di Javier Schunk
Un dilemma fondamentale dell'operatore della cooperazione internazionale (sia colui che
studia e scrive progetti per il Sud del mondo, sia il volontario, straniero o locale, che
si trova a vivere in un progetto di sviluppo) è la definizione, quasi quotidiana, del suo
ruolo rispetto ai cosiddetti "beneficiari", cioè le collettività presso cui
lavora e che dovrebbero, da questo rapporto, trarre beneficio. Può capitare che il nostro
uomo si senta un po' spione di una realtà culturale diversa, oppure ne debba diventare
manipolatore, o ancora portatore di stimoli o semplice ascoltatore, negoziatore. Ma qual
è il suo vero ruolo?
L'operatore di sviluppo è un po' di tutto questo. Azzardando un parallelismo con la
psicoanalisi possiamo considerarlo un terapeuta, uno psicologo di comunità, intesa come
soggetto sociale. Il rapporto fra operatore e gruppo non deve essere assistenza o
soddisfazione dei bisogni, ma piuttosto consultazione, analisi, una contrattazione che
spinge verso l'autonomia (ovvero guarigione del paziente). E non è vero quindi che un
progetto debba realizzare quello che i beneficiari desiderano. Almeno, non è così
semplice.
Per fare un confronto paradossale, le dittature e le rivoluzioni hanno un punto in
comune tra loro: vogliono cambiare le idee, i valori e i punti di vista della gente,
influenzandola e manipolandola. Se ci pensiamo bene, è proprio questo che, almeno in
parte, fanno i progetti di aiuto allo sviluppo. "Il problema, dunque, non è come si
può evitare di influenzare e di manipolare, ma come tali interventi vanno intesi e usati
nell'interesse del paziente", scriveva lo psicologo Paul Watzlawick nel suo Change.
Spesso si dà per scontato che il ruolo dell'operatore sia "dare" e quello della
comunità "ricevere". Questo è un comportamento anti evolutivo che crea
dipendenza e va contro il principio dell'auto sviluppo. Come dire, in psicoanalisi, che il
paziente "furbo" utilizza il terapeuta per soddisfare i suoi desideri e la
parola bisogno per ottenere vantaggi. Inevitabilmente, poi, il terapeuta propone in parte
modelli propri al paziente e d'altro lato riceve stimoli che provocano un cambiamento in
lui stesso e quindi dei propri modelli.
Lo stesso vale per la cooperazione allo sviluppo. Un esempio di forte influenza del
beneficiario sull'operatore l'ho verificato in un progetto per il diritto al voto in
Guatemala, promosso da un'ong italiana. Il progetto prevedeva una serie di azioni allo
scopo di aumentare l'affluenza al voto della popolazione indigena di una certa zona del
paese. Si proponeva un nostro modello democratico, quello occidentale. Un concetto di
democrazia a loro estraneo, perché l'organizzazione maya prevede sistemi di scelta di
rappresentanti basati sul consenso comunitario. L'aver capito questo ha permesso, non solo
di riformulare interamente il progetto proponendo un equilibrio fra il potere formale e il
potere tradizionale, ma anche di ipotizzare la validità dell'applicazione di questo
sistema nella nostra realtà al Nord.
Il rapporto fra terapeuta e paziente deve dunque essere dialettico. Ma se i beneficiari
fossero in grado di esprimere da soli e liberamente i loro problemi, le cause e le ipotesi
di soluzioni, ci troveremmo davanti pazienti che non hanno bisogno di cura. In più, va
tenuto in conto che è impossibile produrre un cambiamento in un sistema senza
l'introduzione di un elemento nuovo all'interno del sistema stesso.
In psicoterapia è definita analisi della domanda la fase in cui si chiarisce con il
paziente la parte inconscia della sua richiesta di aiuto. La motivazione profonda, di cui
non è consapevole, a volte è molto diversa da quella esplicitata. Può addirittura
essere opposta. Il paziente dichiara ad esempio di voler cambiare una situazione, mentre
la sua aspirazione più intima è in realtà che tutto rimanga esattamente com'è.
Il caso tipico quando si inizia l'approccio con un beneficiario è che questi presenti la
"lista della spesa" dei suoi bisogni. Parlando, ad esempio, con l'abitante di
una baracca di cartone, sotto un ponte stradale a Rio de Janeiro, la prima cosa che mi
chiese fu un'antenna parabolica. Questa era la sua "priorità". È chiaro che
non aveva una lettura critica delle sua situazione sociale disastrosa, di avere figli che
sniffavano colla e figlie che si prostituivano. Questo perché non immaginava in modo
autonomo una situazione diversa. Ci voleva l'aiuto di un elemento nuovo ed esterno, che lo
indirizzasse, con un lavoro di negoziazione, ai suoi veri problemi, e fra questi alle sue
vere priorità. Un percorso di cura lungo, che impiega a volte parecchi anni.
Nell'aiuto allo sviluppo, quindi, non si tratta semplicemente di rispondere alle richieste
dei beneficiari e nemmeno di inventare le soluzioni al loro posto. Bisogna creare questo
percorso di cura a partire da quello che in psicoterapia è chiamato il contratto
terapeutico, ovvero un accordo preliminare tra paziente e terapeuta. In questo accordo, il
primo esplicita la sua fiducia al secondo e quest'ultimo si impegna a usare tutti i mezzi
a sua disposizione per aiutarlo. Così deve avvenire tra beneficiario e operatore di un
progetto di sviluppo.
In Burundi, ad esempio, grazie a una serie di interventi in campo agricolo, realizzati in 15 anni, si è arrivati a costituire una federazione di associazioni di contadini, capaci di gestire, immagazzinare e rivendere i loro prodotti. L'impatto sulle condizioni di vita di queste comunità è stato notevole. All'inizio del percorso, però, nessuno aveva idea di quale sarebbe stata la soluzione. I burundesi di queste colline si sono resi conto della centralità del loro ruolo per lo sviluppo della collettività, solo durante lunghi anni di "terapia" e di contrattazione con l'ong. Ad esempio, la signora Petronille, oggi presidentessa della federazione dei contadini, non avrebbe mai immaginato di avere una vocazione da leader. Una serie di progetti concatenati si sono susseguiti sulla base del rapporto ong-comunità. Nessun modello preconfezionato avrebbe dato soluzioni durature e nessuno, né beneficiari né ong, era in grado di fornirle all'inizio del percorso.
Ma quanto più un popolo è oppresso, tanto più sarà difficile fargli esprimere i
propri bisogni e farlo partecipare al proprio sviluppo. Ricordo il mio primo incontro per
formulare un progetto con le donne indigene messicane. Ho dovuto parlare con le ragazze
voltando loro le spalle perché queste non accettavano l'idea di parlare ad un uomo
guardandolo in faccia... Immaginiamoci di fargli una proposta. Ci è voluto un pomeriggio
per definire con loro che l'aiuto sarebbe consistito in ...una macchina da cucire!
Il singolo individuo, quando analizza la sua realtà e in particolare i problemi, è poco
portato a mettersi in discussione, a riconoscere quello che dipende da lui e che quindi
può essere cambiato con il suo impegno. Ancor più difficile è indurre quest'analisi in
un gruppo.
Volendo ancora utilizzare il linguaggio della psicoterapia, diciamo che il paziente deve
essere portato alla "depressione" in modo responsabile. Prendere coscienza della
propria realtà e rifiutarla sono i primi passi da fare per avviare un percorso di
cambiamento. Tornando all'esempio del favelado brasiliano, inevitabilmente
analizzare in modo critico la sua situazione lo portava a deprimersi ed era naturale che
avesse paura di ciò. Per sconfiggere questa paura, doveva sentirsi accompagnato dal
terapeuta. Altrimenti avrebbe continuato a elencare bisogni quali la parabolica, che
rappresentava la via di fuga dalla realtà.
Questo dunque il lavoro del buon terapeuta - operatore di sviluppo: portare il
beneficiario-paziente a scavare in se stesso e cercare di metterlo nella condizione di
risolvere il problema da sé. A questo punto può andarsene, lasciando la consapevolezza
di quello che l'individuo, o la comunità, deve fare.
Un manuale per "strateghi dello sviluppo"E la guerra insegna...È possibile immaginare la cooperazione internazionale che dichiara guerra
all'ingiustizia per ridistribuire opportunità fra gli oppressi del pianeta? E
all'interno di questa guerra, è possibile pensare l'aiuto allo sviluppo come una battaglia
nella quale "un aereo caccia deve lanciare un insieme di
progetti" su un determinato territorio, allo scopo di creare il maggior impatto
benefico possibile fra i beneficiari? |
Volontari per lo sviluppo -
Novembre 2001
© Volontari per lo sviluppo