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Messico - Il traffico di droga diventa canzone

La ballata dei padrini

Si chiamano narcocorridos, narrano le gesta "epiche" di trafficanti; famiglie potenti, politici prezzolati, militari e giudici corrotti. Una nuova corrente di canzoni popolari arriva là dove per i giornalisti è terreno minato. In un Messico che è diventato il primo fornitore di cocaina sul mercato nordamericano.

di Gianni Proiettis
da San Cristóbal de Las Casas

Tra spietate vendette e rocambolesche evasioni, le storie dei narcotraficantes messicani, che negli anni Novanta hanno sostituito i colombiani come principali fornitori di cocaina sul mercato nordamericano, ispirano ogni giorno nuovi corridos, le canzoni popolari che animano le serate nelle balere.
Raccontano di morte e corruzione, della guerra fra bande cui partecipano settori dello Stato, costata migliaia di morti finiti in cimiteri clandestini. Il potere occulto di "un'industria" che genera profitti maggiori di quelli del turismo e del petrolio.

La saga degli Arellano

Il 10 febbraio di quest'anno, in pieno carnevale, una volkswagen bianca percorre una strada di Mazatlán, città messicana sulla costa del Pacifico. Imbocca un senso unico e viene fermata da una pattuglia della polizia. Segue una sparatoria, che finisce con tre cadaveri sulla strada.
La versione degli inquirenti è che due diversi corpi di polizia si sono sparati per errore. Pochi giorni dopo gli agenti della Dea identificano uno dei cadaveri: è Ramón Arellano Felix, tra i dieci maggiori ricercati (insieme a Osama bin Laden) dalle autorità statunitensi. La sua famiglia domina incontrastata il feroce cártel di Tijuana, maggior fornitore del mercato nordamericano di narcotici. Su di lui, e sul fratello Benjamín, pendeva una taglia di due milioni di dollari. Il cadavere viene trafugato, e dopo un po' si scopre che l'omicidio è opera di una banda di narcotrafficanti rivale.
Un mese dopo è la volta del fratello. La polizia messicana cattura Benjamín, rimasto a capo della più importante organizzazione di narcos messicani, a Puebla, in un elegante quartiere residenziale. Nella valigia della moglie quattro milioni di dollari. Oltre a fornire ogni anno cocaina per 5 miliardi di dollari a spacciatori e consumatori statunitensi, la loro impresa multinazionale - dagli altipiani andini ai vicoli di Los Angeles - è ormai gestita come una moderna azienda, con migliaia di dipendenti e investimenti milionari nelle attività più disparate, dal settore immobiliare al turismo. La fama degli Arellano in Messico è tale che addirittura il nunzio apostolico, Girolamo Prigione, li ricevette in privato nel dicembre '93. Nel maggio di quell'anno, il cardinale Posada Ocampo, giunto a Guadalajara per incontrare il nunzio apostolico, era stato crivellato di colpi da ignoti sicari all'aeroporto. Il suo sarebbe rimasto uno dei magnicidios irrisolti della storia recente del Messico, se i due fratelli Ramón e Benjamín Arellano Felix, già allora superlatitanti, non avessero chiesto udienza all'ambasciatore papale. Girolamo Prigione, l'architetto della normalizzazione diplomatica fra il Messico e il Vaticano, ascoltò la versione dei famigerati capi: erano stati i loro killer a uccidere per errore il cardinale. Il vero obiettivo era il Chapo Guzmán, un narcotrafficante rivale, atteso quello stesso giorno all'aeroporto con un'auto simile a quella del cardinale. Invece di denunciare i fatti alle autorità, Girolamo Prigione cercò di far ricevere i fratelli Arellano dal presidente Salinas, che rifiutò per il parere sfavorevole dal suo procuratore generale. Il nunzio pontificio permise ai due ricercati di lasciare la sede diplomatica vaticana in tutta tranquillità, e coprì le loro rivelazioni con il segreto di confessione.

Il santo protettore

La saga degli Arellano, arrivata sui quotidiani dopo la loro morte, era uno dei soggetti preferiti dei corridos già da tempo. "Indagare troppo su queste cose può porre in pericolo mortale, come dimostrano le numerose tombe dei giornalisti. - scrive Diego Manrique su La Jornada Semanal - Ma questo è un campo libero per gli autori dei corridos, che offrono una salutare visione alternativa alla versione ufficiale". Così è stato, ad esempio, anche per la storia segreta dei Sinaloa (celebrata nel corrido de la Muerte de Los Cadetes de Durango), altro episodio scandaloso della storia messicana. Hector Palma Salazar, capo del cártel di Sinaloa, detto El Guero, precipitò nel '95 con il suo jet privato per un guasto meccanico, mentre andava a Guadalajara. El Guero, gravemente ferito, chiese aiuto con il cellulare, fu portato in salvo e curato. Quando fu arrestato, pochi giorni dopo, si scoprì che a soccorrerlo e nasconderlo erano stati il capo della polizia locale e decine di agenti ai suoi ordini. La cattura fu operata dall'esercito e l'intera polizia dello Stato fu messa in quarantena per isolare le "mele marce".
Ma il potere dei narcos è tale che hanno addirittura un santo protettore, Jesús Malverde: "Questo santo, di chi ha l'acqua alla gola, mi ha portato buona fortuna" canta il corrido. "Davanti alla tua immagine tengo una candela, sempre accesa in tuo onore" e continua, dopo molte preghiere: "Umilmente oggi ti chiedo solo Juárez e Tujuana (i due principali cartelli di narcos, ndr), e una parte di Guerrero...".
Il potere dei narcos si fonda sulla dissuasione delle armi e la persuasione del denaro. Un esempio è la fuga del Chapo Guzmán, il boss che riuscì a scappare, nel gennaio 2001, dal penitenziario di massima sicurezza di Puente Grande, Stato di Jalisco. Per evadere, nascosto in un camion di rifiuti, El Chapo, che in carcere godeva di grandi privilegi e abitava una specie di appartamento di lusso, aveva "stipendiato" ben 73 guardiani, compreso il direttore.

Operazioni in alta uniforme

Il ruolo degli Stati Uniti nel narcobusiness è di primo piano. Gli enormi profitti - più di 60 miliardi di dollari l'anno - sono "lavati" in maggioranza dalle grandi banche statunitensi, come ha dichiarato il giudice nordamericano Ronald K. Noble, segretario generale di Interpol.
Il postulato di Washington, che dev'essere sempre più l'esercito a occuparsi di lotta al narcotraffico, ha trovato uno zelante seguace nel governo messicano, ma non ha dato i risultati sperati. A partire dall'arresto per corruzione nel '97 del generale Gutierrez Rebollo, neo promosso zar antidroga, si è visto che la presunta incorruttibilità dell'istituzione armata è uno dei tanti miti ridotti in polvere dal "libero mercato". Gutierrez Rebollo si era fatto una solida fama nella guerra contro i narcos, tanto che la sua promozione a zar antidroga fu salutata con entusiasmo dal suo omologo statunitense, Barry McCaffrey. Grande è stata la sorpresa quando si è scoperto, a due mesi dalla nomina, che la splendida casa in cui viveva il generale era un dono di Amado Carrillo Fuentes, narcotrafficante capo del cártel di Juárez. El señor de los cielos (come lo canta il corrido Jefe de Jefes di Tigres del Norte), soprannome che Carrillo si era guadagnato grazie alla sua importante flotta aerea, era allora il ricercato numero uno, e faceva pagare uno stipendio mensile da un milione di dollari al generale, senza contare i doni di auto da collezione.

Musica, maestro

Musicalmente i narcocorridos sono semplici: domina la fisarmonica con brevi interventi di sax sopra un ritmo monotono. Un genere adottato anche dalle bande di paese, come l'ormai famosa banda sonora Perdita Durango, o i fratelli Hernández che hanno prodotto 30 dischi e venduto migliaia di copie senza pubblicità convenzionale, o ancora i Tigres del Norte che riempiono gli stadi da entrambi i lati della frontiera messico-colombiana.
I corridos non risparmiano neanche forze dell'ordine e magistratura. La notizia, divulgata l'aprile scorso, dell'arresto di più di 100 poliziotti in Baja California, fra cui il capo della polizia municipale di Tijuana, accusati di complicità con i narcotrafficanti, è solo la punta dell'iceberg. Nonostante l'entusiasmo ministeriale nella presentazione di una nuova legislazione anti-corruzione, le conclusioni del relatore Onu Param Cumaraswamy sull'indipendenza dei giudici denunciano la corruzione imperante nella magistratura messicana. Il rapporto di Cumaraswamy ha provocato la reazione furibonda dei giudici, che l'hanno accusato di prendere per oro colato le affermazioni delle ong e delle associazioni di diritti umani. Il governo di Vicente Fox è giunto ad accusare Amnesty International di poca obiettività, vantando presunti successi contro criminalità e corruzione.
E mentre la guerra reale o presunta al narcotraffico continua, "c'è da aspettarsi che correrà più sangue a Tijuana - sostiene il collaboratore del settimanale locale Zeta Jesús Blancornelas, ridotto cinque anni fa in fin di vita dai mitra dei narcos - La morte di Ramón e la cattura del fratello Benjamín hanno decapitato solo temporaneamente il cártel degli Arellano Felix. Negli ultimi anni si sono talmente rafforzati da introdurre, loro soli, metà di tutta la cocaina che arriva sul mercato nordamericano. La famiglia è grande, c'è già chi è pronto a prendere il timone". E la musica continua.

Soy el Jefe de Jefes señores,
me respetan a todo nivel,
mi nombre y mi fotografia,
nunca van a mirar en papeles,
porque a mí el periodista me quiere
y si no mi amistad se la pierde

Sono il boss dei boss
mi rispettano a tutti i livelli
né il mio nome né la mia fotografia
non troverete mai sui giornali
perché i giornalisti mi amano
altrimenti perdono la mia amicizia

(da Jefe de Jefes, di Tigres del Norte per Amado Carrillo Fuentes, capo del cartello di Juárez)

Volontari per lo sviluppo - Agosto 2002
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