HANDICAP E MASS-MEDIA |
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In principio era il Telethon: sei anni di maratona
televisiva
Parlatene bene o parlatene male, ma parlatene. Ovvero se non appari
non esisti. Retorica dell'era dei mass-media? Forse, ma forse
no. Fatto sta che tutto ciò che conta deve, per essere
considerato, passare attraverso il tubo catodico.
Tra le vittime storiche della non-esistenza ci sono i disabili
che, fino a qualche anno fa nella mentalità corrente italiana
non erano considerati cittadini a tutti gli effetti, ma una parte
malata della società. Il perché lo lasciamo stabilire
ai sociologi che tireranno in ballo cultura cattolica, paura della
malattia, tabù vari ecc., ecc. Sta di fatto che tanto la
società quanto i mass-media, che ne sono lo specchio, ignoravano
l'argomento. Poi arrivò Telethon: trenta ore di diretta
televisiva per raccogliere fondi per le malattie genetiche. Al
termine di quel bombardamento a colpi di cifre, diagrammi, appelli
e donazioni il telespettatore aveva aggiunto la parola handicap
al proprio vocabolario personale.
Ma come è cambiato Telethon nel corso delle sei edizioni?
"Delle prime edizioni di Telethon" racconta Angelo
Maramai, direttore amministrativo del Comitato Telethon, "ricordo
soprattutto la disorganizzazione della RAI: le trentadue ore erano
un calderone da riempire in maniera casuale con qualsiasi cosa
potesse riguardare il tema della trasmissione. Ogni redattore
si occupava del proprio pezzettino di Telethon e il messaggio
ne risultava frammentario." Ma la frammentazione porta alla
confusione, e la confusione rinsalda pregiudizi e preconcetti.
La raccolta fondi abbinata all'immagine del disabile non faceva
che aumentare il pietismo strisciante nella cultura italiana.
Ma con gli anni si è aggiustato il tiro e nell'ultima edizione
l'orientamento della trasmissione sembra essere cambiato. "Dall'edizione
del 94 la maratona televisiva ha un'impostazione diversa"
precisa Filippo degli Uberti, capo ufficio stampa del Telethon
"C'è una visione globale del programma, un filo rosso
ben preciso e ben studiato che passa attraverso trasmissioni di
successo e ha un grande impatto sociale.
E' vero, nelle trentadue ore momenti di pietismo ci sono ancora,
ma non dimentichiamo che la comunicazione dipende in ultima analisi
dalla Rai e da uno staff di presentatori e autori che comunque
stanno lavorando ed impegnandosi per entrare sempre più
in contatto con i problemi della disabilità. Per quanto
riguarda il Comitato Promotore Telethon, ci stiamo impegnando
perché il discorso sui diritti non venga annullato dalla
raccolta fondi. Innanzitutto cerchiamo di passare solo immagini
positive: un disabile che va a vela, un disabile che guida la
macchina, ecc. Inoltre, da circa un anno è partito il progetto
comunicazione, che prevede la realizzazione di talk-show dedicati
esclusivamente alla disabilità da diffondere su circuiti
regionali. La scelta del circuito regionale, precisa Degli Uberti,
"è dettata dal fattore target. Le trentadue ore di
Telethon debbono raggiungere il pubblico più ampio possibile,
e quindi il messaggio dev'essere il più semplice possibile:
basta una piccola offerta per contribuire alla ricerca. In ambito
regionale il pubblico è più attento e il messaggio
può essere più specifico: "la beneficenza non
basta, vanno garantiti i diritti".
Il settore comunicazione ha già prodotto due trasmissioni
e c'è l'impegno da parte dei responsabili di arrivare a
produrne una al mese a ridosso della maratona televisiva. Un segnale
questo che non può che far piacere a chi della tv del dolore
non sa che farsene.
Articolo tratto da "Il Vampiro" n. 4 - maggio 1996.
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