CHAOS

Inverno francese

Gianni Carrozza


Quello che segue è la trascrizione dell'intervento che Gianni Carrozza, redattore di Collegamenti Wobbly, ha tenuto in occasione del convegno anti-Maastricht, svoltosi al CSA Gabrio
di Torino il 31 marzo scorso.Una panomarica critica sul movimento francese dello scorso anno,
quanto mai attuale in una situazione europea di generale smantellamento dello stato sociale e di
progressivo smantellamento delle conquiste passate del movimento operaio e sindacale.

In questo intervento vorrei affrontare tre argomenti che riguardano il movimento dell'autunno
francese: definire qual'è il terreno dello scontro, ed alcune tappe essenziali del movimento; definire
il contesto in cui questo movimento nasce e si sviluppa, cioè che cosa gli permette di esistere; e poi
iniziare un discorso sulle sue caratteristiche e contraddizioni.
Molto rapidamente e molto schematicamente: abbiamo, tra ottobre e novembre, una serie di scioperi
ed occupazioni nelle università che nascono all'inizio su questioni di ordine materiale (il numero di
aule, l'assenza di personale, i problemi di locali, l'assenza di quattrini ecc.) È un ciclo di lotta che
dura per circa un mese, e che arriva praticamente a lambire il movimento che si sviluppa in seguito,
e che si spegne, però, nel momento in cui cominciano ad esserci gli scioperi nei trasporti. Il 15
novembre c'è la presentazione in parlamento del piano del primo ministro Juppè, che viene accolto
con un'ovazione dalla maggioranza parlamentare. Ovviamente ci sono anche esperti economisti,
intellettuali e giornalisti che applaudono al coraggio e all'audacia di questo piano, ai quali si
aggiunge qualche sindacalista come Nicole Notà della CGT. Ora, rapidamente, vorrei ricordare
quali sono le questioni che Juppè inserisce nel suo piano e in quale serie di misure queste cose
trovano il loro posto. Intanto la statalizzazione della sicurezza sociale che fino a quel momento era
stata a gestione paritaria fra padroni e sindacati con una copertura dello stato, l'aumento dei
contributi per la Sicurezza Sociale, l'allargamento a tutti i redditi che fino ad allora erano in parte
esenti, quindi compresi i pensionati, i disoccupati, i bassi redditi eccetera, un controllo più rigido
sulle prescrizioni delle ricette mediche, l'aumento di quella che viene chiamata la "Contribuzione
Sociale Generalizzata" che è una specie di tassa in percentuale sul salario, su tutti i salari e su tutti i
redditi. Nel giro di qualche giorno il ministro dell'economia proporrà l'eliminazione e
l'abbattimento del 20% a cui tutti i salariati hanno diritto, quello che in Italia verrebbe definito
"spese di produzione del reddito", che però permette ad una quota importante di redditi da lavoro
dipendente di essere esenti dalle tasse, dalle imposte che sono progressive, per ora. Nello stesso
tempo viene rinegoziato quello che viene definito il Contratto di Piano delle Ferrovie francesi che
prevede il taglio di 6000 chilometri di linee, una riduzione di organico, aumenti di produttività,
nuova competitività europea e palle varie, con un attacco diretto alle pensioni dei macchinisti, che
adesso vanno in pensione a 50 anni e che vedrebbero elevata l'età della pensione, ed un attacco a
tutti i regimi speciali delle pensioni del settore pubblico in nome dell'uguaglianza e quindi della fine
di questi orribili ed incredibili privilegi che distruggono la competitività dell'economia francese e
che soprattutto sono un insulto a tutti quelli che lavorano nel settore produttivo, ci sarebbe
un'elevazione da 37 anni e mezzo a 40 anni come è già stato fatto per le pensioni nel settore privato.
Cioè vediamo come in sostanza ci sia un attacco alla progressività delle imposte dirette con uno
spostamento dell'imposizione sull'IVA e sulle imposte in percentuali prelevate direttamente sulla
busta paga, cosa che fino a quel momento non era generalizzata, la riduzione del numero delle
aliquote, in particolare per quelle degli alti redditi, che avrebbero golosi doni, e ovviamente un
inizio di smantellamento del welfare e un inizio, rapido, delle privatizzazioni del settore pubblico,
delle imprese controllate dallo stato e dei servizi.
Per quanto riguarda le date, e cioè il modo in cui il movimento si sviluppa, ne richiamerei
rapidamente alcune che mi sembrano cruciali. Il 19 novembre il ministro dell'economia parla per
primo dell'abbattimento del 20 % per i salariati: cioè tutti i salariati incominciano a sentirsi toccati
dalle riforme, mentre fino a quel momento sembrava che si trattasse in parte delle ferrovie, in parte
del problema della Sicurezza sociale; ma da quel momento c'è la certezza che tutti sono toccati, sia
nel settore pubblico che in quello privato, ma in particolare nel settore pubblico.
Il 24 novembre c'è uno sciopero con una manifestazione nazionale a Parigi in cui Nicole Notà viene
fischiata dalla sua stessa base, cosa che ovviamente fa scoppiare lo scandalo: <<Ah, questa povera
segretaria dell'unica confederazione che aveva appoggiato il rigoroso e coraggioso piano di riforma,
che aveva osato attaccare i privilegi della sua stessa base sociale, viene aggredita ...>>. Insomma, su
questa storia si scatenano tutti i media. Ovviamente Notà non viene nemmeno toccata, ma ciò poco
importa. La cosa più importante e che le ferrovie cominciano ad entrare in sciopero e vi resteranno
per 25 giorni.
Tra il 5 ed il 7 dicembre ed fra il 12 ed il 16 dicembre scendono in piazza, ad un ritmo estremamente
serrato, diversi milioni di persone. In particolare, nel corso di queste due settimane andiamo dal
mezzo milione di persone del 5 dicembre al milione di persone che scendono in piazza il 12 ed in
particolare ai 2 milioni del 16 dicembre e fino ad arrivare nelle più piccole città di provincia: non è
cioè un movimento parigino, è un movimento generalizzato in tutta la Francia. Questo dà la misura
di quanto le corde che il governo ha toccato siano corde sensibili per tutti, non solo per i salariati del
settore pubblico, ma per tutti i salariati in generale ed anche per i molti cittadini che danno
semplicemente solidarietà, a volte intervengono nelle manifestazioni, a volte si limitano
semplicemente ad approvare nei sondaggi.
Fino ad arrivare al 21 dicembre, cioè all'inizio del declino del movimento, che i sindacati si
affretteranno a sotterrare.
Faccio però ora un passo indietro, ritornando a quello che è il contesto, alla situazione francese
prima dell'autunno 95, cercando di essere rapido e schematico per non farla veramente troppo
lunga.
Intanto dobbiamo tenere conto di quello che è l'attacco costante e sistematico alle condizioni di vita
e di lavoro dei salariati nel corso degli ultimi 15 anni, gestiti dalla presidenza socialista, con dei
momenti in cui c'è una compartecipazione al governo della destra che in genere provoca i sussulti
più grossi. Quello che però è caratteristico è che si comincia il primo settennato socialista con
l'eliminazione delle indicizzazioni sui salari (quello che riporta in fondo la Francia in pista per i
progetti di integrazione europea) e, in pratica, viene tagliata l'erba sotto i piedi a tutti i sussulti di
conflittualità sociale. C'è una ristrutturazione dell'organizzazione del lavoro in tutta la struttura
economica del paese, l'ideologia dell'impresa penetra in tutta la società, le teorie manageriali,
fondate sul consenso, dominano largamente in tutta l'industria, soprattutto nel settore privato, e
cominciano ad essere importate, in maniera anche abbastanza rapida, nel settore pubblico; in
particolare nelle ferrovie, comincia a prendere piede quella rottura della tradizione che è fondata sul
rispetto delle competenze di mestiere e dell'identità del pubblico servizio, cioè quella che fonda
l'identità del ferroviere, l'idea che si entra nei servizi pubblici in parte per una sicurezza del posto di
lavoro, che viene scambiata con un salario più basso che nei settori privati, che è una cosa di
dominio pubblico. Però non c'è soltanto questo: c'è qualcosa di positivo nel modo in cui i ferrovieri
vivono il loro lavoro. E questa cosa viene attaccata in maniera brutale e viene in parte sostituita da
gruppi neomanageriali condotti da gabinetti di consultazione, che non conoscono assolutamente la
situazione, ma che hanno le loro teorie e le vanno ad applicare.
La seconda questione è la tendenza alla privatizzazione di tutte le imprese pubbliche (l'acqua,
l'energia, le poste, le telecomunicazioni, i trasporti pubblici, urbani ed extraurbani), che si comincia
cioè ad entrare finalmente in Europa, smantellando uno stato neosovietico, e tutte queste palle qui.
E questo è un attacco alla concezione di quello che chiamano il servizio pubblico alla francese, in
cui c'è un grosso senso di responsabilità nei confronti del cittadino che è poi uno degli elementi che
caratterizza in fondo il rapporto tra stato e cittadini in Francia che risulta a volte incomprensibile per
noi italiani. Perchè in effetti il cittadino francese si aspetta qualcosa dallo stato: si aspetta efficienza,
si aspetta che in cambio di tasse riceva servizi che funzionano e, da parte di chi lavora nel settore
pubblico c'è la coscienza di fornire dei servizi utili, socialmente utili.
Un altro elemento è l'aumento dei profitti nella maggioranza delle imprese, chiaramente a scapito
della quota dei salari, fondato sulla intensificazione e sullo sfruttamento della produttività. I regali
dello stato al padronato, con la giustificazione della lotta alla disoccupazione, sono sistematici:
troviamo quindi la fiscalizzazione dei contributi e i premi per l'assunzione di giovani, che spesso si
trasformano in licenziamenti di anziani per riassumere giovani a salari più ridotti ed in parte
finanziati dallo stato. Si tratta della conferma delle motivazioni che avevano fatto nascere il
movimento del '93 contro il C.I.P.(contratto di primo impiego) e la precarizzazione del lavoro.
Precarizzazione del lavoro che ha un rapporto diretto con la disoccupazione, con la "disciplina" del
lavoro e con un effetto di "consenso" da parte dei salariati a questa nuova organizzazione più
competitiva, più efficiente, eccetera.
Quello che però si vede nella società francese, quello che per lo meno io ci vedo, è una tendenza
netta alla polarizzazione della società e a una riduzione delle mediazioni sociali. Voglio fare alcuni
esempi. Il primo è l'aumento della disoccupazione, che comincia a colpire l'immaginario dei media,
dei giornalisti, perchè comincia a toccare anche i quadri; dopo cioè che i quadri hanno fatto una
serie di ripuliture di operai, cominciano ad essere toccati anche loro: primo perchè, in fondo, non
servono più e poi perchè i padroni scoprono che risparmiando sul salario di 100 quadri ottengono
gli stessi risparmi che ottenevano sul salario di 1000 operai e così via.
Il secondo è l'espansione della grande distribuzione, che erode il piccolo commercio, una fascia che
funzionava come ammortizzatore sociale.
Quindi la riduzione del numero di agricoltori, riserva tradizionale sul piano della base elettorale delle
destre, con un aumento, per approfittare della politica agricola europea, dell'aumento delle superfici
per proprietario, e così via.
Dall'altro lato vi è l'aumento dei disoccupati e degli esclusi, con tre milioni di disoccupati, cinque
milioni di persone in gravi difficoltà economiche, decine di migliaia di senza casa. Comincia cioè a
delinearsi nettamente quella che verrà poi definita la frattura sociale, ciò su cui Chirac farà la sua
campagna elettorale e su cui, in parte, viene eletto, anche se con motivazioni diverse. Sono cose che
danno poi dei risultati, se vogliamo, spettacolari sul piano dell'immagine. Per esempio nei film che
iniziano a circolare in questi mesi, come "L'odio" o "L'età degli Dei", che sono film sulle periferie,
ma anche film sulla paura delle classi dirigenti di questa frattura sociale. Prendiamo ad esempio "La
cerimonia" di Chabrol. Credo che sia il film più chiaro sulla frattura sociale e sui pericoli che la
frattura sociale può provocare nei posti più sperduti nella provincia francese; ed è un film che non è
piaciuto alla sinistra bene, per niente, perchè in quel film c'è gente senza ideologia, senza grandi
discorsi dietro, che si ribella, senza neanche sapere che si sta ribellando, ma comunque facendolo.
Ed ancora, la sfiducia da parte della popolazione nei confronti della classe dirigente, la
moltiplicazione dei casi di corruzione, una specie di tangentopoli alla francese che vede messi a
nudo i rapporti tra imprese e partiti, o nelle imprese stesse l'abuso di beni sociali, dirigenti che
pescano a piene mani nelle casse delle società, o ancora gli arricchimenti personali di affaristi e
politicanti, che sono in parte l'ultimo dato del settennato socialista ma anche il prodotto immediato
del ritorno della destra al potere che non è da meno nel pescare a piene mani nelle casse pubbliche.
E ovviamente uno degli effetti di questa sfiducia è l'aumento dei voti all'estrema destra lepenista.
Sull'altro versante la desindacalizzazione massiccia e la frantumazione e la concorrenzialità tra i
sindacati. Più riducono la loro presenza all'interno del corpo dei salariati, più continuano a litigare
tra di loro.
Ora noi ci troviamo di fronte a quindici anni di pace sociale, governata dai socialisti; questa pace
sociale viene rotta soltanto da alcune lotte di categoria importanti, a volte consistenti sul piano
nazionale, ma isolate rispetto al corpo della società. Le richiamo brevemente: dall'86 al 93 abbiamo
tutta una serie di lotte studentesche, abbastanza importanti (nell'86 sono liceali, poi universitari,
quindi di nuovo liceali, in seguito ancora universitari, fino ad arrivare al movimento contro il C.I.P.
del '93). Di queste cose non sto a dilungarmi perchè ne abbiamo parlato parecchio anche su
"Collegamenti" e chi vuole andarsele a rivedere credo che abbia tutti gli elementi. Però quel che è
interessante notare è come ci sia una divisione categoriale, anche se con un'estensione nazionale, un
isolamento rispetto al resto della società e un'assenza o quasi di sedimentazione organizzativa. Non
funziona più il rapporto che in fondo si conosceva negli anni settanta: prima si facevano le lotte e
poi restava l'organizzazione, cosa che ha alimentato per anni l'ideologia dei partiti e dei partitini di
estrema sinistra. Queste cose non ci sono più: sembra che alla fine delle lotte la gente non si ponga
più il problema di lasciare tracce del proprio passaggio. La seconda cosa è la nascita e lo sviluppo di
coordinamenti seguiti da espulsioni dai maggiori sindacati, in particolare dalla CGT, e la nascita, a
volte, di piccoli sindacati radicali, come è il caso del SUD nelle poste e il CRC nella sanità. Non
faccio l'elenco completo, ma li ritroviamo poi tutti, questi piccoli sindacati radicali. Sono
organizzazioni che hanno più le caratteristiche dei coordinamenti di cui hanno fatto parte e di cui in
parte hanno espresso le esigenze nei cicli di lotte precedenti, che di veri e propri sindacati, che sono
invece quei sindacati, cosiddetti responsabili, che partecipano alle trattative nazionali e che saranno
tra gli affossatori del movimento. E la ripresa poi, così sul piano del colore locale, della CNT
francese, vecchio sindacato di matrice anarchica, che esisteva già dal '46, e che riprende ad essere
visibile nelle manifestazioni, con la stampa che si mette a fare discorsi di colore sugli anarchici che
tornano, sul loro look, su come si vestono. Vorrei però sfumare questo discorso ricordando che
quella del coordinamento è una forma di lotta che è specifica della situazione francese. Vi voglio
citare un brano molto breve di un giornale italiano che non riguarda direttamente questa lotta, ma
che può dare un'idea di come, già in passato, si vedeva il rapporto tra sindacati e coordinamenti:
<<Abbiamo detto che questa corrente di scioperi ha travolto tutte le dighe della disciplina confederale
e questo è uno degli indici più significativi della situazione. In quasi tutte le categorie di scioperanti
si è avuto il fatto identico: si è iniziato il movimento spontaneamente e all'assemblea generale,
indetta dal sindacato, non è rimasta altra cura che di sancire il fatto e di approvare, solennemente, lo
sciopero già in corso. Laddove, come nei trasporti urbani, i comitati hanno convocato d'urgenza
l'assemblea data la gravità della situazione, gli operai hanno abbandonato il lavoro nella giornata per
meglio prepararsi all'assemblea della sera, ed i partigiani della disciplina sindacale ne sono
esterrefatti. Non capiscono. Non capiscono che vi sia qualcosa di nuovo, oltre ed al di là dei quadri
e dei programmi sindacali>>.
Questo brano non è tratto da una rivista operaista degli anni settanta, ma dall'"Avanti" del 1919 che
parla degli scioperi del primo dopoguerra. Quella situazione la ritroviamo poi nel '36, la ritroviamo
negli scioperi del secondo dopoguerra, la ritroviamo in parte nel '68. I sindacati, pur persistendo e
recuperando adesioni e consensi dopo i vari cicli di lotte, nel momento della lotta stessa pagano il
prezzo della loro divisione, della loro indecisione, del loro burocratismo, e spesso gli operai, i
lavoratori, si organizzano da soli. L'elemento di novità degli ultimi dieci anni è che, mentre fino agli
anni sessanta dopo ogni lotta c'era una ripresa di iscrizioni massiccia ai sindacati, al coordinamento
dei quadri sindacali, in quest'ultimo decennio la tendenza alla desindacalizzazione è continua e
costante. È un dato in parte mondiale ed in particolare europeo e dei paesi a capitalismo maturo: ma
è particolarmente forte in Francia.
Torniamo rapidamente alla questione del movimento di dicembre. Esso è l'espressione di quello che
si può definire "averne le palle piene", cioè che tutta la gente ne ha abbastanza e non sopporta più la
situazione creatasi, perchè ci sono cose che si sono accumulate nel corso dei vari anni. Per esempio
l'ideologia neoliberista della guerra economica è un meccanismo che non si ferma a misure di
riforma come quella Juppè, ma si spinge sempre più lontano. E gli esempi degli Stati Uniti e della
Gran Bretagna sono gli esempi che la gente ha sotto gli occhi: li vede e si rende conto che dopo le
riforme che propone il governo non si fermerà lì, che l'unica cosa che li può bloccare è una
reazione, di fondo, messa in atto dai salariati. C'è poi l'atteggiamento del governo: per esso si tratta
di spiegare la riforma, non si tratterà mai di contrattarla, cosa su cui poi i sindacati avranno in parte
buon gioco, rientrando nel giro delle contrattazioni nel momento in cui il governo aprirà uno
spiraglietto. Tutta l'ideologia impersonale del mercato mondializzato che spinge a rompere le
rigidità, ad eliminare tutti i privilegi corporativi dei vari gruppi di lavoratori, è incarnata bene da
questi tecnocrati al governo che sembra veramente facciano di tutto per diventare odiosi alla
popolazione. Cioè, se li avessero pagati, se li avessimo pagati per diventare odiosi non avrebbero
potuto far di meglio probabilmente. L'ideologia che hanno seminato sul fatto, che è diventato senso
comune, che bisogna essere competitivi, si può dire veramente che li accechi, che ci credano e
credano che tutta la gente ci creda al punto da considerare che gli imperativi del mercato siano
un'evidenza che si dovrebbe imporre di fronte alle necessità di sopravvivenza individuali dei singoli
salariati. Ma i salariati ragionano concretamente in un modo diverso e nel movimento si vedrà.
Ecco, questa rottura tra la classe politica e la popolazione viene messa in evidenza in qualche modo
dalla campagna elettorale di Chirac, tutta basata sulla lotta contro la frattura sociale, e dal voltafaccia
successivo nel momento in cui arriva al potere ed individua nella lotta contro il deficit di bilancio il
terreno prioritario dell'azione governativa. In quel momento anche la gente che aveva votato per lui
si sente tradita e anche questo spiega come mai ci sia in piazza anche una parte della base elettorale
di Chirac. Ricordo, per esempio, la manifestazione del 23 novembre. Quello che mi aveva colpito
era una presenza massiccia di forze operaie che non si vedeva da anni, ma anche una presenza in
piazza, come manifestanti, di poliziotti. Le organizzazioni sindacali dei poliziotti che non hanno
diritto di sciopero, erano tutte in piazza a manifestare il loro malcontento, anche perchè col piano
Chirac gli facevano fare gli straordinari senza pagarglieli fra l'altro; cioè c'erano motivi concreti, ma
c'era anche un sentimento di "ras le bol", non ce la facciamo più, è abbastanza.
I settori sociali che entrano in lotta non sono i più poveri, non sono i più disgraziati, non sono i più
ricattati. Sono quelli che si vedono denunciati come privilegiati di fronte all'opinione pubblica, sono
quelli che rispetto al ricatto del posto di lavoro hanno ancora la possibilità di lottare senza essere
licenziati. Anche se bisogna dire che nel pubblico impiego c'è una marea di precari perchè il primo
datore di lavoro che utilizza i precari è proprio lo stato: e questi ovviamente in piazza c'erano. E
sono quelli che si sentono più ingiustamente colpiti. C'è quindi un senso di ingiustizia profonda che
viene fuori dalla società francese e i salariati del pubblico impiego lo rappresentano tutto.
Passerei su tutto quello che riguarda l'atteggiamento dei vari sindacati perchè prenderebbe troppo
tempo. Ci sono però due cose importanti da ricordare: l'accordo del '93 sulle pensioni, che ha
portato nel settore privato da 37 anni e mezzo a quaranta anni il periodo di contribuzione per
ottenere il massimo della pensione, e l'accordo quadro padronato-sindacato del 31 ottobre del '95
sulla flessibilità del tempo di lavoro. Tutto ciò comincia a pesare anche sulla credibilità dei
sindacati. La gente che scende in piazza queste cose le ha ben presenti. Per esempio: l'accordo sulle
pensioni spiega come mai il settore privato non entri in sciopero, perchè si sentono già traditi,
mollati e soltanto verso la fine del movimento ci sono settori della C.G.T., sulla spinta di settori più
autonomi, che cominciano a porre il problema del ritorno ai 37 anni e mezzo anche per il settore
privato. Ci sono caratteristiche del movimento che danno il senso delle contraddizioni. Il blocco
totale dei trasporti ferroviari, urbani ed interurbani, ha un effetto sui cittadini; tutti sono a piedi, in
bicicletta, ma c'è un'enorme simpatia da parte della gente e spesso c'è solidarietà; e nel settore
privato, dove non ci sono scioperi, falliscono i tentativi del governo di organizzare comitati di utenti
contro gli scioperi. I giornali parlano, per esempio, di uno sciopero per procura dei lavoratori
pubblici che rappresenterebbero così anche i lavoratori del settore privato: però c'è il dato di fatto
che i lavoratori del settore privato non scioperano. E non solo. C'è un sacco di gente che fa sacrifici
enormi per andare a lavorare, passando magari sei o sette ore nei trasporti o facendo auto-stop, e
andando a lavorare, per far vedere che lavora, anche in posti dove vive col ricatto della
disoccupazione.Ciò ci dà la misura di quanto l'ideologia del lavoro e l'imposizione, l'identità, del
lavoro sia ancora profonda nella società francese.
Vi sono poi, naturalmente effetti sull'economia. È vero che gli scioperi accentuano la caduta dei
consumi, che era già evidente all'inizio dell'autunno, però l'effetto sull'economia sembra che sia
meno grave dello sciopero dell'86, e questo mostra l'importanza delle trasformazioni che si sono
date nel corso di questi dieci anni sul piano dell'informatica, del tele-lavoro, dell'utilizzazione di
centri di smistamento postali diversi e alternativi. Ma ci sono anche effetti sul resto del movimento,
le difficoltà nel raggiungere i luoghi di lavoro riducono le possibilità per altri settori di ritrovarsi in
assemblea, di mettersi in lotta. Sugli studenti è uno degli effetti più netti, più evidenti.
Bisogna non nascondersi l'effetto moltiplicatore che esiste sul piano dello spettacolo, perchè tutto è
fermo e ci sono un sacco di manifestazioni: ciò però pieno di contraddizioni sul piano concreto
perchè il livello reale della lotta è probabilmente minore di quello che sembra all'apparenza. Inoltre
ci si rende conto che il ritmo delle manifestazioni del movimento che viene scandito da una serie di
cortei, in cui la gente si ritrova in piazza, riconosce la propria forza, vede il proprio numero e quindi
ha voglia di continuare a lottare, è un ritmo che non viene deciso nelle assemblee, ma viene deciso
dalle direzioni dei sindacati che hanno una struttura nazionale.
L'ultima cosa che volevo far notare, per concludere, è che, al di là di tutte le contraddizioni che ci
sono state, ciò che, secondo me, è stato essenziale in questo movimento è che esso rompe con il
senso di impotenza che per dieci anni ha dominato sulla società salariale francese e dimostra a tutti
che è possibile lottare ed è possibile vincere anche in condizioni difficili, modificando i rapporti di
forza esistenti.


Torna alla pagina precedente

Torna alla Home Page.