di Fariha Haroon da Karachi
Rahima Mugheri, 14 anni, si è sposata il 2 di marzo. Ha sposato Niazul Mugheri, 28
anni, in una pittoresca cerimonia nel villaggio di Sujawal Junejo, nei pressi di Larkana
City (Pakistan). Avvolta nel rosso tradizionale, aspettava nervosamente il promesso sposo,
col quale già immaginava una vita in comune. Un momento dopo essere entrata in camera da
letto, lo sposo uscì fuori e annunciò che sua moglie aveva confessato di aver avuto una
relazione sessuale con un altro uomo. La famiglia al completo tenne immediatamente un
consiglio e decise la punizione: doveva essere uccisa. Il fratello maggiore dello sposo
sparò per primo, poi altri due fratelli, infine lo sposo stesso. La sposa quattordicenne
giaceva in un lago di sangue, di un rosso che si confondeva con quello dell'abito.
La notizia si diffuse in fretta. Solo quando alcuni attivisti dei diritti umani vennero a
conoscenza della tragedia e il triste incidente fu riportato sulla stampa la polizia
cominciò a occuparsi del caso. Lo sposo già progettava di fuggire ma fu arrestato. La
madre della ragazza, Singheer, all'oscuro dei fatti, non riusciva a credere che la figlia,
lasciata poco prima nella sua casa con ancora indosso l'abito nuziale, fosse stata sepolta
dopo poche ore ricoperta del suo stesso sangue. Il padre della ragazza, Bahram Mugheri,
disse alla polizia: "Mia figlia è stata uccisa perché lo sposo aveva una rivalità
con l'uomo che ha accusato di avere una relazione con la neo-moglie".
Il ragazzo di 21 anni accusato di essere l'amante della ragazza fuggì: infatti,
secondo la tradizione karo kari, una pratica tribale che sancisce la morte per
chiunque sia sospettato di una relazione illecita, anche lui avrebbe dovuto essere ucciso.
Questo è solo uno dei casi recenti, ma ce ne sono molti altri, di cui nessuno sa nulla.
Donne senza nome e senza volto che non possono levare la voce in loro difesa.
Nonostante i precetti dell'Islam, che parla delle donne come del più prezioso dono di
Allah, e chiaramente stabilisce che hanno gli stessi diritti degli uomini, nella nostra
società sono ancora molto discriminate. Il cosiddetto onore di famiglia dev'essere lavato
con il sangue di donne il cui unico crimine è di essere nate in una società a base
patriarcale, dove gli atteggiamenti discriminatori verso il sesso femminile sono
giustificati nel nome di Allah, o presentati come leggi islamiche. Ma si tratta di
evidenti mistificazioni. Il Corano dice: "In quanto a quelle tra le vostre donne
colpevoli di adulterio, porta 4 testimoni scelti nelle vostre famiglie; e se loro
confermano la testimonianza, allora tienile in casa, finché la morte le liberi o Dio
indichi loro la strada" (4:19). Poi continua sullo stesso tono e infine afferma:
"E se due di voi se ne rendono colpevoli, puniteli entrambi, ma se si pentono, allora
lasciali in pace. Perché Dio è misericordioso" (4:20).
Pertanto il karo kari è totalmente contrario ai precetti dell'Islam.
Nel 1998, 475 persone sono state uccise per questa tradizione. Tra loro c'erano 318
donne. Il '99 ha presentato uno scenario ancora peggiore: 500 morti. E gli anni successivi
non sono stati migliori. Nonostante il governo abbia assimilato il delitto d'onore
all'omicidio, casi di karo kari si verificano praticamente ogni giorno. La maggior parte
non è denunciata; quasi nessuno viene punito.
Tutto ciò non succede solo in Pakistan: la pratica continua anche in altri paesi. Gli
Stati condannano questi omicidi, ma si tratta di sentenze talmente lievi che sembra quasi
una beffa al concetto di giustizia. In Giordania, ad esempio, dove un omicidio su quattro
è un delitto d'onore, gli uomini rischiano solo da tre a dodici mesi per l'assassinio a
sangue freddo delle loro parenti. Un esempio è quello di Yasmeen Abdullah, 16 anni,
stuprata nel marzo del '98. Denunciò il fatto alla polizia che subito la imprigionò,
proprio per garantirne l'incolumità. Da quando Yasmeen non era più vergine, rischiava di
subire violenza anche dagli uomini della sua stessa famiglia. Dopo tre giorni in prigione,
Yasmeen fu rilasciata perché suo padre firmò una garanzia richiesta dalla polizia, in
cui affermava che non avrebbe minacciato la figlia. Quando però il fratello Sarhan la
vide, le sparò e l'uccise. "Sono fiero di averlo fatto, per lavare il nome della mia
famiglia" ha detto. "Meglio avere una morta in famiglia che l'intera famiglia
morta di vergogna". Secondo quanto detto da Sarhan, sua sorella aveva reso possibile
lo stupro per il fatto di trovarsi nel posto sbagliato. Ha ricevuto una sentenza di sei
mesi. Un anno più tardi, Sarhan è giudicato un eroe. "Adesso gli uomini della mia
famiglia possono sedere tra gli altri uomini senza perdere la faccia", dice.
In molti paesi, le donne stanno lottando per cambiare le leggi. In Israele, donne ebree
e arabe operano congiuntamente per soccorrere donne musulmane condannate a morte dalle
famiglie. In Giordania, le attiviste stanno lavorando per convincere il parlamento e il re
ad abolire le antiche leggi che proteggono il delitto d'onore.
Ma ci sono paesi dove la discriminazione e la violenza contro le donne comincia prima
ancora della nascita. A causa della rigida regola di un figlio per famiglia del governo
cinese, persino una donna al settimo mese di gravidanza di un secondo figlio può essere
costretta all'aborto. La politica del figlio unico, ritenuta soluzione temporanea al boom
demografico, ha portato all'abbandono delle figlie femmine e all'infanticidio. Da quando
la Cina ha abbandonato un effettivo sistema di previdenza sociale, i maschi sono
preferiti, dal momento che potranno in seguito mantenere i genitori anziani. Le femmine
sono semplicemente trascurate. Ma la predilezione per i maschi prevale nella maggior parte
dei paesi poveri. In India, persino i villaggi hanno strumenti a ultrasuoni per
determinare il sesso del feto. Una ricerca condotta a Madras su 1.250 donne ha rivelato
che più della metà delle femmine mai nate è attribuibile ad aborto indotto. Secondo la
Fondazione Edhi di Karachi, il 99% di tutti i bambini morti della città sono femmine.
E mentre in Cina le donne sono costrette ad abortire, in Nepal la situazione è opposta:
le donne sono arrestate per aborto. Si stima che i due terzi delle donne nelle prigioni
nepalesi siano lì per garbhabat, distruzione di vita, un crimine che include
allo stesso modo aborto, infanticidio e abbandono di minore. Un caso esemplare è quello
di Min Min Lama, 15 anni. Di recente, malgrado sia ancora una bambina, è stata condannata
a 20 anni di prigione. Il fratello di sua cognata l'ha violentata e lei, scoprendosi
incinta, è ricorsa all'aborto. Nel caso di Min Min, è stata sua cognata a denunciarla.
Sia lei che il suo rapitore vennero arrestati, ma lui fu immediatamente rilasciato e
assolto, mentre la ragazza languiva in prigione. Con l'aiuto delle organizzazioni per i
diritti umani, la sentenza di Min Min è stata ora ridotta per la sua giovane età. Ma
quando finalmente sarà libera scoprirà di essere emarginata. Generalmente, i parenti
abbandonano donne simili, e le loro possibilità di sposarsi o di trovare lavori decenti
sono quasi nulle.
Volontari per lo sviluppo -
Dicembre 2001
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