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Dossier - Viaggio tra i volontari delle Ong

Le proposte nei paesi in via di sviluppo

Il modo più gratificante per diventare volontari nelle Ong è sicuramente iniziare con un campo di lavoro o un viaggio nei paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni le Ong si sono attrezzate per offrire a sempre più persone questa possibilità.

Un mese di lavoro in Africa

Il Vides di Roma (06/5750048), ad esempio, fa partire ogni anno oltre 100 giovani per un mese di lavoro a fianco delle popolazioni povere, il costo del viaggio e del soggiorno è interamente a carico del volontario. Destinazioni principali: Brasile, Etiopia, Tanzania, Kenya, Cambogia, Vietnam, ecc. Spiega Suor Maria Grazia Caputo, responsabile della formazione dei giovani: "la partenza non si improvvisa, richiediamo prima la partecipazione ad un campo di formazione al volontariato, che ogni estate realizziamo in Sardegna, e poi la frequenza a quattro incontri nazionali sui temi dello sviluppo, della cooperazione e dell'interculturalità". I giovani, in media dai 20 ai 30 anni, partono poi per le diverse destinazioni dove sono accolti dalle comunità missionarie e svolgono i lavori più disparati: animazione con i bambini, lavori manuali di scavo o manutenzione dei locali, ma anche, se sono qualificati, gestione di dispensari medici o consulenze agricole. "Un gruppo, ad esempio - racconta Suor Maria Grazia - prima di partire per il Brasile ha seguito per un anno un corso sulla lavorazione del cuoio per poi insegnare il mestiere ai locali che hanno avviato una cooperativa."
Anche l'associazione Africa oggi (02/428940) ogni anno fa partire un centinaio di persone. Il percorso è simile (dieci incontri di preparazione) ma con la particolarità che tutte le realizzazioni del campo di lavoro (costruzione di aule scolastiche, dispensari, pozzi, ecc..) sono pagate dagli stessi partecipanti al campo, i quali nel corso dell'anno di preparazione devono raccogliere fondi presso le loro parrocchie, gli amici e i parenti.
I Missionari della Consolata (011/4400400), invece, preferiscono parlare di campi di conoscenza e non di lavoro, come precisa padre De Coll, perché senza una professionalità specifica non ha senso, secondo loro, far lavorare i ragazzi e si rischia solo di sostituirsi agli operai locali. Un esempio? "A Tigania Mission, in Kenya - racconta De Coll - il parroco chiama un gruppo di volenterosi ragazzi italiani per iniziare lo scavo di un acquedotto. La gente del posto si raduna ad osservarli, ma non li aiuta. Nel giro di poche ore tutti i ragazzi sono sfiniti, hanno le vesciche alle mani e non riescono più a continuare. Una figura penosa, che non ha creato comunicazione con la popolazione locale". Ecco dunque il punto: i viaggi devono prevedere incontri preliminari con le organizzazioni locali, le amministrazioni pubbliche, la chiesa, per organizzare e concordare il lavoro insieme.

Volontariato breve o turismo lungo

Il dubbio, quando si parla di viaggi di un mese nei paesi in via di sviluppo è sempre legittimo. I campi di lavoro sono davvero utili alla popolazione locale? O sono un modo per fare turismo pagando meno che nelle agenzie?
Secondo Suor Maria Grazia questi viaggi sono sicuramente utili, in primo luogo a chi li fa. Per la grande maggioranza dei volontari (visitanti) è un'esperienza difficilmente dimenticabile. Cambia la vita. E la cosa importante è che l'impegno continui dopo il rientro in Italia. Ma non è solo questo, missionari e volontari che lavorano laggiù sono concordi nel dire che anche per i giovani dei paesi in via di sviluppo l'incontro e lo scambio con giovani europei è un momento fondamentale di formazione. E spesso si rimane legati da amicizie che durano.
"I viaggi servono molto meno dal lato pratico - spiega Gabriele Costi, volontario del Cisv (011/8993823) presso la Casa do Menor, in Brasile, dove ogni estate sono accolte decine di giovani che passano alcune settimane a fianco dei ragazzi di strada - nel senso che in un mese ci sono poche possibilità di realizzare qualcosa di concreto davvero utile alla realtà locale. Gli unici che riescono in questo senso sono medici, dentisti e infermieri che possono mettere a servizio il loro mestiere anche per tempi brevi." I problemi nascono quando i gruppi non sono autosufficienti o si sentono inutili. Finiscono con essere un peso per gli operatori locali che si trovano con un lavoro in più, cioè organizzare la giornata dei volontari.

Le missioni dei professionisti

Se in un mese estivo un ragazzo che non abbia nessuna qualifica particolare difficilmente riesce a essere utile dal punto di vista tecnico, non è così per i professionisti, soprattutto i medici, infermieri, dentisti. L'Università di Padova (049/8212133), ad esempio, da oltre 10 anni ha avviato un accordo con l'Università dell'Ecuador che prevede uno scambio tra i medici oculisti italiani ed ecuadoregni. Il Dott. Mario Angi, specializzato nei problemi di vista dei bambini è uno dei promotori dell'iniziativa fin dalla sua nascita. Ogni estate va per un mese in Ecuador dove esegue senza sosta una serie di operazioni delicate e tiene corsi di formazione per i medici locali. Parallelamente in questi anni nove medici ecuadoregni sono venuti in Italia per tre mesi ciascuno, per seguire corsi e lavorare negli ospedali di Padova. Un'idea che ha portato buoni frutti e che intende essere replicata presto anche in Etiopia e, perché no, con altre specializzazioni e professioni.

La testimonianza di Paola, volontaria per un mese in Tanzania

Io ho fatto così

Avevo cominciato a pensarci da ragazzina. "Vorrei andare in Africa, vorrei andare in una missione". Sono dovuti passare più di vent'anni prima che quell'idea, mai scacciata dalla mente e dalle urgenze dell'anima, si trasformasse in un biglietto aereo. Destinazione: Tanzania, villaggio di Mtwango, tra i centri di Makambako e Njombe, 800 chilometri a sud-ovest di Dar el Salaam. Sono partita il 15 luglio, portando con me tanta curiosità, una gran voglia di rendermi utile e la totale incertezza su quello che avrei fatto. Avevo contattato Don Tarcisio Moreschi, parroco di Mtwango, grazie ad un amico che era andato a fare il volontario in quella missione due anni prima. Avuto l'indirizzo ho scritto a Don Tarcisio. "Vorrei venire, non sono mai stata in Africa. Sono una giornalista . C'è la possibilità per me di esserle utile?". La risposta del missionario è arrivata mesi dopo. "Ti aspetto. Ma mettiti una croce in testa: non potrai insegnare niente a nessuno. Qui c'è soltanto da imparare". La lettera conteneva i recapiti telefonici di una ragazza che rea già stata a Mtwango e che si preparava a ripartire. Stabilito il contatto è iniziata la parte organizzativa: vaccinazioni, visto, prenotazione del volo.
Quando siamo arrivati a Dar, Don Tarcisio era lì ad aspettarci. Con il fare di chi non è abituato a perdere tempo, ci ha fatti salire su una "Toyota" e, guidando ininterrottamente per 13 ore, ci ha portati nella sua "casa", su un altopiano a 1850 metri di altezza, in mezzo a campi di mais ingrigiti dalla stagione secca.
Per tre settimane, io e le altre due ragazza che erano con me, abbiamo tenuto in ordine la missione, lavato piatti, preparato i pasti, accudito i bambini più poveri e malati che hanno nella parrocchia di Mtwango il loro punto di riferimento, preparato i sacchi con i vestiti da distribuire nei villaggi, selezionato i medicinali arrivati con gli aiuti dall'Italia.
Don Tarcisio aveva ragione: ho imparato tanto. Però anch'io ho insegnato qualcosa. Semplicemente sentendomi cantare, i bambini malati di Aids della missione hanno memorizzato una nostra vecchia canzone. La mia speranza ora è che possano ricordarla il più a lungo possibile.

Paola Ciccioli

Volontari per lo sviluppo - Novembre 1998
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