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Caro diario - Scrivono i volontari...

Speranze da Bukavu

Siamo ritornati in Africa, a Bukavu. Quanto lo abbiamo desiderato! Ogniqualvolta ci giungevano notizie di soprusi, saccheggi e devastazioni, avremmo voluto essere al fianco delle tante persone che, negli anni del progetto del Mulume Munene, con noi avevano condiviso pesanti fatiche, ma anche grandi speranze per un futuro migliore che sembrava, almeno per loro, ormai prossimo. Avremmo voluto essere presenti per rincuorare gli oltre duemila piccoli allevatori che nella Coopem (Cooperative petits éleveurs Mulume) avevano trovato lo strumento per assicurare alle proprie famiglie la vittoria sulla fame.
Siamo giunti a Bukavu a metà giugno: di tutto quello che era stato realizzato negli anni '88-'94 non è rimasto nulla... Gli eserciti e le bande che si sono susseguiti e che tuttora si spostano nella zona, hanno fatto piazza pulita. Il governo è assolutamente assente: strade impraticabili, scuole che funzionano solamente se i genitori provvedono allo stipendio degli insegnanti, assistenza sanitaria nulla. Da tre anni il Congo vive questa situazione: la guerra o guerriglia ormai endemica si alimenta da sé con i proventi della vendita delle preziose materie prime, anzitutto il coltan, di cui il Congo ampiamente dispone.
Esiste, a questo proposito, un rapporto consegnato il 16 aprile 2001 a New York, frutto di un'inchiesta condotta da cinque esperti, su mandato dell'Onu. Secondo il rapporto, dal saccheggio si è passati allo sfruttamento sistematico delle ricchezze congolesi, assicurando in tal modo il mantenimento dei comandanti militari e delle varie armate più o meno liberatrici sia del Congo sia dei paesi confinanti, Rwanda, Burundi e Uganda, ormai stabilizzatesi anche al di qua delle frontiere. Ovviamente non mancano intrecci con privati africani e occidentali e trasferimento di ricchezze immense, talvolta persino di intere industrie, all'estero.
In questa situazione la popolazione è veramente vittima: le ricchezze del paese anziché permettere sviluppo e benessere creano insicurezza, conflitto, morte (le uccisioni sono oltreché frequenti, spesso inspiegabili). L'attività nei campi è bloccata. Tutto sembra irrimediabilmente perduto. In questo clima di desolazione scopriamo inaspettatamente qualcosa di positivo che ci sorprende: la gente, quella gente africana che spesso abbiamo giudicato troppo rassegnata e sfiduciata è qui, viva e presente, soprattutto la componente femminile, e dice "basta". Lo grida con i mezzi che ha, non escluso il silenzio, com'è avvenuto durante il sequestro del vescovo, nell'iniziativa "la ville morte". Lo ha gridato con infinita riconoscenza agli organizzatori e partecipanti alla manifestazione "Anch'io a Bukavu". Lo abbiamo colto persino nella pagina di un umile giornalino distribuito fra le mamme del gruppo Muzire Bwacire: "sentiamo in noi una forza che ci rende capaci di continuare a lottare perché la vita prosperi, perché i nostri figli crescano bene. Sì, noi non siamo più le stesse".
In questi anni bui, la chiesa congolese è rimasta accanto alla gente, pagando il generoso e costante impegno con il sacrificio di molti suoi figli, primo fra tutti il vescovo Christophe Munzihirwa assassinato davanti alla cattedrale di Bukavu il 30 ottobre '96.
Periodicamente la Conferenza episcopale ha lanciato messaggi di incoraggiamento e di invito alla pace, non nascondendo la riprovazione per taluni comportamenti. Anche di recente, in occasione dell'ingresso nella diocesi di Bukavu del nuovo vescovo Charles Mbogha, il cardinale Frédéric Etsou, presidente della Conferenza episcopale congolese, ha pronunciato un discorso fortissimo, condannando apertamente quanto avviene in Congo, complici le autorità, e indicando i nuovi comportamenti che devono essere assunti dai responsabili per assicurare l'integrità del territorio nazionale e la salvaguardia dei diritti della persona.
Alla popolazione, il cardinale ha voluto esprimere la sua gioia nel constatare che "nonostante le tristissime condizioni in cui vive, essa mantiene viva la speranza".
Perché questa speranza che ha avuto una gestazione tanto difficile possa rafforzarsi e concretizzarsi, siamo partiti da Bukavu convinti una volta di più che l'impegno da parte nostra deve continuare, nonostante le vicende umane sembrino demolire quanto si va faticosamente costruendo.

Franca e Dante Fugazza
volontari Mlfm

Bukavu (Congo), giugno 2001

Mozambico allo stremo

La morte per Aids di una giovane mamma di poco più di vent'anni, abbandonata in un ospedale, sola, piena di piaghe, con le formiche che invadevano il suo corpo, è la piccola storia di un giorno qualunque in questo lembo disperso del Sud.
Per la sua bambina, di età sconosciuta, che non ha mai avuto un padre, né una famiglia, probabilmente sieropositiva, il destino, passando attraverso una vita di strada, sarebbe stato forse ancora più tragico, se qualcuno, per sua fortuna, non l'avesse presa con sé e "adottata".
Ma quanti, fra questi viottoli intricati, fra mille capanne di fango e paglia, in una natura madre e matrigna dai colori meravigliosi, quanti staranno vivendo e morendo così? Ogni giorno bussano al cancello di bambù della piccola casa in cui mi trovo: donne con i bambini ridotti a piccoli scheletri perché ammalati o malnutriti; uomini in cerca di un lavoro; bambini in cerca di un posto dove dormire o di poche cose da mangiare.
Qui si tocca ogni giorno con mano quanto la sofferenza, per un povero, sia intimamente connessa con la propria vita. Qui, vita vuol dire sofferenza.
Ogni giorno alzarsi e non sapere dove lavorare, cosa mangiare, come combattere le innumerevoli malattie. Tragico, "normale" destino di ogni povero.
Qui è proprio la sofferenza che colpisce, quella che si legge negli occhi della gente, sui volti dei bambini abbandonati, nei corpi di chi è malato e non curato. È la sofferenza che fa sussultare l'animo in un rigurgito di rabbia e di impotenza. Perché gran parte del mondo deve vivere in queste condizioni quando l'altra parte, vive nel benessere ostentato e spreca enormi risorse?
(...) Preoccupa l'espansione vertiginosa del nuovo colonialismo della globalizzazione, che vede l'uomo solo come potenziale consumatore. Qui, mentre scrivo queste righe da inviare via e-mail, appare evidente che le nuove tecnologie aumenteranno ancor più le differenze: chi è ricco potrà diventarlo ancor più, chi è povero è destinato a diventare (se possibile) ancora più povero, con una sempre maggiore dipendenza economica e culturale.
In Mozambico, oggi, la speranza di vita è di circa 45 anni, ma le previsioni statistiche dicono che nei prossimi anni, a causa soprattutto dell'Aids, si ridurrà a 35 anni.
Nonostante ciò, è possibile fare qualcosa, anche assicurando uno sviluppo autonomo rispetto ai vincoli della globalizzazione. Ma per far questo, al centro di ogni progetto deve esserci sempre l'uomo. Un uomo in grado di riprendere la propria dignità per diventare protagonista del proprio futuro.
Ci sono tantissimi esempi, piccoli e grandi, di collaborazione allo sviluppo in questa direzione. Progetti che si espandono a macchia d'olio perché sono sentiti, compresi e partecipati in modo attivo dalla realtà locale. Sono esperienze alle quali dare vigore, dal punto di vista economico, ma anche con idee e contenuti innovativi, per poter arrivare prima della colonizzazione selvaggia.
Ma non ci resta molto tempo.

Paolo Rosatti
presidente Ass. Sottosopra

Pemba (Mozambico), febbraio 2001

La monetina negata

Il pezzetto di cioccolata incastrato tra i denti mi sta facendo impazzire. Lotto disperatamente ma continua a rimanere lì. Non riesco a capire come si possa mettere del cioccolato nel tiramisù, ma forse qui a Nairobi hanno pensato a una versione rivisitata. Esco dal ristorante e mi infilo velocemente nel fuoristrada. Accendo la radio ed ecco apparire dal nulla un bambino. Non assomiglia a quelli della pubblicità della carta igienica o dei panettoni, angelici e con tanti riccioli biondi. Questo è un bambino diverso, è uno dei tanti bambini di strada che popolano Nairobi. Avrà circa 5 anni, immobile al centro della strada, è illuminato dalla luce dei fari delle macchine che arrivano in senso contrario. Tende una mano stancamente ma sembra rassegnato a non ricevere nulla. Invito i miei amici a guardare la scena ma tutti se ne disinteressano. È solo un bambino di strada... vuole i soldi per comprarsi la colla e sniffarla con gli amici... il maglione che indossa è talmente enorme che le maniche gli scendono oltre le dita delle mani, scalzo come tutti i bambini di strada, con tantissimi riccioli neri. Quando ci avviciniamo mi giro a guardarlo e incrocio i suoi grandi occhi neri, per un attimo il bambino ricambia il mio sguardo e incomincia a correrci dietro fino allo stop, forse cinquanta metri. È di fianco alla portiera, bussa a un vetro, mi guarda. Una mano esce dal grande maglione, gli occhi supplichevoli chiedono una moneta. Da dietro qualcuno gli grida "akuna pesa" (non abbiamo soldi). Ma come, e le lasagne che abbiamo appena consumato, e la carne, possibile che siamo usciti di casa con i soldi giusti per pagare il conto, che nessuno abbia una monetina, anche solo 10 scellini? Apro la borsa, ma l'incrocio si è liberato e dobbiamo passare. Lui, il bambino, rimane dietro, inghiottito dall'oscurità. Arrivati a casa trovo il mio gattino piangere disperatamente per la fame, è piccolo, ha appena due mesi. Nel frigo c'è un po' di latte, ma la data di scadenza riportata è quella del giorno precedente; nel dubbio che gli faccia male lo getto nel lavandino. Saluto gli amici e vado a dormire. Il caldo insopportabile non mi dà tregua e non riesco a prendere sonno. Il pezzetto di cioccolata è andato via e del suo sapore rimane solo un ricordo. Negli occhi ho l'immagine di quel bambino, non riesco a togliermi dalla testa il suo viso. La mia monetina non l'avrebbe certo aiutato, mi dico mentre mi contorco nel letto. La mia sola certo no, ma l'unione delle monetine di tutti i passanti sicuramente sì...

Elena Klavora
volontaria Ccm
Nairobi (Kenya), giugno 2001

... e i lettori

Turismo e Cisgiordania

Ho ricevuto la rivista Volontari per lo Sviluppo aprile 2001 e debbo manifestare, da volontario, il mio sconcerto e disappunto. Esistono in commercio altre riviste e guide turistiche e di viaggio per fare loro concorrenza. Il volontariato ha altri scopi ed obiettivi ed i volontari nei paesi in via di sviluppo non vanno a fare del turismo. Il reportage sulla Cisgiordania infine invade il campo della politica con una posizione smaccata filopalestinese, sino alla faziosità. Si arriva al grottesco: i "soldatini" dell'Anp sono più belli, simpatici dei soldati israeliani, con i quali in comune hanno "forse solo l'età". Non aggiungo altro, se non che rimpiango i notiziari molto più modesti della mia associazione, che rispecchiavano veramente l'anima del volontariato internazionale, non del turismo "per incontrare popoli e culture", lasciandoli beninteso come sono, con la loro "pittoresca" miseria, senza futuro né salvezza.

Gian Giacomo Zucchi

Caro signor Gian Giacomo, prendiamo atto del suo sconcerto e disappunto ma la invitiamo innanzitutto a guardare attentamente altri numeri della rivista e non solo lo speciale dedicato al turismo responsabile. In questo modo potrà comprendere la molteplicità dei temi da noi trattati (incluso quello, importantissimo, della politica). In secondo luogo teniamo a precisare che il turismo, se "responsabile", è per noi un modo diverso e nuovo di avvicinarsi ad altre culture, conoscerle e rispettarle, scambiando con esse in modo diverso da quello che ci propone il modello consumistico. Un altro modo per allargare la cerchia, perché per cambiare il mondo bisogna "sognare in tanti" e non restare i soliti, pochissimi, puri.
Per quanto riguarda la Cisgiordania - e qui rispondo in prima persona - mi permetto una precisazione deontologica. Per fare questo mestiere occorre molto equilibrio e imparzialità, e soprattutto il rispetto della veridicità dei fatti. Per questo mi fido poco di notizie riportate e cerco, quando possibile, di andare sul posto per vedere e ascoltare. Imparzialità non va confusa con il silenzio di fronte a situazioni di profonda ingiustizia e di oppressione. Non vuole dire censurare quello che ti racconta la gente o che vedi con i tuoi occhi. Purtroppo sulla questione Medio Oriente siamo in mano a lobby mediatiche e molte cose non sono dette. Anche se, come avrà visto nei telegiornali dei mesi scorsi, le aggressioni sono state talmente grosse che alcune non si sono potute nascondere.
Siamo sempre aperti a critiche costruttive ma la preghiamo di informarsi sul lavoro svolto dalle nostre ong in ambito nazionale e internazionale. La invito anche, signor Gian Giacomo, a recarsi nei bassifondi della sua città o magari in Africa, per verificare che la miseria non è, né mai sarà, pittoresca.

Marco Bello

Arrivi & partenze

A luglio è partita la veterinaria Chiara Spicciarelli, che seguirà per 1 anno i programmi zootecnici promossi dal Cefa a Ikondo (Tanzania).

Alberto Longanesi è rientrato a maggio da Ziniaré (Burkina Faso) dove da 30 anni lavora periodicamente con l'Lvia in ambito idro-agricolo.

A giugno è rientrata da Kayongozi (Burundi) l'infermiera Vittorina Beltrami, che per 3 mesi ha supportato le iniziative Lvia di animazione socio-sanitaria a favore delle donne.

Il volontario Elio Pozza è rientrato a giugno da Kongwa (Tanzania) dove segue da anni il progetto Lvia di sviluppo rurale e idrico.

A maggio è rientrata dall'Albania Elena Drutto, infermiera, dopo 2 anni nel progetto Celim di assistenza domiciliare a malati, anziani e portatori di handicap. Parte invece a settembre per Scutari l'assistente sociale Valeria Dalle Nogare, che lavorerà 1 anno nel progetto di assistenza domiciliare. A Elena un ringraziamento per l'ottimo servizio svolto, a Valeria auguri di buon lavoro.

Sono partiti a luglio per Quebracho (Argentina) i volontari Mlal Chiara Sgreva, operatrice sociale che si occuperà dello sviluppo delle comunità attraverso la creazione di cooperative, ed Enrico Vagnoni, tecnico agro forestale che gestirà il ripristino e la razionalizzazione delle aree boschive.

A luglio sono andati in Bolivia con i due figli Anna Alliod, pedagogista, e Aurelio Danna, esperto in cooperativismo, che lavoreranno con il Mlal a Cochabamba, nella formazione professionale e civile delle contadine indigene.

L'operatore sociale Marco Donati è da luglio in Brasile, dove segue gli aspetti socio-educativi del progetto Mlal di sviluppo dei servizi urbanistici nelle favelas di Jabotão di Guarapeas.

Monica Zambotti, esperta di formazione in area socio-politica, è partita a luglio per Recife (Brasile), dove seguirà il progetto Mlal per la formazione di operatori di diritti umani e sostegno alle associazioni locali.

A luglio sono rientrate dal Burundi Laura De Paoli, chirurgo, e Paola Bianco, infermiera, che hanno lavorato nel progetto di emergenza sanitaria del Cisv - Ccm a Cibitoke.

Luigi Arnaldi, appena rientrato dal Burkina Faso, da luglio è in Senegal, dove per 2 anni coordinerà le numerose attività promosse dal Cisv nella regione di Ferlo.

Volontari per lo sviluppo - Agosto-Settembre 2001
© Volontari per lo sviluppo