di Tiziana Montaldo
Ha una gonna nera e un'elegante blusa rossa dai disegni geometrici dorati. Lulu Wang, nata a Pechino nel 1960, è a Torino per parlare della Cina, dei suoi libri e di se stessa. Sul volto e su un polpaccio ha ancora i segni della vitiligine, una malattia della pelle che l'ha colpita appena dodicenne a causa della solitudine in cui la Rivoluzione culturale di Mao l'aveva rinchiusa privandola dei genitori, segregati in un campo di rieducazione. Era una famiglia borghese e benestante quella di Lulu, con la madre docente e il padre medico, ma le Guardie Rosse avevano sentenziato: "I primi saranno gli ultimi". All'età di 25 anni, Lulu vince un premio in Cina per un'opera in prosa, ma la censura la mette subito al bando e la giovane decide di lasciare il paese, definitivamente.
A Maastricht insegna cinese all'università. Racconta di quel periodo: "Quando me
ne sono andata volevo dimenticare tutto della Cina, non volevo più scrivere nemmeno nella
mia lingua. L'esperienza della Rivoluzione era stata troppo profonda. Volevo una nuova
vita: un marito olandese, dei figli, una bella macchina e le vacanze in Italia, ma stavo
male, soffrivo. E allora il mio psicanalista mi ha detto: scrivi, se non vuoi
impazzire". È nato così il suo primo libro, Il teatro delle ninfee
(edizioni Est), vincitore del Premio Nonnino assegnatole a Salisburgo nel 1999 durante il
Festival di Pasqua. Lei, in lacrime, in quell'occasione ha confessato, mentre il maestro
Claudio Abbado l'abbracciava: "Ho dovuto scrivere questo libro per ritrovare la
pace".
Il romanzo parla di una bambina, Lian, che "grazie" alla sua malattia può
godere del privilegio di stare con la madre nel campo di rieducazione: 25 letti a castello
e 49 donne ammassate come bestie in una stanza con due buchi per l'aria. Nel campo conosce
intellettuali e scienziati, perseguitati dal regime, che le impartiscono lezioni delle
diverse materie e le raccontano la storia, quella vera, del suo paese. Non avendo coetanei
con cui condividere le sue giornate, Lulu-Lian ripete le lezioni alle rane e ai grilli, ai
fili d'erba e all'acqua di un piccolo stagno ai quali confida paure, sogni e piccole
gioie. Sono loro il teatro delle ninfee. Ma il libro è anche la denuncia dell'ipocrisia
del regime di Mao e del suo fanatico "equalitarismo". Uscita dal campo, Lian
riallaccia l'amicizia con Kim, una giovane della terza classe, bersaglio delle angherie
dei ragazzi soprattutto della prima classe, quella della protagonista. Non servirà alla
giovane, figlia di poverissimi, primeggiare negli sport e nello studio grazie alla
solidarietà di Lian. Il rispetto o il timore degli altri se lo guadagnerà solo entrando
a far parte di una banda di ladruncoli, aprendo però così un abisso, dal finale tragico,
tra sé e l'unica amica che le aveva voluto bene davvero.
Tra le storie dolorose si snodano quelle d'amore: ci sono le emozioni delle
infatuazioni giovanili, la scoperta del corpo che cambia, i giochi, i momenti belli delle
amicizie vere. "Faccio guardare le realtà dai bambini perché il loro modo di
raccontare anche storie dolorose è più carico di humour e ironia". Ed è infatti un
bambino appena nato il protagonista del suo ultimo libro, La festa bianca (edito
da Il Saggiatore). La storia di Xingrong si svolge nel periodo dell'occupazione giapponese
degli anni Trenta e affronta, come il primo libro, il tema della sopravvivenza. Il padre,
autista della sposa del presidente cinese, perde il lavoro quando questi ultimi vengono
esiliati. La famiglia cade in miseria e l'ex autista scompare nelle fumerie d'oppio. Dice
Lulu Wang: "Io non ho ricevuto l'amore paterno, ero sola. Mio padre era un uomo
brillante, un intellettuale, ma Mao l'ha distrutto. Faceva solo sì o no con la testa.
Come una pianta. La Rivoluzione ci ha insegnato l'odio e il sospetto reciproco. Chiunque
poteva tradirti e denunciarti come "borghese". Non biasimo i miei genitori per
l'amore che non hanno saputo darmi, non potevano. Le violenze li hanno spenti. Con questo
romanzo ho cercato di tornare ad amare mio padre".
La festa bianca è la cerimonia funebre cinese, il bianco è simbolo di morte. Un
rituale molto diverso dal nostro. "Uomini, donne e bambini - è scritto nel libro -
facevano appena il gesto di asciugarsi un paio di lacrime e subito si buttavano sui tavoli
riccamente apparecchiati. Xingrong non si sorprese che quella venisse chiamata la
Felicità bianca o la festa bianca".
Spiega Lulu Wang: "La cultura cinese è diversa dalla vostra. Il concetto che più mi piacerebbe trasmettere è quello dello Ying e dello Yang. C'è sempre un lato positivo e uno negativo in ogni cosa. La realtà non è o bianca o nera come per gli occidentali. Negli anni Sessanta mio nonno ricevette una bara come regalo di compleanno. Si fece mettere dentro e urlò alla moglie di non farlo ingrassare perché non ci sarebbe più entrato. Poi comprò alcuni barattoli di lacca per i tarli. D'estate gli uomini si sedevano fuori dalle loro case, di fianco alle bare e discutevano, prendendosi in giro, su chi aveva dato più mani". Alla fine del romanzo il fratello maggiore del protagonista si indebita per 15 anni per comprare una bara al padre, ritrovato morto per l'oppio. Quel padre che li aveva abbandonati e ridotti in miseria. Ma "io credo che in questo libro la parola "amore" sia un articolo di lusso. Nonostante la miseria, è l'amore "vero" che tiene uniti gli uomini, questo è il mio messaggio". Curiosa è stata la scelta di Lulu Wang di scrivere tutte le sue opere in olandese. "In realtà - dice lei - scrivo in olandese pensando in cinese. Ad esempio per dire "sono triste", scrivo: sul mio volto cadono le lacrime". Pagine dense di Cina e di cultura cinese, quelle scritte da Lulu, che però non rimpiange nessun luogo, nessun legame del suo paese. Un'agenzia turistica organizza viaggi dal titolo Sui passi di Lulu Wang dove i partecipanti vengono accompagnati dalla scrittrice nei luoghi descritti nei suoi libri. "Torno regolarmente in Cina - dice la scrittrice - ma non resisto più di due settimane. Ho dovuto andare lontano dal mio paese per capire che lo amavo. La gioventù cinese oggi è molto simile a quella occidentale, sono sicura che la situazione sociale e politica cambierà". Le labbra rosse si aprono in un sorriso grande. La malinconia, di cui alcuni giornalisti avevano parlato, se n'è andata completamente.
Nonna Mulenga racconta...Ogni mese una fiaba dal mondo. Uno strumento utile per genitori e insegnanti con una marcia in più. L'unione fa la forzaUn uomo aveva quattro figli, che litigavano sempre tra loro, anche solo per
sciocchezze. Ci soffriva tanto, anche perché cominciava a invecchiare, per cui temeva il
peggio per la sua famiglia. Decise, così, di fare un ultimo tentativo perché la
smettessero. (Tratto da: Umberto Davoli: Il cuscino di fumo e altre favole della Zambia, Emi 1995) |
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Agosto-Settembre 2001
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