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Falsa solidarietà e veri affari dietro le raccolte porta a porta

Che fine ha fatto la mia giacca?

Vestiti usati per i mutilati e gli invalidi? Scarpe per gli orfani africani? Niente di più falso. Nel migliore dei casi ai poveri arriva qualche soldo, percentuale del profitto dell'azienda che rivende i vestiti a Prato e da lì in Tunisia o nei paesi dell'Est. Ma più spesso non arriva niente, perché le associazioni non esistono.
Storia di un giro da molti miliardi sulla buona fede della gente.

di Carlo Giorgi e Silvia Pochettino

Tunisi: bancarella di vestiti nella medina: la giacca del signor Rossi, quella che pensava di aver donato ai disabili, è in vendita tra tuniche e stoffe locali.
Un furto a spese degli invalidi? O la giacca ha sbagliato destinazione? Niente di tutto questo.
Invece, una scoperta: il mercato internazionale dei vestiti usati cresce anche grazie alla raccolta di associazioni di volontariato. Che spesso non esistono.
La nostra inchiesta nasce da un volantino appeso a un cancello: "Vi chiediamo un atto di solidarietà per la nostra associazione - recita il foglio - Tutto ciò che a voi non serve a noi è di grande aiuto". Segue la richiesta di indumenti smessi, scarpe, borse... Firmato: Antmic, Associazione nazionale tubercolotici mutilati invalidi civili, il cui incaricato 'passerà per il condominio" a ritirare la roba. L'associazione, dice. il volantino, ha un centro di raccolta a Milano e la sede a Napoli.
Strano, viene da pensare: se l'associazione è di Napoli, non sarebbe più comodo raccogliere i vestiti là? E poi da quando i volontari raccolgono vestiti usati a tempo pieno?

Volantini ambigui

Il dubbio si è insinuato. Così decidiamo di aguzzare la vista: per strada gettiamo l'occhio in ogni portone che incrociamo. Nel giro di qualche mese la nostra collezione di volantini si moltiplica: nelle portinerie di Milano, Torino, Roma, Genova, Bologna e Firenze ne raccogliamo a decine. E scopriamo che l'Antmic è solo una delle trentuno associazioni che raccolgono vestiti usati di porta in porta. Ce n'è per tutti i gusti: dalla sanità all'ecologia, dagli invalidi al terzo mondo, dai ciechi ai malati di tumore. Sui volantini le immagini classiche di sedie a rotelle, bambini africani denutriti, ambulanze; e sigle che potresti giurare di aver già sentito: come l'Antmic, che in realtà fa il verso all'Anmic, associazione nazionale mutilati e invalidi civili, la vera associazione di categoria.

Associazioni introvabili

Per vedere se qualcuno le conosce, verifichiamo i nomi delle associazioni negli elenchi ufficiali del volontariato italiano: alla Fivol, Fondazione italiana per il volontariato ne hanno schedate solo un paio; mentre nessuna compare nella "Guida alle associazioni, provincia per provincia" redatta dalla Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare.
L'Antmic, in particolare, non è negli elenchi. Al telefono il sig. Graziano Francesco, il presidente, appare piuttosto imbarazzato; è molto vago sulle attività svolte, non ha un elenco soci, non un volantino di presentazione, non si ricorda neppure quando è nata l'associazione. Facciamo una verifica di persona; un "nostro inviato" a Napoli, va alla sede dell'Antmic. Naturalmente trova un domicilio privato. Quello del presidente. Parla al citofono perché non lo lasciano salire. Gli dicono che è almeno un anno che non svolgono più attività.

Commercianti, non volontari

Ma perché un'associazione raccoglie vestiti se non esiste? Voltiamo la domanda a Vincenzo Tremanti, responsabile della raccolta per l'Antmic su Milano.
"Quello che fanno le associazioni non ci interessa: noi siamo commercianti e siamo in regola", si difende. Tremanti ha un piccolo pezzamificio che gestisce con la famiglia: la mattina, a nome dell'Antmic, raccoglie i vestiti di casa in casa, poi li seleziona e li invia a Prato che, con 171 aziende del settore, è la città italiana leader nel recupero dei vestiti usati. In media, dalla vendita, Tremanti guadagna 300 lire al chilo.
Come l'Antmic, ciascuna delle associazioni del nostro elenco ha il proprio raccoglitore di fiducia che recupera i vestiti per venderli a un grossista.

Come si "acquista" un nome

In tasca alle associazioni (quelle che esistono), che non gestiscono mai direttamente la raccolta, finiscono alcuni milioni a seconda del "pedigree" che possono vantare: l'Anpv, associazione privi della vista, molto nota, può chiedere al raccoglitore anche 20 milioni in un anno perché, con un nome del genere, si raccoglie parecchio. L'Antmic, invece, stipula contratti da pochi milioni. Ma è proprio necessario raccogliere sotto le insegne di associazioni discutibili?
"Se pensa che andando a mio nome qualcuno mi dia due sacchetti di roba - si scalda Tremanti -, si sbaglia. Le associazioni mi scrivono cosa fanno in beneficenza. Per cui sono tranquillo, non voglio sapere nient'altro".

Da Milano a Tunisi

"Siamo dei mercanti, ma cosa crede! - chiarisce una volta per tutte il signor Marvuglia della ditta Sone, che raccoglie per l'Omnic, l'opera nazionale mutilati e invalidi civili - Quello dei vestiti usati è un grande mercato. Ho seguito un container inviato in Africa che è stato tutto rivenduto ai locali. Anche la Caritas fa così. Nessuno manda i vestiti gratis".
E così la giacca del signor Rossi, suo malgrado, da Prato è volata a Tunisi. "Là c'è un'azienda che tratta ogni anno 12 mila tonnellate di vestiti usati - svela Bruno Ferragatta, responsabile di una cooperativa sociale che raccoglie a Torino- Africa ed Europa dell'Est sono le piazze dove affluisce gran parte dell'usato italiano".

L'inchiesta è stata realizzata in collaborazione con il giornale di strada 'Terre di mezzo" di Milano, di cui Carlo Giorgi è redattore.

Le sigle delle raccolte

AICI ass. italiana combattenti interalleati
ANICeP ass. regionale invalidi civili e poliomielitici
ANISeA ass. naz. invalidi senili e anziani
ANPRHA promotrice handicappati
ANTMIC ass. naz. tubercolotici mutilati e invalidi civili
ASDN raccolta ecologica
Ass. naz. privi di vista
Ass. noi e il cancro
Ass. progetto handicap
Confassinvalidi
Coop. Primavera
CRMFU riciclaggio regionale
Croce Italia
Euro invalidi
Fondaz. Ing. Strohmenger
Fondaz. Vincenzo Cardinale
Italstracci
Movimento fraternità
Mutilati civili
Nuova tessil pezzame
OMNIC opera naz. mutilati e invalidi civili
ONU org. naz. umanitaria
Org. Somalo-etiopica di soccorso
SONE materiale recuperabile
UNIC unione naz. invalidi civili
Unione giovani cattolici
Unione italiana ciechi
Unione italiana handicappati
Unione naz. profughi invalidi mutilati civili
USPA un sorriso per l'ambiente

Le raccolte per il terzo mondo

E ai lebbrosi non arriva una lira

Bambini neri, denutriti, handicappati; queste le immancabili immagini strazianti che corredano i volantini di raccolta delle associazioni per il terzo mondo. Dai lebbrosi, agli orfani, agli affamati, ce n'è per tutti i gusti. Di questo tipo è, ad esempio, il volantino della Fondazione Ing.Strohmenger per i lebbrosi della Papua Nuova Guinea. Al numero indicato risponde Giovanni Piva della ditta "Recupero rottami e carta" di Alice Castello (VC) che dice di non fare più da tempo la raccolta per l'Ing. Strohmenger. (Ma i volantini sono ancora attaccati alle porte!). E Strohmenger ? Esiste, ed è un signore pimpante di 85 anni. Dopo una vita avventurosa a 60 anni, si è convertito, entrando nell'ordine francescano secolare, da cui è stato inviato in Papua Nuova Guinea, dove ha aperto un lebbrosario. Ma, fatto molto interessante, Strohmenger non sa nulla del Sig. Piva, né della raccolta a suo nome. "Nel '75 - racconta - un pezzamificio in provincia di Torino mi ha proposto di raccogliere vestiti usati a mio nome, promettendomi una lira ogni 25 chili di raccolta. Dopo pochi anni la ditta è fallita e il successore mi ha proposto un contratto per sei mesi per un forfait di 500 mila lire. Dopo questo non ho saputo più nulla" Ecco dunque come funziona il sistema; si "acquista" il nome di una persona conosciuta e poi si continua a raccogliere per anni "a sbafo" senza dare una lira. "In effetti - dice ancora Strohmenger - i miei figli hanno trovato dei volantini a mio nome in Liguria e i carabinieri mi hanno chiamato da Milano e dalla Sicilia. Ma io ho tutta la documentazione per dimostrare che chi raccoglie non è autorizzato."

Storia simile quella dei lebbrosi di Marituba (Brasile), i cui volantini tappezzano le vie di Torino. L'incaricato della raccolta ci dà come riferimento la parrocchia "Maria Madre della Chiesa" in via Baltimora a Torino, centro di raccolta da cui i vestiti verrebbero spediti nel lebbrosario. Peccato che don Salvatore, attuale parroco, sostenga che l'autorizzazione è stata negata più di dieci anni fa, perché la roba non arrivava mai in Brasile. Il che è confermato da padre Rover, amministratore dei missionari Camilliani che oggi gestiscono il lebbrosario. "Non riceviamo un soldo da queste raccolte e tantomeno vestiti"

A Torino, Milano, Roma nascono i "cassonetti della solidarietà"

La Caritas caccia i piccoli mercanti

Nella guerra degli stracci spuntano barricate di cassonetti: quasi mille tra Torino e Piemonte, oltre cento a Milano e, da questo settembre, uno schieramento anche a Roma. Sono la risposta di Caritas e cooperative sociali al "porta a porta" di tanti piccoli raccoglitori, pseudo-volontari. I cassonetti utilizzati dalle cooperative sono come quelli per il vetro o la carta. Spesso sono sponsorizzati da grandi associazioni di volontariato, come Amnesty International o Unicef che, in cambio di una percentuale sul venduto, garantiscono per l'operazione. E i vestiti donati battono gli stessi percorsi degli straccivendoli: venduti a un grossista (che spesso fornisce i cassonetti in comodato d'uso gratuito), finiscono su qualche bancarella africana o est-europea. Ma, se la destinazione non cambia, cambiano invece modi e finalità della raccolta: "Gli straccivendoli fanno un discorso di beneficenza velato, equivoco - osserva Bruno Ferragatta della cooperativa sociale "La Tenda servizi" che raccoglie vestiti usati a Torino -; noi un discorso chiaro: le nostre cooperative creano posti di lavoro per persone in difficoltà". Sono più di 30 le cooperative delle Caritas italiane nate in questi anni grazie ai vestiti usati, soprattutto nel Nord-Est; e all'inizio del '98 il Cgm, consorzio di cooperative sociali Gino Mattarelli, ha stipulato un protocollo d'intesa con il ministero per l'ambiente e l'Anci, associazione dei comuni italiani, grazie al quale in ogni città italiana potranno nascere cooperative per il recupero dei vestiti. I primi passi importanti di un nuovo settore dell'economia sociale. "Raccogliamo 2400 tonnellate di vestiti l'anno da 660 cassonetti in tutto il Piemonte, dando lavoro a 12 persone", racconta Bruno Ferragatta de "La Tenda". A Torino la cooperativa Ics ha 300 cassonetti distribuiti per la città, 64 tonnellate di vestiti al mese, 7 persone assunte. A Milano la cooperativa della Caritas "Vesti Solidale" ha raccolto 100 tonnellate di vestiti in tre mesi, dando lavoro a tre persone, con l'handicap che i cassonetti, per un mancato accordo con il Comune, sono solo negli oratori. Mentre a Roma parte da settembre la raccolta della cooperativa "Il Solco".

Volontari per lo sviluppo - Settembre 1998
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