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La multinazionale al centro di una polemica

Nestlé, diavolo o acqua santa?

Un modello di moralità e di rispetto per l'ambiente e i diritti umani. Così viene descritta l'azienda da un rapporto-inchiesta apparso di recente in Svizzera. E gli attivisti delle ong che le fanno guerra? Solo pericolosi terroristi.

di Stefania Garini

Nestlé uccide i bambini. Questa la pesante accusa lanciata a metà degli anni Settanta da Mike Muller, giornalista incaricato di svolgere un'inchiesta sulla multinazionale elvetica, per conto di un'organizzazione umanitaria inglese. La Nestlé era considerata responsabile della morte di migliaia di bambini del Sud del mondo, che si sarebbero potuti salvare dalle malattie e dalla malnutrizione se solo fossero stati allattati al seno, anziché con latte in polvere. Che l'allattamento al seno esercitasse un'importante funzione immunitaria, proteggendo i bambini da infezioni come la polmonite e la poliomielite, era cosa nota, e praticata, nei paesi ricchi. Molto meno nelle società povere dove, stando ai dati dell'Unicef, il rischio di morte per i bambini allattati artificialmente era almeno 20 volte più elevato che per quelli allattati al seno, a causa della mancanza d'igiene.

Pubblicità insidiosa

Com'era possibile incolpare di questo la Nestlé? Il fatto è che il colosso svizzero, pur di vendere i propri prodotti, non si faceva scrupolo a promuoverne l'uso con tecniche di marketing non sempre corrette. Ad esempio, inviava nelle zone rurali dei paesi poveri belle ragazze in divisa bianca, praticamente uguale a quella delle infermiere, che convincevano le madri ad acquistare il latte in polvere che veniva poi diluito, però, con acqua contaminata. Un altro sistema promozionale consisteva nel fornire campioni gratuiti del prodotto alle donne incinte, ai loro parenti o direttamente alle cliniche ostetriche, con la "collaborazione" del personale medico.

All'epoca il fatto suscitò grande scalpore, e parecchie organizzazioni internazionali diedero vita a campagne d'opinione - e a veri e propri sabotaggi - contro le pratiche, considerate poco "etiche", della Nestlé. Quest'ultima fece causa agli attivisti svizzeri, che furono riconosciuti colpevoli di diffamazione dal tribunale di Berna. Nel frattempo però l'Unicef e l'Oms avevano dovuto prendere una posizione ufficiale. Il 21 maggio 1981 l'Assemblea Mondiale della Sanità adottò un Codice internazionale per regolare la commercializzazione dei sostituti del latte materno (di cui si riconosceva, peraltro, il maggior valore nutritivo), vietandone tra l'altro la distribuzione gratuita alle madri o al personale medico. Da allora, è stato un susseguirsi di accuse e smentite: l'Ibfan (International Baby Food Action Network), una rete di circa 150 organizzazioni attive in oltre 70 paesi, che di volta in volta aggiorna sulle trasgressioni al Codice da parte delle ditte produttrici, ha accusato la Nestlé di infrazioni continue. Quest'ultima, a sua volta, ha cercato un accordo con l'Oms e con i governi locali, facendo leva, tra le altre cose, sull'importanza del latte in polvere nella lotta contro l'Aids (è risaputo, infatti, che i bambini allattati al seno hanno più probabilità di essere contagiati dalla madre). Di recente, poi, è stato pubblicato un rapporto dal titolo "Nestlé e la controversia sull'alimentazione infantile". Non solo il documento scagiona completamente la multinazionale, ma la presenta come un'industria modello. Per esempio, paradossalmente viene citata come esempio di rispetto delle persone, dell'ambiente, delle altre culture.

Il rapporto Renaudin

Il rapporto, che è stato pubblicato sia in francese che in tedesco, è stato scritto da Christine Renaudin, membro del Comité International pour la Dignité de l'Enfant, una ong che ha sede a Losanna. Nell'ottobre del '98 la Renaudin ha svolto un'indagine in Botswana, Swaziland, Zimbabwe e Africa del Sud, con l'obiettivo di chiarire le responsabilità della Nestlé sulla pessime condizioni di salute dei bambini africani. Il viaggio della Renaudin avrebbe dovuto essere organizzato e finanziato proprio dalla Nestlé, ma - come si legge nel rapporto - questo fatto poteva sollevare sospetti di imparzialità. Alla fine, la donna decise di rinunciare all'onorario della multinazionale, accontentandosi del rimborso per le spese di viaggio e del sostegno "logistico". Furono infatti i responsabili delle succursali Nestlé dei paesi visitati a organizzare e selezionare gli incontri della Renaudin con le persone da intervistare: 168 in tutto, tra pediatri, docenti universitari, infermiere, funzionari governativi, rappresentanti dell'Unicef, dell'Oms, di ong locali e, naturalmente, della ditta elvetica. Insomma, stando al rapporto, un campionario di persone "tanto favorevoli quanto sfavorevoli alla ditta svizzera". Di molti di essi la Renaudin, per sua stessa ammissione, ignorava persino il nome. Tuttavia, per paura di non riuscire a intervistare, in breve tempo, tanti specialisti, decise di fidarsi della Nestlè, e cioè di attenersi alle indicazioni che questa le aveva dato. Inutile dire che, alla fine dell'inchiesta, la società elvetica esce completamente riscattata. Tanto che si fa fatica a riconoscervi quella stessa azienda che, negli anni Settanta, rifiutò di collaborare con il presidente Salvador Allende (che, da buon pediatra, conosceva i problemi di salute dei giovani cileni) quando propose di distribuire gratuitamente, ogni giorno, mezzo litro di latte ai bambini sotto i quindici anni. Certo, tutti possono cambiare. E infatti, secondo la Renaudin, delle 168 persone intervistate, ben 147 hanno dichiarato che "la Nestlé è una compagnia modello, dal comportamento etico, che ha sempre seguito in maniera scrupolosa il Codice dell'Oms". Soltanto 21 persone hanno accusato l'azienda di continuare a utilizzare tecniche di marketing aggressive. Ma, secondo l'autrice del rapporto, costoro, "tutti attivisti", non sono stati in grado di fornire prove precise, trincerandosi spesso dietro l'affermazione che le infrazioni al Codice erano documentate "per il passato".

Le ong come la mafia

La Renaudin sostiene che negli anni Settanta la Nestlé era diventata il bersaglio preferito di coloro che osteggiavano, in generale, l'industria alimentare, per il solo fatto di essere una delle più antiche ditte specializzate nella produzione di cibo per bambini. L'azienda avrebbe commesso l'errore di non difendersi a sufficienza, basti pensare che "la pubblicità fatta ai progetti di sviluppo sostenuti finanziariamente dalla Nestlé è così discreta che non è offerta se non agli azionisti sotto forma di qualche rara brossura". Eppure sappiamo che la ditta elvetica non ha esitato a trascinare in tribunale quelli che hanno tentato di metterle i bastoni tra le ruote.

Nella Conclusione del rapporto la Renaudin, malgrado affermi il contrario, rivela di essere completamente dalla parte della Nestlé. Per esempio, sostiene che molte persone intervistate indicavano i "movimenti attivisti" come "terroristi". Dato che, poi, molti di questi "attivisti" in odore di terrorismo erano (e sono) membri di organizzazioni non governative dei paesi in via di sviluppo, sono proprio queste a essere prese di mira. Se è vero - afferma la Renaudin - che nei paesi poveri le ong hanno svolto "un lavoro esemplare che implica il più delle volte ideali, abnegazione e sacrifici", è altrettanto vero che "da qualche decennio" alcune di loro si sono fatte prendere dal "gusto del potere". Del resto, spiega l'autrice, la storia dell'umanità è piena di casi analoghi: "Basta pensare allo spirito d'aiuto reciproco e di filantropia che all'origine animava movimenti come... la mafia".

Ma equiparare le ong a un'organizzazione criminosa non è abbastanza per la Renaudin. Secondo lei, "gli attivisti che combattono il settore alimentare possono appoggiarsi alla struttura internazionale delle loro 150 diverse organizzazioni non governative", senza essere perciò "sottomessi gerarchicamente a nessun potere statale e a nessuna elezione democratica degna di questo nome". Parole sorprendenti, in bocca a chi rivendica più volte la sua appartenenza a un'ong.

A uscirne bene non sono nemmeno le agenzie delle Nazioni Unite: l'Oms e l'Unicef, per esempio, sono dipinti come una specie di Ponzio Pilato, restìo a qualunque collaborazione con la ditta svizzera.

Alla fine viene da chiedersi, come fa la stessa autrice (benché con diverso intento), se la decennale controversia sull'alimentazione infantile nei paesi poveri debba essere considerata "un conflitto di ordine alimentare" o "di ordine politico". Perché, e qui siamo d'accordo con Christine Renaudin, i veri perdenti di questo conflitto sono i bambini.

Volontari per lo sviluppo - Gennaio 2000
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