I suoni delle cose

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I suoni delle cose

Poetica del foto-suono tra Filosofia, E(ste)tica e Musica


Autore Riccardo Piacentini, Edizioni Curci, Milano 2011, pp. 352, libro + DVD, 37 euro
Legenda di Marco Revelli, testi per foto-musiche di Nadar e Sandro Cappelletto, 58 audioesempi con la voce di Tiziana Scandaletti

 

•  17 settembre ore 18, Torino, Festival MiTo, Teatro Vittoria
Presentazione-concerto “I suoni delle cose”
Con il Duo Alterno e Marco Revelli

•  3 aprile ore 15,30, Bologna, Palazzo Marescotti, Centro La Soffitta
Conferenza-concerto “I suoni delle cose”
Con il Duo Alterno e Maurizio Giani

•  11 aprile ore 18, Venezia, Teatro La Fenice, Sale Apollinee
Conferenza-concerto “I suoni delle cose”
Con il Duo Alterno e Claudio Ambrosini

•  25 luglio ore 19, Varsavia, Istituto Italiano di Cultura
Conferenza-concerto “I suoni delle cose”
Con il Duo Alterno

•  28 settembre, New York, Istituto Italiano di Cultura
Conferenza-concerto “I suoni delle cose”
Con il Duo Alterno

 

Dal 1997 Riccardo Piacentini viaggia ininterrottamente per i cinque continenti raccogliendo “foto-suoni”, ossia registrando i suoni dei più diversi contesti (dal mercato popolare di Tashkent alle strade e metropolitane di mezzo mondo), per poi utilizzarli nelle sue composizioni e per farne oggetto di riflessione attraverso uno scandagliamento sistematico, e al tempo stesso creativo, della storia del pensiero filosofico dai pre-socratici ad oggi. Da questi quindici anni di esperienze di “foto-musica con foto-suoni”© nasce il volume I suoni delle cose, che racconta in chiave filosofico-musicale il pensiero, o meglio la “poetica”, che sta dietro al suo lavoro.

Con la complicità del soprano Tiziana Scandaletti, del musicologo e drammaturgo Sandro Cappelletto e del sociologo Marco Revelli, Piacentini indaga le linee guida del pensiero che rende la Musica consapevole della sua capacità di accogliere tutti i suoni del quotidiano nel quale viviamo immersi (i “suoni delle cose” appunto) posti legittimamente a fianco, e senza pregiudizi, dei suoni delle più blasonate tradizioni musicali. In tal senso il libro, arricchito da un DVD che riporta la versione interattiva del testo e cinquantotto di estratti di “foto-musica” con la voce proteica di Tiziana Scandaletti, si configura come vera e propria opera prima nel quadro delle attuali pubblicazioni che intersecano musica e filosofia.

Come dice Revelli nella sua Legenda introduttiva al libro: «La musica ha da sempre costituito oggetto d’interesse per la filosofia. Da Pitagora e Platone su su, lungo la storia del pensiero, fino ad Adorno e Rorty, i filosofi si sono tradizionalmente occupati della musica per assumerla nel proprio “ordine del discorso”. Per farne oggetto di pensiero. Meno consueto, anzi decisamente raro, il cammino inverso: che, cioè, un musicista si occupi “professionalmente” di filosofia, per incorporarla nella propria prassi creativa. Per trasformarla in “materia musicale”. Il libro è scritto come se fosse uno spartito. Con lo stile e il mestiere del compositore chiamato a porsi “in situazione” e “in relazione-con” gli elementi di un contesto, in un punto di osservazione su altri “paesaggi” – “paesaggio naturale”, “paesaggio umano”, “paesaggio sociale”, “paesaggio culturale” – titolari, ognuno, di una propria traccia sonora».

 

Legenda di Marco Revelli
 

La musica ha, "da sempre" (per così dire), costituito oggetto d’interesse per la filosofia. Da Pitagora e Platone su su, lungo la storia del pensiero, fino ad Adorno e Rorty (per fare qualche nome a caso, spigolando tra le pagine del libro), i filosofi si sono tradizionalmente occupati della musica, per assumerla nel proprio "ordine del discorso". Per farne oggetto di pensiero. Meno consueto, anzi decisamente raro, il cammino inverso: che, cioè, un musicista si occupi "professionalmente" di filosofia, per incorporarla nella propria prassi creativa. Per trasformarla in "materia musicale".

Riccardo Piacentini fa esattamente questo. Tratta la filosofia – le sue categorie, i suoi linguaggi, i suoi autori – come "materiale di lavoro" per l’elaborazione musicale. Rovescia il percorso tradizionale – dalla filosofia alla musica – ripercorrendolo a ritroso: dalla musica alla filosofia. Dal "lavoro" del musicista al "prodotto" del filosofo. Anzi, usa i diversi e variegati prodotti dei filosofi come strumentazione interna alla produzione musicale. Il repertorio dei testi, la ricostruzione dei passaggi più significativi della riflessione estetica sull’esperienza musicale, le citazioni e le sintesi ad ampio spettro dei più significativi pensatori non costituiscono, qui, un itinerario "laterale" – il risultato di una lettura parallela, quasi un hobby, destinata all’ampliamento della propria cultura generale, separata dall’esperienza artistica per offrirne una sorta di interpretazione a posteriori – ma al contrario ne sono una parte integrante. Una sorta di completamento intrinseco, non aggiuntivo ma complementare all’impresa musicale e alla sua progettazione. Entrano compiutamente a far parte, per così dire, della "materia" elaborata.

E ciò per una ragione dichiarata dall’autore fin dalle primissime pagine: per la sua concezione per così dire "organica" della "pratica musicale", o – ma non vorrei essere frainteso – "totale" (o, meglio, "totalmente sociale") di essa. Concezione che pone la figura del compositore (figura d’altra parte proteiforme, suscettibile di assorbire anche altri ruoli più direttamente "operativi"), al centro di un "gioco" complesso di "sfere"; nel punto di intersezione di una molteplicità di linee e di piani di relazione e di cooperazione sociale articolati; all’incrocio di processi di elaborazione e di organizzazione impegnativi… Comunque alle prese con forme di intervento e di presenza nello spazio sociale differenziate, che richiedono strutture di senso sintetiche e trasversali, di cui l’ordine del discorso filosofico è parte integrante.

Non per nulla l’autore usa l’espressione impegnativa, e performativa, «progettare la musica» per alludere al nocciolo duro della prassi musicale, parlando appunto del coinvolgimento dei «diversi strati operativi del settore» in cui la "creazione artistica" del compositore e la performance dell’interprete stanno in intimo rapporto con la dinamica di produzione dell’evento, con la gestione e la definizione del pubblico, con l’amministrazione dello spazio e la "costruzione" dell’ambiente (la «messa in scena»)… In cui cioè testo (artistico) e contesto (relazionale) risultano inseparabili nel lavoro a molti strati della progettazione musicale, e richiedono, per mantenere una forma, codici di comunicazione interni. Linguaggi interpretativi. Per l’appunto: strutture di senso, quali non solo la filosofia, certo, ma in forma particolare essa, per sua vocazione primaria, è andata sedimentando in forma di lascito teoretico riconfigurabile, sulla base di questo approccio originale, in repertorio strumentale.

C’è, poi, però, anche un’altra ragione, forse più implicita, meno apertamente dichiarata, per cui questo libro è in realtà molto di più di una semplice antologia di testi filosofici, nella forma e nel significato. Ed è il modo in cui esso è costruito. Anzi, potremmo dire, composto. Non sfuggirà al lettore attento che qui i testi, gli autori, i frammenti delle loro riflessioni, non sono semplicemente assemblati secondo una successione lineare ma sono incorporati a una struttura formale dotata di un proprio ritmo interno e autonomo, di ordini, cadenze, scansioni che rispondono a un codice musicale più che filosofico. In sostanza, che il libro è scritto come se fosse uno spartito. Con lo stile e il mestiere del compositore, secondo un preciso e consapevole modulo espressivo il quale riproduce nessi e successioni interne che non appartengono allo statuto dell’argomentazione filosofica ma ad altri codici e strutture formali che sono propri, piuttosto, del linguaggio musicale (la «forma durchcomponiert, aperta e senza riprese di tipo sonatistico» di alcuni passaggi, le «assonanze ciclico-ricorsive», nominate esplicitamente). In questo senso l’opera nel suo insieme assume una sua compiuta autonomia dai frammenti che la compongono, ponendosi, in effetti, come vera e propria "teoria immanente" della prassi musicale. Forma del pensare la musica nel suo farsi o, forse meglio, di "musicare il pensiero" facendone il tessuto connettivo di una composizione inedita. Una "poetica", insomma, come recita il sottotitolo.

Il quale suona appunto: Poetica del foto-suono. E qui la forma rivela la sua piena congruenza con la sostanza: la struttura del discorso svela la natura del suo oggetto. Perché il concetto stesso di "foto-suono" è implicato intrinsecamente con quella concezione "organica" e "totale" dell’esperienza musicale che, come si è visto, detta la grammatica e la sintassi del libro. Essa esprime esattamente, cioè, l’idea della "progettazione musicale" come modo di essere dentro il "paesaggio sonoro" e di rielaborarlo artisticamente. Dunque come relazione (dichiaratamente biunivoca) tra il soggetto della póiesis – o della creazione artistica – e il suo ambiente. Tra la sua soggettività, e il "suono delle cose".

È un’opzione metodologica forte, che colloca il musicista all’interno di una molteplicità di fattori che è chiamato, in qualche modo, a ri-strutturare: lo pone "in situazione", si potrebbe dire, e "in relazione-con" gli elementi di un contesto non più ridotto a mero "esterno" passivo – spazio vuoto da riempire artisticamente, luogo di estroflessione di un’interiorità auto-centrata e autofondata –, ma assunto, programmaticamente, come "protagonista attivo" dell’azione creativa. Come mosaico di "mondi vitali", dotati ognuno di un proprio spessore, di un proprio racconto, di una propria realtà in attesa di essere "udita" e dunque "mediata"; o punto di osservazione su altri "paesaggi" – "paesaggio naturale", "paesaggio umano", "paesaggio sociale", "paesaggio culturale" – titolari, ognuno, di una propria traccia sonora.

Non per nulla il libro si apre con una "lettura" di Schelling, e della sua concezione della musica come arte figurativa – arte "reale" – impastata di materiale vitale: della sostanza (sonora) prodotta dalla vita, come tale medium espressivo, testimone di qualcosa, eco di un racconto. Passa attraverso una lunga catena di riflessioni, come quelle di Gadamer sull’"arte come conoscenza" ed "esperienza del mondo e nel mondo"; o la straordinaria intuizione di Horkheimer e Adorno sullo scioglimento dell’"incantato incatenamento" delle Sirene e la trasformazione della sala da musica in "Assemblea" (o in Agorà). Per giungere infine all’identificazione di Arte e Vita proposta da Spirito, e all’anarchica sperimentalità di Lyotard nella libera ricomposizione di una "pluralistica realtà di suoni"… Testi tra loro diversi per genere, scuola di pensiero, approccio filosofico, ma connessi da un filo rosso che li attraversa tutti, pur nella loro eterogeneità concettuale, costituito da un medesimo indirizzo antimetafisico, pragmatico-antispeculativo. E da un medesimo impulso: l’attraversamento dei confini, la rottura delle barriere, tra arte e mondo, in primo luogo, tra i "suoni della vita" e la "vita dei suoni" tradotta in musica. E poi tra le diverse figure del mondo musicale, tra i molteplici partecipanti alla creazione e all’esecuzione dell’opera artistica. Infine tra artisti e pubblico. In qualche misura alludono, tutti, a un atto libero di "restituzione" dell’esperienza musicale ad una mondanità vissuta che fa dell’artista un cittadino attivo del "paesaggio musicale", immerso in esso, e con esso liberamente ("anarchicamente") impegnato nella ricerca di una "forma", elaborandone i messaggi captati. Ri-componendone, in un nuovo racconto, le tracce sonore.

Questo sono infatti i "foto-suoni": frammenti attivi del "paesaggio sonoro" in sospensione nell’ambiente, portatori, ognuno, di tracce mnestiche, di significati fratti, di possibili racconti interrotti. Schegge, in movimento nell’universo sociale, da "ascoltare" e "catturare", cui spetta all’ "interprete" – ma potremmo anche chiamarlo il "traduttore" – ri-comporre secondo una sintassi poetica. Sono voci sommerse nel rumore di fondo che cresce e ci circonda, tracce di un naufragio di soggetti e oggetti, trascinate dal flusso vorticoso di una società in accelerato movimento. E colte – fotografate, appunto, come in un’istantanea – nella loro solitudine di meteore fuggitive. Come i reperti archeologici di civiltà perdute, testimoni muti sotto lo strato di polvere e terra di cui il tempo li ha ricoperti e con cui, insieme, li ha protetti, anch’essi attendono che qualcuno li dissotterri e interpelli, restituendogli la parola e ridandogli forma.

Ricordano, per molti versi, le «rovine» di cui parla Marc Augé, segni fisici di un «tempo perduto» incorporatisi alla natura dei luoghi, a cui l’antropologo – nello «scavare le proprie fette di spazio-tempo» – chiede risposte su una vicenda umana ormai travolta dal divenire e che, come egli scrive, priva com’è di una storia decifrabile e di un discorso, "capita all’arte ritrovare". Ci spiegano, dice Augé, la profonda commozione del Camus di Noces di fronte alle rovine della città romana di Tipasa, in Algeria, nel momento in cui, alla vigilia di uno scontro mortale, in un secolo tremendamente distruttivo, avvertiva con angoscia l’imminente perdita «dei propri paesaggi dell’infanzia». A me i "foto-suoni" di Riccardo Piacentini – e la sua "foto-musica con foto-suoni"© – hanno fatto ritornare in mente gli Appunti sulla melodia delle cose di Rilke. La terribile "solitudine delle cose" nel tempo della loro spogliazione e riduzione a merci, a pura funzionalità strumentale nella città-mercato o nella città-fabbrica, denunciata dal poeta.

Quelle di Rilke erano cose che avevano perso il proprio suono – che avevano perso la parola – perché si era infranta la comunità che dava senso al tutto. Si erano spezzate le relazioni tra gli uomini, e tra gli uomini e le cose che ne costituivano il contesto («ciascuno di noi vive su un’isola diversa; e tuttavia ogni isola non è abbastanza lontana dall’altra perché si possa restare in tranquilla solitudine. Uno può disturbare l’altro, terrorizzarlo, perseguitarlo – nessuno, però, può aiutare nessuno»). Esse richiedevano, per ritornare «finalmente in relazione», uno sfondo. Qualcosa capace di riprodurre la «melodia della vita». Quelli di cui si parla in questo libro, sono all’inverso suoni che hanno perduto le proprie cose. Sonorità "salvate" – strappate – da un contesto in fuga, cui la velocità dei tempi ha sottratto consistenza e stabilità. Ma anch’essi attendono la costruzione di uno "sfondo". Di un tessuto connettivo che restituisca loro un qualche senso di "parola". Di una risposta, insomma, alla desolata "solitudine dei suoni" che rende opaco l’attuale paesaggio sonoro.

La "foto-musica" è un possibile modo di rispondere a quella richiesta. Quello in qualche misura più consono alla dimensione della sfida: il percorso artistico. L’Arte come mezzo di sopravvivenza per ciò che altrimenti si perde. O come subsidium – atto di soccorso e di supplenza – a ciò che né la Storia né la Società riescono più a fare: la ricomposizione dei frammenti. Il ricupero delle memorie, in un qualche "racconto" se non condiviso quantomeno trasmissibile e ascoltabile. In essa la molteplicità delle sonorità disperse nel multiversum acustico del "paesaggio" viene intercettata e "salvata" dalla propria solitudine ricomponendola liberamente in nuove «unità variamente componibili» e – aggiunge l’autore, ed è importante – «non più atomizzabili». Entrano cioè a far parte di una nuova «forma di linguaggio di intensa umana esperienzialità»; di una neo-lingua, potremmo dire, artisticamente ricreata e capace di emancipare quelle tracce dalla loro afasia. Di restituire loro possibilità di ascolto. Di ricollocarle, attraverso la soggettività del compositore, in un qualche "ordine del discorso" che, in quanto tale, aspiri a incontrare un pubblico.

Certo, il racconto che si ascolta per questa via, non è quello "storico" degli originari produttori dei suoni. La storia, si sa, è impresa perduta ormai, nella frantumata realtà dei soggetti e degli oggetti, persino per gli storici di professione. La "musica" che si ascolta non è la narrazione autentica di ciò che è stato o che è e sta per cessare di essere. E neppure la restituzione di senso e organicità a quel "paesaggio sonoro" irrimediabilmente invaso e travolto dal frastuono del tempo che travolge e sradica. Non c’è, qui, il delirio di onnipotenza di chi crede di poter reinventare, col proprio gesto artistico, un universo. O di poter riprodurre, con la propria voce, la parola della realtà. C’è, al contrario, piena, la consapevolezza dell’irreparabile frammentarietà del mondo, a cui l’artista può solo offrire, in soccorso, la propria disponibilità a costruire un ordito: un reticolo di nessi, soggettivi e mutevoli, in cui i frammenti, salvati dalla loro banale solitudine, possano essere restituiti al libero gioco delle creatività personali. All’infinita reinterpretabilità delle loro connessioni reciproche. Qualcosa, dunque, molto simile allo "sfondo" di Rilke.

Questi, parlando degli «elementi della melodia della vita», scriveva che riconoscerli significa «cogliere del fragore di un mare in tempesta il ritmo dell’onda che si frange e sciogliere dal groviglio della rete di parole quotidiane la linea vivente che porta tutte le altre». Augé, per parte sua, parlando del potere euristico delle "rovine", diceva che esse ci riconducono a una forma del tempo "pura", non databile né raffigurabile in immagine; qualcosa «che non appartiene più alla storia ma che resta temporale». La foto-musica – dimensione dell’esperienza artistica in cui il tempo puro è messo in forma e ricostituito – risponde a questa esigenza, pragmatica e operativa, di ricomposizione, sia pur provvisoria, tra essere e tempo. Anch’essa, come il «paesaggio delle rovine» evocato da Augé – «che non riproduce integralmente alcun passato e allude intellettualmente a una molteplicità di passati» – svolge un ruolo «doppiamente metonimico»: offre allo sguardo (all’ascolto, dovremmo dire) e alla coscienza «la duplice prova di una funzionalità perduta e di un’attualità massiccia». Riannoda i fili del tempo altrimenti lacerato, aiutando il pubblico atomizzato che l’ascolta a riconoscersi in una potenziale Assemblea, se non in un’impossibile Comunità.

Marco Revelli

Scritti di Sandro Cappelletto
 

Ho perso il primo treno della mia vita una mattina d’inverno degli anni Settanta. Dovevo andare a Milano, partendo da Venezia con il ‘rapido’ delle 7.24.

C’è nebbia, i vaporetti sono fermi, attraverso Venezia a piedi, di corsa, arrivando a Santa Lucia in tempo per vedere il fanale rosso dell’ultima carrozza del "Settebello", un treno meraviglioso, perdersi in quel candore fittissimo e immobile.

Dovevo dare un esame all’Università Statale; arrivai a metà pomeriggio, il professore era semplicemente allibito del mio ritardo e io non osai raccontare la storia della nebbia. Sembrava una scusa.

Poi, ho continuato: dovevo andare a Pisa e finivo a Pistoia, dopo essere salito su un diretto che partiva dallo stesso marciapiede della stazione di Santa Maria Novella, ma dall’altro binario. Mi accomodavo sulla carrozza di coda, senza leggere la scritta: "Queste vetture non partono"; passato l’orario di partenza, mi affacciavo dal finestrino e vedevo il binario sgombro, il mio treno lontano e perso.

La realtà si prolungava durante il sonno: per anni, le mie notti sono state attraversate da vagoni, binari, annunci, ritardi, code alla biglietteria, partenze e naturalmente da treni persi, sempre, angosciosamente persi.

Ora, la situazione è cambiata: in treno ci vivo, così sono sicuro di non perderlo più. Sono un abbonato della tratta Roma-Firenze: distanza 314 chilometri, 96 minuti di viaggio, almeno guardando l’orario. Viaggio circa sei volte a settimana, senza contare gli straordinari. Mi sento talmente a casa mia, che una sera – era l’ETR delle 22.54, l’ultimo – mi sono addormentato in una poltrona singola della carrozza 3. Teneramente, mi ha svegliato una squadra delle pulizie.

Quando Riccardo Piacentini mi ha proposto questa nuova collaborazione, pensata per il Museo Ferroviario di Bussoleno, il titolo si è imposto subito, "Treni persi".

Nel racconto, tre situazioni si sovrappongono: una giovane donna è in viaggio per raggiungere il fidanzato. È partita un po’ controvoglia e sembra che tutto congiuri contro quel progetto di week-end amoroso: brutto tempo, ritardi, coincidenze che saltano, gallerie che rendono muto il cellulare, fidanzato probabilmente sempre più nervoso. Implacabile, indifferente alle sue ansie, una voce continua a scandire la serie infinita di annunci, consigli, ingiunzioni che tengono – diciamo così – compagnia alla viaggiatrice triste. Una gragnuola di informazioni via via più inquietanti, scoraggianti, incomprensibili in un inglese d’obbligo.

Alla "voce che viaggia" si alterna una "voce che ha viaggiato"; quella di un ferroviere che racconta le bellezze della Cuneo-Ventimiglia, gioiello dell’ingegneria ferroviaria. Evoca gallerie, ‘chiocciole’, ponti con l’affetto di chi queste ‘creature’ le ha viste nascere, le ha attraversate molte volte, dopo aver atteso per anni la ricostruzione della tratta, quasi distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La ferrovia diventa così luogo di affetti e di memorie.

Riccardo Piacentini ha in questi anni sviluppato una personale poetica, che ha battezzato ‘foto-suoni’. Ogni sito ha la sua vita e la sua storia acustica. Lui la raccoglie, la ‘fotografa’, la campiona, la restituisce elaborata quanto basta per riconoscerla, percependo insieme il suo intervento creativo: esemplare la serie di "Gioco-treni" che conclude il disco.

Assieme alla propria musica, sempre molto inventiva nelle scelte strumentali, e alla vocalità di Tiziana Scandaletti, sua preziosa compagna di… viaggio, Riccardo crea così un andare-venire tra il passato e il presente di un luogo collettivo, come in questo caso il treno, e la nostra individualità che percorre e vive quegli stessi spazi. Così, memoria e azione, passato e presente si uniscono.

Lavorare con lui è uno stimolo continuo. Ringrazio la Provincia di Torino e il Museo FERALP che ci hanno offerto questa nuova opportunità di collaborazione.

Scusandomi per l’assenza – non ci crederete, ma sono in treno – Vi invio un saluto affettuoso.

(Sandro Cappelletto, dalla presentazione scritta per la conferenza stampa del 6 febbraio 2004 sul CD Treni persi)

 

È stato necessario imparare ad ascoltare. Nient’altro; poi i fatti, la storia e le emozioni che quelle voci, quelle immagini sonore – quella memoria – dicevano, si sono imposti.

‘Sentire’ Traversella, questo è stato il nostro obiettivo. Restituire la complessità di una vicenda dura, importante, dolorosa, misteriosa come tutto quello che accade in una dimensione estrema: la miniera lo è.

Nella drammaturgia di Mina miniera mia, il racconto dei protagonisti incontra il loro habitat sonoro: la poetica dei foto-suoni del maestro Piacentini, la sua libera rivisitazione di un dato che gli viene consegnato dal tempo, dalla storia, trova in questa occasione un momento alto di verifica, si rivela uno straordinario strumento di conoscenza.

Il foto-suono è come la biblioteca universale immaginata da Borges: conserva le tracce acustiche, oggettive e soggettive, di un sito, innerva ciò che è stato nella verità del nostro ricordo di oggi, lo rivive nella voce che evoca e ricrea i materiali musicali consegnati dalla tradizione. Fedelmente, ‘sentitamente’, nella libertà dell’artista.

(Sandro Cappelletto, dalla presentazione scritta per la conferenza stampa del 16 maggio 2004 sul CD Mina miniera mia)

 

Recensioni
 

Da “Musica” del giugno 2012:

Letture musicali. Riccardo Piacentini, I suoni delle cose
“[...] I suoni delle cose è il frutto delle esplorazioni che il suo autore ha compiuto in tantissimi paesi per raccogliere registrazioni di suoni nei più diversi contesti (‘dal mercato popolare di Tashkent alle strade e metropolitane di mezzo mondo’), da utilizzare poi ‘nelle sue musiche e nelle sue riflessioni sulla storia del pensiero filosofico dai pre-socratici ad oggi’ [...] Riccardo Piacentini, pianista, compositore e saggista, percorre un cammino a ritroso che dalla musica arriva alla filosofia e da questa ritorna alla musica, o meglio alla composizione musicale di ‘foto-musica con foto-suoni’, da cui sono nati, a partire dal 1999, i suoi CD di sonorizzazione musicale. Nell'indagare le linee guida del pensiero che rende la musica in grado di accogliere tutti i suoni del quotidiano [...] Piacentini è affiancato, oltre che dal sociologo Revelli, anche da Sandro Cappelletto. Il volume è corredato da un DVD che riporta la versione interattiva del testo e cinquantotto audioesempi di ‘foto-musica’, con la voce di Tiziana Scandaletti. Si tratta di una lettura [... di] vivo interesse per l'arditezza dell'impostazione e l'ampiezza delle ricerche intraprese.” (Sergio Pagliantini)

Da “Il Sole 24 Ore” del 20 maggio 2012:

Il cosmo nel foto-suono
“Riccardo Piacentini è un compositore che riflette sulla musica, e con particolare consapevolezza di quanto possa essere rischioso teorizzare, riflette sulla propria musica, senza compiacimenti (e per questo parliamo volentieri di lui) bensì con forte volontà di comunicare. Ciò che imprime un marchio di fabbrica al suo lavoro di musicista, che amplia contettualmente ma anche nell'immagine esterna la sua attività di compositore, è la sua fedeltà a un istante assoluto: quello in cui il suono raggiunge l'ascoltatore e provoca in quest'ultimo un mutamento, anche minimo, anche infinitesimo, ma irreversibile. Per aiutarsi in questo suo ‘Kunstwollen’ (poiché Piacentini è interamente uomo di musica, e il suo intento è fare musica a oltranza, teorizzando, quando lo fa, non per strategia bensì per volontà maieutica, ossia per tentare di far nascere la musica nell'animo e possibilmente nel corpo e nella fisicità degli altri), egli pone, in ciò che fa, la propria faccia, la propria figura. Non soltanto la sua. Com'è noto persino in luoghi remoti del pianeta, e lo diciamo senza iperbole poiché è così, Riccardo Piacentini è legato a Tiziana Scandaletti, cantante e donna di spettacolo dello stile inimitabile, in una coppia di vita vissuta insieme e di arte teatrale e musicale ideata in rara consonanza. Questa semplice premessa, che si adatta certamente a molti altri musicisti ma sovente in misura incompiuta e discontinua, ci permette di definire il libro con il quale Riccardo Piacentini si presenta al pubblico come qualcosa di più di un teorico che rifletta sulla propria arte. Si presenta come filosofo della propria musica, e, in forma mediata, come filosofo della musica tour court. Lo sfondo di pensiero e di esperienza che nel libro appare sempre, anche contro luce, è un fine per così dire cognitivo: il riconoscere e il far riconoscere che il musicista, al centro della propria irradiazione di musica, è il punto d'intersezione di infinite realtà del mondo esterno e interiore, di tempo e di spazio, di intelligenza e di emozioni, di empatia e di astrazione. Il concetto la cui formulazione si deve a Piacentini, quello di ‘foto-suono’, ha in sé un nucleo che richiama all'origine del nostro cosmo. È quell'origine in cui, emergendo all'improvviso da una specie di nulla che tuttavia non è il Nulla, la luce-energia è tutt'uno con quel misterioso suono-energia la cui eco è diffusa nello spazio-temporalità cosmica, e della quale la scienza ha innumerevoli testimonianze. Molto personali, indubbiamente, le idee su cui il libro di Piacentini si fonda. Ma in realtà queste pagine sono tutte volte a creare una ‘entente cordiale’ con la tradizione filosofica d'Occidente. L'autore compie una ricognizione, alla ricerca di segni di una poetica del foto-suono a partire da Misone di Chene (uno dei Sette Sapienti), per giungere, attraverso Aristotele, Plotino, Boezio, Grossatesta, Galilei, Lotze, Schelling, Kierkegaard, Nietzsche, agli a noi prossimi Adorno, Benjamin, Gadamer, Rosenzweig, Lyotard, Spirito. Nel CD accluso, il concetto di foto-suono è disegnato e definito, fra l'altro, dalla voce illimitatamente plasmabile di Tiziana Scandaletti. Nell'Appendice sono riprodotti i testi di gran parte delle ‘foto-musiche’ composte tra il 1999 e il 2009.” (Quirino Principe)

Da “Classic Voice” dell'aprile 2012:

Riccardo Piacentini. I suoni delle cose. Poetica del foto-suono tra Filosofia, E(ste)tica e Musica (Curci, 352 pagine + dvd)
“Un reportage sonoro lungo un decennio, suoni d'ambiente quotidiani, raccolti in tutti i continenti e contesti – mercati, strade, metropolitane – e inseriti in progetti musicali, quali frammenti attivi del paesaggio sonoro. In questo libro, strutturato come uno spartito e corredato da un DVD con 58 esempi di foto-musica, Riccardo Piacentini, coadiuvato da amici che hanno seguito e condiviso il cammino della foto-musica, rende giustizia alle ‘minoranze acustiche’ e ne esplora la poetica alla luce del pensiero di grandi filosofi, Schelling in testa.” (Rosa Alba Bucceri)

Da “Il Corriere della Sera”, inserto “Corriere del Veneto”, del 12 aprile 2012 (sulla performance dell'11 aprile a Venezia, Teatro La Fenice, Sale Apollinee):

Piacentini: «Catturo i suoni delle cose. Viaggi nella musica»
“Un viaggio nel suono, o meglio un viaggio tradotto in suono. È quello che ci propone Riccardo Piacentini [...] in I suoni delle cose (ed. Curci, Milano 2012, euro 37,00). Da Pechino a Baltimora, dalla California all'India, Piacentini racconta i suoi ‘foto-suoni’ – idea brevettata – e lo stretto legame con la filosofia. [... Alle nostre domande così risponde l'autore:] «È un'esigenza nata nel '99 per catturare esperienze acustiche d'ogni tipo. Avevo avuto una commissione dalla Biennale di Fotografia di Torino per un'esposizione fotografica e mi è balenato lo stretto legame tra musica e luoghi. [...] nel mio libro parlo molto di estetica, del legame che fin dall'antichità i filosofi hanno studiato e approfondito con la musica, e che i musicisti hanno colto molto meno. [... La voce è] il foto-suono più completo che esista, e il più umano. Sono convinto che la musica assoluta non esista, l'espressività va al di là della bella fattura di un lavoro, e la voce rappresenta al 100% quest'idea [...] l'espressività va al di là della bella fattura di un lavoro, e la voce rappresenta al 100% quest'idea». Dall'esperienza a fianco di maestri quali Ennio Morricone, Franco Donatoni e Carlo Pinelli, Piacentini ci regala un'esperienza nuova. E insieme a lui Tiziana Scandaletti ce l'ha resa chiara interpretando la suggestiva ‘Stripsody’ di Cathy Berberian.” (Orsola Bollettini)

Da “Suonare News” del gennaio 2012:

Paesaggi sonori tra filosofia e musica
“Il paesaggio sonoro è dato dall'insieme di tutti i suoni [...] che ci circondano. Il foto-suono è un estratto del paesaggio sonoro, registrato da una tra le infinite posizioni possibili. La foto-musica è il risultato compositivo, nato dall'organizzazione dei foto-suoni. L'espressione che sintetizza questo processo, foto-musica foto-suoni ©, è stata coniata dal compositore torinese Riccardo Piacentini. Il tomo, edito dalla Curci, è stato curato dallo stesso Piacentini: un avvincente percorso, dalla foto-musica agli albori della civiltà greca, attraverso la storia della filosofia [...] Al volume è allegato un dvd, con 58 audioesempi, interpretati dal soprano Tiziana Scandaletti. Con Cage, non resta che augurare Happy Ne (Y)Ear(s)!” (Antonio Galanti)

Da “Civiltà cattolica” del novembre 2011:

Musica totale
“Il compositore torinese Riccardo Piacentini regala ai suoi lettori un libro di stupefacente originalità e – aggiungiamo – spiritualità. Spaziando, nel farlo, da Schönberg a Hannah Arendt, da Giotto a Berg, da Haydn a Camus. Uomo irrequieto, è perennemente in viaggio attraverso i cinque continenti [...] La poetica musicale di Piacentini non solo scava nel suono, nella sua percezione [...] elevando un inno alla vita [...] ma è pure attentissima a ravvisare potenti analogie fra visione e ascolto, con uno spiccato penchant per la fotografia. Musica e poetica della ‘realtà’, ma della realtà sublimata e trascesa che dovrebbe, secondo Piacentini, fungere da salutare ‘antidoto al becero inquinamento’ e da ‘traccia di una civiltà intelligente’. Agire dialogando, dialogare agendo, scrive Piacentini [...] Il concetto di ‘foto-suono’ è dall'autore accostato a quello d'una visione organica e totalizzante dell'esperienza musicale, tale da dettare non solo [...] la grammatica e sintassi di questo libro, ma anche, e forse prima di tutto, le regole che guidano la mano del compositore e che ne confortano la felice inventiva. Sicché la visione e il suono, entrambi sorretti da un'attitudine contemplativa ed esperienziale di rara sincerità e sostanza, divengono, in Piacentini, parola. Anzi, Parola.” (Carlo Alessandro Landini)

 
Elenco dei 58 audioesempi contenuti nel DVD
 

Estratto da Musica seconda (Chorsu bimbo) (1999)

Estratto dai foto-suoni di MIDI laus (2000)

Estratto da Jazz motetus VI (Cricket play) (2005)

Estratto da Raep on (2001)

Estratto da Mano mobile clic (2001)

Estratto da Gioco-treni (2003)

Estratto da Shahar (1996/99)

Estratto da La cappella di Sant’Uberto: "Sonata in trio" (2004)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Estratto da Musica seconda (Chorsu bimbo) (1999)

Estratto da Jeux d’eaux et d’oiseaux (2004)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Estratto da XXIV (2004)

Estratto dai foto-suoni di Jardins sur la pluie (2008)

Estratto da Gioco-treni (2003)

Estratto da Jeux d’eaux et d’oiseaux (2004)

Estratti brevi dai foto-suoni del CD Treni persi (2003)

Estratto da Sine nomine (2001)

Estratto da Ulaanbaatarin doo (2010)

Estratto da Aria di paragone (2001)

Estratto da Foto-suoni per le Universiadi (2004/6)

Estratto da Musica nell’opificio (2004)

Estratto da La Torre dell’orologio e la Corte d’onore (2004)

Estratto da Musica seconda (Chorsu bimbo) (1999)

Estratto da Jardins sur la pluie (2007)

Estratto dai foto-suoni di XXIV (2004)

Estratto da Shahar (1996/99)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Estratto da Picander 2004 (2004)

Estratto da Gioco-treni (2003)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Foto-suoni registrati in Old Delhi (2003)

Estratto da I Giardini reali (2003)

Estratto da Musica seconda (Chorsu bimbo) (1999)

Estratto da Mano mobile clic (2001)

Estratto da Musica seconda (Chorsu bimbo) (1999)

Estratto da Mano mobile clic (1999)

Estratto da Shahar (1996/99)

Estratto da Et amoris: tango pour Bruno (2006)

Estratto da XXIV (2004)

Estratto da Uno a cui (1995)

Estratto dai foto-suoni di Et amoris: tango pour Bruno (2006)

Estratto da Il Belvedere Alfieri (2003)

Estratto da Musica nell’opificio (2004)

Estratto dai foto-suoni di The Brown Cage (2007)

Foto-suoni registrati sulla cable car di San Francisco (2003)

Estratto da Raep on (2001)

Estratto da La Torre dell’Orologio e la Corte d’onore (2003)

Estratto da Gioco-treni (2003)

Estratto da Foto-suoni delle nuove scienze (2009)

Estratto da Romanesco (2009)

Estratto da Shahar (1996/99)

Estratto da Musica nell’opificio (2004)

Estratto da Un petit train de plaisir (2003)

Foto-suoni registrati nella metropolitana di Mosca (2009)

Estratto da Musica nelle gallerie (2004)

Estratto da An Mozart (2008)

 
 



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Ultimo aggiornamento 23 agosto 2012
 
 
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