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Dossier

Guerre d'Africa

Una spia del disordine mondiale

Etiopia, Eritrea, Congo, Sierra Leone, Sudan, Angola, Uganda....ad oggi oltre tredici guerre dilaniano l'Africa, senza contare agitazioni e guerriglie. Ma quali sono le cause profonde dell'esplodere di un intero continente? Lo abbiamo chiesto a tre esperti africanisti.

di Jean Léonard Touadi
(giornalista del Congo Brazaville, collaboratore della redazione esteri del Tg3, redattore di Nigrizia)

L'Africa sconvolta dai conflitti e dal sottosviluppo cronico non è un mondo a parte. Essa è parte integrante della storia mondiale di cui condivide e patisce le contraddizioni. L'impressione è che il vecchio e mai completamente sradicato pregiudizio di una atipicità e astoricità africana continui ad ispirare le analisi e le previsioni degli "esperti" d'Africa, ciclicamente afro-ottimisti o afro-pessimisti seguendo la moda del momento, senza preoccuparsi di tracciare una linea di spiegazione dei fenomeni. I fatti africani appaiono, cosi, come dei semplici accadimenti senza senso, sconnessi tra di loro, frutto illogico di una sovrastruttura selvaggia atavicamente incline al caos della insignificanza. Occorre reinserire l'Africa nella storia dell'umanità ed analizzare i suoi fatti come pezzi del mosaico impazzito del nuovo disordine mondiale dalle cause e dalle responsabilità identificabili. Queste cause sono di natura storica, economica e geopolitica. Esistono, anche, cause endogene che non sono affatto riconducibili alla genetica (vedi tutte le teorie coloniali o tardo coloniali sull'incapacità intrinseca degli africani di autogestirsi e di forme di convivenza civile e la conseguente necessità di ricolonizzare il continente); esse trovano la loro genesi nelle modalità d'ingresso dell'Africa nella modernità politica ed economica.

Lo smarrimento culturale

Modernità imposta che gli africani hanno adottato senza assumerla e senza la volontà o la capacità di imprimergli una fisionomia conforme alle aspirazioni dei suoi popoli. Quest'Africa, in bilico tra l'attrazione fatale di una modernità-trappola guidata dagli altri e una identità violentata e lacerata ma ancora viva e attuale, stenta a ritrovare una bussola culturale in grado di guidare il suo mutamento e la sua necessaria apertura al mondo. La violenza che vi si esprime è la spia di uno smarrimento profondo di natura prioritariamente culturale, ossia la tremenda e drammatica sovrapposizione tra retaggio tradizionale e strutture moderne gestite con criteri anacronistici. Il continente è abbandonato oggi alla cieca violenza attuata con strumenti e armamenti moderni sulla base di sovrastrutture mentali di tipo tradizionale. I conflitti sono il risultato del tradimento del "sole delle indipendenze" da parte della classe politica africana, colpevole di aver mancato alle attese e alle aspirazioni profonde dei popoli africani che, grazie alla lotta anti-coloniale, avevano sognato orizzonti di libertà, di partecipazione, di equità e di prosperità. Non solo i dirigenti africani si sono accontentati di scimmiottare le istituzioni occidentali applicate senza discernimento alla realtà africana; ma presto hanno dimenticato i loro popoli per mettersi al servizio degli interessi esterni e delle ambizioni personali (o del proprio clan) di ricchezza e di longevità politica.

L'etnia, strumento politico

L'appartenenza etnica, in se positiva in quanto luogo della manifestazione e della trasmissione dell'identità individuale e collettiva, diventa allora uno strumento di potere politico aizzato contro altri gruppi etnici rivali nella corsa per la conquista violenta del potere e della ricchezza. Le rivalità etniche (che non sono monopolio esclusivo dell'Africa) sapientemente coltivate dal potere coloniale prima e dai regimi totalitari poi, dovrebbero spingere gli africani a ridefinire in modo critico il concetto di stato-nazione che non può avere lo stesso significato che ha avuto nei paesi dell'Europa. Esistono, o sono esistite, delle forme tradizionali di garantire la pace sociale e il consenso politico che, riscoperte e rielaborate secondo le esigenze attuali, possono essere utili a prevenire i conflitti e a ritrovare la "cultura di pace" immanente a molte tradizioni culturali africane.

La geopolitica del petrolio

I conflitti in Africa nascono, anche, all'interno di una quadro geopolitico in pieno mutamento dal Congresso di Berlino, data della spartizione della torta coloniale, fino al "nuovo ordine mondiale" velleitariamente proclamato da G. Bush agli inizi di questo decennio passando per la guerra fredda combattuta accanitamente in Africa (Corno d'Africa, Angola, Africa Australe...) con la sola costanza di aver trasformato l'intero continente in un terreno di caccia degli appetiti insaziabili di espansione e di affermazione delle grandi e delle medie potenze. Archiviata la guerra fredda, l'Africa ha sognato di poter e di dover finalmente liberarsi della tutela obbligata, dettata dalla carattere bi-polare del mondo, delle potenze occidentali o di obbedienza sovietica. Il nuovo "ordine" unipolare ha suscitato nuove linee di contrapposizione non più riconducibili alle ideologie ma alla congruità di interessi economici che strumentalizzano la politica e gli interessi dei governi dei paesi ricchi. Si pensi, per esempio, al condizionamento delle società francesi Elf Aquitaine o Bouygues sulle scelte politiche del governo di Parigi. Nuove polarizzazioni ancora più pericolose perché sotterranee. Abbiamo cosi la geopolitica del petrolio, del diamante e per il controllo di aree economicamente strategiche (che tante guerre hanno provocato in Angola, Congo-Brazzaville, Nigeria, Congo Democratico). Alcuni paesi africani hanno perso la "rendita geostrategica" del periodo della guerra fredda per diventare terreno di scontro in quanto detentori di preziose ricchezze economiche di importanza vitale per le multinazionali occidentali. Per conservare questi interessi, le potenze occidentali sono pronte a tutto, compresa la capacità di mantenere con la forza militare governi corrotti e repressivi (Togo, Zaire) o poteri basati sull'egemonia etnica (Ruanda, Burundi, Sudafrica dell'Apartheid). Conflitti che nascono e si sviluppano in un contesto economico globalizzato, con un unico ruolo assegnato all'Africa, quello di un'immenso serbatoio di materie prime di tipo minerario o/e agricolo.

Guerre di sopravvivenza

La mancanza di prospettive economiche (tra 1980 e 1990, gli investimenti lordi in Africa hanno conosciuto un ribasso medio annuo del 4,3% e gli investimenti diretti stranieri si sono abbassati dal 25 al 19% durante gli anni '80) e la conseguente pauperizzazione che genera rappresentano gravi fattori di instabilità che espongono le popolazioni, soprattutto quelle giovani colpiti duramente dalla disoccupazione ad ogni tipo di strumentalizzazione politica, anche nelle forme più violente delle lotta armata.
Un contesto economico all'interno del quale il debito dei paesi africani (che rappresenta 109,4% del prodotto interno lordo; 324,3% dell'insieme delle esportazioni; solo il servizio del debito rappresentava nel 1989 circa 25,1% del valore delle esportazioni) costituisce un macigno sulla vita delle popolazioni e una fonte permanente di instabilità politica e sociale, terreno privilegiato da dove nascono frustrazioni e rivalità tra gruppi etnici e/o politici. Lo scontro politico, anche armato, nasconde uno scontro di sopravvivenza, una lotta a morte per resistere alla crisi.
Questa costituisce la vera guerra d'Africa che miete milioni di vittime silenziose. Guerra sulla quale, invece, vige da tempo la legge di un silenzio intriso di cattiva coscienza e di rimozione collettiva da parte della stampa e dell'opinione pubblica. Occorre ribadire che le guerre che si scatenano nelle periferie del mondo sono la spia pericolosa di un disordine e di una violenza che rischia di allargarsi a tutto il pianeta. E sotto questo profilo, le guerre d'Africa sono guerre di tutti, vissute drammaticamente dagli africani, ma corresponsabili delle cause che li scatenano sono tutti i meccanismi che uccidono la speranza di miliardi di persone e soffocano la giustizia e la solidarietà. E su questi meccanismi è possibile agire come cittadini e come donne e uomini sensibili al futuro dell'umanità.

Tipi di guerre africane

Non tutte le guerre africane sono uguali. Per capirne meglio le cause potremmo distinguerle in:

Conflitti inter-statali, scoppiati per lo più sino alla fine degli anni '80, che si limitavano a rivendicazioni di rettifica delle frontiere (ed esempio Benin-Niger per la frontiera lungo il fiume; Egitto-Sudan con il primo che reclama il cuneo di Wadi Halfa e il triangolo Jabel-Bartaziga-Korosko; Somalia-Etiopia per la regione di Hawd e dell'Ogaden; Mozambico-Malawi, che si contendono la riva paludosa est del lago Chilwa e moltissimi altri) Tutti questi conflitti non sono sfociati in scontri armati anche se, ciclicamente, la minaccia del ricorso alle armi torna prepotentemente a farsi sentire, come succede oggi tra l'Eritrea e l'Etiopia
Conflitti di natura secessionista dove le frontiere coloniali sono contestate dall'interno di una stessa nazione (Katanga nell'ex CongoBelga; Biafra in Nigeria) oppure ribellioni interne (Casamance in Senegal, ribellione dei tuareg nel Mali e nel Niger, Comore in Anjouan; la regione del Kivu nel conflitto congolese)
Conflitti intranazionali, aggravati con la fine della guerra fredda e guidati da gruppi etnici, non di rado marginalizzati dai poteri politici, che si ribellano in nome di una identità etnica a torto o a ragione giudicata minacciata (Ruanda e Burundi con il conflitto tra tutsi e hutu; la guerra nell'Est del Congo-Democratico; la Liberia e la Sierra Leone); il conflitto nell'Angola e nel Congo-Brazzaville rappresentano dei casi atipici dove i fattori sono insieme economici (la guerra del petrolio che infuria tra società francesi e anglo-americane), fattori politici (il fallimento della decolonizzazione e del processo democratico), fattori regionali (la vicinanza dell'Angola con la possibilità per i vari gruppi in conflitto di stringere alleanze con il governo di Luanda o con la ribellione dell'Unita rimasta fedele a Jonas Savimbi); fattori personali, molto difficili da cogliere per gli osservatori esterni al continente, riconducibili alle personalità e alle storie dei protagonisti che regolano sulla pelle dei loro concittadini i conti delle loro rivalità e ambizioni (è certamente il caso di Sassou Nguesso e Pascal Lissouba in Congo; di Edoardo Santos e Jonas Savimbi in Angola, e altri ancora)

Si assiste sempre di più ad una miscela esplosiva di tutti questi fattori che non agiscono più singolarmente, ma che si concatenano e si alimentano reciprocamente. Non di rado, un conflitto iniziato con una motivazione politica (per esempio la contestazione di un risultato elettorale) può degenerare in conflitto etnico con risvolti economici.

Volontari per lo sviluppo - Marzo 1999
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