L'IDENTITA': l'esperienza di una cooperativa

La Cooperativa D.I.R.E. di Torino

di Claudio Baj

Prima di iniziare la relazione voglio soffermarmi sul termine identità. Guardiamo su un dizionario della lingua italiana per comprendere il significato della parola "identità": vi troviamo 3 significati.

Il concetto d'identità è molto difficile da definire ed anche il vocabolario non ci dà elementi sufficienti per chiarire cosa si intende per identità sorda. Forse è meglio dividere il significato di identità personale da quello di identità di gruppo.

Possiamo considerare l'identità personale come l'insieme di caratteristiche in cui una persona si riconosce e si identifica. Ad es. : io sono Claudio Baj, sono un educatore sordo, ho i capelli rossi, vivo a Torino..... L'identità di gruppo è rappresentato da quell'insieme di caratteristiche che permette di individuare il gruppo stesso e separarlo dagli altri gruppi. Ad es. la comunità italiana in America può essere definita come quell'insieme di persone che conoscono la lingua italiana, mangiano sovente la pastasciutta e quando si incontrano parlano dell'Italia. Un elemento non è sufficiente per identificare una persona come appartenente al gruppo. Continuando l'esempio precedente, non tutte le persone che conoscono la lingua italiana in America sono italiane. Tuttavia avere la lingua in comune sembra essere un elemento determinante per l'appartenenza ad un gruppo. Anche i gruppi giovanili utilizzano un linguaggio particolare, gergale, molto sovente non comprensibile a genitori od altri adulti.

I sordi hanno caratteristiche comuni ai gruppi di minoranza linguistica. Hanno lingua, usi e tradizioni proprie. Amano incontrarsi tra di loro, si fidano più di un sordo che di un udente. Questi sono tutti elementi che fanno pensare ad una specificità di cultura sorda.

La cultura sorda è sommersa, sconosciuta, talvolta inafferrabile, oppressa ed affascinante al tempo stesso. Perchè tutto ciò? Partiamo da un elemento fondamentale: la lingua. Pochissimi udenti sanno che i sordi utilizzano una vera lingua visiva per comunicare. Solo alcuni sordi sanno che la lingua dei segni è una vera e propria lingua. Molti tuttora credono che i segni che usano per comunicare siano solo un insieme di gesti. La maggior parte dei sordi pensa che la lingua dei segni sia una lingua povera, di livello inferiore a quella italiana. Tutto ciò dipende da un insieme di fattori. Gli udenti sanno che la loro è una lingua, la studiano a scuola per anni ed anni, la trasmettono ai figli, li correggono quando sbagliano. I sordi utilizzano la loro lingua a vari livelli, ci sono dei sordi che segnano correttamente, ma quanti tra loro hanno studiato profondamente le caratteristiche della propria lingua? Pochissimi, quasi nessuno. Sembra che per la maggioranza dei sordi segnanti la lingua dei segni sia valutata piu' come forma gergale, da utilizzarsi in ambienti "protetti" e da difendere dall' "assalto" di estranei, che come lingua a tutti gli effetti, mezzo potente per conoscere e trasmettere conoscenza.

In effetti, la lingua dei segni si è sviluppata ed è cresciuta in ambienti dove non era quasi mai accettata ma solo tollerata, non ha potuto essere utilizzata nella scuola come strumento di trasmissione dei contenuti scolastici ma unicamente nei momenti di ricreazione in cui poteva essere usata per comunicare "semplici pensieri di bambini". Il messaggio, comunque, chiaro e sottile era che quel "muovere le mani" era l'espressione dell'inferiorità dei sordi rispetto agli udenti, che posseggono una lingua vera e riconosciuta e, quindi, la lingua dei segni era da evitare il piu' possibile, almeno nei luoghi pubblici e con gli udenti. Questo tipo di educazione ha fatto sì che i sordi crescessero con l'idea che agli udenti fosse tutto possibile e con grande facilità, mentre per i sordi crescere e ottenere risultati passava attraverso fatica e sottomissione.

La scarsa coscienza di possedere una lingua mette i sordi in una posizione particolare. Di fronte ad un udente cercano di utilizzare la lingua italiana facendo una miscellanea fra le strutture della lingua dei segni con quelle della lingua italiana impoverendole entrambe. Troppo sovente i sordi non sono in grado di proporla come una lingua allo stesso livello delle altre in quanto pensano che la lingua dei segni non possa reggere il confronto. Ecco che la comunità sorda in Italia presenta una sostanziale differenza da tutti gli altri gruppi di minoranza linguistica: non tutti i sordi sono consapevoli e rivendicano l'importanza della propria lingua. Questo porterebbe a dire che non esiste una specifica cultura sorda. L'elemento linguistico quindi è carente o debole per definire la presenza di una cultura propria di una minoranza linguistica segnante. Di fatto però esiste un nucleo di sordi segnanti che, malgrado tutto, e sempre più consapevolmente riconosce la propria lingua come valida e utilizzabile per descrivere, conoscere e partecipare al mondo. Questo gruppo di persone rappresentano davvero un mondo a parte, integrato nella società udente ma capace di produzioni autonome e, sempre più, di scelte responsabili indipendenti.

Un altro importante elemento da considerare è il fatto che tutti i bambini per crescere passano attraverso processi d'identificazione; il genitore, gli insegnanti, il gruppo di amici e dei pari sono punti di riferimento che permettono al bambino di costruirsi una personalità. E' chiaro che non può esistere una specifica identità sorda se i sordi possono usufruire solo di modelli udenti, se il bambino sordo viene a contatto solo con la comunità udente e se all'interno della comunità sorda gli stessi adulti non credono di poter essere un modello positivo per i piccoli. La comunità sorda potrà sentirsi allo stesso livello di quella udente solo se la maggior parte dei suoi membri condividerà la coscienza di possedere una lingua comune e saprà farla apprezzare anche nel mondo degli udenti.


Possiamo riflettere sulle vicende di un gruppo di persone, udenti e sorde, che hanno costituito a Torino una cooperativa di produzione e lavoro che si occupa di servizi e di formazione. Nata nel 1990 ha subito inteso non occuparsi di problemi riguardanti il deficit uditivo, e le sue piu' o meno possibili risoluzioni, ma quello di valorizzare il lavoro e la collaborazione tra i soci. Il gruppo attuale ha superato varie prove ed è essenzialmente costituito da sordi e udenti che non si considerano solo sordi o solo udenti.

Consideriamo le persone che hanno rifiutato di lavorare insieme e cerchiamo di capirne i motivi.

Gli udenti che credevano di trovare nel lavoro una prospettiva di realizzazione personale, in quanto udenti che servivano e lavoravano PER i sordi, ci hanno quasi immediatamente lasciato, dopo le prime evidenti difficoltà dovute a diversi modi di pensare, di organizzare il lavoro, di procedere con le scelte e i tempi di attuazione dei progetti (piuttosto che a difficoltà linguistiche).Infatti cercavano una soddisfazione di bisogni personali, in denaro o in ringraziamenti.

Altrettanto, ma in un secondo tempo, un gruppo di sordi ci ha lasciato per la difficoltà di lavorare insieme (indistintamente con udenti e sordi). Quel gruppo ha ritenuto opportuno lavorare solo con sordi sfruttando le loro conoscenze acquisite senza riconoscere agli udenti un ruolo in affari che, a loro giudizio, riguardano soltanto i sordi. Essi cercavano un'affermazione sociale che non pensavano poter ottenere in un gruppo misto mentre più facilmente avrebbero potuto ottenere successo e riconoscimenti all'interno della comunità sorda.

I restanti soci della cooperativa DIRE continuano a lavorare per progetti che servano alle persone, siano esse sorde o udenti, e rispettano le competenze di ognuno. Nessuno di loro ha necessariamente desiderio di affermarsi individualmente ed è consapevole del messaggio che indistintamente rivolge sia ai sordi sia agli udenti.

E' possibile lavorare insieme, pur mantenendo caratteristiche diverse, anzi sono proprio le diversita' che rendono possibile e completa la collaborazione. Se da una parte l'esperienza dei sordi sui problemi a loro specifici è fondamentale, dall'altra parte l'esperienza degli udenti è irrinunciabile. Questo perché la cooperativa non considera il mondo degli udenti separato da quello dei sordi, e non è possibile immaginare un servizio rivolto ai sordi che escluda gli udenti o viceversa.

Il fatto che possibili soluzioni "autarchiche" e di chiusura (che ammettono soltanto l'universo sordo o l'universo udente) e quelle separatiste (i sordi con i sordi e gli udenti con gli udenti) siano impossibili non è dato dalla realtà quotidiana immodificabile. In sostanza, potrebbero benissimo crearsi due nazioni separate e distinte, ugualmente indipendenti e non comunicanti. E' invece chiaro che la separazione fra gli esseri umani rappresenta una scelta politica spesso voluta per ragioni di prestigio e interesse (il potere) di alcuni sugli altri. Il ragionamento e' questo: VISTO CHE NON POSSO ESSERE IL RE DI TUTTI, ALMENO SONO IL RE DI UN GRUPPO.

Prima di tutto, prima di una cultura sorda o di una cultura udente, prima della lingua italiana e prima della Lingua dei Segni, esistono le persone e la loro varietà che non si cancella vivendo a contatto e collaborando ma piuttosto nel contatto (e davvero solo con questo) si può esaltare. Se le diversità sono ragione di separazione, di esclusione e di intolleranza (come per esempio credere che la Lingua dei Segni appartenga solo ai sordi e che soltanto i sordi debbano gestirla e controllarne il suo possibile sfruttamento) allora è molto difficile poter stabilire a quale gruppo ci si possa identificare. Infatti siamo tutti sostanzialmente diversi e procedendo per separazioni potremmo ognuno creare un micromondo a parte.

Tuttavia le ragioni, anche forti, che accomunano gruppi di persone, se offerte a tutti, possono permettere nella varieta' un beneficio per tutti. In questo senso e solo positivamente possiamo ritenere vero che esista una comunità sorda e una comunità udente, una lingua sorda e una udente, una cultura sorda ed una udente. Per crearle basta accettarle e proporle agli altri, in positivo. Non guardare cioè in cosa si è DIVERSI ma offrire il frutto della propria diversità.

Quando invece un gruppo tende a cancellarne un altro, senza offrire spazi e contributi positivi, per esempio come hanno fatto gli udenti cercando con l'integrazione la terminazione della comunita' sorda attraverso l'educazione forzatamente inclusiva (un solo piccolo alunno sordo in mezzo ad una classe di udenti come se fosse un animale raro), il risultato che si può ottenere è un impoverimento culturale generale che porta l'altro gruppo a sentimenti di rivalsa.

Per difendersi da questo, le culture oppresse credono di poter sfuggire all'oppressione creando un gruppo inaccessibile ai fantasmi dei loro oppressori e, invece, creano al loro interno una peggiore e più pericolosa oppressione. Il riconoscimento della specificità sorda è compito essenzialmente degli udenti, quello della specificità udente è soprattutto compito dei sordi.

I sordi possono considerarsi un gruppo da rispettare soltanto promuovendo prima fra loro e poi offrendole agli udenti le loro migliori capacità. Ugualmente gli udenti possono offrire ai sordi un ambito in cui la loro sordità possa non essere vista come una disprezzabile patologia da cancellare, ma una risorsa capace di portare un beneficio a tutti e perciò da conservare e difendere contro la propria tentazione di volerla distruggere (soltanto perché la natura non ha fatto per loro la stessa scelta che se a loro capitasse adesso risulterebbe tragica, mentre per i sordi non è altrettanto tragica, anzi è la normalità, finché qualche udente non la fa diventare tale).

Claudio Baj - presidente coop. DIRE

Relazione tenuta all'incontro: CULTURA DEL GESTO, CULTURA DELLA PAROLA Universita' "La Sapienza" di Roma 15-16 Aprile 1996, dipartimento di Studi glottoantropologici.

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