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Arredamento

Quando l'etnico è di casa

Profumano di terre lontane, sono fatti a mano in materiali pregiati e, oltre tutto, costano poco. Gli oggetti etnici stanno sfondando nel mercato dell'arredamento. Non senza problemi, però, per i paesi produttori.

di Tiziana Montaldo

Tende in seta o in organza dai vistosi colori, lanterne di vetro e ferro battuto, cornici indiane di strass o di osso, tagine marocchini in terracotta dipinta e piatti in ceramica dai profili di metallo sbalzato. Sono alcuni esempi di arredamento etnico, l'ultima moda del momento. Uno stile decisamente diverso da quello coloniale, soprattutto inglese e portoghese, che manteneva linee molto classiche ed eleganti. Ciò che distingue lo stile etnico è proprio il suo carattere rustico, primordiale, anche se non mancano oggetti a raffinate lavorazioni, soprattutto nell'oggettistica indiana e cinese. "L'arredamento etnico nasce da una contaminazione di stili - spiega l'architetto Alba Caprino, responsabile di Oltrefrontiera, distributore di Torino - Come in passato mobili europei rivisitati da produttori indiani o africani hanno dato origine allo stile coloniale, così oggi oggetti tribali riprodotti nei nostri paesi danno origine a nuovi sincretismi. Va precisato però che lo stile etnico puro è molto fedele agli originali".
"Un mercato in costante evoluzione - sostiene Toni Benigni, proprietario della Cobebro, azienda italiana che da trent'anni importa manufatti da 33 paesi, rivendendoli all'ingrosso in più di 2000 negozi - Fino a 15 anni fa si trattava di un mercato rivolto a un'élite ristretta, gente di cultura medio alta, amante dei viaggi e delle culture lontane; oggi interessa un po' tutti, dalla giovane coppia di sposi al ricco imprenditore".

Mercato in crescita

Ma quali sono le ragioni di tanto successo? Secondo Benigni, gli arredi etnici piacciono soprattutto per "il calore che sprigionano, per la loro originalità e la qualità delle rifiniture, ma anche perché i prezzi sono alla portata di tutti". Solo questo? Forse, ma non manca la voglia di esotismo, dell'emozione di incontrare altre culture, o pensare di farlo. Comunque sia, la crescita vertiginosa dell'importazione italiana di mobili negli ultimi anni è un dato di fatto: nel solo 1999, secondo l'Istituto nazionale per il commercio estero di Roma, le importazioni dall'Asia sono aumentate del 30%, quelle dal Nord Africa del 49%, e quelle dall'Africa centromeridionale addirittura del 197% (con una punta del 470% in Sudafrica).
Naturalmente, una volta che ha ceduto alla tentazione di comprare un tavolino di legno della Tailandia o un vassoio intrecciato del Nicaragua, l'acquirente deve decidere come sistemarlo nella propria casa. Di solito, i veri estimatori ricorrono all'etnico per arredare intere stanze, soprattutto il salotto e il soggiorno; ma la maggior parte delle persone si limita ad acquistare solo un pezzo in "stile" per dare un tocco esotico a una stanza dai caratteri decisamente classici o, all'opposto, molto moderna. "Qualche anno fa - racconta Benigni - una cliente, superando l'opposizione della famiglia, ha voluto arredare tutta la casa in stile etnico. E sua madre, dopo aver visto l'effetto, ha scelto questo stile per un intero albergo di sua proprietà a Milano". Comunque molto dipende dal tipo di abitazione: "Per la montagna - osserva Benigni - si privilegiano pezzi decisamente più etnici con riproduzioni di posate del Magiarà del primo Novecento, piattoni di legno e portaspezie indiani, mentre per una casa al mare sono più indicati oggetti di terracotta e ceramica dipinta, ma anche cere e candele, in contenitori cuciti con fili di rafano".

Culture meticce

Spesso però i mobili e i complementi d'arredo che finiscono nelle nostre case non sono del tutto originali, perché sono rielaborati da designer italiani che li adattano al gusto occidentale. Altre volte, i pezzi originali vengono mantenuti, ma allora sono riprodotti in serie. In genere si commissionano alcuni campioni in un paese, supponiamo l'India; quelli riconosciuti migliori sono destinati a divenire oggetti di largo consumo. Spiega ancora Benigni: "Proprio perché i costi sono molto ridotti possiamo permetterci di produrre 6-800 campioni l'anno, di cui circa il 5% entrerà nella produzione in serie. Se dovessimo produrli qui in Italia potremmo costruirne al massimo 100". "I costi sono inferiori a quelli italiani di circa il 40% - conferma Michela Cicogna Casanova, titolare del negozio Oltrefrontiera di Torino - La manodopera costa meno e possiamo usare container più grandi. Poi, nelle nostre falegnamerie, provvediamo ad apportare eventuali modifiche per assecondare le esigenze del cliente". Oggetti raffinati a prezzi assolutamente abbordabili, dunque, sperando che a rimetterci non siano i produttori del Sud del mondo, come succede spesso in questi casi. Ma su questo non ci sono dati, né statistiche.

Non è tutto oro

Attenzione, però. Non tutto ciò che è etnico è bello. Oltre ai mobili e agli accessori, ad alimentare i circuiti commerciali dell'etnico sono anche le materie prime: l'Italia importa soprattutto legnami, da quelli più pregiati come il tek dell'India, all'olmo e al mogano e persino al bambù di provenienza cinese. Ottimo mercato per i paesi via di sviluppo. Ma con un rovescio della medaglia: i territori d'origine di questi materiali sono sottoposti a un disboscamento inesorabile. Secondo Greenpeace International, i paesi più penalizzati sono il Brasile, il Camerun, il Gabon e la Papua Nuova Guinea. E nei prossimi cinquant'anni, come denuncia il World Resources Institute, tra le cause principali di estinzione degli animali tropicali ci sarà proprio la deforestazione. Ma cosa può fare il consumatore? Francesco Gesualdi, da anni impegnato nella battaglia del consumo critico, spiega: "In Italia per il momento non esistono marchi o bollini che avvertano il consumatore se il mobile acquistato è fatto di legno proveniente da deforestazioni selvagge, né tantomeno da sfruttamento di manodopera". A livello internazionale c'è però il Forest Stewardship Council (Fsc), un certificato di garanzia fornito alle aziende che si impegnano a rispettare 10 criteri. Ad esempio, la promozione di opere di riforestazione, l'uso ridotto di pesticidi, la tutela dei lavoratori e l'opportunità di impiego per chi vive nei territori disboscati. Questo certificato è sostenuto da ong, associazioni, Wwf e Greenpeace. "Quella dell'informazione trasparente - continua Gesualdi - è una battaglia che stiamo sostenendo da tempo". Intanto è ferma al Senato una proposta di legge che obbligherebbe tutti i produttori a dichiarare sulle etichette che la merce acquistata non proviene da lavoro minorile o da sfruttamento illegale di risorse.

Tesori rubati

Ma non è solo un problema di ambiente o di tutela dei lavoratori. A essere minacciato è anche il patrimonio artistico dei paesi "esportatori", depredato a piene mani dai cultori dell'esotico (o meglio, dell'antiquariato, che rappresenta un settore di nicchia rispetto all'"etnico metropolitano"). Lo ha ricordato di recente Gabriele Beccaria, in un'indagine sui tesori perduti dell'Afghanistan - in particolare quelli della civiltà indo-buddista del Gandhara - pubblicata su Specchio (2 dicembre 2000). In seguito alle guerre, alla corruzione e all'ignoranza dilaganti con il regime dei Talebani, il Museo Nazionale dell'Afghanistan di Kabul ha denunciato la sparizione del 90% delle opere, inghiottite dal mercato nero. Come se non bastasse, i principali siti archeologici del regno scomparso sono stati smontati o completamente distrutti. Statue, vasi, marmi, ma anche portali dei templi trasformati in ante, tavolini, elementi d'arredo, o ridotti a souvenir per i compratori in cerca di originalità. E mentre le collezioni finiscono sulle aste di Londra e di Mosca, di Tokyo e di New York, al popolo afgano viene sottratto anche questo brandello della sua cultura e della sua anima.

Il Feng Shui, antica disciplina cinese

Dimmi come arredi e ti dirò chi sei

Trovare l'equilibrio interiore studiando il territorio della propria casa, la collocazione dei mobili, la scelta dei materiali e dei colori per l'arredamento. Si può fare con il Feng Shui, disciplina cinese dalle origini millenarie. Le due parole onomatopeiche Feng e Shui significano vento e acqua, cioè le forze della natura che per eccellenza modificano la realtà. Le prime testimonianze scritte di questa disciplina risalgono al 2000 a.C., all'epoca della dinastia Shang, ma si pensa che la tradizione orale fosse molto più antica. Fondato sulla filosofia taoista, il Feng Shui sostiene che non esiste nulla senza il suo opposto, in un continuo meccanismo ciclico come quello che avvicenda il giorno e la notte, il pieno e il vuoto. "Si può dire - spiega l'architetto Gianni Cagnazzo, insegnante di Feng Shui - che questa disciplina sia la medicina del territorio, perché studia, come l'agopuntura, le energie del corpo, cercando l'equilibrio. È una disciplina fatta di felici intuizioni che poi l'uomo tecnologico ha saputo spiegare scientificamente. Ad esempio dormire con la testa a nord: dato che il polo magnetico è a nord, il flusso del sangue viene attratto e va verso il cervello, ossigenandolo e prolungando le fasi del sonno Rem, quindi garantisce una qualità di riposo migliore". Gli elementi primari sono acqua, terra, fuoco e aria. Quattro come un quadrato, simbolo della terra, ma anche come spazio definibile in un nord, sud, est, ovest. Accanto alle valutazioni territoriali, è necessario considerare anche i materiali usati nell'arredamento, le forme, la capacità energetica, gli odori, la luce, meglio se naturale, tenendo conto anche degli spazi d'ombra. Ognuna di queste sfaccettature richiama una disciplina. Per questo non è una filosofia fai da te. "Studio Feng Shui da 15 anni e mi sembra sempre di non saperne nulla. Ci vogliono sette, otto anni per imparare ad avere la bussola del territorio: e non basta mettere una persona schizofrenica in una stanza verde per guarirla, il Feng Shui è una disciplina, non una magia". Detto ciò è vero che certi colori come le tonalità del rosso stimolano le persone apatiche, l'azzurro e il viola sono i colori spirituali mentre il verde è un calmante.
Ma è necessario considerare anche le sensazioni. "Se ad esempio si vuole corteggiare una donna, è ben diverso portarla a cena in una pizzeria con la luce alogena sulla testa e poi in una stanza bianca con un letto in sky piuttosto che in un castello, alla luce di torce e candele e su un letto a baldacchino in tessuto bordeaux, in mezzo a materiali morbidi e sensuali. Il tocco da maestro è poi, sempre, un fuoco che arde nel caminetto". Ma in questo campo, si sa, non c'è Feng Shui che tenga

Per orientarsi tra i termini

Coloniale, etnico e metropolitano

Lo stile coloniale è un sottoinsieme di quello etnico e si riferisce a un preciso periodo storico, fine Ottocento, in cui in India, in Africa e in Sud America c'erano le colonie. I coloni andavano in questi paesi con i loro arredi e mobili e cominciavano a farli produrre là. La gente del luogo li vedeva e li riproduceva, contaminandoli. Si può dire, ad esempio, che lo stile coloniale indiano è lo stile inglese visto dagli occhi di un indiano.
L'etnico puro al 100% è invece quello preso nei villaggi, proprio della tradizione locale, è stile tribale. Nella maggior parte dei casi l'importatore italiano si ispira a oggetti che vede in questi paesi, ma li fa produrre in serie. Nella produzione italiana vengono apportate alcune modifiche (che possono interessare l'altezza delle gambe dei tavoli, o interventi di rifinitura o laccatura, ecc.) ma il pezzo non cambia aspetto.
Esiste poi ancora l'etnico metropolitano, una raccolta di oggetti creati da due designer italiani, Aldo Cibic e Paola Navone, in cui agli spunti etnici si mescola l'impronta europea, e dove manodopera e risorse sono quelle dei paesi in via di sviluppo. Cosa li distingue è la qualità, perché vengono utilizzati legni molto pregiati che in Italia non si trovano o sono molto costosi; inoltre i pezzi sono fatti tutti a mano, con intarsi che qui da noi avrebbero prezzi impossibili.

Volontari per lo sviluppo - Gennaio-Febbraio 2001
© Volontari per lo sviluppo