Giorgio Federico Ghedini - Liriche

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Giorgio Federico Ghedini - Musica sacra


CD Nuova Era (CD 7354) prodotto da Rive-Gauche Concerti con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT

Interpreti: Duo Alterno - Tiziana Scandaletti soprano, Riccardo Piacentini pianoforte - Laura Antonaz soprano, Paolo Servidei baritono

Dimmi, dolce Maria... (Lauda spirituale)
per canto e pianoforte (1927)
Testo attr. a Clemente Pandolfini 6’16

Il pianto della Madonna presso la Croce (Lauda spirituale)
per soprano, baritono e pianoforte (1921)
Testo di Jacopone da Todi 19’15

Di’, Maria dolce… (Lauda spirituale) per canto e pianoforte (1926)
Testo di Giovanni Dominici 7’32

Canto d’amore (Lauda spirituale) per canto e pianoforte (1926)
Testo di Jacopone da Todi 7’04

Quattro duetti su testi sacri
• Vox dilecti mei
• Florete flores quasi lilium
• Quae est ista
• Assumpta est Maria in coelum
per due voci e pianoforte (1930) 13’08

Ave Maria per canto e pianoforte (1905)
Testo di Giovanni Giacomo Alliora 3’19

 

Il progetto

Ghedini sacro è un progetto - non un CD soltanto - ideato dalla Rive-Gauche Concerti in collaborazione con il Centro Studi Musicali Carlo Mosso e la Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino e realizzato grazie al contributo di Regione Piemonte e Fondazione CRT.

Per la prima volta vengono riunite e incise su supporto audio tutte le composizioni sacre per voce e pianoforte di Giorgio Federico Ghedini, indiscusso protagonista del primo Novecento italiano, che tuttavia, dopo morto, è rimasto negli annali della storia più che nella viva prassi esecutiva degli interpreti.

Il progetto Ghedini sacro, varato nel simbolico anno 2000, vuole in parte colmare questa ingenerosa omissione. Il prezioso apporto del professor Andrea Lanza, direttore del Centro Studi Musicali Carlo Mosso e bibliotecario del Conservatorio di Torino, ha permesso di rinvenire tre manoscritti inediti - la giovanile Ave Maria e i più tardi Il pianto della Madonna presso la Croce e Dimmi, dolce Maria... -, il secondo dei quali solo recentemente pubblicato dall’editore Zedde di Torino.

Oltre però ai tre (due) inediti, il progetto vede il recupero di lavori di rara, se non rarissima, esecuzione: le due laude spirituali Di’, dolce Maria... e Canto d’amore e i Quattro duetti su testi sacri. Le laude, in particolare, sono da considerarsi due autentici capolavori che bene esprimono opposte tipologie care al Ghedini degli anni ‘20: da un lato quella di un’elegante e raffinata scrittura che si attua nella più sorprendente economia realizzativa e, dall’altro, il Ghedini febbrile e tumultuoso, di cui anche Il pianto della Madonna presso la Croce è convincente testimonianza.

Quale coordinatore del progetto Ghedini sacro, ben conoscendo la stima e l’affetto che lo legava al suo maestro Giorgio Federico Ghedini, dedico questo lavoro, con eguale stima e affetto, al mio maestro Carlo Pinelli. (Riccardo Piacentini)

 

Giorgio Federico Ghedini: una via novecentesca allo spirituale in musica

Il Novecento artistico, fin dai suoi inizi, ha ricercato coscientemente lo spirituale in arte.

Così, se nella tradizione musicale europea questo avrebbe prodotto - negli anni successivi alla Grande Guerra e ancor più nel corso del secolo - affermazioni di riconquista e di interiorizzazione del sacro, in Italia le forze del rinnovamento compositivo tra i due secoli stentavano a superare gli orpelli dell’oratorio sinfonico-vocale e a conquistarsi un respiro meno corto del movimento musicale cattolico chiamato cecilianesimo.

Trepidazioni religiose analoghe a quelle di altri artisti continentali accompagnarono per tutta la vita Giorgio Federico Ghedini (1892-1965): l’urgenza di tradurre in suoni i primi pensieri devoti si manifestò già nella precoce (e un poco acerba) Ave Maria, datata sul manoscritto 17 giugno 1905, su un testo di Giovanni Giacomo Alliora, amico di famiglia durante gli anni trascorsi dal piccolo Giorgio Federico a Cuneo. Ad un adolescente con tale vocazione il destino riservava un tirocinio come maestro sostituto nei teatri d’opera di provincia e, dopo il trasferimento a Torino all’inizio degli anni ‘10, la familiarità con il repertorio sacro (restaurato proprio dagli ambienti ceciliani cittadini) in veste di maestro di coro.

Formidabile conoscitore della musica di diversi secoli, in materia di poesia e di letteratura invece Ghedini doveva ammettere un certo disorientamento. Nei circoli intellettuali cittadini tuttavia trovò chi avrebbe provveduto a fargli da pigmalione. Romualdo Giani, singolare figura di critico letterario e musicale talmente anticonformista da scontrarsi con lo stesso Benedetto Croce, attraverso la frequentazione continua con Ghedini a partire dall’inizio degli anni ‘20, svelò al giovane compositore universi artistici lontani, quali l’ architettura romanica, la pittura italiana delle origini e soprattutto la poesia di Jacopone da Todi.

Il dirompente senso del divino del poeta umbro fu per Ghedini una rivelazione. Il musicista iniziò a lavorare alla lauda dialogata nota con il nome di Il pianto della Madonna presso la Croce e ne completò la musica nel febbraio del 1921, come si legge nella versione per canto e pianoforte dedicata a Giani (gli autografi dello spartito e della versione per orchestra, entrambi inediti, sono custoditi presso la Biblioteca del Conservatorio di Torino).

A ripagare il compositore a quel tempo non ancora trentenne dell’impegno profuso venne inoltre l’esecuzione della versione per mezzosoprano, baritono, coro e orchestra presso il Teatro Regio di Torino nell’aprile del 1924.
La lauda drammatica convinse tanto il pubblico quanto la critica, oltre all’autore stesso. Ghedini, che in quegli anni non era ancora del tutto restio ad esprimersi sui propri ideali artistici, riporta in un diario redatto negli anni 1926-’27 i nomi di chi rimase entusiasta: Pizzetti, Gui (il grande direttore d’orchestra), il critico Della Corte. In quello stesso diario ripensò al suo atteggiamento durante la composizione del Pianto: “La Madonna è la vera Madre coi dolori umani, ed io così la dipinsi; mentre tenni Cristo in un’atmosfera più fredda, quasi astrale”.
Ma, sebbene il testo offrisse i presupposti per una sceneggiatura sonora tesa e contrastata, la drammaticità propriamente teatrale fu evitata. I due protagonisti si esprimono in un linguaggio che, per quanto differenziato nel carattere, attinge costantemente ad un recitato arcaico che li tratteggia come in una vista frontale.

Queste soluzioni - che al tempo sembrarono elusive - sono il vero indizio della personalità già compiuta dell’artista, il quale, come un maestro bizantino, comunica il dolore e la pietà pur in assenza di prospettiva, su un fondo oro, con i tratti fermi quasi di un’icona.

Ghedini non dormì sugli allori. Il decennio successivo lo tenne occupato un ripensamento della vocalità e la ricerca formale sul versante della lirica da camera. Misurarsi con la poesia italiana antica fu per lui una costante: dopo gli strambotti di Giustiniani o i testi napoletani popolareggianti affrontati nel 1925, giunse Dì, Maria dolce... (ottobre 1926), su testo di Giovanni Dominici (1356-1420). Qui, la contemplazione della Maternità si svolge nei toni di un’estatica ninna-nanna, a cui il compositore impresse deliberatamente - com’era abitudine allora - toni riconducibili ad una vocalità “latina” (“E così italiano”, rimarcò nel diario), mentre il pianoforte assolve alle preoccupazione d’ordine formale rieccheggiando a tratti gli elementari motivi della melodia.

A distanza di un solo mese Ghedini fu rapito nuovamente dalla poesia di Jacopone. Il testo costituiva una sfida di cui il compositore era ben cosciente (nel diario: “Quale tensione per far spasimare tutti quegli amore, amore!”). Ghedini lo affrontò - se dobbiamo credere al diario - quasi in stato di trance. Terminato all’inizio del dicembre 1926, il Canto d’amore è un riflesso dell’atteggiamento aggressivo verso il materiale musicale che Ghedini stava applicando nello stesso momento durante i suoi primi approcci con la composizione orchestrale pura. Nella pagina che ne nacque le tendenze del pianoforte e della voce sono in certo senso analoghe: il primo protende le sue spire sopra la seconda, che intona l’inizio di ogni strofa sulle note fondamentali della tonalità (do diesis maggiore), per poi contorcere nervosamente il testo nella regione più acuta della tessitura. La pagina, che nella sua interiorità tormentata pare travalicare la dimensione cameristica, conobbe infatti anche una versione per voce e orchestra.

Con Dimmi, dolce Maria..., lauda spirituale per voce e pianoforte, composta tra settembre e ottobre 1927 (manoscritto presso il Conservatorio di Torino), ci si dirige invece verso atmosfere meno concitate: il testo è reso attraverso una melopea che il pianoforte sorregge con armonie ridotte all’essenziale e con minime infiorettature tra l’intonazione di un verso e l’altro, ricordando così la pratica dell’accompagnamento della liturgia.

Con i Quattro duetti su testi sacri del 1930, pubblicati nel 1948, Ghedini giunge a fondere atteggiamenti diversi apparsi nei precedenti lavori d’argomento religioso: nel primo (su testo del Cantico dei Cantici), proprio perché privo di accompagnamento pianistico, risalta la melopea con frammenti ascendenti o discendenti di scale inusuali, congiunta ad una scrittura imitativa di sapore neorinascimentale che accomuna tutti i brani della raccolta.

Approdo a limpidità, ottenimento di un canto che possa ricordare l’ “aria” alle origini della vocalità solistica italiana: attraverso il percorso qui proposto è chiaro come, nel caso di Ghedini, il cammino verso la maturità passa per l’adeguamento del proprio intimo sentire alle ragioni musicali. Di più: sotto la superficie della musica che desidera l’ingenuità stanno talora i semi della radicalità. (Stefano Baldi)

Alcune recensioni di Musica sacra

Da “Musica e Scuola” del 1° dicembre 2001:

“[...] il CD è un giusto contributo alla diffusione della musica di un grande compositore italiano del primo Novecento [...] Straordinaria la voce di Tiziana Scandaletti [...]” (Michele Gioiosa)

Da “Amadeus” dell'aprile 2001: Ghedini - Musica sacra

Giudizio artistico: * * * *
Giudizio tecnico: * * * *

Da “Il Venerdì” di “Repubblica” del 2 marzo 2001: [...] sui sentieri della Grande Musica.

“[...] un atto di coraggio da parte del Duo Alterno (soprano Tiziana Scnadaletti e pianista Riccardo Piacentini [...]) aver dato corso a un progetto che prevede la registrazione su compact della Musica Sacra di Giorgio Federico Ghedini. Nel primo di questi compact che ho fra le mani c’è un bellissimo e impressionante “Pianto della Madonna” (Enzo Siciliano)

Dal quotidiano “La Stampa” del 17 febbraio 2001: Ghedini «sacro» per voce e piano

“[...] artista di primissimo piano [...] tutte le composizioni sacre per voce e pianoforte di Ghedini [...] in un disco Nuova Era che propone anche tre inediti [...] Una scrittura pianistica scarna, ma precipitante, tesa, inventiva [...] affidata all’interpretazione di Riccardo Piacentini, polimorfo “homo musicalis”: pianista, compositore, organizzatore. Molto mobile anche il trattamento della voce che [...] si sviluppa in un “declamato continuo”, senza rinunciare a repentine asprezze, ad astrazioni metafisiche [...] Una vocalità ardua, molto impegnativa per gli interpreti Tiziana Scandaletti [...]” (Sandro Cappelletto)

Dal trimestrale “Corrente Alternata” (Torino) del gennaio 2001: Il Duo Alterno all’interno di Settembre Musica 2000

“[...] un bellissimo concerto. Interpreti [...] il compositore Riccardo Piacentini (qui nel ruolo di pianista) e Tiziana Scandaletti, un soprano dalla voce bellissima e inconfondibile. [...] La Chiesa era straboccante di pubblico che ha sottolineato con lunghi applausi ogni brano eseguito e alla fine ha richiamato più volte gli esecutori [...]” (L. T.)

Da La Stampa del 9 settembre 2000

“[...] Settembre Musica ha aperto uno dei filoni secondari dell’edizione 2000 [...] nel quadro di un più ampio progetto [...] legato al recupero della musica torinese del Novecento [...] che nel caso di Giorgio Federico Ghedini vede un apostolo nel valente pianista e compositore Riccardo Piacentini [...]” (Giangiorgio Satragni)

 

Giorgio Federico Ghedini - Canti e strambotti


CD Nuova Era (CD 7365) prodotto da Rive-Gauche Concerti con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT

Interpreti: Duo Alterno - Tiziana Scandaletti soprano, Riccardo Piacentini pianoforte

Quattro canti su antichi testi napoletani: I. Auciello che ne viene da Caserta..., II. Arbero peccerillo..., III. La tortora ch’à perza la cumpagna..., IV. Ci aggiu tutta ‘sta notte cammenato...
(1925) (11')

Quattro strambotti di Giustiniani: I. Se li arbori sapesser favellare, II. Sia benedetto il giorno che nascesti, III. Io mi viveva senza nullo amore, IV. E vengo te a veder
(1935) (10')

Quattro liriche sul Canzoniere di Boiardo I Candida mia colomba... II. Canta uno
augello in voce sì suave... III. Datime a piena mano e rose e zigli... IV. Tu te ne vai
(1935) (12')

Sì come canta...
(1935) (4')

Tre canti di Shelley: I. Pellegrini del mondo..., II. Vento rude..., III. Mentre azzurri splendono i cieli...
(1934) (9')

Vagammo per una foresta di pini
(1956) (4')

 

Il progetto

Canti e strambotti è il secondo CD che il Duo Alterno dedica alla musica vocale da camera di Giorgio Federico Ghedini, rientrando in un più ampio progetto coordinato da Rive-Gauche Concerti con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT e in collaborazione con la Biblioteca del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino e il Centro Studi Musicali “Carlo Mosso”.

Come il primo CD, contenente tutta la produzione sacra di Ghedini per voce e pianoforte (Nuova Era, CD 7354), anche in questo vengono proposti alcuni inediti, oltre a lavori di rara esecuzione incisi per la prima volta.

Un particolare ringraziamento va a Andrea Lanza, direttore della suddetta Biblioteca e del Centro Studi, a Francesco Pennarola, per la competenza e disponibilità nello studio dei Quattro canti su antichi testi napoletani, a Carlo Pinelli, mio maestro di Composizione nei sei anni di studi in Conservatorio, che mi ha insegnato a conoscere e amare quel grande musicista che è stato ed è Giorgio Federico Ghedini. (Riccardo Piacentini)

 

Giorgio Federico Ghedini: Canti e strambotti

Le liriche presentate in questo cd, composte - con la sola eccezione di Vagammo per la foresta di pini - fra il 1925 e 1935, delimitano una fase particolarmente delicata dell'evoluzione stilistica di Giorgio Federico Ghedini.

Il primo gruppo, che comprende i Quattro strambotti di Giustiniani e i Quattro canti su antichi testi napoletani (entrambi del 1925), risale agli anni in cui gli elementi costitutivi della personalità musicale di Ghedini pervennero a una prima coerente sistemazione grazie agli influssi mediati dalla frequentazione di alcuni leader del rinnovamento musicale torinese.

Ghedini, attorno alla metà degli anni Venti, era infatti uno degli astri nascenti della scena cittadina: titolare della cattedra di armonia, contrappunto e fuga al Liceo Musicale, poteva vantare l'affermazione al concorso internazionale indetto dal Circolo degli artisti di Torino nel 1922 (con il Doppio Quintetto) e alcune esecuzioni al Teatro Regio, era un accompagnatore molto apprezzato dai cantanti e un brillante direttore d'orchestra.

L'inserimento nella vita musicale torinese e l'amicizia con Guido Maggiorino Gatti e Andrea Della Corte focalizzarono l'attenzione del giovane compositore verso alcuni aspetti del dibattito sul rinnovamento musicale italiano: in particolare, il tema del ricupero del passato favorì il graduale affrancamento dai maestri del romanticismo tedesco, amorevolmente studiati negli anni di formazione, e la riscoperta della civiltà musicale del Rinascimento, di Monteverdi, Frescobaldi, Gabrieli, autori con cui ebbe familiarità anche grazie all'intensa attività di direttore di coro svolta nel medesimo periodo alla guida della Brigata del Madrigale.

Questo complesso di esperienze e suggestioni spinse Ghedini a individuare nella produzione vocale il luogo privilegiato per la definizione di coordinate espressive autonome. Il contatto con il testo poetico rappresentò anzi lo stimolo per sperimentare le possibilità del mezzo vocale e una fonte inesauribile di situazioni da tradurre musicalmente, ora nel senso dell'estrema rarefazione sonora (come nella Preghiera pascoliana o nelle Litanie alla vergine), ora nell'evocazione delle atmosfere tese e vibranti della poesia di Jacopone da Todi (come nel Canto d'amore).

In questa prospettiva, l'approccio musicale ai Quattro canti su antichi testi napoletani (che Ghedini scovò nella fornitissima biblioteca di Andrea Della Corte) e ai Quattro strambotti di Giustiniani, disvela un aspetto ulteriore della ricerca condotta sulla vocalità, qui tesa a modellarsi integralmente sui valori prosodici del testo. Ne è prova, oltre alla sillabicità prevalente del canto, l'estrema mobilità del tactus che caratterizza sia i Canti sia gli Strambotti (che in Auciello che ne viene da Caserta giunge a variare di battuta in battuta per assecondare le inflessioni del testo); o la scelta di sfasare programmaticamente il ritmo fra linea vocale e accompagnamento pianistico (come in La tortora ch'à perza la cumpagna, dove il canto è in ¾ e l'accompagnamento in 9/8).

Un contributo decisivo a questo sforzo di adeguamento è dato dall'esile scrittura pianistica, che denuncia a chiare lettere la propria matrice rinascimentale laddove ricorre alla tecnica del madrigalismo (il battito del cuore alle parole "non sa' tu ben che tu se' quella ladra che m'hai ferito il cor tanto che moro?" nel quarto strambotto) o giunge a ridursi a bicinium nel secondo (Sia benedetto il giorno che nascesti).

L'esigenza di semplicità e di immediatezza espressiva che il Ghedini di quegli anni iniziava a perseguire consapevolmente trovano nel carattere popolaresco dei testi più di un appiglio concreto: le immagini vivide, la liricità priva di sentimentalismo, il candore espressivo rappresentano un campionario di situazioni che sembra fatto apposta per esaltare la poetica ghediniana del "tono giusto", ovvero la convinzione - nient'affatto novecentesca e moderna - che il compositore posto di fronte a un testo poetico dovesse sforzarsi di rintracciare i mezzi linguistico-musicali più consoni a restituirne senso e coloritura espressiva.

Ciò non toglie che, alla puntuale sottolineatura delle singole situazioni testuali faccia da contraltare l'idea di organizzare i brani in veri e propri cicli (seppure di dimensioni ridotte), come sembra evidente dalla citazione testuale del tema del primo Strambotto alla fine del quarto.

Al gruppo dei Quattro canti su antichi testi napoletani si ricollega la lirica Aggio saputo ca te ne vuo' ire, che Ghedini musicò fra il 1930 e il '32 e il cui autografo è conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Torino.
In questo brano domina il tono dell'invettiva amorosa, tradotta da una linea melodica che procede per ondate successive, d'intensità e altezza crescenti: l'effetto drammatico è garantito da un ostinato ritmico che caratterizza dalla prima all'ultima nota la parte pianistica.

Il secondo gruppo di liriche (Tre canti di Shelley, composti nel 1934; Quattro liriche dal Canzoniere del Boiardo realizzati l'anno successivo) segna la perdita definitiva della centralità di cui la lirica da camera aveva finora goduto negli interessi del musicista: negli anni Trenta infatti l'attività di Ghedini si concentrò progressivamente sulla produzione sinfonica e, dal 1936, su quella operistica, in cui confluirono gli esiti di tutta l'attività precedente.

Alla poesia di Matteo Maria Boiardo (1441-1494) Ghedini si era già accostato nel '29 componendo Tre canzoni a 5 voci che utilizzano testi (Canta uno augiello in voce sì suave e Candida mia colomba) poi ripresi nelle liriche - che, varrà precisare, non sono quattro bensì cinque, poiché Ghedini musicò anche Sì come canta, rimasta inedita.

Rispetto ai lavori del decennio precedente, questi brani appaiono vocalmente più mobili, articolati, la suddivisione di ruolo fra canto e accompagnamento più marcata, il formulario di figurazioni pianistiche di qualità meno "rinascimentale" e più attento a fornire un semplice sostegno armonico alla voce.

Nei Tre canti di Shelley al contrario, l'interesse di Ghedini sembra diretto a tradurre il senso complessivo del testo poetico attraverso atmosfere timbriche o armoniche in cui la voce s'immerge totalmente, ottenute mediante il ricorso alla forza evocativa di alcuni "gesti" strumentali (l'acciaccatura in I pellegrini del mondo, le quartine di semicrome discendenti in Vento rude).

Negli anni successivi Ghedini tornò sporadicamente alla lirica da camera, spinto da situazioni o contingenze esteriori. Sorprende quindi trovare fra le carte che il Maestro lasciò alla sua morte un'altra lirica di Shelley, Vagammo per la foresta di pini, scritta nel 1956, oltre vent'anni dopo le precedenti: se lo stacco linguistico risulta evidente soprattutto nell'episodio iniziale, aspramente dissonante, anche qui l'approccio complessivo appare dominato dalla volontà di dipingere madrigalisticamente il vagabondaggio silvestre del poeta col movimento cromatico della linea vocale, il bisbigliare delle onde con un sommesso ribattuto nel registro grave, l'abbagliante luce paradisiaca con l'ampia melodia ascendente del canto. (Stefano Parise)

Alcune recensioni di Canti e strambotti

Da “Musica e Scuola” del 15 giugno 2005

“Continua l'attività, sia concertistica che discografica, del Duo Alterno [...] E' il caso delle intense “Liriche da Tagore” di Franco Alfano o dei bellissimi “Canti” di Alfredo Casella [...] o dei “Canti e Strambotti” del raffinato Giorgio Federico Ghedini. Tiziana Scandaletti e Riccardo Piacentini sono due interpreti specializzati in questo tipo di repertorio [...] Un sicuro punto di riferimento nel panorama della musica moderna e contemporanea, il Duo Alterno porta [...] in tutto il mondo [...] una letteratura del Novecento che altrimenti rimarrebbe nel cassetto.” (Michele Gioiosa)

Da “Novità discografiche” di “Rassegna melodrammatica” del 15 maggio 2002:

“[...] eccellente incisione della più significativa produzione vocale cameristica di Giorgio Federico Ghedini, sempre nella appropriata esecuzione del soprano Scandaletti e del pianista Piacentini [...]” (Dino Gatti)

Da “Strumenti e Musica” del giugno 2002: I canti e gli strambotti di Ghedini

“[...] CD di una qualità che contraddistingue le produzioni delle piccole etichette rivolte al vasto pubblico non certamente inferiori come livello qualitativo a quelle delle più blasonate multinazionali del disco [...]” (...)

Da “La Cittadella” del 7 luglio 2002: Le liriche di Ghedini

“[...] con bella linea vocale la Scandaletti sorretta alla tastiera adeguatamente dal maestro Piacentini esegue diciotto brani [...] di squisita qualità musicale [...]” (Dino Gatti)

Da “Amadeus” dell'agosto 2002: Ghedini - Canti e strambotti

Giudizio artistico: * * * *
Giudizio tecnico: * * * *

 


 

  
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Ultimo aggiornamento 15 aprile 2005
 
 
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