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Un patrimonio da salvare

Biblioteche del deserto

Decine di migliaia di manoscritti ancora nascosti sotto la sabbia del Sahara. Un sapere inestimabile, accumulato nei secoli dai popoli che nel maggiore deserto della Terra s'incontravano e scambiavano conoscenze. Ora un programma dell'Unesco tenta di recuperarli, e anche l'Italia fa la sua parte...

di Attilio Gaudio

Una volta, lo scomparso presidente e poeta senegalese Léopold Sédar Senghor mi disse: "Il Sahara è un oceano di sabbia che i mercanti e gli esploratori seppero attraversare molto prima dei mari". Quindi, riprendendo il monito del grande filosofo e letterato peul Amadou Hampaté Ba, secondo cui "in Africa, quando un vecchio muore, è una biblioteca che brucia", aggiunse: "Quando a Chinguetti o a Timbuctù una biblioteca brucia o si disperde è la memoria di mille vecchi che scompare".
Millenario trait d'union tra popoli di culture diverse che comunicavano lungo le piste carovaniere, il Sahara nasconde ancora oggi tra le sue dune dieci secoli di storia e di cultura delle popolazioni di Sahara e Sahel. Fonti di sapere spesso dimenticate, ma recentemente venute alla luce in decine di migliaia di manoscritti antichi rinvenuti nelle zauia (scuole religiose), negli scantinati delle moschee, sotto le tende nomadi e presso le famiglie borghesi delle città del Marocco sahariano, della Mauritania, del Mali e del Niger. Tale patrimonio dell'umanità non è mai stato completamente catalogato, studiato e tanto meno restaurato. Ecco perché la sua perdita potrebbe rivelarsi disastrosa per il mondo islamico ancor più delle biblioteche dell'Andalusia musulmana.

Custodi di sapienza

A Chinguetti, settimo luogo sacro dell'Islam e capitale storica della Repubblica Islamica di Mauritania, Sid'Ahmed Ould Habott, ricco e stimato uomo d'affari, possiede la maggiore biblioteca privata del mondo mauro.
"Da qualche anno la mia casa è diventata un piccolo ateneo internazionale" afferma. "Arrivano da tutta la Mauritania, ma anche da paesi lontani come la Siria o l'Arabia Saudita, per consultare le opere". Discendente di una vecchia famiglia di eruditi e di mercanti, Ould Habott conosce tutti i suoi libri e ha creato una fondazione per proteggere meglio i 1.450 volumi stipati fra i pilastri e le nicchie della sua vasta casa, assediata dalle dune come le altre del centro storico. Trattano tutto lo scibile del pensiero e delle conoscenze medioevali dell'Islam, dalla teologia alla linguistica, dall'astrofisica alla poesia epica, dalla matematica alla medicina, dall'algebra all'economia commerciale, dalle scienze naturali alla letteratura. Alcuni manoscritti, forse i più preziosi, sono esposti al sole nel patio, per asciugarli dall'umidità, che peraltro all'interno del Sahara è minima. "In Medio Oriente sanno che conservo degli esemplari rarissimi, spesso unici, e che nessuno di questi uscirà mai da Chinguetti" continua. "E' un impegno solenne che ho assunto con uno dei miei nonni. Possediamo un commentario del Corano di mille anni fa, unico al mondo. Chi vuole leggerlo nella sua interezza deve per forza attraversare il Sahara, come i pellegrini che nel Medioevo portavano dall'Oriente i testi più famosi della cultura islamica per farceli ricopiare". E conclude: "Noi di Chinguetti, come gli abitanti di Ouadane e di Tichitt, rifiutiamo qualsiasi proposta degli stranieri che smaniano per portarsi via un esemplare autentico. All'imam di Ouadane, povero e malato, un americano ha offerto diecimila dollari per il manoscritto di un calligrafo andaluso del Trecento. La risposta è stata: "I tuoi dollari non potranno mai comprare la ricchezza dei miei libri"".

Attraverso i secoli

I manoscritti coprono un arco di tempo che va dall'epopea degli Almoravidi (XII secolo) fino all'inizio dell'epoca coloniale e sono opera di letterati, giuristi, poeti, filosofi, mercanti e scienziati del passato appartenenti sia a gruppi nomadi sia alle comunità delle antiche città del deserto quali, appunto, Chinguetti, Ouadane, Tichitt, Djenné, Timbuctù, Agadès e altre. Eccezionale il numero degli scritti lasciati dagli ulema (dotti e docenti islamici) dell'università medievale di Sankoré a Timbuctù, dove per trecento anni eminenti professori di tutte le discipline allora conosciute insegnarono a decine di migliaia di taleban (studenti) affluiti dalle diverse regioni del Maghreb e dell'Africa sudanese. "I libri - scriveva Leone l'Africano nel XVI secolo - si vendono talmente bene a Timbuctù e se ne trae maggior profitto che da qualsiasi altra mercanzia". E gli storici ricordano quando sul mercato di Timbuctù, all'arrivo delle carovane dal Nord, la classe colta acquistava i libri del Medio Oriente e del Nordafrica pagando il loro peso in polvere d'oro. Tuttavia solo negli ultimi tempi parecchi di questi testi storici sono stati raccolti e catalogati dal Centro di Documentazione e Ricerche Storiche Ahmed Baba, creato negli anni Settanta grazie all'aiuto dell'Unesco e del Kuwait. Ne stanno microfilmando 15.000, anche se quest'ingente fondo cartaceo rappresenta meno del 10% di quanto sarebbe rintracciabile nei villaggi e negli accampamenti del deserto.

Prima che sia tardi

Lo storico Ismael Diadié Haidara di Timbuctù ha lanciato un appello in occasione dell'VIII Convegno eurafricano del Centro Internazionale di ricerche sahariane e saheliane nel novembre 2000, affinché siano salvati dalla distruzione i 3.000 manoscritti medievali del fondo Mahmud Kati. Si tratta di una biblioteca di inestimabile valore documentario, raccolta dallo stesso Diadié Haidara e risalente all'esilio di Alib Ziyad al Kuti, un visigoto islamizzato che lasciò Toledo, in Spagna, nel 1468, per rifugiarsi nella valle del Niger dopo un viaggio di 3.000 chilometri senza smarrire uno solo dei suoi libri. Dei 3.000 manoscritti molti sono redatti in arabo classico, altri in arabo andaluso e alcuni in ebraico. Il loro contenuto abbraccia tutto lo scibile delle conoscenze medievali in terra islamica: tradizione coranica, logica, filosofia, poesia, astronomia e astrologia, medicina e farmacopea, viaggi e commerci, matematica e fisica. Haidara avverte che, per ogni manoscritto che scompare, l'umanità si ritrova più povera. E afferma: "E' meglio far luce anche soltanto con una candelina piuttosto che maledire l'oscurità".

Il contributo del nostro paese

Dal Sahara all'Italia

Non si può dire che l'Italia sia rimasta insensibile a questa emergenza culturale africana e non abbia fatto nulla per promuovere gli aiuti. L'Istituto Internazionale di Antropologia di Parigi, con direzione italiana, e il Centro Studi Archeologia Africana di Milano hanno indetto, il 9 maggio 1998, il primo congresso in Europa centrato esclusivamente sul tema: "Gli antichi manoscritti del Sahara e del Sahel: riscoperta, salvaguardia e valorizzazione quale patrimonio dell'umanità". Hanno partecipato all'incontro un centinaio di ricercatori universitari, esperti, giornalisti e responsabili governativi di vari paesi (Spagna, Francia, Svizzera, Marocco, Mauritania, Libia, Mali) ed è stata allestita in concomitanza con i lavori del convegno la mostra "Biblioteche del deserto", presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano. L'Associazione culturale Giovanni Lorenzin (giovane cooperante di Africa 70 morto in Mauritania sul lavoro) di Portogruaro (Ve) ha stanziato nel dicembre 2000 la somma di 10 milioni di lire come contributo al centro culturale della fondazione Habott di Chinguetti, una sala della quale sarà dedicata alla memoria di Lorenzin.
Una seconda mostra iconografica ed etnografica sulle biblioteche del deserto è stata allestita nel luglio 2001 dall'Associazione Incontri Africani di Cuneo. Nel febbraio 2002 la mostra è stata portata nuovamente a Milano, e successivamente a Portogruaro. Sono previste anche esposizioni al Museo di Etnologia e di Antropologia di Firenze e, in autunno, a Torino in occasione della settimana "Identità e Differenza".
Per finire, un interessante documentario, "Bilad Chinqit", è stato girato in Mauritania dagli studi Film-Tv di Bolzano.

Volontari per lo sviluppo - Giugno 2002
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