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Sogni del Nord

 Peter Høeg, Stig Dagerman, Emil Tode

PETER HØEG

IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE

Mondadori 1994 - ed. orig. 1992 - pp. 446 L. 32.000 - in Oscar L. 15.000

Il Senso di Smilla per la neve è un romanzo ricco e suggestivo per molte ragioni. Le più evidenti, quelle di cui i recensori hanno parlato, sono soprattutto la splendida ambientazione e la sapiente descrizione dell'intima relazione tra i groenlandesi e il loro universo di ghiaccio, di luci e di buio, di silenzio e di suoni per noi incomprensibili. Ma il romanzo vale anche per la profonda curiosità del mondo - ignorata ddai recensori - che consente a Høeg di regalaci begli spunti di riflessione sulla linguistica, il senso religioso, lo sviluppo della scienza. I tratti peculiari de Il senso di Smilla sono, però, la concentrazione continua, mai spezzata dalla fretta e dalla ricerca di facili effetti narrativi, con cui l'autore esplora il personaggio femminile, la compassione con cui lo studia, la sua capacirtà di restituirci una persone con tutte le sue debolezze, i compromessi e le mutilazioni autoimposte per sopravvivere, la corazza di gesti, di riti, di rinunce costruita pazientemente sulle delusioni passate. Smilla è una reduce della vita, una veterana che conosce mille trucchi per non soccombere, per eludere dignitosamente l'infelicità: parlare di lei è un modo per parlare di ciascuno e di tutti, un risultato che la letteratura raggiunge sempre più raramente.

È confortante che sia proprio un romanzo di genere a centrare l'obiettivo. (gielle)

Da LN-LibriNuovi 35 - vecchia serie - dicembre 1995 - p. 20


PETER HØEG

I QUASI ADATTI

Mondadori 1995 - pp. 275 L. 30.000 (esaur). Oscar L. 14.000

"Nel tempo normale, quello dell'orologio, uno capisce determinate cose. Quando abbandona il tempo, ne capisce delle altre. Questa era l'alternativa offerta dalla malattia (..) mollare la presa, conquistarsi un attimo ricco, pieno di lucidità".

Secondo i canoni della normalità Peter, il quattordicenne protagonista del romanzo, è malato: l'intelligenza appena nella media, le gravi difficoltà di comunicazione, la debole presa sulla realtà - disturbi evidenti ma non senza rimedio - ne fanno un "quasi adatto". La scuola danese intende recuperare quelli come lui, renderli adatti al mondo, salvarli. Salvare significa imporre una visione del mondo e negare tutte le altre, giudicare. Ma chi rifiuta la salvezza dimostra soltanto quanto sia grave la sua malattia e grande il suo bisogno di aiuto.

Al Biehl, un istituto molto accreditato dove studiano anche i figli dell'alta borghesia, Peter incontra altri due ragazzi che, come lui, hanno imparato a dubitare della realtà insegnata dagli adulti. Nonostante le precauzioni degli educatori, i tre giungono a capire che il nocciolo del problema è il tempo "rigido" di cui sono imbervute le istituzioni, che non tiene conto delle differenze, dei bisogni, delle infinite modulazioni degli esseri umani...

Come Il senso di Smilla per la neve, anche I quasi adatti è un tentativo generoso e ricco di dar voce a dubbi, angosce, solitudine. Non è un libro facile, l'interesse per temi come la percezione, la realtà del mondo e i modi di farne esperienza, spingono Høeg a digressioni suggestive ma non risolte narrativamente, a considerazioni sulla natura del tempo che i lettori affascinati dall'argomento gli perdoneranno volentieri, ma altri troveranno prolisse. Høeg, però, sa regalare pagine nitide e potenti sulla difficoltà e sul bisogno insopprimibile di comunicare, sulla relazione, priva di certezze ma ricca e salvifica, con i bambini, sulla vertigine che dà il fidarsi di un altro essere umano.

Quindi armatevi di pazienza, saltate le digressioni, assaggiate il libro a poco a poco, dategli la possibilità di parlarvi. Ne vale la pena. (gielle)

da LN-LibriNuovi 36 - vecchia serie - Aprile 1996 - p.22


PETER HØEG

RACCONTI NOTTURNI

Mondadori Oscar 1997 - Ed.orig. 1990 - pp. 323 L. 14.000

Non lasciatevi incantare dal paesaggio cristallino de Il senso di Smilla per la neve, dalla sua sapienza sul ghiaccio, dalla generosità della narrazione. Høeg è un autore impervio, monomaniaco, ossessionato dal desiderio di raccontare ciò che umanamente - e linguisticamente - non si riesce a dire: la percezione sempremutevole del tempo, i sentimenti così ben simulati da diventare veri, i mille inconfessati motivi per cui i coniugi restano insieme, le facce contrapposte dell'amore. E non lasciatevi incantare soltanto dall'architettura perfetta e consapevole di questi otto racconti, perché al di là del tema comune - l'amore esplorato nelle sue dimensioni più nascoste - e dell'intenzione di testimoniare la complessità del reale ( le vicende si svolgono tutte contemporaneamente la notte del 19 marzo 1929), il gioco di Høeg è molto più profondo.

Quando l'autore parla d'amore non intende semplicemente la passione e il sentimento, bensì l'irruzione nel nostro mondo ordinato e apparentemente definito (e definitivo) di un Altro numinoso e incontrastabile che sconvolge e spinge oltre. Sospesi fra la quotidianità e un nuova consapevolezza, coloro a cui l'Amore si rivela sono, come rocciatori, sempre sul punto di cadere, alla ricerca di nuovi appigli che non garantiscono stabilità.

I racconti più rasserenanti - cioè quelli che ci strappano almeno un sorriso di soddisfazione per la sorte benigna toccata ai protagonisti - sono due: Compassione per i bambini di Valden By, riflessione funambolica su come l'amore non possa e non debba chiudere la morte fuori e imprigionare i bambini dentro, e Sentenza contro il Presidente della Corte Suprema Ignatio Lanstad Rasker, incontro sorprendente tra Rasker, "il simbolo definitivo della Corte Suprema" e un giovane scrittore processato per oscenità e omosessualità. Altri racconti sono costruiti attorno ad ipotesi più cerebrali: l'applicazione della meccanica quantistica allo studio dell'amore; la ricerca mistica della perfezione nella danza; il gioco irrinunciabile e terribile di dividere la vita con la persona che si ama; la rivelazione improvvisa che l'altra parte del mondo, quel Cuore di Tenebra che i bianchi si illudono di annettersi impunemente, esiste anche senza di loro, e di loro non sa che farsene...

Se vi fermerete alla trama, all'intreccio, molte pagine di Høeg vi sembreranno gratuite e astruse. Ma i suoi personaggi sono autentici e, soprattutto, sono attentissime e precise le parole che sceglie per descriverli. Questi racconti che non concedono tregua all'attenzione del lettore, sono frutto di una ricerca linguistica inesorabile che ha pesato ogni parola, scegliendola perché unica, adeguata anche quando sfiora l'enfasi: "Solo un'altra cosa amo più di lei" dice un personaggio parlando della donna che ama disperatamente "la lingua. La adoro per la sua capacità di superare se stessa indicando i suoi limiti. Con la lingua (..) mi trovo in un paesaggio della cui esistenza non avevo nemmeno idea. Forse è lì che incontrerò quella donna".

Ed è lì che Høeg intende trascinarci, suadente e remoto come il pifferaio di Hammelin. (gielle)

da LN-LibriNuovi n°5- primavera 1998 - p.54


PETER HØEG

LA STORIA DEI SOGNI DANESI

Mondadori 1998 - ed. orig. 1988 - pp. L. 33.000

Prima prova dell'autore, La storia dei sogni danesi è insieme un romanzo politico e visionario, pieno di suggestioni ma impegnativo, impervio da leggere e di scarsa narratività. Høeg infatti ha scelto di intervenire spesso nel testo in qualità di narratore ma con un registro ben diverso da quello divertito e complice del lettore degli epigoni di Tristram Shandy. La sua è una cronaca gelidamente appassionata, il resoconto tenuto con la freddezza del biografo della vita di alcuni personaggi esemplari - proprio perché eccessivi e assolutamente non realistici - della società danese. "Questa è la storia dei sogni danesi, un resoconto di ciò che abbiamo temuto, sognato, sperato e atteso in questo secolo" esordisce l'autore e, senza mai scrivere un dialogo, semplicemente raccontandoci i personaggi e i loro moventi, dichiarandosi a volte incapace di spiegare e di comprendere, ci trascina in un mondo di metafore allucinate, di sogni e incubi ad occhi aperti, di distorsioni temporali, di percezioni parziali, dove la volontà, le speranze, le velleità si sovrappongono al reale.

Nella sua tenuta di Mørkhøj, il Conte - temendo che lo scorrere del tempo finisca per travolgere l'antica aristocrazia - congela il suo mondo nell'anno 1700. Da allora tutto è "fermo": il Conte, la consorte, i figli, il maggiordomo, i fittavoli, continuano a vivere in un presente immobile eppure minato dall'entropia. Fuori dalla proprietà il tempo continua a scorrere, influenzato dai sogni e dai desideri, dai terrori di altri personaggi. A Rudkøbing La Vecchia Signora, analfabeta eppure anima del giornale locale, intrattiene con il tempo una relazione di familiarità prevedendo e insieme forgiando il futuro, come un oracolo dalle profezie autoavverantesi, e intanto ammassa ricchezze. A Lavnæs, villaggio segnato dalla miseria etica e materiale, il pastore Thorwald converte all'integralismo tutti i suoi parrocchiani e fonda una nuova religione rendendone la figlia Anna simbolo e vittima... Il sogno aristocratico del tempo immobile, il sogno piccolo borghese di far rendere ogni attimo del tempo e il sogno dei poveracci di un'impossibile redenzione sono destinati ad incontrarsi nei discendenti.

Dai sogni di Høeg emergono una società e una famiglia malate di coerenza, di reticenza, di un efficiente perbenismo, i cui membri parlano e parlano, incapaci di vedere se stessi e gli altri come realmente sono. Sognano bambini innocenti e paeselli dove tutti vivono in armonia, ma intanto ammirano i ricchi che si servono di tutti e non rispettano niente, scordano le offese solo se opera di un potente, dimenticano i loro stessi figli e rinchiudono quelli degli emarginati in riformatori e scuole speciali, non entrano mai nei quartieri più degradati e non si rendono conto (come del resto i disgraziati cheli abitano) che là interi palazzi affondano nel terreno e nell'indifferenza. Pagina dopo pagina, obiettivo e privo di enfasi, l'autore accumula offese sanguinose alle linde speranze dei suoi connazionali, che hanno inventato Legoland e aperto scuole speciali dove nascondere i "subnormali", gli indesiderabili, (I quasi adatti - per citare un altro intenso romanzo dell'autore) e li hanno sterilizzati forzatamente se "irrecuperabili". Viene in mente Shakespeare, ovviamente: "C'è del marcio in Danimarca". Di questo marciume, comune a tutte le società occidentali, Høeg ci parla impietoso, descrivendo i suoi personaggi con minuzia e distacco, eppure amandoli come si può amare un fratello deforme, pieno di talento e inguaribilmente folle.

Gran bel romanzo, difficile da digerire. A volume chiuso non avrete nessuna voglia di leggere ancora, di riprovare il disagio della sera prima. Appena l'avrete riaperto il problema non si porrà più: siete dentro e non smettereste mai. (gielle)

da LN-LibriNuovi n°8- Inverno 1998 - p.88


EMIL TODE

TERRA DI CONFINE

Iperborea 1997 - Ed. orig. 1993 - pp.169 - L.20.000

Un rarefatto romanzo epistolare, costituito di lettere mai spedite, che qualcuno, forse il giovane che si racconta, forse uno sconosciuto, scrive ad un altro possibile se stesso, privo di volto e di parole. Lo scrivente, un traduttore dell'Est a Parigi per studio, allude ad un delitto: l'omicidio di Franz, l'amante intellettuale e benestante: "E per tutto il tempo non faccio che pensare alla mia confessione, a quelle poche parole che devo pronunciare riguardo alla mia vita terrena e al mio delitto da nulla... ". Non cerca assoluzioni ma l'occasione di osservare dall'esterno una vita che non gli appartiene e che non rivendica. Divaga, ricorda l'infanzia in una piccola città dell'Estonia, "un ammasso di case gettato sul bordo di un paesaggio piatto (..) dalle vie dissestate e dagli edifici cadenti" dove "gli unici messaggeri della trascendenza nella notte (..) sono i tram", una terra di inverni troppo bui e di estati troppo chiare, svuotata di identità e di futuro dalla presenza sovietica, che, anche dopo la pace, vive in un'economia di guerra. Andarsene è l'unica scelta, ma non ci sono posti dove andare: da bambino i lunghi viaggi sul "treno di legno" lo conducevano soltanto alla fattoria dello zio, in una campagna altrettanto sporca e tediosa della città. La fuga all'ovest, "a precipizio e tuttavia continuando a guardarmi indietro" rende solo coscienti di provenire da altrove.

Il rancore e il disprezzo che il narratore nutre per l'amante è il frutto inevitabile della soddisfazione priva di fantasia di Franz per la riuscita sociale e della sua incapacità di mettersi in gioco senza la corazza della cultura e dello status, contrapposte all'impotenza del giovane, che è insieme economica e generazionale, ad una indifferenza caparbiamente scambiata per libertà. Franz è odioso, compiaciuto di sé fino all'ottusità, rivendica diritti sull'amante, non capisce e non riesce a credere che il giovane selvaggio "che lui aveva catturato nella giungla e addomesticato" possa rifiutare "un'occasione come quella che ti sto offrendo per tornare in quel... in quel... in quel...". Il giovane, che lo ucciderà perché non riesce a troncare altrimenti la loro relazione impari, è un'ombra affacciata sul vuoto, che provoca malessere e che, forse, ci assomiglia, perché come lui ignoriamo chi siamo. Una creatura ambigua che non ci offre alternative accettabili: se non vogliamo, se non sappiamo essere come Franz, siamo condannati a camminare, senza desiderio e senza capacità di fermarci.

Lo stile di Tode è dimesso e ipnotico, la narrazione scorre lenta, attenta a luci e colori, gesti minimi, fruscii di pagine e silenzi, spezzata dal clangore dei carri della spazzatura, dal rombo di un treno lontano, da scoppi di voce, indifferente al profilo della città, all'identificazione dei luoghi, ai grandi avvenimenti. Tutto trascorre, niente vale la pena di essere fermato, lo scrivente è comunque lontano, perché proviene da una terra sull'orlo che non è più e non è ancora diventata, e quel confine se lo porta dentro: "se ci si trova esattamente su quel confine non si può essere visti né dall'una né dall'altra parte". (gielle)

da LN-LibriNuovi - giugno 1997 - p 53


STIG DAGERMAN

I GIOCHI DELLA NOTTE

Iperborea 1996 Ed. orig. 1947 pp.157 - L.18.000

Cresciuto nel periodo fra gli anni '30 e '40, così critico per l'Europa, Dagerman si riconobbe sempre negli ideali anarchici; scrisse febbrilmente e morì sucida a trentun'anni.

Freddo, sensibilissimo ai dettagli semplici che riassumono il sapore di una vita, indaga il precario equilibrio delle relazioni umane, le loro mille sfumature, gli equivoci, la nostra condanna a vivere ruoli irrigiditi dal peso del passato, dalle convenzioni, dalla superficialità. Armato di una prosa acuminata, nitida a dura come il ghiaccio, Dagerman evoca gli impulsi che ci possiedono e che guidano le nostre azioni, il dolore e la rabbia che abbiamo ricacciato in fondo alla mente e che - ignorati dalla coscienza - non ci abbandonano mai. E noi proseguiamo la lettura, irretiti dal gioco di specchi, riconoscendoci nei suoi personaggi, ben oltre le somiglianze. Eppure Dagerman non è mai nostro complice, non rende più felici, non tranquillizza, ci costringe a guardare il mondo in maniera obliqua, attraverso occhi bambini, con lo sguardo improvvisamente consapevole di una moglie rassegnata, di un amante sospettoso, di due turiste ingenuamente presuntuose.

I racconti più belli? Giochi della notte, delirio consapevole e cercato di un bambino, che tenta invano di ribaltare la propria impotenza rifugiandosi in minuziose fantasie; Lo sconosciuto, vertiginosa discesa nel pozzo, irto di lame, dell'abitudine; Carne salata e cetrioli, parabola pacatamente angosciosa della perdita dell'innocenza e della scoperta di una nuova dimensione dell'anima, non quella esaltante e seducente del peccato, ma quella - ben più triste - dello squallore, della meschina infelicità dei nostri simili. (gielle)

da LN-LibriNuovi 1 - marzo 1997 - p.53


R. BLAUMANIS

LA ZATTERA DI GHIACCIO

Sellerio 1995 - pp. 60 - L. 12.000

Una breve novella di mare che, nella sua lucida essenzialità, delinea abilmente la psicologia dei personaggi.

Dalle coste baltiche della Livonia, quattordici uomini intenti a pescare sulla riva vengono improvvisamente trascinati lontano da una lastra di ghiaccio. Confinati in quel microcosmo, si separanoi in gruppi a seconda dell'età, del ruolo sociale di ammogliati o scapoli. Naufraghi virtuali di un'isola gelida che si riduce continuamente di dimensioni e si frammenta, dividendo gli uni dagli altri, gli uomini danno fondo alle loro risorse e rivelano la loro intima natura: a chi si adopra per tenere insieme il gruppo, per impedire che tutti si abbandonino al fatalismo e all'apatia, si contrappone chi, pur possedendo un po' di pesce e un po' di acqua, intende tenerli per sé... La salvezza giungerà insperata e forse solo per alcuni.

Scrittore e drammaturgo di stampo realista, il lettone Blaumanis - vissuto nella seconda metà del secolo scorso - si pose a metà, come ispriazione se stile, tra la corrente nazionalista e conservatrice e la corrente "nuova" filo-marxista, e fu interessato soprattutto a ritrarre la psicologia e la vita quotidiana della sua gente tacirturna, costretta dal confronto con una natura difficile a rivelarsi in gesti dramnmatici e scelte estreme.

Si legge d'un fiato e lascia nella mente il malessere tenace di certi sogni. (gielle)

da LN-LibriNuovi 33 - vecchia serie - luglio 1995 - p 21


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