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Il microcredito, l'ultima frontiera dei progetti di sviluppo

Imprenditori a piedi nudi

Concedere prestiti anziché doni perché i poveri si affranchino da soli dall'indigenza, avviando attività autonome. E riacquistino fiducia in se stessi. Queste le più recenti linee-guida della cooperazione internazionale, adottate anche dalla Banca Mondiale. Ma non sarà il nuovo cavallo di troia del capitalismo?

di Silvia Pochettino

Sofia Begum, giovane donna indiana, vive fabbricando sgabelli. L'unica fonte di approvvigionamento del bambù necessario per il suo lavoro è lo stesso negozio al quale rivende gli sgabelli, che quindi ha in mano la sua vita. Il commerciante stabilisce il prezzo della materia prima e del prodotto finito, lasciandole in mano 22 centesimi di dollaro, circa 300 lire. Proprio la storia di Sofia, comune a tanti suoi concittadini che ricorrono per vivere ai prestiti dei commercianti-strozzini, ha ispirato a Muhammad Yunus, economista del Bangladesh, l'idea di creare una "Banca dei poveri" che presti denaro ai più indigenti per affrancarli dalla loro condizione di dipendenza. Così già nel 1976 ha preso vita la Grameen Bank, oggi riprodotta in 50 paesi del mondo e diventata famosa anche in Italia grazie alla pubblicazione dell'autobiografia di Yunus (Il Banchiere dei poveri, Feltrinelli 1998). Ma l'idea del "micro credito" come strumento privilegiato di emancipazione dei più poveri non si è fermata qui; "fondi a credito", "casse di risparmio collettivo", "fondi rotativi" sono diventate il pane quotidiano anche delle Ong e di quasi tutti gli operatori internazionali. Una vera moda su scala planetaria: secondo la Banca Mondiale le istituzioni della "microfinanza" raggiungono oggi 16 milioni di persone con un portafoglio di crediti di oltre 3.700 miliardi di lire. Nel febbraio ‘97 si è tenuto addirittura un Summit mondiale sul microcredito a Washington. Non è un caso, quindi, che la stessa Banca Mondiale sia divenuta di recente promotrice di questo genere di iniziative dando vita nel 1995 al Consultative Group to Assist the Poorest (CGAP) che riunisce insieme 23 donatori, tra cui 14 paesi (l'Italia è assente) e 9 banche e istituzioni internazionali.

Aiuti o crediti?

Ma il credito serve davvero per aiutare i poveri? Le risposte sono discordi. Secondo Federico Perotti, coordinatore dei progetti in Africa del Cisv di Torino, sì. " Passare dal "dono", dall'aiuto alimentare, al credito da rimborsare o addirittura al conto in banca, significa passare dalla dipendenza all'autonomia, facendo concreti passi verso l'autopromozione degli individui e dei popoli." In Burundi, ad esempio, dove il Cisv ha iniziato ad operare nel 1987 distribuendo ai contadini gratuitamente le sementi ed i concimi per migliorare l'agricoltura; oggi, dopo 12 anni e nonostante la guerra, 5 cooperative di contadini acquistano i fattori di produzione e vendono i loro prodotti autonomamente, ciascuna con il suo conto alla Coopec, la cassa di credito cooperativo comunale. Per Perotti questo è un importante successo. "La filosofia del credito si contrappone in modo forte alla mentalità assistenzialista che purtroppo è ancora molto presente in certe realtà del Sud del mondo, abituate a "ricevere" in modo passivo, e in alcuni operatori internazionali che continuano, spesso per demagogia, a "donare" senza criterio."
Ma anche gli esempi negativi non mancano. Ad Argon, un villaggio del sud del Benin, un commerciante locale dopo aver preso un credito consistente è sparito facendo perdere le sue tracce. La cassa locale, autogestita dalla popolazione, ha dovuto sospendere per un anno la concessione di crediti perché la maggior parte dei contadini non rimborsava. Il problema è centrale: se i crediti non vengono rimborsati o se la percentuale scende sotto una certa soglia, il sistema crolla. E non sempre funziona il "controllo sociale" all'interno di una comunità che fa sì che tutti rimborsino per non sfigurare difronte agli altri. Bisogna richiedere altri tipi di garanzie. E i più poveri rischiano di rimanere di nuovo emarginati.

Se l'Ong fa la banca

Le forme con cui si realizzano i progetti di microcredito sono diverse. In molti casi l'Ong si sostituisce alla banca e concede crediti in natura (ad es. attrezzi agricoli, sementi, ecc...) oppure direttamente in soldi: ma sul lungo periodo i problemi sono molti. Il sistema non è autonomo. Al termine del progetto a chi resta la cassa? "Passare tutto in mano ai locali non è semplice nella realtà africana - spiega Paolo Chiantore, coordinatore dei progetti del Celim di Milano - i contadini non sono abbastanza organizzati. In Zambia, ad esempio, abbiamo praticato il credito rotativo per 8 anni (con percentuali di rimborso oltre l'80%). Al termine del progetto volevamo lasciare il tutto al Rural Investment Found, un progetto del Ministero dell'Agricoltura per lo sviluppo rurale. Ma poi ci siamo accorti che i fondi del progetto finivano tutti in gettoni di presenza ai membri del ministero."
Un secondo modello è quello di istituzioni e strutture impiantate dall'esterno con un'ottica prettamente bancaria, anche se rivolta all'appoggio allo sviluppo, come le già citate Coopec, casse di risparmio rurale espressione della Cooperazione francese. Svolgono un buon servizio, ma proprio perché banche, non riescono ad arrivare ai più indigenti, perché le garanzie che richiedono superano le possibilità dei poveri.

Le casse autogestite

Diverso è il caso dei tentativi effettuati da diverse Ong di promuovere sistemi di casse rurali autogestite di risparmio e credito (più vicine al modello della Grameen Bank), nelle quali la gestione é affidata da subito alla popolazione locale e che costituiscono, almeno nell'idea che le anima, uno strumento comunitario di intermediazione e di equilibrio finanziario.
"Il Cisv - racconta ancora Perotti - sta operando in Senegal e nel Sud del Benin in appoggio al consolidamento di due reti di casse rurali di questo tipo. Soprattutto con i gruppi di donne, che sono le più affidabili. Sono le donne stesse ad autotassarsi per costituire il capitale iniziale e a gestire il sistema di crediti rotativi (grazie a corsi di formazione preventivi) che permette ad ognuna di loro di avviare piccole attività redditizie come allevamento di polli, orticoltura, artigianato. Questo modello ha il vantaggio di dare molta importanza al risparmio locale, seppur modesto, e di costituire un freno alla fuga di risorse umane e finanziarie dalla campagna verso le città."

I rischi

Tanti modelli, problemi diversi. Ma la domanda di fondo è una: il prestito è solo uno strumento neutrale per sostenere l'emancipazione dei più poveri o di fatto veicola già in sé un'idea di sviluppo?
R. Dhonté, studioso francese, in un ampia relazione sul credito e le Ong, è piuttosto drastico:"Il microcredito tenta di essere il punto d'incontro tra lo spirito umanitario e lo spirito d'impresa, tra la logica della solidarietà e quella della redditività. Ma l'incontro non è facile. Semplificando si potrebbe dire che una Ong che fa crediti, se presenta un basso tasso di rimborso ha fallito nel suo scopo, ma se è riuscita a produrre un sistema di credito affidabile, vuol dire che funziona di fatto come un organismo finanziario. E in che cosa si differenzia ancora da un'istituzione commerciale?"
"In effetti lo strumento microcredito ha dei rischi: tende a favorire naturalmente l'ottica dell'impresa individuale, del capitalismo, del libero mercato, della concorrenza. - risponde Perotti - E questo, si sa, porta automaticamente con sé un aumento della disuguaglianza tra ricchi e poveri. Occorre cercare - ed è un compito che incombe soprattutto sulle Ong che operano in progetti pilota - un equilibrio tra l'individuo e la comunità, favorendo sì lo sviluppo delle attività economiche delle persone, ma all'interno di un'ottica comunitaria, sostenendo i gruppi organizzati e le cooperative, guardando al credito anche come una forma di solidarietà tra poveri."

Perché il microcredito si rivolge soprattutto alle donne

Il risparmio al femminile

Dal Bangladesh alla Norvegia, passando per il Senegal, sono soprattutto le donne a beneficiare dei microcrediti. Perché? "Il denaro affidato a una donna rende più di quando passa per le mani dell'uomo.- sostiene Muhammad Yunus, fondatore della "Banca dei poveri" in Bangladesh - le donne sono più attente, si preoccupano di costruire un futuro migliore per i figli, dimostrano maggiore costanza nel lavoro." Ed emigrano meno. In paesi come quelli dell'Africa saheliana, dove in alcune zone il 40% degli uomini lascia il villaggio in cerca di lavoro, il risparmio delle donne è l'unico che viene investito sul posto, contribuendo direttamente allo sviluppo locale.
È anche l'estrema difficoltà di accesso alle banche "normali" che fa delle donne fruitrici privilegiate del microcredito. Dice Yunus: « Nel mio paese, se una donna - anche una donna ricca - si rivolge a una banca per farsi prestare del denaro, il responsabile del credito le chiederà: "Ne ha discusso con suo marito?". Se la risposta è affermativa il consigliere finanziario si informerà: "E lui si è mostrato d'accordo?". Se la signora risponde ancora di sì, è certo che aggiungerà: "Bene. Può ritornare con lui, in modo che se ne possa discutere insieme?"» . Una donna non ha speranze di ottenere un prestito autonomamente. E cose simili non avvengono solo nel Sud del mondo. In Norvegia Liv Abrahamssen, che oggi gestisce una fiorente attività di maglieria, ricorda: "Quando ho cominciato a fare pullover ho avuto bisogno di un prestito per comprare la macchina. Le banche erano d'accordo solo a condizione di potersi rivalere sul conto di mio marito. Ma era il mio progetto, non quello di mio marito. Così ho detto di no." Per fortuna il sistema del microcredito, avviato anche nell'arcipelago delle Lofoten sul modello di quello del Bangladesh, le ha permesso di realizzare il suo sogno.

Tre progetti di Celim, Cisv e Cmsr

Dai credito ai poveri

Africa: il continente dove le Banche sono più irrangiungibili per i poveri, non solo per la distanza fisica (spesso centinaia di chilometri da percorrere a piedi), ma anche per la garanzie che richiedono, assolutamente proibitive per le famiglie in zona rurale, che vivono di agricoltura di sussistenza.
Qui di seguito tre progetti, diversi come approccio, ma con un unico obiettivo: creare un accesso al credito per gli esclusi dal sistema finanziario tradizionale

Zambia: l'aratro in "leasing"

Sembra impossibile, ma acquistare un semplice sacco di cemento può risultare un'impresa insostenibile per un contadino africano. È il caso della cooperativa Tusole di Savionga, in Zambia. Che ha in progetto la costruzione di un negozietto di villaggio per i generi di prima necessità; ha ottenuto il terreno, ha formulato il progetto, ma non dispone del denaro necessario per avviarne la costruzione. Nessuna banca gli fornirà mai un prestito. Così si è rivolta al Celim di Milano che da otto anni lavora in Zambia e ha dato vita a un semplice sistema di prestiti rotativi per consentire a piccole cooperative come Tusole di avviare piccole attività redditizie autonome. Non si tratta di prestiti in denaro. Il progetto acquista l'aratro, il mulino o come in questo caso il cemento per conto del gruppo (evitando così anche che gli alti costi di trasporto gravino sui contadini) e il gruppo si fa carico di un contributo iniziale pari al 10-30% del valore del materiale. Quindi rimborsa il resto dopo l'avvio dell'attività, pagando in rate senza interessi e costituendo un fondo che servirà per sostenere l'attività di un altro gruppo. Un sistema semplice, che ottiene buoni risultati, con una percentuale di rimborsi oltre l'80%.

S.O.S. il tuo aiuto

Con 50.000 lire puoi costituire il fondo-prestiti per la cooperativa Tusole a Savionga, in Zambia. Ccp 52380201 intestato a Celim p.za Fontana 2 20122 Milano; causale "Zambia"

Senegal: donne imprenditrici

Giornate di lavoro di 16 ore, analfabetismo al 98%, esclusione dalla proprietà della terra; la condizione delle donne nei villaggi rurali del Senegal non è certo delle migliori. Proprio con loro il Cisv di Torino ha avviato dal 1984 nella regione di Louga, nel nord del Senegal, un programma di credito rotativo (preceduto da corsi di alfabetizzazione e formazione alla gestione) per sostenere l'avvio di piccole attività economiche come allevamento, orticoltura, artigianato, che permettano alle donne di affrancarsi dalla condizione di totale dipendenza dagli uomini. Il sistema si basa sulla rivalutazione e il miglioramento di una forma tradizionale di risparmio collettivo, la tontine, che permette alle donne di riacquistare fiducia in se stesse e riconoscimento all'interno del villaggio.

S.O.S. il tuo aiuto

Con 100.000 puoi costituire il fondo di credito per una donna senegalese
Ccp 26032102 intestato a Cisv - Corso Chieri 121/6 - 10132 Torino, indicando nella causale: "Senegal".

Mozambico: 100 mila lire per coltivare

Donne sole, con anziani e bambini a carico; questa è l'immagine più frequente nelle campagne del Mozambico dove la recente guerra civile (terminata con gli accordi di pace del 1992), ha causato un impoverimento drammatico delle aree rurali, oggi in gran parte spopolate. Il Centro Mondialità Sviluppo Reciproco di Livorno ha avviato nel distretto di Massinga a sud-est del paese, un programma di micro credito per sostenere proprio le famiglie, favorendo l'avvio di piccole attività produttive (orti, artigianato, allevamento, ecc..) fornendo loro anche assistenza tecnica e consulenza. Ogni famiglia può ricevere un prestito che varia da 100 mila lire a 1 milione a seconda del progetto presentato, lasciando loro grande libertà nel decidere come migliorare le proprie condizioni di vita. Si intende erogare circa 2.000 prestiti. L'obiettivo a medio termine è di costituire una vera cassa rurale, gestita dalle famiglie stesse.

S.O.S. il tuo aiuto

Con 100.000 lire puoi costituire il fondo di credito per una famiglia mozambicana. Ccp n. 15732571 Intestato a Centro Mondialità Sviluppo Reciproco Via Maggi, 66 - 57125 Livorno causale "Mozambico"

Volontari per lo sviluppo - Marzo 1999
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