esegue. È un po’ questa la difficoltà: avere la disponibilità a ritornare poi su certi aspetti della tecnica man mano che si può tornare o toccare certi repertori.

D. L.: Grazie mille per questo tuo approfondimento, forse utile anche ai cantanti e per quanti ci ascoltano interessati ad approfondire l’uso della voce.

Tiziana: Lo spero.

D. L.: Complimenti per questo disco, che vi auguro possa avere successo.

Tiziana e Riccardo: Grazie.


 

  
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