documento presentato dalle logopediste dell' USL n. 47 del Piemonte al fine di attivare in ambito scolastico un progetto sperimentale bilingue

Riflessioni su: Cosa significa per un sordo vivere nella scuola degli udenti

La riflessione che scaturisce da anni di inserimento dei bambini e ragazzi sordi gravi e gravissimi nella scuola "normale" (ovvero in classi composte esclusivamente di udenti con l'inserimento di un unico bambino sordo) impone che si riconoscano alcuni fatti:

1) la maggioranza dei ragazzi sordi,che completano il ciclo scolastico dell'obbligo in una scuola "normale", terminano la terza media con un bagaglio di conoscenze e di apprendimenti gravemente insufficienti rispetto alle esigenze della vita sociale e lavorativa futura. Si può sostenere che, per un alto numero di questi ragazzi, si verifichi un'evoluzione che li conduce da una normale potenzialità cognitiva (alla nascita) ad un'insufficienza mentale conseguente l'impossibilità di recepire informazioni veicolate su un canale per loro inaccessibile a livelli adeguati;

2) per i ragazzi sordi, nel corso degli anni di scuola, le possibilità comunicative e di relazione sociale con adulti e compagni udenti risultano decisamente minime e limitate con conseguente continua frustrazione, sia per i sordi sia per chi cerca "disperatamente" di insegnare loro qualche cosa. Le conseguenze possono essere di gravità diversa a seconda dei singoli casi e spaziano dall'isolamento e l'insufficienza mentale a deficit più lievi, ma ugualmente impedenti;

3) Quasi tutti i ragazzi sordi che, ad un certo punto della loro vita, vengono a contatto con altri bambini o adulti sordi, dimostrano subito un notevole interesse nei loro confronti. Esplodono possibilità comunicative notevoli ed affinità di relazione che fanno riflettere sulla correttezza o meno di mantenere per anni separati i bambini sordi;

4) L'esperienza di insegnamento ai ragazzi sordi, le ricerche e gli studi avviati in tale campo in più Paesi, prima ancora che in Italia, hanno messo in luce: - che le lingue dei segni (diverse in ogni Paese esattamente come lo sono le lingue verbali vocali) sono lingue a tutti gli effetti. - che l'uso delle lingue dei segni permette ai sordi, fin da piccoli, una relazione ed un'acquisizione linguistica pari a quella dei bambini udenti con la loro lingua materna, e quindi, permette loro di ridimensionare di molto l'handicap conseguente la lesione uditiva;

5) le condizioni necessarie ed indispensabili per l'apprendimento scolastico sono, per i bambini sordi, in gran parte, decisamente diverse da quelle significative per i bambini udenti. In particolare, l'accesso alla lingua scritta risulta loro, in realtà, precluso (intendendo per accesso alla lingua scritta qualche cosa di molto diverso dall'apprendimento meccanico della scrittura e lettura grafemica), poiché la lingua in uso nella scuola non è una lingua realmente accessibile al bambino sordo;

6) le centinaia, migliaia ormai, di inserimenti di bambini e ragazzi sordi in scuola "normale" non hanno lasciato tracce di sapere e di conoscenze utilizzabili per altre esperienze. Non si è purtroppo formato un punto di partenza che qualcuno potesse ela borare per farne "sapere comune" capace di aiutare ad affrontare il problema della scolarizzazione di chi è sordo. Le motivazioni di questo fallimento culturale si possono comprendere valutando le condizioni in cui si trovano ad operare gli insegnanti, quando "inseriscono" un bambino sordo in una classe di soli udenti: - non esiste una lingua o strumento comunicativo comune ad insegnante-bambino sordo ed a bambini udenti-bambino sordo. Per acquisire una lingua comune un insegnante impiegherebbe almeno 3 o 4 anni di apprendimento. Si lascia così che tutto lo sforzo per colmare l'incomunicabilità sia a carico del bambino che, peraltro, è già svantaggiato; - un'insegnante, spesso, si trova ad insegnare in una classe per 1 o 2 anni consecutivi, quando le conoscenze necessarie per affrontare un'ipotesi di sperimentazione con sordi richiedono un'esperienza pluriennale e su più bambini non udenti. - le problematiche connesse con l'insegnamento a chi non sente sono molteplici e richiedono una fatica notevole da parte di chi le voglia affrontare. Si tratta di rimettere in discussione tutte le proprie abitudini di comunicazione e di insegnamento e non esiste un metodo pronto. - quasi tutti i bambini sordi, già all'ultimo anno di scuola materna cominciano ad avere problemi nel rapportarsi con un ambiente umao con il quale è per loro impossibile uno scambio adeguato al livello delle loro esigenze cognitive e relazionali. - per un sordo la scuola "normale" è un ambiente che comporta deprivazione comunicativa, cognitiva, percettiva (il sordo ha esigenze visive che non sono mai considerate adeguatamente).

 

In conseguenza di quanto sin qui esposto, si sono verificati tra gli insegnanti due tipi di comportamento:

1) Quello di chi, attento al proprio lavoro e interessato alla professione di insegnante, riflette sulle condizioni più sopra elencate e comprendendo la contraddizione della situazione, si sentegravemente frustrato, condividendo sulla propria pelle l'handicap comunicativo con il ragazzo sordo. Nasce così un sentimento d'impotenza ad affrontare tale situazione., rinforzato dal fatto che la struttura scolastica si è dimostrata, fino ad ora, immodificabile al riguardo. Dal sentimento d'impotenza ben difficilmente può nascere la forza per tentare di essere positivi e propositivi.

2) Quello di chi, meno attento, meno riflessivo, vive tutto ciò come una colpa del bambino che non si impegna con la conseguente perdita di interesse verso questo ragazzo, vissuto come peso e come incapace. Da questo tipo di rapporto non può che scaturire il desiderio di finire presto questa esperienza spiacevole nel modo meno faticoso possibile. E anche in questo caso è preclusa la possibilità di fare conoscenza dell'esperienza.

 

Da questo elenco, peraltro abbastanza sommario e frettoloso, di considerazioni sulla portata dell'inserimento dei bambini sordi nella scuola "normale", si possono trarre alcune indicazioni, se si riesce a superare una prima tentazione di spiacevole pessimismo. Risulta evidente, infatti, che se si vuole tentare qualche cosa di significativo, per offrire ai bambini sordi la possibilità di un iter scolastico che renda attuali le loro potenzialità, no si può prescindere dalle seguenti condizioni:

A) Un bambino sordo deve poter vivere la propria vita scolastica in un ambiente in cui esistano altri bambini sordi.

B) Nella scuola frequentata da bambinisordi deve esserci la conoscenza reale della cultura delle comunità sorde.

C) Nella scuola frequentata da bambini sordi, devono esserci molte persone (insegnanti e non) che sanno bene la Lingua dei Segni.

D) Nella scuola che ospita bambini sordi deve esserci un pool di insegnanti che lavora per molti anni nell'insegnamento ai sordi e che è disposto a impegnarsi in prima persona in una formazione lunga e pesante nonché ad impegnarsi in una progettualità in gran parte da inventare.

E) In un ambiente educativo e istruttivo rivolto a bambini e ragazzi sordi deve esserci anche personale adulto, docente ed educativo, sordo.

Speriamo sia, a questo punto, anche ovvio concludere che in un ambiente così pensato ci debba essere il massimo rispetto per la diversità, che secondo noi significa ampliamento delle potenzialità di tutti. Lasciamo a chi ne ha il compito, se lo ritiene opportuno, l'onere di pensare a come attuare quanto parrebbe opportuno per offrire ai bambin sordi una reale possibilità di scolarizzazione e siamo a disposizione per fornire tutti i riferimenti bibliografici (ormai per fortuna numerosi) che potessero rendersi utili

logopedista Maria Teresa Lerda

Visto dal primario fisiatra del Servizio di recupero e rieducazione funzionale Prof. dr. Adriano SOSSO.

Indice

Editoriale

Scrivici