CHAOS

L' effetto kanban nell'organizzazione del lavoro alla FIAT di Melfi
4.
Laura Fiocco



5. Il rafforzamento discorsivo dell'effetto kanban
Se la sua efficacia è quella di una forza autonoma che "dirige" la produzione, il kanban non è un semplice medium delle informazioni e nemmeno una mera tecnica gestionale, è il dispositivo attraverso cui viene realizzato l'occultamento del comando della direzione sui lavoratori nella forma di un ordine produttivo oggettivo e neutrale. Ma la neutralità passa attraverso l'apparente oggettività degli "ordini" dei "clienti"; e nella logica del discorso di Ohno fin qui analizzato i "clienti" sono i lavoratori delle stazioni a valle. Il problema che si pone è pertanto come sia possibile sostenere che sono i lavoratori che tirano altri lavoratori perché "vogliono" il materiale con cui lavorare.
Nella sperimentazione pratica dell'ohnismo è diventato chiaro che l'effetto occultante del kanban poteva essere rafforzato attraverso la trasmutazione di quello che era stato pensato come un sistema di comunicazione interno alla fabbrica, in un "sistema di rapporti mercantili". Bastava collegare (discorsivamente) l'ultimo anello della catena dei clienti/fornitori interni - una volta posti organizzativamente come tali - con il cliente per antonomasia: il consumatore.
Se si assume che il primo anello della catena che "tira" la produzione è il consumatore, diventa possibile sostenere che i lavoratori a valle tirano gli altri lavoratori perché "devono" soddisfare le esigenze dei consumatori. In questo modo è risolto il problema della neutralità dell'ordine interno.
L'organizzazione del processo produttivo alla Fiat di Melfi è conforme a questo modello. La sua divisione in Ute, poste come unità "imprenditoriali" che acquistano e vendono merci dalle e alle altre Ute, rende possibile sostenere il trasferimento della funzione di comando dall'azienda al mercato, nella forma di ordini che dai clienti-consumatori risalirebbero lungo la linea, senza soluzione di continuità, ai clienti-produttori (le Ute).
é evidente che la presunta dislocazione all'esterno del primo anello della catena che "tira" la produzione fa del sistema kanban un dispositivo di governo della forza lavoro potenziato discorsivamente. Il rafforzamento ideologico è dato dal fatto che "gli ordini del consumatore" veicolano "la legge cieca della concorrenza". Non solo, quindi, i lavoratori lavorerebbero "tirati" da un consumatore dispotico invece che "spinti" dalla direzione, ma avrebbero anche gli stessi interessi dell'azienda a soddisfare i clienti.
In questo modo il "tubo di cristallo" si pone come uno specchio che riflette l'immagine di una struttura posta "al servizio del consumatore". Il dominio del capitale è trasposto in dominio del consumatore, per cui la fabbrica appare come un mero mezzo per produrre cose invece che per produrre profitto [50].
Marco Revelli ci fornisce un esempio - scelto tra i tanti perché l'inversione del soggetto del dominio è posta in forma del tutto esplicita - di questo effetto ideologico. Nella sua introduzione all'edizione italiana di "Lo spirito Toyota" di Ohno si legge: "Il modello Toyota presuppone una sorta di rivoluzione copernicana al rapporto tra produzione e mercato: non è più, ora, la fabbrica a fare il mercato, ma è questo - sono le sue volubili preferenze, gli oscillanti stati d'animo del "cliente" - a determinare struttura della produzione e scelte produttive. (...) Se nel modello della produzione di massa il potere di decisione stava saldamente al vertice della catena produttiva, nelle mani del gruppo di comando nel cuore dell'apparato produttivo, che programmava le proprie scelte in base alla possibilità di un uso ottimale delle risorse tecniche e umane, qui la facoltà di decidere o quantomeno di influenzare le scelte produttive anche nel breve periodo passa a quell'entità astratta, invisibile che è il cliente, posta esattamente al capo opposto del processo lavorativo, sul confine esterno della fabbrica, e di lì capace di dettare i propri tempi e le proprie condizioni" [51]. Quale distorsione ottica può indurre un ricercatore intelligente come Revelli a confondere il dominio di persone su altre persone (quel potere che sta - anche oggi - "saldamente al vertice della catena produttiva, nelle mani del gruppo di comando nel cuore dell'apparato produttivo") con la decisione di fare automobili rosse, gialle o a pallini perché il consumatore non le vuole più nere? é questa distorsione - che è strutturale, cioè non dipende dalla cecità di questo o quell'osservatore - che propongo di chiamare effetto kanban.
La sua potenza occultante potrebbe far pensare che il capitale abbia risolto il problema di governabilità della fabbrica. Ma le cose non sono così semplici. Vediamo i termini in cui si poneva la questione alla Fiat, attraverso la ricostruzione fatta da Bonazzi di una pubblicazione, del 1989, ad uso interno. Nell'analizzare il toyotismo, l'autore del documento si pone il problema della sua possibile utilizzazione alla Fiat. Ma, rileva, ciò si scontra con il fatto che "l'asservimento del fattore lavoro alle necessità critiche del sistema è un'espressione dura e sicuramente sgradevole nella cultura sociale europea. Essa ci richiama immediatamente alla memoria le dure battaglie degli anni '70 che avevano precisamente come obiettivo di superare l'asservimento del lavoro al sistema produttivo" [52].
Per cui, scrive Bonazzi, "subito dopo il documento osserva che per capire lo spirito che regna alla Toyota la domanda cruciale è: come si può costruire un'organizzazione del lavoro nella quale il lavoratore si senta contemporaneamente non estraniato anche se asservito?" [53]. Come si vede, è una domanda del tutto esplicità (la Fiat sa ciò che sta facendo).
La risposta a questa domanda potrebbe essere: basta fingere che l'asservimento non dipenda dalla Fiat, bensì sia indotto dal consumatore, e organizzare il lavoro in modo conforme (cellularizzazione del processo produttivo con le Ute poste come clienti/fornitori). Ma se questo può essere sufficiente a non far vedere il soggetto reale dell'asservimento agli osservatori, non è detto che funzioni con i lavoratori per i quali l'asservimento resta asservimento, chiunque sia il soggetto presunto o reale che glielo impone. Tuttavia, anche per i lavoratori non è indifferente il modo in cui loro stessi e gli altri, in particolare il sindacato, leggono la realtà. Ogni lettura ideologica si ripercuote sui rapporti sociali e quindi sui rapporti di forza. Interpretazioni come quella di Revelli nell'introduzione all'edizione italiana del testo di Ohno, e pertanto destinata a circolare come una sorta di interpretazione autentica, non sono affatto prive di conseguenze.
Naturalmente è fuori discussione il fatto che il sistema kanban funzioni (realmente) da flessibilizzatore della programmazione della produzione, adeguando il piano strategico della direzione (massimizzare il potenziale produttivo iscritto nel layout di ciascun stabilimento) alle esigenze tattiche della gestione quotidiana. Ed è anche evidente che questa flessibilizzazione rende possibile gestire più efficacemente una maggiore quantità di optional. Ma ciò non ha niente a che vedere con una presunta rinuncia della direzione al comando sul lavoro.
Come afferma Coriat: "Ohno si guarda bene dal rimettere in questione ciò che gli sembra essenziale nell'eredità di Fayol: il sacrosanto principio dell'autorità della direzione. Lo si era capito, Ohno non è uno di coloro per il quale il capitale, la proprietà, e le prerogative dei suoi amministratori e funzionari delegati rappresentino soggetti da rimettere in discussione. Ma, produttività e qualità sono lì per ricordarlo, autorità ed una stretta divisione funzionale [gerarchia] non sono necessariamente sinonimi. E qualunque sia il loro costo organizzativo, le esigenze di una autentica e completa 'programmazionè delle produzioni devono essere rispettate. Un posto, uno spazio e regolamenti specifici devono essergli dedicati. Diventa allora conveniente abbandonare il metodo ormai invecchiato che consiste nell''infiltrare verso il bassò la politica della direzione, per orientarsi risolutamente verso principi più adatti" [54].
Ciò che è in gioco nella confusione tra autorità e gerarchia è la comprensione del perché il dominio sul lavoro, in apparenza logico e ragionevole dal punto di vista dell'impresa, abbia bisogno di essere occultato; perché l'ordine che regola la produzione debba essere attribuito alla volontà dispotica del consumatore, così come fino a poco tempo fa si doveva negare la determinazione soggettiva della gerarchia facendola passare per un ordine razionale-strumentale imposto dalla "natura" delle organizzazioni complesse.
In definitiva, il fordismo prevedeva un sistema di controllo sul lavoro attraverso una struttura gerarchica oppressiva, ora riconosciuta da tutti per quello che era. Per contro l'ohnismo cambia (realmente) il modo di esercitare il comando, facendo apparire (occultamento) il sistema kanban - nella sua realizzazione pratica: qui il nesso clienti/fornitori delle Ute - come un principio organizzativo neutrale che trasmette just in time (pragmaticamente e quindi oggettivamente) gli "ordini" dei consumatori risalendo lungo la linea della produzione. La nuova logica organizzativa rende non solo possibile ma anche necessario sia la parziale riduzione della struttura gerarchica dell'azienda sia un comportamento "non più militare dei capi" (come ci dice uno dei responsabili del personale della Fiat). Ma ciò non significa che la direzione abbia rinunciato al comando, bensì che lo sta esercitando in forma diversa.

6. Il presunto dominio del consumatore e del mercato
I sostenitori della tesi del rovesciamento del paradigma sembrano non notare la sua incongruenza con il fatto che il consumatore - questo presunto dominatore della produzione - nella prassi della Toyota (la fabbrica snella per antonomasia) è assediato e schedato da un esercito di venditori che vende le auto porta a porta [55].
Vediamo come funziona attraverso la descrizione di Womack et al. "I membri del gruppo [di venditori] tracciano il profilo di ogni gruppo familiare all'interno della zona attorno alla concessionaria, poi visita periodicamente ognuno di questi, previa telefonata per fissare un appuntamento. Nel corso delle visite l'addetto alle vendite aggiorna il profilo del nucleo familiare: quante macchine possiede ogni famiglia e quanto sono vecchie? Di che modello sono e quali caratteristiche possiedono? Di quanto spazio dispone per il parcheggio? Quanti bambini ci sono e che uso fa la famiglia delle sue auto? Quest'ultima risposta risulta particolarmente importante per la programmazione dei prodotti; i membri del gruppo ritrasmettono poi sistematicamente tutti i dati ai gruppi di sviluppo" [56].
Dopo essere stata periodicamente visitata e rischedata, una particolare famiglia può decidere di acquistare un'auto, ma naturalmente può essere in dubbio su che cosa comprare. Per cui, affermano gli autori, in base alle informazioni raccolte e delle conoscenze della gamma dei prodotti, gli addetti alle vendite suggeriscono qualíè la caratteristica più appropriata perché un nuovo veicolo risponda alle esigenze di quel particolare cliente, e se necessario portano a domicilio il tipo d'auto più appropriato per una dimostrazione. A questo punto, si sostiene, la famiglia sceglie le caratteristiche "personalizzate" del prodotto e viene effettuato un "ordine speciale" attraverso il venditore [57].
In questa ricostruzione non ci viene detto che cosa succede se il cliente sceglie una macchina di serie della Toyota, ma la vuole a pallini rosa su fondo grigio. Tuttavia, anche a prescindere da questo, la sua scelta è tanto "personificata" che può entrare dentro le stime statistiche dell'azienda. Da questo momento in poi, infatti, l'ordine "personificato" viene soddisfatto con un procedimento molto simile a quello attuale della Fiat. "I dirigenti della fabbrica cercano di fare una stima ragionata della domanda per le diverse versioni, i relativi colori e così via. Sulla base di queste previsioni, preparano il piano di produzione della fabbrica, che passano anche ai fornitori di componenti in modo che anche loro sappiano che cosa produrre. L'accuratezza di queste previsioni dipende ovviamente dalla frequenza con cui il piano di produzione viene aggiornato. Frequenza che in genere in Giappone è di dieci giorni, contro le quattro sei settimane in occidente. Una volta pervenute le ordinazioni, l'azienda produttrice aggiorna il programma di fabbricazione per produrre le macchine specifiche che vuole il cliente" [58].
Se a questo punto entriamo dentro la produzione e cerchiamo di vedere come sono prodotte, nella realtà concreta della Sata, "le macchine specifiche che vuole il cliente", troviamo che quotidianamente viene impostato un dato mix di prodotto, reimpostandolo, se necessario, in tempo reale sulla base del feedback delle emergenze operative delle Ute o dei fornitori [59]. Sulla base di questo mix, ogni scocca procede con un cartellino che indica le caratteristiche richieste (colore, cilindrata del motore, tipo di interni, ecc.). Man mano che passa dalle diverse stazioni deve essere "riempita" dei componenti conformi agli optional, che devono quindi arrivare nei tempi stabiliti e nella successione programmata.
Non ci sono dubbi che questo modo di operare renda possibile far fronte in modo intelligente alle scelte del consumatore (che, non dimentichiamolo, esitevano anche prima, almeno da quando Ford ha smesso di produrre il modello T). Ma, se si analizza il processo produttivo, diventa evidente che il sincronismo serializzato del flusso delle scocche con quello dei componenti non ha niente a che fare con queste scelte: la sua determinante è la produzione a zero scorte.
L'appuntamento programmato tra la scocca X e il sedile X (con le fodere di un dato colore) è semplicemente un modo operativo - reso possibile e flessibile dal sistema informativo elettronico che collega in tempo reale la Sata con i fornitori - di far fronte ai vincoli posti dalla abolizione delle scorte. Se non ci sono scorte di sedili (di vari colori) cui attingere, come avveniva in passato, è chiaro che il sedile X deve arrivare da fuori per essere alla stazione di montaggio sedili nel momento preciso in cui arriva la scocca X. Per realizzarlo basta predisporre la serie dei sedili in arrivo con la stessa successione di quella delle scocche. La "chiamata" (kanban elettronico) è lo strumento operativo della sincronizzazione.
Che poi quella scocca proceda nel "tubo" quale futura auto del cliente X (invece che, semplicemente, quale futura auto con caratteristiche X come avveniva prima) dipende, a sua volta, dal fatto che non sono previste scorte di prodotto: all'uscita del "tubo" le auto sono spedite direttamente al concessionario, che le consegna al cliente. Insomma, se è vero che la fabbrica integrata è capace di rispondere flessibilmente alle richieste del consumatore, ciò non significa che la sua struttura organizzativa sia il prodotto delle mutate condizioni della domanda [60].
Ma c'è di più. Proprio per poter sostenere come reale la presunta inversione del paradigma si è costretti a attribuire alle esigenze imposte dal mercato la stessa invenzione del modello produttivo toyota.
Basta vedere il modo in cui Revelli, nel testo citato, costruisce la sua tesi. Per arrivare a sostenere la "rivoluzione copernicana" deve passare attraverso un supposto limite alla domanda nel Giappone del dopoguerra, in quanto "privo del grande respiro della frontiera, di cui gli USA potevano invece avvantaggiarsi" (come se il mercato potenziale - protetto - di un paese con poco meno di cento milioni di abitanti non rappresentasse una "frontiera" [61]). Per cui, sostiene, è stato necessario produrre "quote sempre minori di prodotti sempre più differenziati al loro interno, per un mercato sempre più esigente e differenziato" [62].
Questa lettura è semplicemente una falsificazione della realtà. I principi innovativi dell'ohnismo sono stati pensati e introdotti in una fase in cui la domanda non era nè "limitata" nè "individualizzata".
Almeno fino all'inizio degli anni '70, la domanda era - sia in Giappone sia nel resto del mondo - una variabile dipendente. Come asserisce lo stesso Ohno: "L'industria giapponese, nel dopoguerra, era cresciuta all'insegna del motto 'quello che viene prodotto si vendè, una filosofia che caratterizzava anche le case automobilistiche" [63]. E ancora: "Con la fine del conflitto sociale [gli scioperi del 1950] e la particolare domanda prodotta dal boom conseguente alla guerra di Corea, le commesse avevano cominciato a crescere, la tensione produttiva assumeva un ritmo frenetico e le officine erano sovraccariche di lavoro come non era mai successo in precedenza" [64].
Il vincolo della Toyota, dal cui superamento è stato pragmaticamente inventato l'ohnismo, era la propria dimensione ridotta e il basso potenziale di autofinanziamento. Alla fine degli anni quaranta l'industria automobilistica giapponese era pressochè inesistente. Nel 1949 la Toyota aveva prodotto 1008 automobili, meno di quante ne producesse Ford (1708), nella sua "piccola officina di legno", il primo anno dalla fondazione, nel 1903, della Ford Motor Company [65].
Date queste dimensioni, la gestione del processo produttivo alla Toyota era ancora para-artigianale. Il che non significa, come sembrano sostenere alcune interpretazioni correnti, che i singoli pezzi venissero prodotti con una tecnica artigianale, bensì che il nesso organizzativo tra la loro produzione e l'assemblaggio non era ancora razionalizzato. Il punto di partenza di Ford e quello di Ohno sono sostanzialmente diversi. La base tecnologica su cui Ohno può pensare la riorganizzazione del processo lavorativo è fatta di un macchinario dedicato e in parte automatizzato.
Ford aveva invece alle spalle (nel settore meccanico) una produzione artigianale, dove le macchine utensili erano ancora di tipo universale e la tecnologia di lavorazione del ferro era ancora poco affinata. Le piccole differenze di calibratura delle macchine, la qualità dei materiali e i procedimenti usati per lavorarli facevano sì che i pezzi prodotti non fossero mai perfettamente uguali (standardizzati), per cui metterli insieme significava farli combaciare, rilavorandoli per adeguarli l'uno all'altro, in un processo ad incastro il cui risultato era che le singole parti, e l'intero prodotto (l'automobile), non erano mai uguali tra loro.
La Toyota - che alla fine degli anni quaranta fabbricava all'interno solo una minima parte dei componenti che assemblava - poteva contare su una produzione di pezzi standardizzati. Ma, come spiega Ohno, non riuscendo ad avere i rifornimenti necessari a scadenze prefissate, "non potevamo fare altro che procedere al montaggio nella seconda parte del mese, dedicando la prima parte al reperimento dei pezzi - che arrivavano dai fornitori in quantità variabile e irregolarmente - e alla loro accumulazione" [66]. Per cui gli operai sprecavano gran parte del loro tempo "a trovare spazi per immagazzinare i pezzi e a cercarli, invece che continuare nella parte più importante del loro lavoro, la produzione" [67].
In questo contesto, la Toyota produceva piccole quantità perché era "piccola", non perché glielo imponeva la domanda di "piccole serie". La scelta strategica - se così si può chiamare la risposta ad un insieme di vincoli contingenti - è stata quella di razionalizzare il processo lavorativo diminuendo i costi "subito", cioè senza passare attraverso i massicci investimenti richiesti per arrivare ad un potenziale produttivo che potesse valorizzare le economie di scala (come le imprese occidentali). Nel '49 la Toyota era sull'orlo del fallimento, o riusciva a trasformare la sua struttura organizzativa abolendo gli "sprechi" o non aveva possibilità di sopravvivenza.
é possibile che, come afferma Coriat, le condizioni imposte dal consorzio di banche che l'hanno sostenuta - riduzione degli addetti, adeguamento delle quantità prodotte a quelle vendute, separazione della produzione dalla distribuzione - abbiano rappresentato una delle chiavi del metodo: produrre solo le quantità vendute e produrle just in time [68]. Resta il fatto che ha potuto realizzare pragmaticamente una nuova organizzazione attingendo a tutta l'esperienza e la conoscenza acquisita sia nella parcellizzazione del lavoro sia nella produzione di mezzi di produzione che mezzo secolo di fordismo avevano sviluppato (in altri termini, era una "scelta" che Ford non avrebbe potuto fare).
L'organizzazione del lavoro inventata da Ohno, in quanto modalità specifica di comando sul lavoro diversa da quella fordista, si è sviluppata e attestata a partire da questi vincoli e da queste potenzialità. Nessuno può mettere in dubbio che la "produzione snella" sia il risultato della ricerca, quasi ossessiva, della diminuzione del costo del lavoro, e per di più in un clima sociale che nella fase di sperimentazione era palesemente conflittuale [69]. Il fatto che questo obiettivo sia stato realizzato dentro il vincolo di impianti a piccole dimensioni lo ha reso quello che è: un modello di produzione e di gestione adeguato a produrre "piccole serie", cioè flessibile rispetto a un mix di prodotti diversificati. Insomma, la flessibilità rispetto alla domanda è una conseguenza - che ha segnato il primato dell'industria giapponese nel rapporto con gli altri partners quando la quantità globale della domanda si è fatta rigida - e non, invece, la causa dell'innovazione.
é vero che l'ohnismo diventerà un punto di riferimento per il resto del mondo, presentandosi nella forma di un modello competitivo. Ma questo passaggio non è stato nè automatico nè lineare. Ciò che l'occidente stava vivendo, a partire dagli anni sessanta, era una crisi di governabilità dell'ordine produttivo e sociale fordista, sia a livello dei singoli stati sia nelle relazioni internazionali. é in questo contesto che, poste di fronte ai propri vincoli e alle proprie rigidità, le aziende automobilistiche occidentali sperimentarono soluzioni alternative - che al di lˆà delle differenze determineranno sia il decentramento e la deverticalizzazione sia lŐautomazione flessibile - ed è su queste soluzioni che si  andata innestando la logica della produzione snella (che nel frattempo si era adeguata alle nuove tecnologie).

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