di Nanni Salio
Ci stiamo avvicinando rapidamente alla più grande crisi energetica e ambientale della
storia umana in una quasi totale indifferenza e irresponsabilità. Simbolo di questo è il
fallimento della conferenza dell'Aja dell'anno scorso, che avrebbe dovuto ratificare il
Protocollo di Kyoto sulla diminuzione delle emissioni inquinanti, e le attuali difficoltà
a riprendere i negoziati a Bonn.
È l'ultimo ballo sul "Titanic che sta per affondare" come dice lo scrittore
tedesco Enzensberger.
La crisi energetica si chiama fine del petrolio a basso prezzo. Gli studiosi prevedono
che, ai ritmi di estrazione e di consumo attuali (circa 27 miliardi di barili l'anno),
intorno al 2005 verrà raggiunto "il picco di produzione geofisica del
petrolio", ovvero la massima capacità produttiva, tenuto conto anche dei possibili
giacimenti ancora da esplorare o da sfruttare. Dopodiché inizierà il declino e verso il
2030 si arriverà al punto in cui per estrarre un barile di petrolio occorrerà impiegare
un altro barile di petrolio, ovvero la convenienza energetica ed economica sarà nulla. La
nostra economia è quasi totalmente petrolio-dipendente: non c'è nessuna "new
economy" che non si basi sulla "old economy" del petrolio, come insegna la
crisi energetica della California, avvisaglia di altri black-out energetici prossimi
venturi.
Cosa succederà nei prossimi due o tre decenni? Ovviamente nessuno lo sa con
precisione, ma si possono delineare tre principali scenari (sostanzialmente quelli
elaborati da Meadows del Club di Roma). Il primo, il più ottimista, è quello
dell'atterraggio morbido: la graduale e progressiva uscita dall'economia del petrolio, dei
fossili, per un "ritorno al solare", a fonti energetiche rinnovabili. In questa
prospettiva, il petrolio dovrebbe essere usato parsimoniosamente per progettare la
transizione, evitando l'insorgere di conflitti altamente pericolosi e distruttivi. Per
fare tutto ciò occorre una capacità di governance, o di "governo globale", che
oggi è difficile intravedere.
Il secondo scenario è quello dell'assestamento che, attraverso il susseguirsi di crisi
più o meno gravi, di fibrillazioni del sistema e di conflitti anche violenti, giunge a
stabilizzarsi nell'arco di qualche decennio. Non è uno scenario auspicabile, ma comunque
migliore del terzo, quello della grande implosione, una visione apocalittica di conflitti
armati, gravi cataclismi ambientali e lotta per la sopravvivenza, che decimerebbe
l'umanità attraverso sofferenze inimmaginabili. Alcune avvisaglie di questi ultimi due
scenari le abbiamo avute nel corso degli anni '90: sono aumentati i "rifugiati
ambientali" provocati da fenomeni climatici estremi (come l'uragano Mitch in Centro
America, vedi VpS giugno 2001),
si sono scatenate lotte furibonde come conseguenza delle crisi economiche (Sud Est
asiatico); e anche le guerre del Golfo, della regione transcaucasica e di quella balcanica
sono in parte dovute al controllo delle risorse energetiche (petrolio e gas).
Soffermiamoci sulla prima ipotesi e proviamo a delineare una transizione dolce. Innanzi
tutto, chiariamo alcuni termini, a cominciare da quello di "crisi energetica",
che in realtà è improprio. Si dovrebbe piuttosto parlare di "crisi di
potenza", poiché l'attuale sistema energetico ed economico è centrato sull'impiego
di energia ad alta potenza (grandi insediamenti urbani e produttivi). Mentre il petrolio,
i fossili in generale e il nucleare in particolare permettono di avere elevate potenze, il
solare, ad esempio, è abbondante e diffuso su tutto il pianeta in forma decentrata, ma si
presta poco a produrre elevate potenze. In molti casi è però possibile sostituire
l'utilizzo di energia ad alta con quella a bassa potenza. Un esempio classico: se
confrontiamo lo scaldabagno elettrico con un collettore solare (vedi box) ci accorgiamo
che nel primo caso partiamo da energia pregiata (energia elettrica prodotta a partire da
un'altra forma anch'essa pregiata, come il petrolio) per farla degradare rapidamente in
calore a bassa temperatura, mentre nel secondo caso utilizziamo una fonte di energia
diffusa e meno pregiata e si ha una minore degradazione.
In più, però, si deve prendere in considerazione la quantità di energia incorporata
nell'impianto e, in generale, nell'intero ciclo di vita di un prodotto. Per esempio, ogni
tecnologia che utilizzi fonti rinnovabili (dal fotovoltaico ai collettori solari alla
biomassa) richiede a sua volta energia per costruire l'impianto. Perché il tutto sia
vantaggioso, è necessario che nell'intero ciclo di vita dell'impianto si produca più
energia di quanta ne è stata assorbita. Una valutazione di questo tipo è più complessa
e controversa, perché non ci sono strumenti di misura per verificare direttamente i
risultati, e ci si basa su stime che comportano un'elevata incertezza.
Comunque sia, gli esempi e gli strumenti tecnici per attuare il passaggio a
"energie dolci" non mancano (alcuni dei quali riportati in dettaglio nei box
successivi). È la volontà politica che ancora non c'è, anche perché questo passaggio
richiede una revisione seria dell'intero sistema di vita oggi dominante.
Il termine potenza è ovviamente associabile a quello di potere, ed è evidente come
l'attuale uso dell'energia a elevata potenza sia congeniale a un sistema di dominazione
che non ha pari nella storia dell'umanità. Le alte potenze servono a fare funzionare non
solo l'attuale macchina produttiva, ma anche l'altrettanto distruttiva ed
"energivora" macchina da guerra degli eserciti di tutto il mondo. Nonostante
tutte le innovazioni tecnologiche, che possono attutire l'impatto disastroso sul pianeta,
dobbiamo chiederci "quanto basta?". Ovvero c'è un limite superiore ai consumi?
L'attuale modello economico e di sviluppo è intrinsecamente insostenibile perché basato
sull'idea di crescita continua e illimitata, con un'esasperazione dei consumi e dei
bisogni indotti individuali. Fonte di stress non solo ambientale ma anche per le persone.
D'altro canto è bene intendersi: un modello energetico basato su fonti rinnovabili è
possibile, ma mette a disposizione una potenza complessiva assai inferiore a quella
attuale, probabilmente di circa un terzo, che non può essere compatibile con la filosofia
della crescita illimitata di oggi.
A cosa serve l'energia?Un punto importante da chiarire è: a cosa serve l'energia? Schematicamente, si può
dire che circa un terzo va in calore a bassa temperatura, prevalentemente nel settore
domestico (riscaldamento e servizi igienici), un terzo nei trasporti (per il solo
carburante, senza considerare l'energia incorporata nei mezzi di trasporto) e un terzo
nell'industria. Il settore agricolo assorbe una quota molto bassa, ma in realtà quella
dell'alimentazione è ben maggiore, perché i cibi che arrivano nel nostro piatto sono
"carichi di energia" incorporata nei trasporti e nella confezione.
L'agroindustria assorbe una quota che può variare, tenendo conto delle diverse voci, dal
10 al 25% del totale degli usi finali. |
BiomassaLa biomassa è l'insieme degli organismi che vivono su una data superficie e viene misurata in base al loro peso o al loro contenuto di energia. Da sempre viene utilizzata nelle società tradizionali come combustibile: legna da ardere, carbone vegetale, paglie, ecc. Ancora oggi la legna è uno dei combustibili più importanti nelle società non industrializzate. Dalla biomassa è possibile ricavare biogas (una miscela di gas con prevalenza di metano) attraverso appositi impianti digestori, come avviene da tempo nelle società contadine in India e in Cina. Il biogas a sua volta può essere utilizzato direttamente come combustibile oppure per alimentare piccole turbine al fine di produrre elettricità, o meglio ancora in piccoli impianti di cogenerazione che producono sia calore sia elettricità. Oggi l'interesse è rivolto anche a particolari coltivazioni vegetali ad alto contenuto zuccherino (barbabietola, canna da zucchero) che permettono di estrarre biocarburanti in sostituzione di quelli fossili, come già avviene su larga scala in Brasile dove il 25% del carburante proviene dalla biomassa (alcool di canna da zucchero). Questa soluzione può entrare tuttavia in competizione con l'esigenza alimentare, soprattutto nei paesi poveri. |
BioarchitetturaUn insieme di tecnologie edili consentono oggi di realizzare abitazioni a basso consumo
di energia ed ecologicamente più sane. In linea di principio, è possibile progettare
case a "costo zero di energia", ovvero tali da consentire di produrre tutta
l'energia di cui hanno bisogno utilizzando esclusivamente l'energia solare in forma attiva
e passiva. Già in passato si conoscevano tecniche e accorgimenti costruttivi che
consentivano di realizzare abitazioni calde d'inverno e fresche d'estate in maniera
naturale, con un apposito orientamento della casa e una scelta attenta delle finestre e
dei materiali impiegati (ad esempio i famosi "muri spessi" delle nostre vecchie
baite). Queste tecniche vengono definite "passive" perché non utilizzano
direttamente impianti di trasformazione. Tra le tecniche "attive" spiccano i
collettori solari per produrre calore a bassa temperatura, sia per il riscaldamento sia
per i servizi igienici, e i tetti fotovoltaici che consentono di far fronte all'intero
fabbisogno di elettricità, immettendo in rete l'energia in eccedenza. |
La cella fotovoltaicaLa cella fotovoltaica è un dispositivo in grado di convertire la radiazione solare in
energia elettrica, utilizzando un fenomeno noto come effetto fotoelettrico. La scoperta
risale al 1839 ma la prima cella fu realizzata solo nel 1953 utilizzando particolari
caratteristiche del silicio. Ogni cella fornisce una tensione che può arrivare a 0.5 volt
e una corrente continua proporzionale alla radiazione solare incidente, alla superficie e
alla qualità della cella stessa. |
Collettori e pannelli solariIl principio di funzionamento dei pannelli solari è molto semplice: si usa l'energia
dei raggi solari per scaldare un fluido (di solito acqua). I pannelli sono costituiti da
una lastra annerita in modo tale da assorbire i raggi del sole e isolata termicamente sul
retro. Il fluido scorre in tubi posti sopra la lastra assorbendo il calore dei raggi.
Sopra tubi e lastra sono posti schermi trasparenti di plastica o vetro che proteggono il
pannello (per esempio dalla grandine). Se l'impianto è usato per produrre acqua calda a
fini domestici il fluido che circola nei tubi è semplicemente acqua. In tal caso vi è
anche un serbatoio di accumulo che fa "da camera di compensazione" tra l'acqua
calda prodotta e l'acqua calda richiesta in un dato istante. Quando i pannelli sono usati
invece per il riscaldamento di ambienti è presente uno scambiatore di calore e il fluido
che circola nei tubi può non essere acqua. Nello scambiatore di calore il fluido scaldato
dai pannelli cede il suo calore all'aria che circolando, di solito per convezione
naturale, distribuisce il calore nei vari ambienti. |
TrasportiRazionalizzare il sistema dei trasporti è ormai un imperativo categorico per diminuire
l'impatto dell'uomo sul pianeta. Le tre principali direttrici da seguire sono la drastica
riduzione del trasporto privato e il potenziamento di quello pubblico, la valorizzazione
della bicicletta e l'introduzione di automobili elettriche o alimentate con celle a
combustibile. Queste ultime sono dispositivi elettrochimici che consentono di combinare
l'idrogeno (un combustibile, tradizionale come la benzina) con l'ossigeno presente
nell'aria per produrre acqua calda ed energia elettrica. L'idrogeno deve essere a sua
volta prodotto a partire da una fonte primaria, per esempio quella solare. Al momento
attuale, queste auto non sono ancora entrate in produzione, ma ne esistono vari prototipi
e si prevede che nei prossimi anni sostituiranno man mano quelle in circolazione. |
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Dopo anni di rinvii e attese, è finalmente decollato il programma "10.000 tetti
fotovoltaici" del ministero dell'Ambiente, nato per avviare la diffusione
dell'energia solare in risposta alla necessità di ridurre l'uso di combustibili fossili.
Lo scorso marzo è stato pubblicato il bando riguardante Comuni ed Enti Pubblici (www.etraweb.it/vision/demo_07.html),
e sono stati stanziati 20 miliardi per dotare di impianti solari gli enti che ne fanno
richiesta. Il programma per i privati, con 40 miliardi di dotazione, sarà gestito invece
dalle Regioni, che hanno aggiunto con i loro bilanci altri 18 miliardi per un totale di 58
miliardi. Il 75% del costo degli impianti (Iva esclusa) viene finanziato a fondo perduto.
Considerando che il costo medio di un impianto familiare da 2-3 Kw di picco si aggira sui
40-45 milioni, al cittadino verrebbe una spesa di 10-15 milioni, ammortizzabile però in
pochi anni, considerato che poi l'energia è gratis. In questo modo si punta a realizzare
nei primi due anni circa 9.000 impianti di piccola taglia (potenza compresa tra 1 e 5 Kwp)
e 1.000 di media taglia (da 5 a 50 Kwp), per una potenza complessiva di 50 Mwp.
Una delle principali novità del programma "10.000 tetti fotovoltaici" è la
possibilità di connettersi alla rete Enel, di cedere energia alla rete quando quella
prodotta "in casa" supera quella consumata, e di acquisirla nelle ore notturne,
a impianto inattivo. Questo elimina la necessità di sistemi di accumulazione, che finora
hanno costituito uno dei punti deboli del fotovoltaico, per gli elevati costi e per
l'impatto ambientale di produzione e consumo di batterie al piombo.
Ma, in concreto, come presentare i progetti? Per ora le Regioni non hanno ancora
pubblicato i bandi, ma dovrebbero farlo tra luglio e settembre. La via più semplice per
il privato cittadino è quindi consultare i loro siti o leggere i bollettini regionali.
Per gli enti pubblici invece il bando è già disponibile al sito www.minambiente.it, nella pagina
sulle energie rinnovabili, con tanto di modulo prestampato da compilare.
Entro il 2006 si punta a raggiungere i 50.000 impianti totali, ma visto l'avvio faticoso
del progetto è lecito attendersi ulteriori ritardi. Si tratta tuttavia, insieme al
progetto "Comuni solarizzati" per la diffusione del solare termico negli edifici
pubblici, della prima vera opportunità in Italia di imboccare la strada dell'energia
solare e di sviluppare un mercato rimasto finora asfittico.
Nel frattempo, la Germania ha lanciato un progetto per raggiungere presto il numero di
100.000 impianti, pur con una "dotazione" di sole decisamente inferiore, e in
pratica ha già raggiunto gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto per il 2008.
(L. P.)
Volontari per lo sviluppo -
Agosto-Settembre 2001
© Volontari per lo sviluppo