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Convivenze difficili

"Mamma li Turchi"?

Un lettore ci ha inviato, qualche settimana fa, la lettera di cui pubblichiamo, qui sotto, il testo integrale. Anziché rispondergli direttamente abbiamo pensato di invitare personaggi autorevoli nei settori della pace, della convivenza multietnica, della religione, ecc. a rispondere loro stessi, con interventi che verranno pubblicati in questo e nei prossimi numeri di Volontari per lo sviluppo. Chiunque tra i lettori vorrà partecipare al dibattito sarà ospite gradito di queste pagine.

Gentili amici,

sono figlio di un reduce dai campi di concentramento in Germania, che soffrì tutta la vita per le conseguenze, e di famiglia abbiamo idea di cos'è il razzismo, prelevati a casa propria e portati come schiavi a casa d'altri.

L'immigrazione selvaggia, che i politici romani favoriscono per mantenere i privilegi dei meridionali nei settori privilegiati (chiodo scaccia chiodo) e poter dare dei razzisti agli altri, crea dei problemi che sono vere e proprie emergenze sociali. In Francia, per esempio, perché la cultura islamica non è conciliabile con la nostra civiltà cristiana come non lo è con l'ebraismo, l'induismo e nessun'altra religione, e crea mostri come Nasser, Saddam Hussein, Khomeini, il feroce Saladino che finiscono sempre in bagni di sangue. Andate in Sudan a vedere, a Timor Est (nessuno ha detto che gli assassini erano musulmani). Andate a costruire una chiesa cattolica, se siete capaci, nei paesi arabi.

È penoso vedere che voi che siete certo a conoscenza dell'intolleranza religiosa dei musulmani non poniate il problema della cautela nei contatti con gente che storicamente non si è mai integrata, ha creato anzi condizioni di disagio e disgregazione sociale in varie città (vedi quartieri di Nizza, Marsiglia, Parigi). Se io trovo accettabile che in un paese come l'Afghanistan per ridare ordine sociale dopo una guerra si diventi integralisti del Corano, trovo inaccettabile che ci siano donne col chador a Torino. Se vogliono restare arabi stiano a casa loro, nella loro miseria culturale e morale. Sono stato emigrante anch'io in Australia e pur essendo convinto che per ridare civiltà all'Africa ci vorrebbe di nuovo il colonialismo, vi sono grato per il servizio sul Tibet che ben conosco e culturalmente sento vicino, ma vi prego in coscienza di prendere molto sul serio l'intransigenza musulmana che per parentela con i meridionali (già territorio dell'islam) ci ha portato mafia, droga, camorra, sequestri ecc. ecc.

Anche se un po' contorto credo di essere stato chiaro: i buoni e i cattivi ci sono dappertutto, ma non si chiama cultura o tradizione il crimine, la prepotenza, la violenza, o siete per caso favorevoli all'infibulazione, al taglio della mano (ai ladri), alla lapidazione per le adultere?

La società multietnica non può essere imposta da un regime di polizia e da politicanti corrotti o sarà peggio per tutti.

Lettera firmata

Mi sembra che il lettore veda le cose da un punto di vista un po' troppo rigido. L'intolleranza musulmana di cui si parla tanto in Occidente non è affatto la regola nel mondo islamico, anzi direi che è l'eccezione. La maggior parte dei paesi islamici è del tutto tollerante con le altre religioni. L'Egitto è il caso più eclatante di apertura religiosa, di ecumenismo e di accettazione, ma anche in Marocco, dove sono nato, questa prevaricazione non si vede, non c'è. Contrariamente a quanto afferma il lettore, ricordo chiese cattoliche a Beni Mellal, dove sono nato, e circoli per i cristiani ma anche per gli ebrei, che andavano lì, facevano le loro riunioni, svolgevano le loro attività, in piena amicizia e rispetto con il resto della popolazione. Avevamo vicini di casa ebrei e cristiani, erano vicini come gli altri, ci scambiavamo le cose, ci facevamo favori a vicenda, come si fa tra buoni vicini. Non ricordo episodi di intolleranza nel mio paese, proprio no. Certo, si dirà, non tutto il mondo islamico è come il Marocco, è innegabile che ci siano regimi molto rigidi e che lì le regole della tolleranza vengano regolarmente disattese. Un caso è l'Iran, poi ci sono l'Arabia e lo Yemen. Ma con queste forme di intolleranza credo che la religione c'entri poco, più che altro si tratta di strumentalizzazioni politiche, o di manipolazioni mediatiche, utilizzate per dirigere l'opinione pubblica (esterna e interna) delle popolazioni verso gli obiettivi che fanno comodo in quel momento. Sono fenomeni recenti, questi che in Occidente vengono etichettati come integralisti, e non vanno affatto ascritti a una tradizione religiosa islamica che invece è caratterizzata dal fatto di essere molto aperta, di accettare e non di sottomettere. Basta guardare la storia dell'Islam per rendersene conto, l'impero ottomano. È stato uno dei più illuminati che l'Europa ricordi, e parliamo di poco più di un secolo fa.

Il termine integralista è un neologismo occidentale, che noi non utilizziamo. È un termine, a mio avviso, fuorviante, perché, pur riferendosi ad alcune correnti, viene usato in maniera totalizzante, e cioè riferito alla religione islamica nel suo complesso. Bisognerebbe ricordare a chi lo usa che anche tra i cattolici ci sono i cosiddetti integralisti, ma non per questo bisogna pensare che la religione cattolica nella sua totalità lo sia. In alcuni casi, poi, certi episodi di violenza vengono scaricati sugli integralisti anche quando i responsabili sono altri, sono diventati cioè i capri espiatori e nessuno ha ormai voglia di approfondire cosa ci sia davvero dietro. La presenza reale o presunta degli integralisti esime molto spesso dal pensare, dal porsi il problema di chi sia davvero la colpa.

Il lettore allude anche all'intolleranza che incontrano gli occidentali quando si trovano a visitare i paesi di fede islamica. Non sono d'accordo. Gli stranieri da noi fanno quello che vogliono, se vogliono bere alcolici ci sono i locali per loro, nessuno vieta a una donna occidentale di andare in una discoteca per stranieri. Chi si reca in un paese islamico deve naturalmente osservare certe regole, ma il rispetto per le usanze e la fede del luogo in cui ci si trova credo sia una regola che va osservata ovunque, di qualunque paese si tratti.

Vorrei rispondere anche alla critica della foto della donna velata nella carta d'identità. Sono d'accordo con lui che, se le leggi di un paese prevedono che la foto sul documento debba essere a capo scoperto, queste leggi vadano osservate. E, infatti, in più occasioni ho cercato di convincere le donne che facevano "resistenza" a essere meno rigide rispetto a questa richiesta. Nello stesso tempo, mi chiedo però se, in quel mondo islamico che il lettore critica tanto, si sia mai obbligata una suora a togliere il velo, a fare un gesto che per lei è così contrario alla sua spiritualità e al voto che ha fatto, a rinunciare, anche se per un momento, a un indumento che per lei è così carico di simbologia.

Per concludere, vorrei raccontare un aneddoto che è indicativo di quanto è importante la tolleranza per la cultura islamica. Un vicino ebreo del Profeta depositava ogni giorno, di fronte a casa sua, un sacco di spazzatura, che il Profeta, senza fare storie, spostava e buttava da un'altra parte. Un giorno il Profeta non trovò il sacco nel solito posto e anziché rallegrarsi si preoccupò. "Che sarà successo al mio vicino?" si chiese. "Sarà forse malato?". E così andò a trovarlo, il vicino era effettivamente malato, tanto che il Profeta si prodigò ad aiutarlo. Questo per dire quanto la tolleranza, il rispetto e l'amore per l'altro siano più importanti di qualunque differenza religiosa.

Ahmed Sherkani, imam Torino

Mi pare che questa lettera esprima alcune problematiche reali, mischiate ad altre che francamente trovo inaccettabili. È evidente che non si può non rispettare l'esperienza personale, i genitori in campo di concentramento, e così via. Questo non comporta però che i giudizi del lettore siano giusti. Ma esaminiamo la lettera punto per punto. All'inizio, viene detta una cosa sacrosanta: l'immigrazione selvaggia crea emarginazione sociale, diventa facilmente fattore di destabilizzazione, non c'è paese al mondo che riesca a reggerla. Va dunque limitata, sia controllando il flusso con i paesi da cui arrivano gli "immigrati", sia attraverso la realizzazione in quei paesi di una politica decentrata in loco, con interventi di cooperazione.

Per quanto riguarda invece la questione centrale della lettera, e cioè l'inconciliabilità della cultura islamica con le altre culture, vorrei segnalare che sia quella cristiana, sia quelle ebraiche e islamiche hanno una stessa matrice, nascono cioè dalla Bibbia: l'affermazione per cui non ci sarebbero possibilità di contatto tra le tre religioni, è quindi decisamente un po' forte. In realtà, bisogna stabilire cosa si intende con il termine conciliabilità. Non si deve, a mio avviso, trattare di assimilazione, di prevaricazione di una religione sull'altra. Fondamentale, invece, per una equilibrata convivenza, è il dialogo tra le religioni. L'Islam feroce, la favola del feroce Saladino, è naturalmente da rifiutare. Io vado spesso a Gerusalemme, e ogni volta resto estasiato di fronte alle mura costruite intorno alla città, che sono poi le mura fatte costruire da Saladino. In altre parole, non tutto quello che viene dall'Islam, e perfino dallo stesso Saladino, è brutto e cattivo.

Un problema che la lettera mette però in evidenza a questo proposito è, invece, fino a dove si può andare avanti nella tolleranza, e cioè quali manifestazioni di una cultura religiosa siano accettabili e quali altre no. A questo proposito il lettore fa due esempi: quello del chador e quello dell'infibulazione. Per quanto mi riguarda direi che il chador è da rispettare e l'infibulazione no. Mentre ritengo giusto, infatti, che una donna che si vergogna di uscire a capo scoperto, per costume religioso, abbia il diritto di indossare il chador, sono contrario ad accettare abitudini che possono ledere l'integrità fisica della persona, come, appunto l'infibulazione. A proposito del primo punto, non mi si sollevi l'obiezione che il chador impedisce l'identificazione. Non è affatto vero purché si tenga il viso scoperto, e la polemica è già stata superata da tempo. Va detto a questo punto che in Italia l'atteggiamento nei confronti delle minoranze etniche è tra i più avanzati al mondo, basti pensare all'esempio del Sud Tirolo. Quella musulmana è ormai la seconda religione in Italia, mi sembra normale che lo sforzo di comprensione e di accettazione nei confronti di essa sia particolarmente deciso.

E veniamo all'ultimo punto: l'Islam prepotente? Bene, non sono d'accordo. Basta ricordare il mea culpa del Papa in questi giorni per capire quanto la Chiesa cattolica sia stata intollerante, integralista, nel corso dei secoli, basta seguire il suo cammino storico, l'Inquisizione, e così via. La verità è che non esiste un solo Islam, esistono diversi Islam, alcuni integralisti, altri più moderni e flessibili. Ci sono correnti nell'islamismo che sono addirittura quasi laiche. D'altro canto, i cristiano dal canto loro hanno i lefevriani. L'unico modo per favorire la convivenza è quello di promuovere un dialogo che isoli le componenti più oltranziste, esattamente come si sta facendo oggi in Iran e anche in Algeria. Sono cammini difficili, processi lunghi e complessi, ma sono anche l'unico modo per arrivare a una convivenza equilibrata.

Janiki Cingoli, direttore del Cipmi (Centro italiano per la Pace in Medio Oriente) e Coordinatore del Segretariato Mediterraneo del Ministero del Commercio Estero.

Volontari per lo sviluppo - Marzo 2000
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