A cura di S.P.
Ex diplomatico, docente di Relazioni internazionali, commentatore di politica estera,
secondo Sergio Romano: "Le ragioni fondamentali del moltiplicarsi delle guerre
africane vanno ricercate innanzi tutto nella fine della guerra fredda e nel fallimento
della cooperazione allo sviluppo. La contrapposizione est-ovest infatti aveva in un certo
senso stabilizzato l'Africa, un buon numero di paesi erano "satelliti" del
blocco occidentale, altri erano assistiti e finanziati dall'Unione Sovietica. Oggi
l'interesse delle grandi potenze a metter denari in Africa per mantenere in vita i regimi
politici locali è venuto a cadere. Nel frattempo sono falliti molti programmi di
cooperazione allo sviluppo, avviati sin dagli anni '60. Falliti perché un programma di
cooperazione ha bisogno di un interlocutore capace di fare buon uso del denaro stanziato e
la classe dirigente di molti paesi africani si è dimostrata non all'altezza del compito.
La somma di questi due fattori, ha reso inevitabile la destabilizzazione di un certo
numero di regimi.
Io sono convinto che se le Nazioni Unite fossero rimaste in Somalia o - mi correggo - se
gli Americani fossero rimasti in Somalia e avessero per così dire fornito alle Nazioni
Unite la spina dorsale di una presenza forte, avremmo in tal modo lanciato un segnale a
tutti coloro che in altri paesi africani aspiravano al potere spregiudicatamente, mettendo
in discussione l'integrità dello Stato. La Somalia è stata per un certo periodo
all'inizio degli anni '90 un caso esemplare. Se l'avessimo risolto con una lunga presenza
- che io definisco neocoloniale - non però di una potenza occidentale, europea o
americana, ma delle Nazioni Unite in quanto tali (naturalmente con una forza
internazionale), questo sarebbe stato un segnale positivo che si sarebbe in qualche modo
diffuso nel resto dell'Africa. Invece abbiamo dato il segnale opposto, cioè ce ne siamo
andati. Adesso è difficile tornare indietro perché ormai le cose sono molto peggiori di
quanto fossero allora: mancando un forte interesse politico e strategico a occupare
posizioni di potere in Africa come ai tempi della guerra fredda i governi delle potenze
europee o americane fanno fatica a spiegare ai loro parlamenti perché spendere miliardi e
miliardi di dollari per occuparsi di problemi che non hanno diretta rilevanza per la vita
dei propri concittadini.
Esiste poi un problema di confini nazionali che ricalcano ancora quelli coloniali, a loro
volta disegnati a tavolino sulla base di accordi che non tenevano grande conto di
disomogeneità etnica o tribale. Tuttavia non è la responsabilità delle ex potenze
coloniali questa, perché i primi a non desiderare la revisione delle frontiere sono stati
proprio i nuovi paesi emersi dalla decolonizzazione, i quali hanno preferito non toccare i
confini, per evitare di aprire una serie di contenziosi dai quali si rischierebbe di non
uscire più. Oggi il problema riemerge in modo forte perché alcuni stati si sono
letteralmente disintegrati ed è inevitabile che qualcuno prima o poi entri dentro e si
ritagli quel pezzo di territorio che ritiene utile ai suoi interessi, conforme alle sue
esigenze. Il problema si pone anche perché gli stati tradizionali stanno perdendo gran
parte delle loro funzioni nel mondo intero. Eppure ritengo che alcuni ruoli, pur in questa
fase di declino e di decadenza, vanno conservati; come il controllo del territorio,
dell'ordine pubblico, della lotta alla criminalità, della convivenza pacifica dei
cittadini. Lo stato deve continuare ad avere il monopolio della forza. E questo è quello
che manca all'Africa".
Volontari per lo sviluppo -
Marzo 1999
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