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La TV sociale? Un sogno lontano
Incontro con Giovanni Anversa


Sociale: questa sembra essere la parola magica che nobilita discorsi ed intenti di chi offre un servizio pubblico. Stato sociale, impegno sociale e ora anche televisione sociale?
A sentire proclami e promesse, sembrerebbe proprio di si. Telethon ha aperto la strada, e trasmissioni più a corto raggio ne hanno percorso la via più breve, quella del pietismo e dell'esibizione del dolore, lasciando il discorso sui diritti negati in spazi ristretti e tutto sommato innocui. Poi nel dicembre '94 sembrò che si dovesse compiere la svolta.
Gabriele Laporta, allora neo direttore di RAI 2, presentando la linea editoriale della rete parlò di televisione al servizio dei più deboli".
Una linea esaltante, sulla carta, che nella pratica ha dovuto fare i conti con l'audiance e gl'interessi degli sponsor.
Ma esiste veramente una TV sociale? Abbiamo girato l'interrogativo a Giovanni Anversa, autore e conduttore di programmi attenti ai bisogni delle fasce più deboli quali "Il coraggio di vivere", "Ho bisogno di te" e "Abbattiamo le barriere".

Come si concilia l'audience e la comunicazione sociale?
Vede, non bisogna farsi schiavizzare dall'auditel, però bisogna tenerne conto. Noi abbiamo fatto trasmissioni sociali di grosso ascolto. L'informazione sociale non è in contrasto con l'auditel. Il problema è un altro: come si fa l'informazione sociale?

Già, come si fa? Quali sono gli ingredienti da usare e gli errori da evitare?
Parliamo degli errori. Il maggiore è non riuscire a centrare il problema, non indagare fino in fondo sull'argomento da mostrare, non prepararsi abbastanza. La tv traduce la realtà secondo delle proprie regole di comunicazione.
E' facile in questa situazione cadere nel pietismo. La tv del dolore, la tv della beneficenza sono dei meccanismi a catena che si innescano facilmente: il sociale viene proposto in un determinato modo, il pubblico mostra di apprezzarlo, e chi fa i programmi continua a fare le stesse cose senza preoccuparsi di cadere nel pietismo. E' un circolo diabolico da cui è difficile uscire. Molte volte gli stessi disabili non sanno scegliere la trasmissione adatta per veder trattato in modo adeguato il proprio problema.

Eppure un tentativo di grande trasmissione sui diritti è stata fatta: "Abbattiamo le barriere", ed è stato un fiasco. Quale è stato l'errore?
L'errore è stato d'impostazione generale del programma. Io ho fatto una piccola cosa all'interno della trasmissione. Con un gruppo di ragazzi disabili ho fatto un percorso-tipo: uscire di casa, prendere l'autobus, andare in pizzeria, andare al bowling, per arrivare a fine serata al Parioli, da Costanzo.
Questo è stato a mio avviso un pezzo televisivamente utile. La tv ha delle regole e bisogna saperle usare, la tv deve far vedere e non solo parlare. L'errore è stato proprio questo. Troppe chiacchiere, troppo parlarsi addosso, senza novità, senza tener conto di ciò che si era già fatto sull'argomento. Poteva dare l'impressione di una trasmissione fatta tanto per farla, perché comunque è importante farla. Ma io ritengo che siamo usciti dalla fase del "è importante farla".

Qual è lo stato dell'informazione sociale in Italia? Usciremo dal pietismo?
Per quanto mi riguarda il pietismo è una malattia che cerco di evitare. Per il resto in tv vedo cose che mi spaventano. Purtroppo non ne siamo usciti, perché non si esce dallo schema del racconto televisivo, che è fatto ancora su modelli di romanzo popolare, per cui ci sono i buoni, ci sono i cattivi, ci sono i perdenti e i sofferenti e la tv continua a raccontare questo romanzo. Il problema è generale e non riguarda questa o quella trasmissione. Negli anni ci sono stati dei tentativi, ma manca una strategia generale. Siamo alla deregulation totale.

Eppure la linea editoriale di RAI due presentata l'anno scorso dal direttore Gabriele Laporta parlava chiaramente di rete votata al sociale. E' fallita questa linea?
Questo non posso dirlo io. Ciò che posso dire è che deve cambiare l'idea della tv e si deve ampliare il concetto di servizio pubblico, che non è solo previsioni del tempo, tg e "viaggiare informati". La tv è lo specchio della realtà e i piani editoriali si scontrano inevitabilmente con essa. Le buone intenzioni non bastano. Ci vuole un impegno globale da parte dell'azienda altrimenti non si esce dal pietismo. Non serve fare dei parchi naturali della tv sociale quando la realtà è profondamente diversa.


Articolo tratto da "Il Vampiro" n. 4 - maggio 1996. "Il Vampiro" è il periodico del Gruppo Giovani UILDM. La redazione ha sede presso la Direzione Nazionale dell'Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare - in via P.P. Vergerio 17 - 35126 Padova. Tel. 049/8021002 - fax 049/757033.
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