[Campagna Scarpe Giuste]Campagna di pressione popolare
Scarpe Giuste

 

La risposta di
Francesco Gesualdi.

Egregio signor Doug Cahn, devo dire che la sua risposta è un capolovoro di pubbliche relazioni, ma se davvero vuole difendere l'immagine di Reebok, le consiglio di agire diversamente. Il primo consiglio che vorrei darle è di rispondere a tutte le lettere e non solo gli articoli che appaiono sulla stampa. In effeti né la sua impresa né la Nike, hanno ancora risposto alla lettera che vi ho mandato il 5 settembre 1996 per informarvi che il nostro Centro ha lanciato una Campagna per rivendicare impegni più stringenti rispetto alle condizioni dei lavoratori asiatici che producono le vostre scarpe . "Il Salvagente" ha scritto un articolo il 12 settembre, ma tutti i giorni alle vostre sedi italiane arrivano decine di cartoline di consumatori che non condividono la vostra politica e finora li avete ignorati. Strano per un'impresa che ha addirittura istituito un premio per i diritti umani!

Il secondo consiglio che vorrei darle è di non considerare i consumatori come persone poco intelligenti e poco informate che si lasciano abbindolare dai maghi della comunicazione. Tentiamo una volta tanto di ragionare sui fatti, senza secondi fini pubblicitari. Reebok ha istituito un premio per i diritti umani e afferma di avere un codice che fa riferimento alle norme internazionale. Come responsabile dei progetti per i diritti umani, saprà che il primo diritto dei lavoratori, da cui dipendono tutti gli altri, è quello di poter costituire liberamente dei sindacati e di poter esercitare attività sindacale compreso il diritto di sciopero. Ma oltre il 50 per cento di scarpe Reebok vengono da due Paesi (la Cina e l'Indonesia) che imprigionano chiunque tenti di organizzare un sindacato diverso da quello governativo e che di fatto vietano il diritto di sciopero .

A che serve scrivere, nel codice di condotta, che Reebok cercherà imprese che si impegnano a garantire la libertà sindacale se poi sceglie Paesi che non ammettono i diritti sindacali? A lei, signor Doug Cahn, pare che questo sia un comportamento coerente di una multinazionale che vuole difendere davvero i diritti dei lavoratori? Del resto se Reebok riconosce davvero il diritto alla contrattazione, perché non comincia a farlo contrattandoil suo codice di comportamento? Migliaia di consumatori che hanno aderito alla campagna "Scarpe Giuste" attendono una risposta a questo proposito: Reebok è disposta ad adottare un codice di condotta concordato con le Organizzazioni sindacali internazionali e con le Organizzazioni non governative che si occupano dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori a livello internazionale? Signor Doug Cahn, per rispondere a questa domanda non dovrà sforzarsi tanto: deve dire solo solo sì o no.

La questione dei diritti sindacali è solo una delle contraddizioni in cui la sua impresa incorre quotidianamente e potremmo continuare col problema delle discriminazioni, del lavoro forzato, delle paghe. Lei afferma che "esiste un filo diretto tra l'azienda e i diversi interlocutori esterni, fra cui i rappresentanti sindacali". Ma forse non ha mai interpellato il Legal Aid di Jakarta, che ha denunciato al mondo intero la morte di Popon, una donna di 28 anni, madre di due bambini, che un giorno, dopo 10 ore di lavoro, chiese di poter andare a casa perché si sentiva male. Il permesso non le venne accordato e morì poco dopo sul posto di lavoro. Il fatto è avvenuto nel marzo 1996 alla Spotec, un'impresa indonesiana che lavora per Reebok. Forse non ha mai interpellato il Christian Industrial Committee di Hong Kong, secondo cui il Gruppo Liang Shin, che in Cina produce scarpe per Reebok, licenzia le donne in gravidanza, fa vigilare i lavoratori da guardie private e non consente l'uscita dall'area produttiva all'infuori del sabato sera.

Forse non ha mai interpellato i lavoratori indonesiani che producono scarpe Reebok nella fabbrica Indoshoes. Lei saprà che il 19 giugno 1996 questi lavoratori hanno deciso di scioperare per rivendicare un aumento salariare se il trattamento economico garantito nelle fabbriche che producono per Reebok è così buono, perché ogni tanto i lavoratori sfidano la violenza dei regimi sotto i quali vivono per ottenere degli aumenti salariali?

Del resto, caro signor Cahn, se nelle fabbriche che producono le scarpe Reebok tutto è così bello, che difficoltà ha Reebok ad accettare l'istituzione di una commissione indipendente per verificare l'attuazione del suo codice di comportamento? Anche su questo punto migliaia di consumatori che hanno aderito alla campagna "Scarpe Giuste" aspettano una risposta. Ancora una volta, signor Cahn, non dovrà sforzarsi tanto: dovrà solo rispondere se Reebok accetta o non accetta questa richiesta.

 

Francesco Gesualdi
Coordinatore del Centro
Nuovo Modello di Sviluppo

 

Tratto da "Il Salvagente".


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