ALIA 07

ALIA 2007


Oltre la soglia
di Vittorio Catani



Eccoci al consueto incontro periodico, stavolta – in verità – meno consueto del solito.

All'interno di ALIA c'è stata una rivoluzione che vuol essere non una diaspora ma una «crescita», e tutti ci auguriamo che lo sia. Perché i «numeri» ci sono. Intanto, per quanto riguarda direttamente la sezione italiana di narrativa fantastica – ora fisicamente autonoma – nella mia veste di semplice curatore posso dichiararmi soddisfatto, benché il verdetto che vale spetti sempre al Lettore. Comunque, il materiale pervenuto da Arona, Citi, Defilippi, Giorgi, Lanza, Lastrucci, Mana, Soumaré, Treves, mi sembra soddisfi – con punte anche notevoli di originalità tematica e/o di scrittura – l'intento di rappresentare la narrativa fantastica in una varietà di sfaccettature. In realtà i racconti sono nove, ma di quello uscito dalla mia tastiera dirò fra poco.

L'antologia si apre con un nome già noto da metà anni Settanta per i suoi approfonditi interventi sul cinema di fantascienza, Danilo Arona. Circa dieci anni dopo però Danilo incominciò a pubblicare anche narrativa, non solo fantastica, e da allora – come suol dirsi – non si è più fermato. Di recente un notevole successo hanno avuto, sulla rivista online www.carmillaonline.com, le sue Cronache di Bassavilla (nel giro di un anno e mezzo ne ha messo in rete circa ottanta!). Storie brevi, talora brevissime, tutte percorse da un profondo senso del mistero, non di rado in un alone di serpeggiante ironia, se non di grottesco. Grazie a Danilo una certa Italia di provincia riporta alla luce miti, terrori, trasalimenti che sembrava fossero stati rimossi. Non è vero che le nostre terre non siano tradizionalmente pregne di misteri, bisbigli, coincidenze assurde, orrori. Errato asserire che roba del genere possa verosimilmente raccontarcela solo uno Stephen King, ambientandola nelle sterminate zone rurali degli Usa o sugli infiniti rettilinei autostradali degli States. A ciascuno il suo, perbacco: ma il DNA dell'animo umano – se esiste – è unico, e Danilo Arona lo riscoperchia con originalità modellandolo su luoghi e tempi. Ultimamente molte di queste storie sono state raccolte nel volume intitolato anch'esso Cronache di Bassavilla (Flaccovio). Inutile dire che il racconto qui presente, Dagida (è il nome comune di una particolare bambolina) recupera in pieno l'atmosfera delle Cronache.

Proseguendo in stretto ordine alfabetico – come da indice del volume – troviamo Breve sosta in Antartide, del sottoscritto. Non si tratta di un racconto ma di un estratto (abbastanza autonomo) da un mio lungo romanzo inedito, Il Quinto Principio. Che l'iniziativa per questa anticipazione, o meglio «vetrina», sia partita da Massimo Citi e da ALIA mi rende lieto, anzi mi onora. Il brano naturalmente si svolge in Antartide, nell'anno 2040 circa: un'epoca in cui il mondo sarà completamente cambiato, le tecnologie delle comunicazioni avranno inventato una sorta di telepatia elettronica (virus inclusi) ed enormi quantità di capitale, spesso in mano a personaggi singoli e sconosciuti, decideranno delle sorti del pianeta. Precedono il brano alcune righe che riassumono meglio il contesto. Il Quinto Principio al momento è in fase di revisione.

Con Ola e Olb Massimo Citi ci conduce su un terreno già noto: i racconti di questo autore, sempre densi quanto a scrittura e ricchi di idee originali, hanno punti di contatto e nell'insieme formano un quadro coerente.

Stavolta siamo su un pianeta ruotante attorno a due soli (quelli del titolo), pianeta frequentato da personaggi ricchi o estrosi che si divertono nell'andare a caccia di creature aliene, autentiche o artificiali che siano. Solitamente, però, la scarsissima conoscenza che i visitatori hanno del luogo e degli esseri con i quali avranno a che fare, la loro prosopopea tutta terrestre, e altri fattori, condurranno a risultati drammatici. D'una di queste «cacce» ci narra un «personaggio» strano, insolito. Di chi si tratta? Aggiungerò solo che Ola e Olb è una delle storie più aliene che mi sia mai capitato di leggere. Già la narrazione in sé evidenzia stranezze ricca com'è, per esempio, di sigle indecifrabili (o che io non ho saputo decifrare); il finale poi svela chi sia il narratore, il che rende ancora più estraneo, quasi surreale, il tutto. Eppure il senso d'alienità che la storia riesce a creare, l'energia e le forme (forse) vitali e (forse) consce di sé che vengono così minutamente descritte, e tanto fervidamente impegnate in compiti di «vita o di morte» di cui probabilmente non sono consapevoli; la bellezza selvaggia d'uno scenario che forse nessuno riesce a valutare (tanto meno i fracassoni umani che vi scendono per la caccia, e spesso vi lasciano la pelle), provoca nel lettore quasi una commozione, un senso di estrema solitudine e di rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere apprezzato ma non lo è.

Con Viola, Alessandro Defilippi – altro nome ben noto ai lettori di ALIA – prosegue nella sua costruzione d'un fantastico quotidiano che come sempre si tinge (è il caso di dire) di sfumature decisamente personali, delicate, rette da equilibri che raggiungono ormai la perfezione. La storia è narrata da un punto di vista particolare, che rivela al lettore la verità progressivamente e in modo indiretto, inquietante. Scrittura limpida, controllatissima. Da notare che nell'intero racconto non troviamo dialoghi, ma non ce ne accorgiamo neanche. La narrazione «parla» da sé…

Mario Giorgi, con il suo Pater, è stato per me un'autentica scoperta e lo sarà – immagino – anche per molti lettori di ALIA. Nato nel 1956 a Bologna, ha già pubblicato alcune opere di narrativa presso Boringhieri. Pater è il testo più lungo di questa raccolta, scritto peraltro in una forma pericolosamente inconsueta, quasi sperimentale: un interminabile, spoglio dialogo (senza segni tipografici che evidenzino l'alternarsi delle voci, il che peraltro non è di ostacolo alla lettura) tra il protagonista, Daniele Prosperi, e un paio di personaggi che lo sottopongono a uno stringente, interminabile interrogatorio. Prosperi, risvegliatosi senza memoria degli ultimi eventi, viene accusato di un duplice omicidio: sua moglie e un'altra persona. L'interrogatorio, eseguito secondo precise tecniche, tende a far riemergere i ricordi dell'accaduto. Il dialogo riesce a fornirci indirettamente – senza che sembrino intromissioni – informazioni su un «mondo» che si svela man mano: Pater è, anche, la descrizione indiretta di un'antiutopia, un Mondo Nuovo vagamente huxleyano in cui, per particolari necessità, nel volgere di pochi anni l'organizzazione Demos ha disintegrato l'istituto della Famiglia imponendo valori ritenuti preminenti o «superiori». Ci si può provvisoriamente sposare più volte (indifferentemente con uomini o donne); madri, padri e figli (nati spesso in laboratorio) sono forzatamente separati, un loro eventuale ricongiungimento verrebbe duramente sanzionato, le unioni «coniugali» devono avere una durata limitata; l'adulterio è ammesso. A che scopo tutto ciò? Commenta uno dei personaggi: 

Il vantaggio è che non ci ostacoliamo. Il nostro affetto non impedisce altri affetti, non reclama precedenze (…) Il bene di tutti, che sembrava così lontano e in contrasto con i bisogni personali, alla fine si è trasformato nel bene concreto di ognuno… 

E ancora: 

Cosa significa amare? Amare si ama tutti, senza differenze, uomini e donne, vecchi e bambini, e anche animali e alberi. Come si può amare solo una donna? Non vuol dire spregiare, e quindi non amare, tutte le altre? […] L'idea che qualcuno pensi solo a me e voglia stare solo con me la trovo spaventosa. 

È il credo di Demos, e sotto certi aspetti non è semplice smontarlo facilmente. In questo contrasto è uno dei punti di forza del racconto: rendere ammissibile per la ragione ciò che è difficilmente condivisibile emotivamente. Nell'insieme, un notevole tour de force concettuale e narrativo, un'opera inconsueta nel panorama del fantastico attuale (e non solo). 

Atmosfere più distese troviamo (a tratti) nella storia di Consolata Lanza, Alessandro il Grande vive e regna. «A tratti», dicevo: anche questo racconto, a parte le piacevoli sezioni descrittive dai risvolti folkloristici, ha momenti che turbano: in esso l'autrice imbastisce la fascinosa ricostruzione di un rito mediterraneo di vita e di morte che si ripete da duemilatrecento anni. Dunque ancora una volta un fantastico radicato nella nostra cultura, con una Consolata Lanza ai migliori standard della sua scrittura. 

Altro nome nuovo per ALIA, Fabio Lastrucci, presente con Il paradosso G. Come probabilmente saprete, si vocifera di parole che, pronunciate – o solo pensate – possono ingenerare follia. E secondo un'antica tradizione, allorché verrà esternato il vero nome di Dio l'intero universo si autodistruggerà. Le parole sono pietre… Eccetera. Stando alla PNL di cui ci racconta Lastrucci (Programmazione Neurolinguistica), le parole sono «armi», perché – adoperate nel modo giusto – possono schiacciare la personalità, forse uccidere. Accade in questa storia (la più breve della raccolta), che vede due mondi contrapposti rispondere, in modo nuovo, con violenza alla violenza. Lastrucci è un giovane autore che dall'anno scorso cura a Napoli, per conto dell'associazione culturale «Viv'arte», un'iniziativa letteraria legata al fantastico consistente nella lettura pubblica di racconti d'autori italiani contemporanei. 

Chi conosce Davide Mana avrà a mente le capacità di questo poliedrico autore, la sua «crescita» narrativa che ALIA ha registrato volume dopo volume. Mana non si smentisce presentandoci stavolta Gli anni del Tuono, racconto ambientato fra il 1500 e il 1600 e ricchissimo di personaggi, eventi, luoghi e soprattutto battaglie. Ma attenzione: le armi che usano i suoi personaggi sono ingegnosissime e all'avanguardia; forse l'autore è a conoscenza d'una tecnologia guerresca dell'epoca, a noi finora sfuggita? Da quali misteriosi archivi, o codici, Mana ha attinto le sue primizie? La risposta c'è, ed è incastonata nel turbine inventivo di queste lotte senza respiro avvenute in un passato di cui finora non avevamo notizia: e che non ci consentirà di abbandonare la lettura prima di aver chiarito il mistero, tutti i misteri… 

Meno concitato, ma non per questo meno movimentato e sorprendente, Il sogno del Nord di Massimo Soumaré. Come i lettori sapranno, questo scrittore ha una predilezione e una profonda conoscenza – forse unico autore in Italia, almeno nel genere fantastico – delle ambientazioni e delle tradizioni nipponiche. Ma non parliamo solo dei locali sortilegi o di feroci creature soprannaturali. Qual è il «sogno» di cui narra Soumaré? È quello d'un rivoluzionario sistema politico instaurato in Hokkaidô nella seconda metà dell'Ottocento, una novità assoluta, storicamente nota con la definizione di «Repubblica di Ezo». Una repubblica nel Giappone, a quei tempi? In realtà il primo a parlare di «repubblica di Ezo» fu Francis O. Adams, segretario della legazione inglese al tempo dello svolgersi degli avvenimenti; eppure Ezo era quanto di più vicino a quel sistema di governo si potesse fare a quei tempi, in quei luoghi. E ovviamente si trattava di un governo decisamente sgradito alle tradizioni locali…

Chiude il volume Silvia Treves con Ansiolitico. A rischio di ripetermi, dirò che trovo le storie di Silvia sempre più elaborate e profonde, anche dal punto di vista della scrittura. Nel racconto che qui si presenta il lettore non faticherà a percepire la leggerezza delle parole, la pregnanza (e chiarezza) dei simboli: Silvia Treves predilige un fantastico nella più pura accezione del termine. In punta di penna si dipana la storia d'un uomo sempre in bilico su un «Di là» piantonato da un enorme ma amichevole drago-verme, un mondo adiacente che è versione ovattata e onirica del reale, pur sembrando avere una sua concretezza ma nel quale il protagonista non trova, suo malgrado, la forza di avventurarsi. «Di là» c'è tutto un mondo: Walter, il fratello morto quando entrambi erano giovani e che gli fece promesse mai più (o non ancora) mantenute… «Di là» c'è tanta altra gente. Il nostro uomo è comunque fiero d'aver trovato la strada. È sempre vissuto sul confine sfiorando il muro con le dita, per non perdersi, in una lunga attesa riempita di lavoro, di speranze vaghe come sogni nebbiosi, di sogni grigi… 

Troveremo mai anche noi la forza di varcare quella soglia?