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Viaggio tra gli altarini del turismo etnico

Il mistico teatro dei Dogon

I Dogon del Mali offrono ai turisti la stessa immagine che l'antropologo Marcel Griaule propose di loro cinquant'anni fa. Fingendosi incontaminati come allora.

di Marco Aime
(Ricercatore di etnologia presso l'Università di Genova e autore di numerosi libri sull'Africa occidentale. È considerato uno dei maggiori esperti del Sahel in Italia)

La pubblicazione, nel 1948, di Dio d'acqua, dell'antropologo Marcel Griaule, oltre ad affascinare molti intellettuali dell'epoca, ha inconsapevolmente avuto una ricaduta sul piano turistico, contribuendo in modo determinante alla creazione di una certa immagine dei Dogon. È venuto cosi a formarsi un triangolo Dogon-Griaule-turisti che ha dato vita a un complesso gioco di specchi, assumendo talvolta toni metaforici rispetto alla storia stessa dell'incontro tra due culture.

A cinquant'anni dalla pubblicazione di quel libro, ancora oggi permane una certa "griaulizzazione" dei Dogon. Visitatori e appassionati, che li guardano attraverso la lente di quelle letture etnografiche, continuano a vedere nei villaggi aggrappati alla falaise un mondo fatto di simboli cosmici, di misteriose astronomie, di gente che trascorre il tempo a riordinare l'universo secondo mappe ancestrali armoniche e virtuose. Griaule ha ritratto una popolazione di filosofi che sembrano non compiere alcun gesto senza fare riferimento alla complessa cosmologia che domina il loro mondo.

Mondo esoterico

Ad attrarre il turista è proprio questa immagine di popolo mistico, ricco di segreti e di pratiche esoteriche. Un'immagine che si traduce in offerta di stupore. I Dogon, in particolare quelli che operano a stretto contatto con i turisti, sembrano aver capito che cosa ci si aspetta da loro e, naturalmente, mettono il più possibile in evidenza questi aspetti.

Insomma, il verbo di Griaule si è insinuato presso il pubblico viaggiante, grazie all'azione assai efficace degli operatori turistici e dell'editoria specializzata. Sfogliando i cataloghi di viaggi, nelle pagine dedicate ai Dogon, si ricava l'idea che si tratti di un'etnia intatta e isolata, che ha conservato immutate le sue tradizioni ancestrali. Ma è proprio vero? Se i Dogon sono isolati, si dovrebbero considerare tali la maggior parte delle popolazioni africane. Ma l'idea dell'isolamento è relativa, e presuppone l'esistenza di un centro dal quale essere lontani. E questo è il punto. Lontani da dove? E da cosa? Forse dall'aeroporto di Bamako, luogo di arrivo dei turisti.

Solo adottando una prospettiva egocentrica la regione dogon appare lontana da noi, ma in realtà è incastrata in mezzo ad altre regioni, abitate da gruppi diversi, con i quali i Dogon intrattengono da tempo scambi regolari. Come tutte le popolazioni del Sahel, infatti, commerciano con i gruppi circostanti, e inoltre vivono in un'area che da molto tempo subisce, in modo più o meno forte, l'influenza dell'Islam. Molti di loro hanno fatto parte di reparti di fanteria dell'esercito francese nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, e hanno combattuto in Europa. Anche le loro famose sculture, spesso giudicate esclusive e originali, sono il prodotto di una lunga attività di scambio tra la regione dell'ansa del Niger e la falaise. Ogni cinque giorni parte da Bamako un autobus di commercianti che si recano al mercato di Sanga. Certamente i Dogon non sono autarchici, ma l'idea di arrivare in una terra intatta, abitata da una popolazione conservatasi anch'essa intatta, è un allettante invito per il potenziale turista.

Effetto mistero

Chi sceglie di recarsi in Mali (e non sono in molti), non è quasi mai un turi sta alle prime armi ma un viaggiatore esperto, che nel viaggio non cerca solo un momento di svago, ma un'occasione di approfondimento e di conoscenza. La scelta del paese dogon, come quella di ogni meta turistica, avviene anche sulla base di un piacere intenso, che nasce dalla fantasia e dal sogno, dalla proiezione onirica che precede la partenza. Questo piacere è in parte indotto e in parte soddisfatto da cataloghi di viaggio, guide e riviste turistiche. Non che queste inventino Dogon da cartolina. Semplicemente, continuano a riproporre, accentuandone la portata con enfasi pubblicitaria, l'immagine tracciata da Griaule e dai suoi discepoli, privilegiando l'aspetto simbolico della società dogon.

In almeno quattro riviste ho trovato la stessa fotografia di un divinatore accovacciato davanti ai segni da lui tracciati sulla sabbia della pianura. La foto è presa dal basso, con un grandangolo, per ottenere un'inquadratura forte e ravvicinata. La drammaticità e l'intensità della scena sono rafforzate dalla luce del tramonto che corona lo sfondo, sapientemente bilanciata dalle lampade artificiali del fotografo. L'effetto mistero è assicurato e, poiché le immagini sono le prime ad attrarre l'attenzione sull'oggetto in questione, il nostro avvicinamento ai Dogon inizia con questa visione negli occhi.

I Dogon insomma piacciono per come sono stati dipinti nell'affascinante affresco griauliano, non per come sono realmente. La popolarità di questa regione si basa più su alcune rappresentazioni specifiche che sul desiderio del visitatore di vivere la società dogon nella sua dimensione reale. Si tratta di un modello applicabile a gran parte del turismo culturale contemporaneo.

Certo, il turista non vuole vivere da Dogon, ma desidera condividere alcuni aspetti di questa cultura, in particolare quelli più lontani da lui, legati al mito e alla cosmogonia, che in parte già vivono nel suo immaginario.

Le guide lo sanno, ed è proprio questa dimensione che offrono al turista. Molte di loro hanno letto Dio d'acqua e narrano ai visitatori ciò che Griaule ha scritto dei Dogon. I turisti vedono così appagata la loro ricerca di autenticità.

"Autentico" sembra dover coincidere con immutabile, a dispetto dei diversi e profondi mutamenti che attraversano questa terra: l'avanzata dell'Islam, l'azione delle organizzazioni non governative che operano sul posto, l'introduzione di colture commerciali come le cipolle.

Danze a pagamento

Nella stagione turistica, a Sanga, quasi tutti i giorni si tengono danze a pagamento per i gruppi di visitatori. Un tempo era il grande baobab, che cresce sulla spianata tra i due Ogol, a segnare il centro dell'abitato. Oggi le danze si svolgono sotto il fromager, davanti all'ufficio postale, all'ombra dell'alto traliccio del telefono che domina lo spiazzo.

I turisti vengono fatti sedere su due panche in mezzo al piazzale. Le maschere sbucano da dietro l'ufficio postale e si schierano di fronte ai turisti, poi, ai primi colpi di tamburo, si lanciano nella danza. In tutto sono una dozzina di giovani, che si esibiscono indossando i costumi tradizionali, e le maschere che impiegano sono le stesse che utilizzano nelle danze rituali. Solo la durata è diversa: a differenza di quelle originarie, che proseguono per ore, quelle per turisti sono più brevi, e non superano la mezz'ora.

Non si tratta solo di una forma di impoverimento dovuto all'impatto del turismo, ma, nella maggior parte dei casi, di trasformazioni indotte dalle nuove idee portate dagli emigranti di ritorno. Inoltre, dagli anni Ottanta questi danzatori fanno parte della Troupe Nationale du Folklore del Mali, e partono spesso per tournée in Europa e negli Stati Uniti. Le esperienze all'estero e la teatralizzazione sempre più spinta delle danze hanno condotto ad alcune inevitabili trasformazioni. Neppure questa è una novità. Lo stesso Marcel Griaule rileva che nel 1935, alle settantotto maschere tradizionali, se ne aggiunse una sotto i suoi occhi. In occasione di una danza rituale fece la sua comparsa un personaggio dalle movenze ondulate, con in mano un taccuino e una penna, che fingeva di porre domande alla gente e di trascriverne le risposte, seguito da un interprete: era la maschera dell'etnografo. Così, in un documentario girato da Jean Rouch compare anche la maschera del poliziotto che dà le multe agli spettatori presenti.

I turisti seduti li davanti sanno benissimo, in fondo, che le danze che stanno osservando non sono rituali e forse non riuscirebbero neppure a capire i significati autentici e gli aspetti più profondi di quelle originarie. Le danze tradizionali sono "etniche", queste sono teatrali. Qui non vige neppure più il tradizionale divieto per le donne di assistervi: le turiste sono tranquillamente ammesse (va detto però che senza la presenza dei turisti, i giovani avrebbero abbandonato del tutto i villaggi e le danze sarebbero andate irrimediabilmente perdute. È quindi il caso di riflettere sulle contraddizioni del turismo).

Alla fine i danzatori si schierano davanti alle panchine degli spettatori in due file, una in piedi, l'altra accovacciata, come una squadra di calcio, per essere fotografati. Poi uno a uno avanzano per le foto individuali, mentre una guida spiega il significato di ogni maschera. Una scena che ricorda, ancora una volta, la metafora dell'incontro turistico tra culture, schierate una di fronte all'altra, nel tentativo, nessuno saprà mai quanto fruttuoso, di comprendersi.

I simboli dei Dogon

Dopo Dio, il seno

Nel cuore dell'ansa del Niger, una falaise rocciosa si affaccia per più di 70 chilometri sull'altopiano che digrada lentamente verso le regioni settentrionali del Burkina Faso. È la falaise di Bandiagara. È qui, all'ombra di questa muraglia, che abitano i Dogon, una delle popolazioni più conosciute del Mali e in generale dell'Africa. I villaggi dogon più caratteristici - quelli che si vedono nelle cartoline e nei reportage sul paese - sorgono ai piedi di questa falaise. In alto, sulla roccia che sovrasta le case, ci sono le grotte. In passato ci vivevano i Tellem, un popolo di pigmei che con acrobatiche manovre di corde riuscivano a raggiungere le grotte che costituivano le loro abitazioni.

I Tellem vennero poi "invasi" dai Dogon e finirono per spostarsi verso sud, raggiungendo - forse - le foreste dell'Africa centrale. Oggi dentro quelle grotte i Dogon seppelliscono i loro morti.

I villaggi dogon sono pesantemente caricati di simbologia. Di solito sono orientati da nord verso sud e la loro pianta rappresenta il corpo umano. La testa è la To-guna, la Casa della Parola, dove gli anziani si riuniscono per prendere le decisioni più importanti; accanto c'è la fucina in cui lavorano i fabbri, misteriosi manipolatori del ferro, simili agli stregoni.

Il petto, per continuare nella rappresentazione antropomorfica, è costituito dalle case delle famiglie con i granai. La mano destra è la Casa delle Donne, e queste ultime vi si rinchiudono durante il periodo mestruale, quando sono impure. Infine, la pietra usata come frantoio rappresenta gli organi genitali femminili, mentre il feticcio dei villaggio, dalla caratteristica forma fallica, simboleggia l'organo maschile. Gli altari del villaggio, sotto, sono i piedi.

Ma non è finita. Perché il simbolismo dogon raggiunge ogni più piccolo e all'apparenza insignificante oggetto: il paniere intrecciato, con la base quadrata e l'apertura tonda, se capovolto rappresenta l'universo, perché il cielo è quadrato e la terra rotonda. I principali elementi dei granai simboleggiano gli otto organi della forza vitale di Nommo, emanazione dei dio supremo. I solchi nei campi sono tracciati a serie di otto e sempre in direzione est-ovest.

Anche i pilastri della To-guna sono ricchi di simboli: l'antilope, apportatrice di vita, la volpe, il coccodrillo e, soprattutto, il seno femminile. Perché, come sintetizzano efficacemente i Dogon, "dopo Dio c'è il seno".

M.A.

L'intervento del Cisv

Mali: L'acqua per vivere

Korienzè, nella regione del delta interno del Niger, ha più di 20.000 abitanti, che vivono in condizioni durissime: il cibo scarseggia, l'acqua potabile non c'è quasi, per non parlare di medicine e strutture sanitarie. In questo quadro il Cisv ha deciso di intervenire per risolvere, almeno in parte, il problema del deficit alimentare e per migliorare la fornitura di acqua. Prima di tutto si canalizzeranno le acque del Niger per irrigare campi di riso e orti. Poi, si scaveranno quattro pozzi e si acquisterà una motopompa.

Una parte degli sforzi sarà rivolta a rafforzare le competenze tecniche dei contadini, soprattutto delle donne, creando un centro di alfabetizzazione e fornendo informazioni sulla manutenzione dei pozzi e sulle pratiche igienico-sanitarie.

S.O.S. il tuo aiuto

Con 50.000 lire sostieni i costi di alfabetizzazione e di formazione.
Con 100.000 lire partecipi all'acquisto della motopompa.
Con 100.000 lire contribuisci all'acquisto del cemento e del ferro per i pozzi.
Con 150.000 lire contribuisci alla costruzione del centro di alfabetizzazione.

Puoi versare il tuo contributo sul c.c.p. 26032102 intestato a Cisv, corso Chieri 121/6, 10132 - Torino, causale: Mali 7/2000

Volontari per lo sviluppo - Marzo 2000
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