di Gabriele Gosti
da Porto Alegre
Contadini curvi e silenziosi si muovono sul palco nell'oscurità. Poi la musica prende
vita e le mani si armano di attrezzi, mentre suoni indecifrabili come canti di sirene
solcano la platea. Appare una donna di colore, i seni nudi, che grida frasi di un sogno
utopico: "...nessuno più morirà di fame perché nessuno morirà di indigestione...
il presidente degli Stati Uniti sarà una donna negra... ogni notte sarà vissuta come se
fosse l'ultima e ogni giorno sarà vissuto come se fosse il primo...". Ragazzi e
bambini, al suono di tamburi brasiliani, uniscono terra e acqua in un rito di fertilità.
Poi passano tra la folla distribuendo sacchettini di tela leggera, contenenti semi di
varie specie. Simbolo dell'inizio e della continuità di un atto creativo del quale ognuno
può portare a casa la semente.
Il sogno è cominciato.
È l'apertura ufficiale del Forum sociale mondiale di Porto Alegre, in Brasile, che dal
25 al 30 gennaio ha raccolto oltre 5.000 persone di tutte le parti del mondo. Delegazioni
di movimenti popolari, ong, sindacati, ma anche intellettuali di grido, parlamentari e
partiti politici, più di mille gli addetti stampa. Straordinari ingredienti di un
avvenimento davvero unico. "Come nel '68" dicono alcuni. "Come nel
Vietnam" dicono altri, riferendosi alle pretese di intervento in Colombia, da parte
degli Usa. Certo è che dopo le manifestazioni di Seattle, Washington, Londra, Nizza, e
ora Davos (dove si svolge il Forum economico mondiale), i tempi appaiono maturi. Bisogna
fare qualcosa, dice il popolo multicolore del Forum: organizzarsi. Costruire una rete per
collegare le menti pensanti del mondo ed elaborare un'alternativa.
La scelta della città non è casuale: Porto Alegre, capitale del Rio grande do Sul, vanta
per la quarta volta consecutiva il successo elettorale della sinistra brasiliana del
Partido dos Trabalhadores (Pt). Da dodici anni la popolazione partecipa alla stesura del
piano economico dell'amministrazione attraverso il lavoro di Commissioni Municipali
Popolari, i bilanci sono assolutamente trasparenti, la qualità della vita, la migliore di
tutto il Brasile.
La sede dell'evento è la Pontificia Università Cattolica del Rio Grande du Sul, ottima
struttura che, anche grazie all'appoggio volontario di molti studenti, riesce a reggere
l'affluenza, di molto superiore alle aspettative.
In una sala congressi straripante (2.800 posti, ma 4 o 5 mila persone accalcate) facce
di indio e di neri afroamericani si mescolano alle bionde capigliature dei nordici
europei. L'elenco delle delegazioni rappresentanti i vari paesi è lunghissimo. Viene
letto e scandito dal ritmo degli applausi che salgono di intensità quando è la volta di
Cuba e Nicaragua. Dalla Cina al Bangladesh, dalle Fiji alla Nuova Zelanda, dagli Usa alla
Lituania fino al Sud Africa. Intanto i rappresentanti di Via campesina, enorme
organizzazione contadina presente in tutti i continenti con oltre 100 milioni di aderenti,
hanno unito le bandiere a quelle dei militanti del movimento Sem Terra brasiliano
al grido di "Globalicemos a lutha globalicemos a esperanza" (globalizziamo la
lotta, globalizziamo la speranza). Commozione, abbracci, flash di fotografi. È quello che
si voleva che accadesse: l'unione delle forze che in varie parti del mondo lottano per gli
stessi obiettivi.
Dopo la cerimonia, l'invasione pacifica per le vie di Porto Alegre, oltre 15 mila persone.
Un'ora e mezza di camminata fino all'anfiteatro del Por do Sol, sulle rive del
fiume Iguaìba. La gente del luogo è simpatica e accogliente. Nel corteo molte bandiere
rosse, grida antimperialiste, fantocci di cartapesta, colori, musica. Un enorme striscione
richiama l'attenzione al Piano Colombia: giù le mani dall'Amazzonia.
Poi iniziano seminari e dibattiti, e il Forum prosegue in un crescendo di partecipazione ed entusiasmo. Lo slogan dell'evento è semplice e completo "Un altro mondo è possibile". Sottinteso: oltre che possibile, è necessario. Fra la necessità e la possibilità l'impegno delle menti più fertili e colte del pianeta, da Samir Amin a Danielle Mitterand, Eduardo Galeano e Noam Chomsky. Un impegno gratuito, spontaneo, sincero. "Gli statunitensi Bob Alen, Bill Gates, Worren Becreat e Larry Ellison possiedono insieme un patrimonio personale superiore alla somma del prodotto interno lordo di 42 paesi che contano 600 milioni di abitanti, incluso il Brasile; questa si chiama globalizzazione della povertà e privatizzazione delle ricchezze". A parlare è Frei Betto, frate domenicano, scrittore e ideologo del movimento Sem Terra. Continua: "Il grande motore del neoliberismo è la privatizzazione. Non solo quella dei servizi pubblici, ma quella più intima del nostro quotidiano. Perciò bisogna ricostruire la società partendo dal sentimento, dall'empatia. La Chiesa in America Latina si preoccupa degli esclusi più di qualsiasi partito della sinistra, ma questo è un peccato perché dovrebbero essere i partiti progressisti a farlo. Non bisogna dimenticare che il modello cubano è riuscito, nonostante l'embargo, a dare ai suoi 11 milioni di abitanti quello che nessun paese latino americano ha dato fino ad oggi: alimentazione, salute e istruzione per tutti". I riferimenti a Cuba si fanno sempre più intensi man mano che la discussione si accanisce sui problemi del debito dei paesi poveri, sulle privatizzazioni dei servizi pubblici, sui privilegi concessi alle grandi multinazionali in America Latina. "La via cubana è solo un esempio, ogni paese deve cercarsi la sua strada verso la crescita indipendente e la sconfitta della miseria".
Proprio l'America Latina, forse per tutto quello che sta soffrendo e per tutto quello
che da sempre soffre in fatto di oppressione e sfruttamento, appare oggi al centro
dell'attività intellettuale delle nuove ideologie democratiche. Ma c'è anche chi non
vede più alternative alla resistenza armata.
"Il popolo colombiano non vuole la guerra e non la augura a nessun altro popolo.
Vuole che l'America Latina possa ottenere una società più giusta senza ricorrere alle
armi. Però ogni volta che cerchiamo di aprire uno spazio democratico i nostri compagni
sono assassinati. In Colombia non si fanno prigionieri politici, si commettono omicidi.
Sono oltre 300 mila i morti negli ultimi 35 anni per questioni politiche". Così
denuncia Xavier de la Fuente, nome fittizio usato dal rappresentante della commissione
politico-diplomatica delle Farc, le forze armate rivoluzionarie colombiane. Nell'incontro
informale con rappresentanti del Partito comunista colombiano si scambiano idee e
indirizzi. Ci si dà appuntamento a domani per approfondire temi complessi come le
strategie nord americane di controllo dell'America centro meridionale. La fuga di Fujimori
dal Perù viene interpretata come il risultato di un piano che vuole escludere un leader
forte e poco controllabile da un paese strategico. La scusa delle piantagioni di coca per
approdare nell'Amazzonia colombiana viene intesa come una giustificazione per coprire
interessi ben maggiori di controllo territoriale. "Il Piano Colombia lanciato dagli
Usa prevede di militarizzare completamente il dipartimento di Putumayo, per prenderne il
controllo e penetrare l'Amazzonia. Tra settembre e ottobre scorsi i paramilitari hanno
ucciso oltre 3 mila persone per costringere la popolazione ad abbandonare la zona. Se le
trattative in corso andranno in fumo, la resistenza colombiana attuerà una guerriglia
come quella del Vietnam, e come nel Vietnam l'invasore sarà cacciato" grida Xavier,
mentre i reporters si accalcano per registrare la sua voce. La situazione in Colombia è
forse una delle più gravi emergenze che l'America Latina sente sulla propria pelle e lo
testimonia la moltitudine di persone che si accalca all'ingresso del piccolo teatro do
Ipe, dove il comandante dell'esercito popolare rilascia le sue dichiarazioni.
Nel frattempo a pochi chilometri da Porto Alegre, José Bové, presidente della Confederazione nazionale dei contadini francesi, (più conosciuto come l'uomo che smonta i Mc Donald's), insieme a un migliaio di militanti dei Sem Terra occupa la sede della Monsanto e distrugge due ettari di soia transgenica del centro sperimentale della multinazionale statunitense. "Un atto legittimo" dichiara il dirigente francese, affiancato dal leader dei Sem Terra, João Pedro Stédile, poiché le coltivazioni transgeniche sono vietate in tutto il paese (ma, nonostante la proibizione, i rapporti delle imprese importatrici europee, presentati proprio questa settimana a Bruxelles, dimostrano che il 30% della soia brasiliana contiene organismi geneticamente modificati).
Momento clou del Forum è poi l'incontro con Eduardo Galeano, grande scrittore
uruguayano, memoria viva dell'America Latina, iniziato con un'ora di ritardo causa la
ressa di gente. "Mai il mondo è stato così disuguale nelle opportunità che offre
alle persone. E mai il mondo è stato così uguale e omogeneizzante negli aspetti
culturali" sostiene lo scrittore. Ma la pur spietata analisi delle condizioni
politiche e sociali del presente non gli impedisce di esprimere poesia e ironia,
constatando che è meglio "lasciare il pessimismo per tempi migliori".
Non manca neppure la contestazione delle frange estreme, fra le quali spiccano le
capigliature puntute dei punk: "Con il capitalismo non si può negoziare: occorre
distruggerlo. Il Forum sociale mondiale vuole "umanizzare" il capitale, noi non
siamo d'accordo: il capitalismo uccide, occorre uccidere il capitalismo" gridano i
giovani ultrà durante la loro breve manifestazione, ma proposte su come agire, non ne
danno nessuna.
Grande movimento di popolo, ma non solo. All'interno del Forum i parlamentari
progressisti di vari paesi si trovano per stilare un documento di intenti, pronunciandosi
sull'azione da svolgere nelle sedi parlamentari per promuovere politiche di reali
cambiamenti sociali e ambientali. L'impegno è di "...favorire le istituzioni con
finalità sociali, democratiche e ambientali... associandosi alle campagne per
l'abolizione del debito del terzo mondo, l'istituzione della tassa Tobin, la fine dei
paradisi fiscali, una profonda riforma dell'organizzazione mondiale del commercio e delle
maggiori istituzioni finanziarie mondiali...".
Poi, in diretta, una video-conferenza tra il comitato organizzatore di Porto Alegre e
alcuni rappresentanti del Summit finanziario di Davos. Improbabile confronto che dimostra
che qualcosa si sta muovendo, veramente.
Il Forum chiude i lavori con una cerimonia breve, ma densa di significati.
Rappresentanti dei diversi paesi sfilano lanciando propositi per continuare la lotta. Fra
le altre, numerose donne presenti al forum, particolarmente applaudita Heve Ve Vonasini,
la presidentessa dell'associazione delle Madri della Plaza de Majo: Poi la consegna di
pietre scolpite con frasi significative che compongono un collage di dediche su pietra,
che sarà montato in città. Particolare il momento delle comunità arabe. Insieme sul
palco israeliani, palestinesi e libanesi lanciano gli auspici per una pace duratura.
L'israeliano grida "basta all'occupazione della Palestina", tra gli applausi
commossi della platea.
Accaldati, stanchissimi, i partecipanti si preparano ad andarsene alla spicciolata.
Qualche chilo in meno e molti indirizzi in più sull'agenda. Soprattutto, entusiasmo e la
coscienza di non essere soli. Lanciati già gli appelli per i prossimi appuntamenti di
quest'anno: il 20 marzo in Messico per la marcia di protesta contro il Muro della Morte,
dove i profughi messicani sono liquidati dalle guardie di frontiera nord americane, dal 16
al 21 aprile a Quebec (Canada) contro l'Alca (Area di Libero Commercio dell'America),
all'inizio di luglio a Genova, in occasione del G8.
No, tutto questo non ha il sapore di una fine.
Il forum in numeri |
|
20.000 | partecipanti |
4.702 | delegati (di associazioni, movimenti, ong, sindacati) |
117 | paesi rappresentati |
700 | capi delle nazioni indigene |
1.870 | giornalisti accreditati |
165 | relatori internazionali |
860 | logisti |
51 | traduttori |
50 | addetti alla sicurezza |
65 | stand |
104 | mostre a pannelli |
Fonte: Zero hora, quotidiano di Porto Alegre, 31 gennaio 2001
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Marzo 2001
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