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Mediatori culturali negli istituti minorili: una nuova professione

Se nel carcere si parla arabo

Wail è marocchino, ha 15 anni, e spaccia droga da tre. È stato arrestato 23 volte. Come lui l'80% dei detenuti nelle carceri minorili in Italia. Ma dal '94 all'istituto di recupero Ferrante Aporti di Torino educatori marocchini e tunisini lavorano con i ragazzi stranieri, conquistandone la fiducia.

di Angela Lano

Wail giunse in Italia dal Marocco, quando aveva solo dodici anni, con un fardello di responsabilità molto più grande di lui. I suoi genitori avevano deciso di "sacrificarlo", affinché il resto della famiglia potesse vivere un po' meglio con quella manciata di soldi che il falso "zio" aveva offerto loro in cambio del suo lavoro. Dal mattino alla sera, per sette giorni su sette, fu costretto a vendere ai semafori il suo piccolo carico di accendini e fazzoletti. A questo primo periodo ne segui un altro, in cui la merce da piazzare era di altra natura: da venditore ambulante a spacciatore il passo è breve. Nei due anni e mezzo successivi venne arrestato 23 volte e mandato al Ferrante Aporti, il carcere minorile torinese. Finalmente, i mediatori culturali della cooperativa Sanabil, marocchini e tunisini attivi nel carcere, riuscirono a vincerne la diffidenza e a creare quel legame di fiducia indispensabile per convincere il ragazzino a fermarsi in una comunità della provincia torinese.
"Non è stato facile aiutarlo a cambiare vita. Gli abbiamo fatto capire che la strada intrapresa era sbagliata, senza uscita", spiega Mongi Ayari, tunisino, trentaduenne operatore della cooperativa. "Oggi Wail sta lavorando come apprendista in una ditta e con questo lavoro avrà diritto a chiedere il permesso di soggiorno, non appena diventerà maggiorenne. La prospettiva è di essere assunto definitivamente dal titolare. Ma ciò dipenderà da lui, da come si comporterà".

Parlare la stessa lingua

Storie a lieto fine, come quella di Wail, non sono poi tanto rare. "La presenza di un educatore della loro lingua madre aiuta molto a superare timori e resistenze" spiega Mongi. Ecco che il ruolo del mediatore culturale sta rivestendo una posizione sempre più importante per i servizi sociali, assistenziali, sanitari e scolastici nel nostro paese, tanto che "vengono organizzati convegni in Italia e all'estero e il livello professionale richiesto è molto elevato, così come adeguato deve essere il nostro curriculum scolastico. Non basta più soltanto essere stranieri e di madre-lingua per mediare fra due culture".

La cooperativa Sanabil

Sanabil in arabo significa "spighe di grano", un simbolo di prosperità, e di buon auspicio per la cooperativa che dal '92 ne porta il nome. Formata da educatori e mediatori stranieri e italiani, attualmente, dà lavoro a una ventina di persone, fra dipendenti e consulenti esterni.
"La presenza nel carcere minorile è fondamentale - spiega Mongi - perché ad esempio al Ferrante Aporti di Torino i giovanissimi maghrebini costituiscono il 60-80% della popolazione detenuta, con una presenza media di 25-30 ragazzi. (Subito dopo ci sono gli albanesi, i rom e gli italiani). La loro età si aggira intorno ai 14-15 anni. Questi ragazzini non riescono a rapportarsi con gli educatori italiani, spesso hanno una conoscenza dell'ambiente torinese che li ospita che si limita solo alla "piazza" e al giro dove spacciano. Si trovano così in gravi difficoltà ad entrare in sintonia con il mondo che li circonda". Il mediatore è allora davvero una figura "ponte" tra le due culture, che traduce, spiega, rassicura e facilita la reciproca comprensione.
"Proponiamo molte attività all'interno del carcere - spiega ancora Mongi - come laboratori di preparazione al lavoro, di comunicazione multimediale, di sostegno scolastico. Degno di attenzione è anche il programma di scolarizzazione in lingua araba che prevede una frequenza obbligatoria a lezioni giornaliere di tre ore ciascuna, volto al recupero della cultura d'origine dei ragazzi maghrebini presenti nel carcere, tutti con un livello di istruzione assai basso. Molti di loro, infatti, arrivano in Italia verso i 10-12 anni senza neanche completare la scuola elementare. Qui vengono subito mandati in strada a lavorare. L'insegnamento della lingua madre è, così. non solo un'importante occasione di apprendimento ma anche di recupero delle loro radici.

Un giornale in italiano e arabo

Da un paio di anni, inoltre, all'interno del laboratorio di comunicazione, un gruppo di ragazzi e di educatori pubblica il giornalino trimestrale "Butto la pietra". Italiano e arabo a fianco, raccoglie le storie personali, le esperienze maturate in prigione, le tradizioni e le abitudini dei paesi di provenienza; e poi poesie, progetti, sogni di ragazzi che non hanno potuto vivere l'infanzia.

Volontari per lo sviluppo - Settembre 1998
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