HANDICAP E MASS-MEDIA |
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Quando l'handy non fa notizia
di Marco Piazza
«I giornali parlano pochissimo di handicap e in quelle poche
occasioni lo fanno male». Nelle associazioni di disabili
frasi come questa sono all'ordine del giorno. Talmente abusate
che sembrano ormai luoghi comuni. Ma è veramente così?
I professionisti dell'informazione si preoccupano realmente solo
di sesso, politica e violenza, ignorando tutto il resto?
E se le cose stanno in questo modo, cosa devono inventare, i poveri
disabili, per assurgere agli onori delle cronache?
Proviamo a valutare la questione guardandola da un punto di vista
neutrale.
Cominciamo col dire che il metro con cui le associazioni valutano
l'interessamento delle redazioni nei loro confronti è parziale.
Non basta fare un'attenta rassegna stampa, sfogliare quotidiani
e periodici per poi ritagliare e catalogare l'articolo che parla
di temi legati alla disabilità.
Per avere un quadro completo bisogna far riferimento al taglio
(posizione nella pagina) dell'articolo, alla collocazione nel
giornale, al modo in cui viene data la notizia e anche, soprattutto,
all'importanza del giornale in cui la notizia è stata pubblicata
(in termini di copie vendute e di prestigio).
Poi si può cominciare a ragionare sullo spazio dato dai
media all'universo handicap. E' uno spazio, inutile negarlo, ridotto
e parziale, in cui la fanno da padrone i fatti di cronaca (la
ragazza disabile violentata, oppure la piaga dei falsi invalidi)
a scapito delle informazioni di servizio (quelle veramente utili).
Molte volte poi, quando un giornalista si prende la briga di abbinare
alla cronaca pura e semplice qualche dato riguardante il tipo
di disabilità o le leggi vigenti in materia, escono fuori
informazioni sbagliate e confusionarie.
Va detto che questa situazione non riguarda soltanto i disabili
ma è comune anche a molti altri settori emarginati.
Per spiegare il perché proviamo a descrivere il lavoro
di un capocronista nella redazione delle cronache locali di un
quotidiano.
Il suo tavolo viene ogni giorno subissato di fax, volantini, comunicati
stampa. Ciascuno di quelli che si rivolgono al giornale vuole
apparire: ma ci vorrebbero cinquanta pagine e il cronista ne ha
a disposizione non più di tre-quattro.
Le "aperture" (i pezzi principali) li dovrà dedicare
agli avvenimenti della giornata più rilevanti, poi ci saranno
le notizie di politica comunale. Resta ben poco.
A questo punto il bravo capocronista decide di pubblicare i fax
e i comunicati che più gli sembrano degni di nota. Ma per
farlo avrebbe dovuto leggere tutto quello che c'era sul suo tavolo.
E questo è fisicamente impossibile.
Ecco allora che viene avvantaggiato quello che è riuscito
a catturare l'attenzione del giornalista. Sembra riduttivo, ma
il problema è tutto qui: farsi notare.
Il che vuol dire scrivere un comunicato chiaro e preciso, usare
caratteri grandi, preoccuparsi di avvisare il giornalista dell'arrivo
del fax, richiamarlo per sapere se è arrivato e telefonare
ancora, in prossimità dell'evento, per ricordarlo. Gli
artifizi formali lasciano il tempo che trovano se poi il contenuto
del messaggio non è interessante, se non si lega in qualche
modo, all'attualità e se non riesce a colpire il giornalista
(come poi dovrebbe, se pubblicato, colpire il lettore).
Un esempio: se un'associazione che vuole reclamizzare un servizio
di banca dati sulla disabilità invia un comunicato ad un
giornale nazionale, questo ha scarse possibilità di venire
pubblicato.
A meno che quell'associazione non colga al balzo la "palla"
dello scandalo dei falsi invalidi e ne approfitti per mandare,
insieme al comunicato di servizio anche qualche notizia "fresca"
(e precisa) sul numero degli invalidi in Italia.
A questo punto va fatta un po' di autocritica. Quante, delle associazioni
di disabili, si preoccupano di agevolare il lavoro dei cronisti?
E quante, consapevoli dell'enorme "concorrenza", si
sforzano di rendere le proprie notizie più appetibili delle
altre? Purtroppo pochissime.
Nell'ambiente prevale la "sindorme dello sfigato": «I
giornalisti non sono sensibili al tema e non ci danno retta perché
contiamo poco». Senza rendersi conto che di "sfigati"
ce ne sono tanti altri, che nella società dei media "chi
non appare non esiste".
I giornalisti, da parte loro, raccolgono quello che la società
offre. Devono imparare, questo è innegabile, a superare
l'ottica scandalistica e ad entrare in quella del "servizio".
Ma non possono venire incolpati di scarsa sensibilità se
i primi ad essere poco sensibili sono proprio coloro che si lamentano.
Articolo tratto da "Il Vampiro" n. 4 - maggio 1996.
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