CHAOS

L' effetto kanban nell'organizzazione del lavoro alla FIAT di Melfi
6.
Laura Fiocco



Note
[1] Lo stabilimento Fiat di Melfi ha assunto una denominazione sociale autonoma: Sata (Società Automobilistica Tecnologie Avanzate), presumibilmente per costituire uno strumento formale che permettesse di slegare la contrattazione aziendale dai vincoli contrattuali sedimentati nel tempo alla Fiat. La Sata ha iniziato la produzione delle pre-serie della Punto nel settembre 1993 e quella della Y nel maggio 1995. La sua capacità produttiva è di 1600 auto al giorno (450000 all'anno) e sono previsti 7000 addetti, di cui circa 700 impiegati/dirigenti.
[2] "Melfi è probabilmente l'epicentro dell'innovazione sociale, non certo dell'innovazione tecnologica e organizzativa. Ciò che abbiamo fatto a Melfi lo abbiamo fatto a Mirafiori, soltanto con una scala diversa per l'ampiezza della realizzazione" (Cfr. Cesare Annibaldi dialogo con Giuseppe Berta, Impresa, partecipazione, conflitto. Considerazioni dell'esperienza Fiat, Padova, Marsilio, 1994, p.98.
[3] Mi sembra teoricamente corretto il suggerimento di Coriat di chiamare ohnismo, invece che toyotismo, il complesso delle innovazioni organizzative prodotte dalla scuola giapponese, non solo per rapportarle a colui che ne sta all'origine ma anche per rendere più chiara la distinzione tra i principi metodici e la loro implementazione, il cui processo è ancora in corso.
[4] Dichiarazione al seminario per la presentazione del libro "Viaggio a Melfi" di Domenico Cersosimo, Rende, 30 Novembre 1994.
[5] Annibaldi C., op. cit., p.33.
[6] Ogni scocca passa da una stazione all'altra con un cartellino che specifica le varianti (colore, cilindrata del motore, tipi di accessori, ecc.) previste dal compratore.
[7] Alcune fasi del montaggio che a Cassino erano state automatizzate qui sono state progettate per essere eseguite manualmente, perché, spiega Magnabosco "le macchine non riuscivano a sostituire efficacemente la mano dell'uomo" (colloquio informale, Novembre, 1994).
[8] Con le presse tradizionali, che dovevano essere riattrezzate fermando la produzione, il cambio stampi, tra preparazione e verifiche, poteva durare anche un paio di giorni. Si capisce perché, prima che i giapponesi inventassero il set up esterno, alle presse si producesse a grandi lotti.
[9] Sulle implicazioni di questa attenzione rispetto all'ambiente di lavoro, che configura una "nuova ergonomia", si veda: Cerruti G., La fabbrica integrata, in "Meridiana", 1994, n.21, pp.116-118.
[10] La pausa fisiologica è normalmente distribuita a rotazione autogestita. Ma nel caso in cui, per qualsiasi motivo, la linea venga fermata, il tempo di fermata è imposto come tempo pausa.
[11] Alla Toyota, lavorando su due turni di otto ore con un intervallo di quattro ore si può ottenere con lo straordinario un aumento di capacità del 50%. (Cfr. Shingo S., Il sistema di produzione giapponese toyota, Milano, Franco Angeli, 1985, p.172).
[12] Ivi, pp.183-186.
[13] Si pensi, ad esempio, al montaggio dei rivestimenti interni delle porte.
[14] Lo stabilimento è stato progettato prevedendo un'area contigua per l'installazione di 22 fornitori di prima fascia. L'"autostrada" che li unisce, entrando senza soluzione di continuità nello stabilimento, è un'arteria diritta lunga un chilometro e mezzo e larga 24 metri. I fornitori sono collocati ai suoi lati, su due file.
[15] La "chiamata" è automatica, realizzata via teleprocessing (TP). Se consideriamo, ad esempio, i componenti che devono arrivare alle stazioni di montaggio (altri arrivano in lastratura), la chiamata - per tutti i fornitori del comprensorio- avviene automaticamente nel momento in cui la singola scocca arriva dalla verniciatura al montaggio. Ogni fornitore avrà un proprio "tempo finestra" (tempo tra la chiamata e la consegna) - determinato dal tempo che impiega la scocca per arrivare alla stazione dove è previsto il montaggio del componente di sua competenza - entro cui gestire il flusso delle consegne (sincronizzando la propria produzione con quella del committente e/o usando il magazzino).
[16] Nel comporre il carico il fornitore sa quanti pezzi spedire e con che frequenza. Quello che non può sapere - se il "tempo finestra" è inferiore al tempo di carico sommato a quello di trasporto - è se il mix di prodotto spedito (esempio: motori di diverse cilindrate) sarà proprio quello necessario all'arrivo. In questo caso è Sata che deve adeguare la propria sequenza del prodotto in lavorazione.
[17] Le Pera T., Intervista, in Bonazzi G., op. cit., p.171.
[18] Zero difetti è qui una variabile strutturale, cioè risponde a una necessità intrinseca del processo altamente automatizzato e linearizzato; e non, invece, alla semplice volontà di produrre un prodotto di qualità, in funzione del mercato (una tesi diffusa). Lo dimostrano tutti i dispositivi, i più svariati, di fermo-macchina.
[19] Si capisce pertanto perché il just in time presupponga, come rileva Coriat, la ricerca di un nuovo principio di efficienza basato sull'ottimizzazione dell'equilibrio generale delle linee e dei processi, e perché questo approccio sia stato denominato "sistemico".Cfr. Coriat B., Ripensare l'organizzazione del lavoro, Concetti e prassi del modello giapponese, Bari, Dedalo, 1991, p.63
[20] Il tempo effettivo di attraversamento del prodotto (lead time) varia in rapporto ai ritmi di lavoro, alle soste, ai ricircoli e alle fermate. Secondo una ricostruzione fatta da Ceccotti, il tempo teorico dalla lastratura al collaudo - calcolato sulla somma dei tempi teorici di attraversamento nelle singole unità operative - è di 16 ore e 48 minuti, più circa 30 minuti di sosta alle presse (che producono per lotti, per cui il passaggio alla lastratura dipende da quanto tira la linea). Quello effettivo "normale" dell'intero processo, cui l'azienda ritiene di assestarsi, è di 21 ore e 48 minuti. (Cfr. Ceccotti E., Evoluzione dei sistemi produttivi alla Fiat Auto, Roma, Meta, 1995, p.35).
[21] Bonazzi G., Il tubo di cristallo. Modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat Auto, Bologna, Il Munlino,1993, p.138.
[22] L'innovazione organizzativa che ha costituito le Ute è precedente la progettazione di Melfi, e il processo della sua definizione è proceduto in sintonia con quello della linearizzazione a partire da Termoli 3. Melfi rappresenta il risultato di un processo, per cui la logica della organizzazione in Ute si presenta in tutta la sua portata.
[23] Per un'analisi della differenza tra i concetti di operazione e processo si veda Shingo S., op. cit., pp.40-41 e 110-111. Quello che qui ci interessa è che il concetto di operazione non può essere ridotto all'attività di lavorazione in senso stretto, come è in uso nella letteratura occidentale. Nel correlare le "fasi" in cui si articola materialmente il processo (lavorazione, ispezione, trasporto, magazzinaggio) con le attività che lo realizzano, Shingo coglie l'intervento dei lavoratori nell'insieme delle operazioni di lavorazione, ispezione, trasporto, magazzinaggio (attività che nell'organizzazione fordista erano organizzativamente separate).
[24] La divisioni in Ute può essere ricondotta al Cellular Manufacturing: una organizzazione modulare della produzione, di origine non giapponese bensì sovietica, mediata via USA dalle case automobilistiche europee (Cfr. Bonazzi G., Il tubo di cristallo. Modello giapponese e fabbrica integrata alla Fiat Auto, Bologna, Il Mulino, 1993, pp.65-69). La radice comune dei termini cella e cellula, che in inglese è espressa in un'unica parola (cell), permette di rappresentare efficacemente le determinazioni sociali del modello. Se dall'area semantica di cella si può mediare la configurazione di uno spazio disciplinare con propri confini che separano, dividendoli, i suoi componenti dalle altre celle, quello di cellula connota le interfunzionalità (gli organuli del citoplasma) indispensabili alla propria esistenza.
[25] La Ute 6 (l'ultima) della lastratura è strutturata su due linee parallele in cui si fa successivamente: il controllo dei punti di saldatura effettuati dai robot, l'assemblaggio parti mobili della scocca (porte e cofano), e quindi la revisione dell'intera scocca (che andrà poi alla verniciatura). Pur non essedo ancora a regime, ha già 103 addetti.
[26] Una recente ricerca sui bisogni di riqualificazione dei lavoratori nell'industria automobilistica europea, fatta dalla Fim Fiom Uilm nazionale e coordinata da Maurizio Silveri, assume come dimensione massima delle Ute il dato di 36-40, contro 20 delle Uet (unitè èlementaire de travail) alla Renault, e 13 alla Volkwagen. Sulla base di questa minimizzazione delle differenze quantitative si è potuto costruire un'interpretazione che tende a concentrare il discorso sulla maggiore o minore autonomia delle "squadre operaie" (avendo come punto di riferimento la Volkwagen). (Cfr. Fim, Fiom, Uilm, Studio sui bisogni di riqualificazione dei lavoratori nell'industria automobilistica europea. Nuovi modelli di formazione on the job e loro impatto sulle relazioni industriali, Rapporto di sintesi, 1995).
[27] Si tratta esclusivamente di giovani memory free opportunamente selezionati e addestrati via formazione interna.
[28] Dalla "lezione in aula" durante la visita guidata allo stabilimento.
[29] Fim, Fiom, Uilm, op. cit., p.28. A meno di considerare il "presidio" di esseri umani alla stessa stragua di quello degli impianti e dei materiali(come si tende a fare anche da parte sindacale), è evidente che il CPI rappresenta il polo di una relazione di potere. Nel considerare il governo delle persone come se fosse un problema tecnico di gestione di "risorse" viene negata ogni determinazione soggettiva del potere di comando sui lavoratori.
[30] "(...) per poter far funzionare un sistema snello senza pecche - senza barriere di sicurezza - è indispensabile che ogni operaio ce la metta tutta. Con la produzione snella la semplice esecuzione delle operazioni con la testa china e la mente altrove porta in fretta al disastro" (Womack J.P., Jones D.T., Roos D., La macchina che ha cambiato il mondo, Milano, Rizzoli, 1993, p.116). Questo "mettercela tutta" non significa necessariamente apporto di idee e aumento della professionalità degli operai, come si sostiene da più parti (ad esempio: Cerruti G, Rieser V., Fiat: qualità totale e fabbrica integrata, Roma, Ediesse, 1991). Per gli operai di linea, l'autoattivazione è essenzialmente attenzione a ciò che devono fare. La loro partecipazione attiva è innanzittutto l'essere lì con la testa (badare che la vite sia avvitata bene), non lavorare (come in passato) con la "mente altrove". L'autocertificazione della qualità del proprio lavoro regolamenta il fenomeno e per di più induce a considerare la propria disattenzione e quella dei compagni (controllo sociale) come un "problema oggettivo da risolvere".
[31] Per questo nei vecchi stabilimenti, là dove, come nel reparto di saldatura, la strumentazione robotica è particolarmente critica, la Fiat ha riciclato (o sta riciclando) una parte dei tradizionali manutentori come conduttori di impianti.
[32] Si tratta della gestione - in tempo reale - del flusso dei componenti semilavorati (oltre che degli inputs di materie prime e ricambi). Quale logica conseguenza della produzione just in time, i tempi di rifornimento dei componenti rappresentano fattori di criticità tanto quanto il presidio degli impianti. Si noti che mentre il tecnologo è presente in ogni Ute, il rifornitore è collocato solo dove ce n'è bisogno.
[33] Il compito di impostare (o reimpostare) operativamente il mix di prodotto spetta al responsabile della PdP (progressione della produzione), il cui "ufficio" è collocato, significativamente, all'Unità di montaggio, cioè nel centro nevralgico della realizzazione del mix. La PdP afferisce all'ente utilizzo fattori (uno degli enti della direzione), tra i cui compiti c'è appunto quello che in gergo si chiama presidio della "dorsale produttiva" (il processo di fabbricazione inteso come flusso del mix di prodotto in lavorazione).
[34] C'è una confusione di termini, sia nei documenti Fiat sia nei colloqui più o meno informali con personale della Fiat, tra team tecnologico e team dell'Ute. Forse la sovrapposizione dell'uno sull'altro tende a far passare l'idea che i componenti dell'Ute costituiscano un team anche nella routine quotidiana. Il team tecnologico è costituito come gruppo nel momento della sua convocazione, non esiste come tale nel quotidiano. Alcuni componenti dell'Ute, che normalmente "fanno" ciò che devono fare in base ai ruoli, di tanto in tanto - o per rispondere a emergenze o sulla base di un programma - si riuniscono per "pensare insieme".
[35] Il processo di questa trasformazione parte dalle disfunzioni di Termoli. "Prima, afferma l'ing. Pagana, la manutenzione lavorava per conto suo e il servizio tecnico anche, mentre adesso li facciamo lavorare insieme in modo integrato". A questo fine "la prima cosa che abbiamo fatto [a Termoli] è stata di prendere i servizi tecnici dalla palazzina e di metterli a fianco delle officine". Poi, con la creazione dell'Ute, si è inserito un tecnologo in ogni Ute (Cfr. Pagana A., Intervista, in Bonazzi G., op.cit., p.160). Nello stesso modo si è creato una regia centrale del servizio logistico (che gestisce il flusso dei componenti) e decentrato un rifornitore nelle Ute.
[36] La serializzazione dei lavoratori in base ai ruoli si traduce in una divisione di status - senza distinzione dei ruoli direttivi - formalmente riconosciuta e riconoscibile. Infatti, tutti gli addetti, nei reparti, portano una tuta di uno stesso colore (rosso scuro). Il colore di un piccolo rettangolo sul petto rende visibile le differenze di competenze e responsabilità.
[37] La soluzione svedese del modello neoartigianale, evolutasi a partire dalle cosiddette isole di montaggio (il job enrichment come superamento della disaffezione al lavoro), è l'esempio più evidente di un layout studiato sulla massimizzazione dell'efficacia dei gruppi di lavoro. Si veda, tra gli altri, Berggren C., I nuovi concetti di produzione negli assemblaggi finali: l'esperienza svedese, in La Rosa M. (a cura di), Il modello giapponese, Milano, Franco Angeli, 1989.
[38] Fiat Auto, Fabbrica Integrata, Torino (senza data: presumibilmente 1994) documento interno.
[39] In questo lavoro non mi soffermerò sulla funzione di "scoraggiamento dei comportamenti devianti" dei vari dispositivi di "controllo a vista", ampiamenti documentati dalla letteratura. Rimando a tale proposito a Coriat B, op. cit., e a La Rosa M. (a cura di), Il modello giapponese, Milano, Franco Angeli, 1989.
[40] Ohno T., Lo spirito toyota, Torino, Einaudi, 1993, p.8.
[41] Come afferma Ohno: "Un errore di previsione, uno sbaglio di registrazione, un prodotto difettoso, un qualsiasi problema nell'impiantistica, una variazione nella presenza del personale..., gli inciampi possono essere innumerevoli" (op. cit., p.8). Si noti che in questa elencazione degli "inciampi" è assente proprio quel tipo di "inciampi" che la logica partecipativa vorrebbe annullare. Le esperienze degli anni sessanta e settanta hanno dimostrato in modo inequivocabile che scorte e polmoni non servivano solo a far fronte ad errori di programmazione e a limiti tecnici. Basta ricordare la crescita a dismisura dei polmoni contro lo sciopero a gatto selvaggio.
[42] Coriat B., op. cit., p.51.
[43] Ohno T., op.cit. p.9.
[44] Ivi, p.10.
[45] Ivi, pp.9-10 (corsivo mio).
[46] Il dato si riferisce al maggio 1995.
[47] Ohno T., op. cit., p.45.
[48] Ibidem.
[49] Ibidem.
[50] Si capisce così come sia possibile sostenere che la finalità dell'impresa non è più il profitto in quanto tale, o almeno non il profitto di breve periodo, bensì il rendimento/qualità quale mezzo per battere la concorrenza. Nel porlo "al servizio del consumatore", il processo produttivo capitalistico è assunto come mero processo lavorativo, è cioè negato come processo di valorizzazione (si riconosce la necessità del lavoro concreto ma non lo sfruttamento).
[51] Revelli M., Introduzione, in Ohno T., Lo spirito toyota, Torino, Einaudi, 1993, p.XXIX (corsivo mio).
[52] Citato in Bonazzi G., op. cit., p.37.
[53] Ibidem (corsivo mio).
[54] Coriat B., op.cit., p.77.
[55] Questa prassi si sta evolvendo in un'altra forma: come affermano Womak et al. "il venditore non piomba più come un avvoltoio sul povero acquirente" (p.214). I clienti potenziali tendono sempre di più a visitare i concessionari e qui le domande (e i suggerimenti) vengono fatti da un computer interattivo (Si veda Womak et al, op. cit., p.219). Ma la logica della schedatura resta la stessa.
[56] Womak et al, op. cit., p.210.
[57] Ivi, p.211.
[58] Ibidem.
[59] Si tratta della fase finale di un processo iniziale di previsione e poi di programmazione con aggiustamenti successivi. Gli ordini che provengono dalle concessionarie sono convogliati al dipartimento commerciale della sede di Torino, da dove vengono mensilmente distribuiti allocandoli ai vari stabilimenti. A scadenza settimanale vengono poi riaggiornati. Il tutto è gestito in automatico. Gli ordini che arrivano al servizio logistico della Sata specificano le caratteristiche di ogni vettura (cilindrata, colore, accessori, ecc.), oltre che l'indirizzo del concessionario e i tempi di consegna. Sulla base delle scadenze e delle caratteristiche, il responsabile della PdP (progressione della produzione) imposta il mix di prodotto effettivo.
[60] Il che sta diventando un luogo comune non solo a livello giornalistico, ma anche nella letteratura specializzata.
[61] Il Giappone, che nel 1945 contava 78 milioni di abitanti, raggiungerà i 102 milioni nel 1969. Nello stesso periodo il processo di accumulazione si sviluppa a ritmi accelerati. (Cfr. Hedberg H., La sfida giapponese, Milano, Bompiani, 1971, p.13.
[62] Revelli M., op. cit. p.XXVIII. A partire da questo assunto, attribuisce alle mutate condizioni del mercato anche l'estensione del toyotismo all'occidente. Come se la spartizione e segmentazione del mercato se la fossero inventata i consumatori; e come se tutto ciò non avesse niente a che fare con la crisi di governabilità delle fabbriche degli anni sessanta/settanta.
[63] Ohno T., op. cit., p.4.
[64] Ivi, p.19.
[65] Ivi, p.16 e Ford H., Autobiografia, p. 126 e p.141. Per avere un altro punto di riferimento: nel 1950 la Fiat ha prodotto 94.808 auto.
[66] Ohno T., op. cit., p.20.
[67] Ivi, p.22.
[68] Coriat B., op. cit., p.39.
[69] Per la ricostruzione storica del gioco dei rapporti di forza di questa fase si veda lo stesso Ohno (op. cit., pp.17-21)
[70] Non è qui il caso di soffermarci su tutta la serie dei dispositivi sperimentati; alcuni dei quali furono presto abbandonati, come le isole di montaggio (Termoli), altri portati alla loro massima razionalizzazione, come il "ridisegno delle mansioni" e la "mobilità".
[71] Questo processo si è innestato, inizialmente, sull'evidenza dell'errore di Rivalta "che finì con l'esasperare le caratteristiche di concentrazione industriale" (Cfr. Annibaldi, op. cit., p.39). Lo dimostra la dimensione del primo piano di decentramento al sud (1969-1972) che comprendeva: Termoli, Cassino, Lecce, Sulmona, San Salvo, Bari, Brindisi, e l'ampliamento di Termini Imerese. Attualmente la produzione al sud copre circa il 50% delle autovetture dell'intero Gruppo Fiat. Il decentramento su scala mondiale è proceduto più lentamente, ma è prevedibile una sua accelerazione nel prossimo futuro.
[72] Non è detto, però, che in un futuro, forse non molto lontano, questa tendenza non possa essere ulteriormente rafforzata.
[73] A partire da questa affermazione dell'ing. Nervi, citata da Bonazzi, questa "diagnosi" è stata assunta come un dato dai ricercatori italiani che si confronta su questo problema.
[74] Cfr. Rieser V., in Cerruti G. e Rieser V., op. cit., p.94
[75] Ibidem
[76] A Termoli il rapporto dei lavoratori diretti (operai di linea e conduttori) sugli indiretti (manutenzione, servizi tecnici, capi, ecc.) era passato dal 73,8% del 1980 al 42% del 1985. Nel 1993 era ricresciuto al 58%: anche se la distinzione non ha più lo stesso senso di prima, questo dato può comunque dare un'idea del mutamento (Cfr. Bonazzi G., op. cit., p.84). Si consideri inoltre che nel 1971 i tecnici-impiegati del settore auto erano il 20,9% (Cfr. Cacciari M., Dopo l'autunno caldo: ristrutturazione e analisi di classe, Padova, Marsilio, 1973, p.61).
[77] Pagana A., Intervista, in Bonazzi G., op.cit., p161.
[78] Ibidem. Naturalmente il sistema di cui si tratta è il "nuovo sistema", per quello vecchio le divisioni funzionali andavano bene. C'è una tendenza nella letteratura attuale a considerare il modello taylorista o fordista come se fosse stato meno razionale, senza considerare che i vincoli cui rispondeva erano diversi. Così ad esempio Cerruti, riprendendo Rieser, può scrivere che "la fabbrica taylorista si presenta come un dispositivo con una ridotta capacità di governare l'incertezza e con un'altrettanto limitata capacità di ridurre lo slack organizzativo (...) Questo accade perché il taylorismo si configura come un sistema di produzione pensato per agire in un ambiente stabile e prevedibile" (op.cit., p.128, corsivo mio).
[79] Pagana A., Intervista, in Bonazzi G., op.cit., p.161.
[80] La lettura del processo storico fatta a partire dalle trasformazioni intervenute nelle singole mansioni (del tipo: non più operai, ma conduttori; oppure, gli operai non devono più solo fare ma anche pensare) preclude la possibilità di capire la natura specifica del mutamento.
[81] Si tratta dello stesso processo innovativo attraverso cui è passato il fordismo: prima la creazione di una struttura materiale (nella logica della catena di montaggio) che supera i limiti soggettivi (produttivi e politici) posti dall'operaio professionale; nel far questo produce l'operaio massa - come propria esigenza di funzionamento, ma anche come controparte - il cui governo determinerà una specifica strutturazione dell'ordine interno alla fabbrica e quello della società nel suo complesso.
[82] La rilevanza strategica di questi ultimi sta nella nuova medodologia di manutenzione: dal controllo preventivo basato sulla previsione statistica a quello centrato sui "segnali deboli". (Si veda l'intervista all'ing. Nervi, in appendice di "Il tubo di cristallo").
[83] Ohno T., op. cit., p.13.
[84] In termini rigorosi si dovrebbe chiamare questo soggetto "operaio cellularizzato". Ma l'accezione comune di operaio, anche all'interno della sinistra, escluderebbe proprio quei nuovi operai che costituiscono il nucleo centrale della nuova composizione del soggetto antagonistico. Parte dei fraintendimenti nel dibattito attuale sulla ricostruzione storica del postfordismo e sul che fare sono legati al fatto che si continua a pensare che gli "operai" siano coloro che "fanno", mentre coloro che "pensano" sarebbero altro (indefinito). La Fiat ha tolto i tecnici dalla palazzina, ma studiosi e sindacalisti continuano a pensarli come se stessero ancora lì, al di sopra degli altri, "in un altro pianeta" (per usare un'espressione di un operaio - delegato Cgil - della Sata). >> vero che la serializzazione dei ruoli tende a dividere e nascondere, ma spetta ai "ricercatori" disoccultare l'apparenza.
[85] Della Rocca G., Le relazioni sociali nella Fabbrica automatizzata, in "Meridiana", 1994, n.21, p.92
[86] Ed è su questo fronte che acquista un senso particolare il bisogno da parte delle aziende della mediazione del sindacato "alla partecipazione". Non si tratta più tanto di scongiurare i conflitti saltuari, quanto di sostenere e legittimare la trasposizione delle persone in "risorse umane". La "deformazione professionale" dei dirigenti sia delle aziende sia del sindacato, insieme agli studiosi di organizzazione, sembra influire in modo tale da non far loro percepire la reificazione implicita nel concetto di risorse umane.
[87] Cfr. Bonazzi G., op. cit., p.134.
[88] Non si tratta semplicemente di ridurre il tempo di lavoro giornaliero o settimanale, bensì di rovesciare, in prospettiva, la determinazione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro, in modo da costituire uno spazio esistenziale che sia "altro" da quello scandito e definito dal tempo di lavoro. Si veda: Sivini G., Riappropriazione del tempo e consumi: la lunga strada verso nuovi rapporti di produzione, in "Sociologia del lavoro", 1995.

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