Marzo-Aprile 1994
Diamo un grato benvenuto a tutti i nuovi collaboratori con l'aiuto
dei quali siamo riusciti a fare uscire questo incoraggiante numero di otto
pagine. Senza tutti i nostri collaboratori non sarebbe possibile alcuno
sguardo verso il futuro.
Cosi` come senza di voi, che ora state leggendo: vi invitiamo a
scriverci all'indirizzo che trovate in ultima pagina, perche' INTERFERENZE
blu non sia un atto di presunzione, ma una proposta fondata su un rapporto
reale tra noi e voi. Solo una cosa: non daremo spiegazioni sul messaggio
cifrato in penultima pagina, quello che parla di una sorpresa. Dovrete
aspettare l'autunno, tenendo d'occhio la citta`...
Per il momento vi proponiamo con entusiasmo e un po' di orgoglio
"CASCINA MACONDO artisti da strada", la nuova rubrica di questo numero.
Ed e` veramente preziosa, perche' si occupera` dei musicisti-artisti di
strada, bravissimi e sconosciutissimi, organizzati in tourne'e e festival
di cui nessuno o pochi conoscono l'esistenza, e che nessuna rivista segue
se non occasionalmente. Speriamo che apprezziate, questo e tutto il re-
sto (magari anche il mio sfiancante lavoro di impaginazione).
Leggete tra le righe, lettori sconosciuti, e cercate di vedere il
nostro sforzo per qualcosa che valga la pena...
Emma D.
RECENSIONI - 360 gradi
MEN OF LAKE
Out of the water
(CD, MMS Records/MUSEA, Italia, 1994)
Una delle definizioni piu` ricorrenti della Penisola che ci ospita
e`: paese di santi, poeti e navigatori. E di canzonettari, si potrebbe
aggiungere, data la fama consolidata di cui godiamo all'estero. Ma se c'e`
un settore - l'unico, temo... - nel variegato panorama del rock in cui
noi italiani siamo piazzati bene, e` quello del "progressive". Musica per
pochi adepti, o per palati fini, o piu` semplicemente per nostalgici che
rimpiangono un'epoca bruciata troppo in fretta, parnasiani che rincorrono
promesse che mai saranno mantenute. Molti di costoro apprezzeranno sicura-
mente questa seconda opera dei trentini (di Riva del Garda) MEN OF LAKE,
uno dei migliori gruppi nostrani in assoluto. Azzardo troppo? No, perche'
secondo chi scrive il loro primo album del 1991 (omonimo, ma noto anche
col titolo RIVA) e` sicuramente il piu` bel disco uscito in Italia negli
ultimi 10 anni. I MEN OF LAKE rappresentano il giusto compromesso tra
capacita` esecutiva, ricerca della melodia e complessita` nelle soluzioni
armoniche (caratteristiche tipiche del genere) senza pero` trascendere
nel "troppo difficile", nel varcare a tutti i costi la soglia della speri-
mentazione ed indulgere, cosi`, ad autocompiacimento e pretese di inarriva-
bilita`. Il loro primo Cd aveva fatto incetta di elogi anche all'estero,
raccogliendo pero` qualche appunto - ingiustificato - per l'eccessivo uso
di tastiere a scapito degli altri strumenti (e segnatamente la chitarra).
Il messaggio e` stato recepito, e questa volta il quartetto ci propone
un campionario di pezzi, anche piuttosto diversi tra loro, nei quali
in mezzo a passaggi dolcissimi dove e` l'Hammond a farla fa padrone,
s'insinua la chitarra di Rene` Modena, ora spigolosa e dissonante ora quasi
sinfonica, a` la Procol Harum direi. Cio` si puo` riscontrare nella splendi-
da sintesi di 'The Dark Little Figure', dove per una volta lo schema classi-
co di "canzone" fa capolino nel progressive, senza snaturarne l'immagine
bensi` addolcendone i connotati. Il tutto teso a creare un'atmosfera rare-
fatta, quasi surreale, a meta` tra il sacro e l'oscuro, in una parola: "se-
venties". Il disco volge al termine, s'e` fatto tardi e la tentazione di
saltare a pie` pari gli ultimi tre minuti (<<Ma che ci fara` mai un pezzo
cosi` breve su un disco di prog?>>) e` forte. Sorpresa!!! La macchina del
tempo questa volta si ferma ancora piu` indietro: non siamo ad inizio '70,
una volta tanto, ma qualche anno prima, in compagnia dei Byrds piu` dylania-
ni. Un quasi-recitato a mo' di filastrocca introduce una scintillante quanto
limpida chitarra (Rickenbacker? si`, no, forse...), fedele compagna di
viaggio in questa 'Ballad of the Lake' (country-prog lacustre?), che sembra
messa li` in un cantuccio a sussurrare: io non posseggo la grinta regale
di 'Vipers', ne' ho la genialita` di 'The Prodigal Father', ma so stupirti
con la mia semplicita`. Quello che non t'aspetti...
Se passate da queste parti, ricordatevi che non c'e` solo Gardaland...
io
SOUNDGARDEN
Superunknown
(A&M 1994)
SOUNDGARDEN
Spoonman
(A&M 1994)
Quarto disco per i migliori interpreti del suono di Seattle. Ed e`
subito un lavoro colossale (ben 16 brani!), un maturo compendio della loro
breve ma intensa carriera. Cio` che mi ha fulminato istantaneamente e`
la non comune capacita` del quartetto di innestare, sulle proprie esperienze
musicali, idee ed influenze appartenenti a tradizioni diverse (dal punk
ai Beatles), creando uno stile personalissimo e comunque sempre riconoscibi-
le. E' difficile, per me, non essere coinvolto dal riff pesantemente ipnoti-
co e dal ritmo di 'Let Me Drown', cosi` come non posso non entusiasmarmi
davanti al suono duro ma psicotico, effervescente ma ermetico di 'My Wave',
vera demolizione di certi luoghi comuni del "grunge". Difficile rimanere
insensibili dopo le prime note di 'Fell on Black Days', dove la strepitosa
voce di Chris Cornell si fa molto piu` pacata ed espressiva. Su questa
falsariga continua la tetra 'Mailman' che, pero`, mi fa sprofondare in
un finale ipercaotico, dominato dal guitar-solo di Kim Thayil; mentre
nell'orecchiabile Superunknown ho potuto godere di un cantato veramente
magistrale. L'avventura continua. Le note di 'Head Down' turbano le mie (e
le vostre) notti e ribadiscono l'attitudine crossover del gruppo, soprattut-
to in alcuni passaggi piu` allucinati, soffusi e... al confine con la
psichedelia! Sorprendente ed innovativa svolta. 'Black Hole Sun' da`
l'impressione di essere negli anni '60, ha cioe` una patina di quel "parti-
colare cattivo gusto" che diverte e non guasta mai (proprio come "I'm
Easy" dei Faith No More).
SPOONMAN e` invece il singolo. Mi ha colpito particolarmente per la
sua immediatezza, mostrandoci gia` dal primo ascolto la strada per il
superamento del "grunge". Con 'Limo Wreck' le mie attenzioni sono tutte
concentrate sul sabbathiano, caratteristico incedere greve dei suoni. Il
che mi ha provocato "crisi di astinenza" alla fine del brano. Si passa
poi a 'The Day I Tried To Live e Kickstand', in cui si possono idealmente
toccare mirabili esempi di hard moderno, talvolta impregnato di punk oppure
di psichedelia seventies. 'Fresh Tendrils', gia` edito sul singolo, torna
ai modi del "nuovo corso" inaugurato da SPOONMAN, e cioe` suoni semplici
ma efficaci. Ma le sorprese non sono finite. Stupisce e si fa apprezzare
il duetto vocale di '4th of July', impiantata su note oscure ed ossessive.
La vocazione del gruppo a mantenere un sound molto compatto, nonostante
la quantita` di idee trattate, e` confermata da 'Half', dove violoncello
e viola contribuiscono ad "acusticizzare" (se mi passate il termine) l'atmo-
sfera del pezzo, scritto e cantato dal bassista Ben Shepherd. Il disco
si avvia al termine con 'Like Suicide', splendida avventura nel classi-
co "giardino del suono" colorato da tribalismi e da un assolo di chitarra
veramente trascinante. Chiude 'She Like Surprises', in cui comincia a far
capolino (e ad annidarsi nei miei pensieri) un accenno di canzoncina in
puro stile Zappa. Ricordo che sul singolo ci sono due inediti: la plum-
bea 'Cold Bitch', tratta dalle sessions dell'album precedente (BADMOTORFIN-
GER - A&M 1991) e la strumental-schizoide 'Exit Stonehenge'.
Giunto al termine dell'ascolto, ho avuto una sola sensazione: quella
di essere riuscito a carpire all'Indifferenza Generale un disco che, nel
rock, fara` scuola per molti e molti anni.
Vincenzo Capitone
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THE DARK LITTLE FIGURE La Piccola Figura Oscura
Sure you have met Sicuramente avrai incontrato
In some days obscure In certi giorni bui
That man turning out Quell'uomo che donava
Everything unsure. Incertezza ad ogni cosa.
It's when you forget E' quando ti dimentichi
How some hopes are poor Delle speranze disattese
He'll wait with great care l Che lui ti aspettera` con ansia
To reject the cure u Per evitare ripensamenti.
d
(Ref.) I tell you now i (Rit.) Ora ti parlo
From the window of my heart b Dalle finestre del mio cuore
When he is around r Quando lui e` qui intorno
Turn your face aside i Volgi lo sguardo in un'altra direzione
He will trick all the game a Egli ti cambiera` le carte in tavola
Suddenly it will rain D'improvviso, piovera`
If you just look or smile Se lo guardi o sorridi
Thing no more II tuo destino mutera`.
Will be alright
Feeling like the smoke Sfuggente come il fumo
Quick he will make sure Egli, rapidamente, fara` in modo
That life will come out Che la tua vita risulti piena
As sorrow and bore Di noie e dolore.
Then on your road Allora, sulla tua strada
All your dream will pour Ogni tuo sogno svanira`
The crowd with its shouts v La folla con le sue grida
Pleases you no more e Non ti sara` piu` amica.
n
(Ref.) I tell you now t (Rit.) Ora ti parlo
From the window of my heart i Dalle finestre del mio cuore
When he is around s Quando lui e` qui intorno
Turn your face aside Volgi lo sguardo in un'altra direzione
He will trick all the game Egli ti cambiera` le carte in tavola
Suddenly it will rain D'improvviso, piovera`
If you just look or smile Se lo guardi o sorridi
Thing no more II tuo destino mutera`.
Will be alright
Testo: Men of Lake Traduzione: io
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NINE INCH NAILS
The Downward Spiral
(Interscope 1994)
NINE INCH NAILS: ovvero una delle pratiche sonore piu` estreme ed
allo stesso tempo piu` accattivanti del panorama rock/industrial mondiale!
Questo THE DOWNWARD SPIRAL e` stato composto, suonato (se cosi` si puo`
dire) e realizzato interamente da quel genio della manipolazione "sonika"
di Trent Reznor, accompagnato in fase di produzione dal fido Flood. Ed
anche questa volta i risultati sono stupefacenti. Intendiamoci: quella
proposta dai NIN non e` musica facilmente assimilabile ne' tantomeno di
veloce memorizzazione ma possiede un fascino immenso. Provate ad immaginare
una melliflua melodia quasi-pop sommersa da squarci rumoristici, esplosioni,
dissonanze, campionature di ogni genere, drum-machines programmate su tempi
impossibili e farcita di tasti ultraviolenti e provocanti. Come dite? L'han-
no gia` fatto i Sonic Youth? Beh, intanto i NIN sono profondamente legati,
anziche' ad una matrice punk/rock, ad una matrice dance/rock (la dance
piu` dura - quella di marca Wax Trax per intenderci - ) e l'utilizzo del
cosiddetto "Wall of Feedback" e` completamente differente. Ogni traccia
di questo nuovo lavoro propone un modo completamente nuovo di fare musica:
ogni melodia e` attorcigliata su se stessa e presenta infinite sfaccettatu-
re, cambi di tempo mozzafiato e impensabili accelerazioni/rallentamenti.
Tutto quel che e` rock'n'roll viene filtrato, tritato, amalgamato a forza
con infinite citazioni e stili, dal blues al funky al punk alla techno
ed alle sperimentazioni rumoristico-industriali, tutto contribuisce a creare
un amalgama di suoni, a volte suadenti ed appena accennati ma che tutto
d'un tratto esplodono in un muro di rumore e di violenza, a volte che si
protraggono in bizzarre code strumentali.
THE DOWNWARD SPIRAL si colloca idealmente a meta` strada tra lo
splendido ineguagliabile furore metal-industriale dell'Ep BROKEN e la
rilettura, da parte di terroristi sonori quali Foetus, di alcune tracce
di BROKEN in chiave techno-sperimentale contenute nell'altro Ep FIXED e
si propone come degno successore del primo, splendido e fortunato album
PRETTY HATE MACHINE del 1992. Si inizia (alla grande) con il programmati-
co 'Mr.Self Destruction', un vero e proprio manifesto del NIN-pensiero
per proseguire con la morbida melodia di 'Piggy', sorprendentemente psiche-
delica, per poi passare alla splendida 'Heresy', dai sorprendenti stacchi
di pianoforte. L'asse portante e` comunque composto da brani come 'Big
Man with a Gun', 'March of the Pigs e Reptile', tipiche aggressioni sonore
alla NIN (e, se volete, lontanamente alla Ministry), ma la vera novita`
sono i brani piu` ragionati e melodiosi come la meravigliosa pseudo-balla-
ta 'Hurt' o l'orecchiabile 'I Do Not Want This', la splendida strumentale 'A
Warm Place', le implosioni di 'Eraser' e la terrificante title-track, strug-
gentemente dedicata al suicidio. Leggermente inferiori le rimanenti tracce,
ovvero: 'Closer', 'Ruiner' e 'The Becoming'.
Probabilmente qualcuno dira` che si tratta di musica troppo lontana
dai gusti del mainstream e di difficile comprensione; ebbene, come direbbe
Trent Reznor: <<The slave thinks he is released from bondages only to find
a stronger set of chains...>> A voi la traduzione! Un grande album per
uno degli indiscussi innovatori della musica rock contemporanea. Che dire
di piu`? Imperdibile!
Axiom
LIQUID HIPS
Static
(Enemy 1994)
DARK MILLENNIUM
Diana Read Peace
(Massacre 1994)
Non lo si puo` nascondere: in questi ultimi anni i musicisti metal
hanno espresso il meglio quando si sono confrontati con generi appartenenti
ad altre tradizioni. I diversi ed originalissimi risultati ottenuti sono
tangibili in questi due recenti lavori.
Cominciamo con i LIQUID HIPS, autori di un secondo album davvero
monolitico ma, al tempo stesso, frantumato su ritmi funky. Ce n'e` proprio
per tutti i gusti. Ci si puo` tuffare in 'Steady Diet for Nothing', dura
ma condita con il rap isterico di John Mulkerin, oppure scendere nei terri-
tori ancora piu` speed di 'Dish It Out', dove occhieggia un'ipertecnica
introduzione che sembra presa di peso dal free-jazz. Divertentissimo
l'episodio di 'Fun Time', mentre con 'Disposable' e 'Static' si ritorna
ad un funk-metal piu` canonico. Dopo 'Tunnel of Hate', fortemente zeppeli-
niana ma dal caratteristico assolo di tromba (!), si puo` facilmente essere
trascinati dalla durissima e spietata 'Between the Lies'. La classica cilie-
gina sulla torta e` la finale 'Big Head', in cui dialogano sistematicamente
basso, tromba e chitarra.
Semplicemente grande.
Differenti ma altrettanto efficaci sono i DARK MILLENNIUM. Infatti
la seconda prova di questo quintetto tedesco e` la piu` totale negazione
dei luoghi comuni dell'Heavy-Metal, un'ideale mutazione progressiva attra-
verso i generi piu` disparati. I primi brani si presentano con introduzioni
maestose e "noires" ('Mission'), che sfociano talvolta in misurate e brevi
uscite death ('Of Sceptre'). Piu` spesso si compenetrano con una voce versa-
tile, con lercissime atmosfere blues (?) oppure con momenti acustici da
leggenda nordica ('Dead in Love'). Ma ben presto questo caleidoscopio di
suoni assume uno spessore quasi sinfonico, soprattutto quando dalle due
chitarre sgorgano e si intrecciano note rarefatte e, per cosi` dire, "baroc-
che" ('Mechanism Effect'). C'e` inoltre l'oscuro ed intrigante doom alla
Cathedral di 'Peace in My Hands', mentre l'inizio di 'In and For Nothing'
riesuma, in un'ottica progressive, alcuni pregiati riffs di sua maesta`
chitarristica Van Halen. Non e` finita. 'Pandemonium' e` la degna conclusio-
ne di questo intenso lavoro (il testo si ispira ad una massima di Clive
Barker): un finale a due chitarre, nerissimo, epico, sofferto.
Un vero sberleffo a chi, per malcelato snobismo musicale, vorra`
ignorare queste brave masnade di contaminatori.
Vincenzo Capitone
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PANDEMONIUM Pandemonium
In a earlier age Pandemonium - the In un'epoca passata, Pandemonium* -
first city of hell - stood on a l la capitale dell'inferno - sorse su
lava mountain while lightning tore u di un monte di lava, mentre in alto
the clouds above it and beacons d il fulmine squarciava le nuvole e
burned on its walls to summon the i fuochi ardevano sulle mura per
fallen angels. b invocare gli angeli caduti.
(Clive Barker, "The Damnation r (Clive Barker, "Il Piacere della
Game") i Dannazione")
a
Travel through space Viaggiate nello spazio
so ghostly tanto spettrale
withers the void; langue il vuoto;
the veil of spheres l'apparenza delle sfere
my hands le mie mani
they search for hold cercano un appiglio
world of spirits. v mondo di spiriti.
A sea of rooms, a forest of nothing e Un mare di possibilita`, il nulla di una foresta
where a soul wanders n dove erra un'anima
imploring for substance... t che pretende l'essenza...
Deciper i Decifrate
the majesty s sua altezza
Leviathan. il Leviatano*.
Testo: Dark Millenium Traduzione: Decus
Note:
"Pandemonium":
voce creata dal poeta inglese J. Milton per indicare la capitale
dell'inferno - Paradise Lost Book I/v. 974. In Italiano "pandemonio" ha
come sinonimi "diavoleto, frastuono" ma e` pure una festa ricreante lo
spirito col simbolo di una libera e folle vita, nella quale non esiste il
tediosa dovere.
"Leviatano":
mostro biblico immane e distruttore. Nel pensiero politico del seicento,
organizzazione statale assolutistica e opprimente (Hobbes).
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THERAPY?
Troublegum
(A&M 1994)
Strepitoso!! Con questo TROUBLEGUM i THERAPY? (da sottolineare il
programmatico ed inquietante punto interrogativo) polverizzano addirittura
il loro precedente ed affascinante album NURSE e si propongono come un
vero e proprio punto di riferimento per quel che riguarda il rock europeo;
anzi, con questo loro ultimo lavoro si dimostrano uno dei pochi ensemble
capaci di contrastare lo strapotere americano in terra di Rock.
TROUBLEGUM riprende ed amplifica il discorso iniziato con il precedente
lavoro: suoni duri ed ipnotici e melodie accattivanti il tutto proposto
con grinta e potenza. Il trio irlandese, Andy Cairns alla chitarra e alla
voce, Michael McKeegan al basso e Fyfe Ewing alla batteria, lungo i 14
brani che compongono l'album mostrano una varieta` ed una maturita` tali
da far impallidire la stragrande maggioranza dei gruppi d'oltremanica.
Assolutamente da sottolineare gli ospiti presenti e scelti dal trio: Page
Hamilton degli Helmet e Leslie Rankine dei Silverfish, nomi tutt'altro
che altisonanti a garanzia di una stima reciproca e non di uno specchietto
per le allodole (come dimostrano i vari duetti tanto in voga in questo
periodo... vero Bono?). Sono presenti i tre singoli precedentemente stampa-
ti, rispettivamente SCREAMAGER, TURN e NOWHERE - inutile sprecare parole
ed inchiostro per descrivere alcuni tra i riffs piu` riusciti degli ultimi
anni - e la stupenda 'Isolation', cover dei pionieri del dark Joy Division,
ma la qualita` di tutti i brani proposti e` elevatissima. Si inizia
con 'Knives', due minuti di infuocato rifferama a meta` strada tra Helmet
e Ministry - forse uno dei brani piu` potenti mai scritti dai tre rockers -
per poi passare alle gia` citate 'Screamager', 'Turn', 'Nowhere' ed 'Isola-
tion' ed al pop-punk anfetaminico di 'Stop If You're Killing Me' e di 'Hell-
belly' ed alle orecchiabili melodie di 'Trigger Inside', di 'Lunacy Boot',
di 'Unrequited' - impreziosita dal violoncello di Martin McCarrick -,
di 'Brainsaw', di 'Unbeliever' e della originalissima 'Femtex' - stupendi
i cori interpretati da Andy e da Eileen Rose - dal testo provocante e dagli
affilati intrecci chitarristici.
In conclusione pollice in alto per uno dei lavori che piu` influenze-
ranno la stesura delle classifiche di fine anno. GRANDISSIMI THERAPY?
P.S. Ritengo superfluo dire che certa gente - che scrive su altre
e piu` quotate testate cittadine - sarebbe meglio che, anziche' scrivere
un fiume di stupidaggini a proposito di proposte musicali - a loro completa-
mente estranee -, continuasse a recensire Eros Ramazzotti, U2 e Marco Masini
e lasciasse perdere la musica che non puo` capire!!!
THERAPY?
Nowhere
(A&M 1994)
Si tratta del singolo uscito un mesetto circa prima di TROUBLEGUM
e contenente, oltre alla titletrack - orecchiabile e potente, sicuramente
un futuro hit - due vere e proprie gemme: si tratta di 'Breaking the Law'
dei metallici Judas Priest e - udite udite - di 'C.C.Rider' nientepopodimeno
che di Elvis!!! Inutile dire che ogni uscita dei Therapy? e` qualitativamen-
te anni luce superiore alla robaccia che ci propinano certi pseudo-deejay
"alternativi" saliti sul carro del vincitore - con la solita faccia tosta -
e l'onnipresente Videomusic!!!
Axiom
KRAKEN IN THE MAELSTROM
Embryogenesis
(CD Mellow Records, Italia, 1993)
Talvolta, ascoltando un disco puo` accadere di porsi quesiti amletici
sulla genuinita` dell'ispirazione da cui e` nata l'opera in questione:
chissa`, questi signori la pensano veramente cosi`, o stanno semplicemente
cercando di seguire le orme di qualcuno che - prima, oppure meglio di loro -
ha saputo essere piu` convincente. E' cio` che mi e` capitato trovandomi
dinanzi a tale EMBRYOGENESIS, primo parto ufficiale di questo ensemble
partenopeo dal nome affascinante.
Portabandiera dell'anarchia progressiva, tesi alla ricerca a volte
ossessiva della dissonanza musicale, i cinque K.I.T.M. denotano forse qual-
che lacuna dal punto di vista della tecnica strumentale, sebbene i pezzi
da loro proposti non siano certo di facile esecuzione. Anche le voci, soven-
te sovrapposte a formare cori dissonanti (anche qui!) da lirici mancati -
l'ironia! - lasciano talvolta a desiderare. Ed allora, cosa resta di buono?
C'e` parecchio. Anzitutto, il desiderio di proporre pari pari la propria
identita` musicale, nella sua integrale crudezza, anche a costo di apparire
inascoltabili; merito forse dell'autoproduzione. Poi, il saper rapire,
catturare l'ascoltatore con un'atmosfera quasi ipnotica - ma non per questo
tranquilla, anzi: spesso i K.I.T.M. ci trascinano in gorghi (maelstrom!)
sonori dai quali sembra difficile riuscire ad emergere senza sfracellarsi
sulle rocce che affiorano dal fondo. E' il caso di 'The Nightmare Legion',
anomala suite in due parti di natura quasi lovecraftiana; ma soprattutto
di 'Sunwise', costruita attorno ad una chitarra velenosa che passa con
irrisoria facilita` da situazioni scabrose ed angoscianti a piu` rilassati
voli pindarici. Ogni tanto affiora, tra le righe, il fantasma del "gia`
sentito", anche se non portato al parossismo (ragazzi, non ditemi che non
avete mai ascoltato i Van Der Graaf Generator...). Resta, comunque, la
piacevole sorpresa di aver scoperto un nuovo, giovane gruppo con delle
idee, che deve forse prendere piena consapevolezza di come svilupparle
ed esporle al pubblico.
io
SEEFEEL
Quique
(2LP Too Pure, Inghilterra, 1993)
Partiamo dal contenente per arrivare al contenuto, ovvero incominciamo
col dire che quest'opera dei SEEFEEL nella versione in vinile e` distribuita
su due dischi a 33 giri. Le canzoni sono nove, per cui su ogni lato ci
sono due canzoni tranne sul terzo che manco a dirlo ne contiene tre. La
durata di ogni canzone varia da un minimo di 6 ad un massimo di 9 minuti.
Queste informazioni possono parere noiose ed inutili, a mio avviso invece
sono indicative del tipo di concezione che sta alla base del suono di questo
gruppo.
I SEEFEEL producono vibrazioni. I loro pezzi iniziano dalle vibrazioni
del silenzio che poco alla volta vengono arricchite da nuove vibrazioni
di strumenti elettronici, chitarra, basso e percussione. Nel mondo delle
loro canzoni, gran parte delle variazioni sono minime ed avvengono in un
tempo talmente protratto da sembrare quasi inesistente. La voce e` scarsa-
mente usata. Quando viene impiegata ripete una stringa di fonemi che non
sempre costituiscono una frase. Si gioca piu` sul tempo di emissione che
sulla tonalita`. Tutto questo fa si` che la voce non sia altro che un'altra
corda che vibra in mezzo alle altre. Se vi e` capitato di trascorrere una
notte in casa di un orologiaio o di ascoltare nelle notti d'estate il trillo
dei grilli o le cicale nei pomeriggi assolati, vi sarete resi conto che
spesso una concomitanza di suoni simili percepiti dall'orecchio vengono
elaborati in una maniera abbastanza singolare dalla mente. Cio` fa si`
che dopo un certo periodo in cui siamo esposti a queste oscillazioni/vibra-
zioni/suoni essi non ci paiono piu` gli stessi. Ecco cosa succede ascoltando
i SEEFEEL, non si puo` fare a meno di vedere (see) e percepire (feel) la
loro musica. Mi hanno particolarmente impressionato canzoni quali 'Charlot-
te's Mouth', 'Through You' in cui scoppiano bolle di cristallo all'interno
di un antro e s'avvicina una musica mistica, vitale, pulsante, e 'Signals'
ultimo pezzo in cui le vibrazioni ci prendono per mano e ci conducono al
silenzio, dal quale e` difficile distinguere i suoni ascoltati o immaginati.
Marziobarbolo
TINDERSTICKS
Kathleen
(This Way Up/Polygram)
Poco rimane da aggiungere sul loro conto: i TINDERSTICKS sono in
assoluto una delle piu` piacevoli rivelazioni del 1993 e il loro doppio
album d'esordio e` ormai diventato a tutti gli effetti un classico. Pochi
come loro riescono a ricreare atmosfere tanto intense: il loro album richia-
ma a serate trascorse in bettole fumose a bere birra, a luoghi torbidi
e a sogni esotici. I TINDERSTICKS sono un sestetto ed arrivano da Nottin-
gham: uno stile davvero eclettico e una varieta` sorprendente di strumenti
permettono loro di accostare sonorita` blues, jazz e country a seconda
dell'umore. Volutamente restii a rilasciare interviste, i TINDERSTICKS
si presentano come gruppo scomodo da inquadrare nelle scene musicali che
la stampa specializzata inglese si ostina ad inventare. I riferimenti musi-
cali sono davvero molti e tutti lusinghieri: fra tutti il piu` evidente
e` Nick Cave con i Bad Seeds (ma altrettanto esplicito e` quello a Leonard
Cohen).
Nella fattispecie, in questo Ep, ultima uscita in ordine di tempo
per il gruppo, li vediamo alle prese con il rifacimento di una delle piu`
conosciute canzoni di Townes Van Zandt, 'Kathleen', che fanno propria ripro-
ponendola in modo davvero convincente, con la loro tipica espressivita`
emotiva e romantica. I rimanenti brani sono una versione jazzata di 'A
Sweet Sweet Man' gia` apparsa sull'album e due inediti: 'Summat Moon'
e 'E-Type Joe'. Sembra opportuno rinviare ulteriori commenti al 16 Aprile,
quando i TINDERSTICKS saranno al Bloom di Mezzago (Mi).
Per chi ancora non l'avesse fatto il consiglio e` quello di procurarsi
il loro album, assolutamente.
M.P.
RED HOUSE PAINTERS
Red House Painters
(4AD/Contempo)
"Slowed-down blues" era la definizione che caratterizzava meglio i
primi due lavori dei RED HOUSE PAINTERS e rimane, pure in questo caso,
quella piu` efficace. Insomma, il gruppo di Mark Kozeleck sembra non voler
minimamente cambiare direzione musicale, procedendo per la sua strada,
inevitabilmente parallela a quella degli American Music Club.
Il contenuto dell'intero album e`, al solito, esplicitamente autobio-
grafico: Mark Kozelek sembra trovare nell'arte la giusta terapia per i
suoi mali esistenziali e il rifiuto di quella falsa sicurezza che il mondo
cerca di ostentare a tutti i costi (ascoltate 'Evil'). A volte tutto questo
degenera in una morbosa attrazione verso il dolore e porta quasi Kozelek
a ritenere il dolore sua esclusiva prerogativa. Ma questo privilegio e`
davvero salutare? Le migliori cose di questo album si vedono in 'New Jersey'
e 'Uncle Joe'. C'e` pure spazio per due cover: 'I Am a Rock' di Simon &
Garfunkel (affermazione della vita nella versione originale, forte pessimi-
smo nella rivisitazione dei RED HOUSE PAINTERS) e 'The Star Spangled Banner'
(suggerisce che l'America e` nell'esibizione di atrocita` senza alcuna
speranza).
Nell'insieme il progetto RED HOUSE PAINTERS rischia di essere, a volte,
troppo autoindulgente. Ma, d'altro canto, davvero pochi possono vantare
il coraggio di esprimere la propria sensibilita` in modo tanto sincero.
M.P.
RECENSIONI - crawlin'
ELVIS COSTELLO
Brutal Youth
(WB)
Potrebbe sembrare banale il dire che COSTELLO ha realizzato un album
vario e originale, poiche' stiamo parlando di un artista che ha fatto di
queste due caratteristiche il proprio segno di riconoscimento. Qui pero`,
al contrario di cio` che avveniva in alcuni dei suoi lavori dei primi an-
ni '80, non si tratta di un eclettismo "alla rinfusa", frutto di tentativi
piu` che di consapevolezza, ma di un lavoro completo che raggiunge una
sua continuita` nonostante, o forse proprio grazie alla profonda diversita`
di stili che si intrecciano al suo interno.
Come e` riuscito dunque COSTELLO ad arrivare a questa armonia? Non
si puo` fare a meno di notare che il denominatore comune di tutti questi
brani e` una profonda dolcezza che pervade anche i brani piu` puramente
rock, come '20% Amnesia', e che talvolta e` persino velata di nostalgia (an-
che COSTELLO sta arrivando ai 40!): sono ricorrenti le rivisitazioni di
melodie in perfetto stile sixties, brani lenti in cui dominano voce e piano-
forte come 'Still Too Soon To Know' e 'You Tripped at Every Step'. E' pero`
importante sottolineare che queste sono forse le cose meno riuscite dell'al-
bum: la voce di COSTELLO e` troppo acuta e fredda per ricreare quelle atmo-
sfere, tanto che a tratti ci si chiede se il suo intento di rivisitazione
non sia per qualche verso parodistico. Va da se' dunque che i momenti mi-
gliori sono da ricercarsi nei brani piu` indefinibili, quelli che e` impos-
sibile etichettare: la gia` citata '20% Amnesia' riesce a conciliare uno
pseudo rock'n'roll con delle sonorita` alla Violent Femmes (ci credereste?)
mentre 'Rocking on Horse Road', nonostante la sua orecchiabilita` riesce
a comunicare un'atmosfera rarefatta, quasi "intellettuale".
Probabilmente non andremo mai in delirio ascoltando ELVIS COSTELLO,
ma fa piacere sapere che si puo` sentire della buona musica senza sforzare
ad oltranza timpani e cervello: non sempre, ma alle volte fa bene.
Pinky
JOHN LEE HOOKER
Don't turn me from your door
(Atlantic)
Certamente non ci troviamo di fronte ad un disco innovativo ne' si
puo` dire che l'album in questione sia un coacervo di stili e di influenze.
No, nulla di tutto questo. L'Atlantic ci propone, sotto la denominazione
"Remasters series", questa raccolta di brani del vecchio (classe 1917)
ed inossidabile John Lee registrati in parte a Cincinnati alcune primavere
fa e debitamente masterizzate in studio a New York.Il "riaggiustamento"
digitale non fa perdere la vitalita` disarmante di queste songs che siamo
abituati ad ascoltare condite con l'immancabile fruscio.
Al primo superficiale ascolto penso sorga spontaneo il dubbio di aver
speso male i propri soldi poiche` le canzoni sono tutte molto simili,
strutturalmente parlando, la chitarra del buon "Hook" esegue i suoi incon-
fondibili accordi ma nulla di piu`. Al secondo ascolto le cose cambiano,
si comincia a prestare attenzione alle ruvide sonorita` della chitarra,
alla voce profonda, roca, cavernosa al punto da far rabbrividire. Quasi
tutti i brani, tranne un paio (in cui sono presenti anche il basso e una
seconda chitarra), vedono Hooker cimentarsi al canto accompagnato solo
dalla propria chitarra (non riesco a decifrare se si tratta della leggenda-
ria Epiphone o della Gibson "335" utilizzata nelle sue recenti esibizioni)
e dal battito caratteristico del piede ("stomping"). La caratteristica
che fa di JOHN LEE HOOKER uno dei miei bluesmen preferiti e` la sua capaci-
ta` di fondere canto e chitarra in una esplosiva miscela, raggiungendo
sonorita` vibranti e molto efficaci. Doveva certamente fare un certo effetto
vedere quest'uomo dalla figura minuta imbracciare lo strumento e suonare
nei clubs di Detroit, capitale americana dell'auto, citta` dove si era
recato per sfuggire alla miseria della natia Clarksdale, Mississippi. La
vita quasi mai e` stata facile anche per Hooker che, ai tempi dell'incisione
dei brani del Cd, di giorno lavorava in fabbrica mentre la sera, per arro-
tondare lo stipendio, suonava nei locali del ghetto. Questa si chiama gavet-
ta! Ma veniamo alle canzoni. I temi sono quelli classici dell'immaginario
blues: l'amore per una donna (quasi sempre galeotto) in 'Love my Baby',
il ritorno a casa in 'Goin' South' e "storie di ordinaria follia" come
avrebbe detto il compianto Charlie Bukowsky. Sono profondamente convinto
che nessuno puo` rimanere insensibile di fronte a tematiche certo non impe-
gnate politicamente ma vissute sulla pelle di migliaia di neri americani
e non create ad arte per vendere dischi. La genuinita` del prodotto vale
da sola l'acquisto. Ma anche il musicista ha di che imparare dal vec-
chio "Hook". Andate ad ascoltare l'attacco di brani come 'Driftin' Blues'
o 'Wobbling Baby' e capirete che l'hard-rock non e` stato certamente un
fulmine a ciel sereno. Oppure cercate di capire quanto HOOKER c'e` nell'ope-
ra di artisti di indubbio valore come George Thorogood o Elvin Bishop.
Dunque, anche se non amate il genere, ma cercate le radici della musica
oggi piu` comunemente ascoltata tra i giovani, JOHN LEE HOOKER si e` rita-
gliato, con i fatti e non a parole, un posto di riguardo nelle nostre disco-
grafie.
T-Bone Malone
MARK LANEGAN
Whiskey for the Holy Ghost
(SUB POP)
Secondo album solista per MARK LANEGAN, voce e leader degli Screaming
Trees (Seattle); straordinario seguito dell'otima prima prova che si aveva
avuta con THE WINDING SHEET del 1990.
Un disco realmente sopra la media; che sintetizza in un'acida miscella-
nea psichedelica rock, blues, folk e country tutta la sofferenza di un
uomo che si sente schiacciato dalla gente e dal mondo, un amante della
solitudine, un poeta. Si`, perche' di poeta si deve parlare in questo caso.
LANAGAN infatti, nelle tredici tracce di questo disco, riesce a trasmettere
tutta quella sofferenza che solo una voce costruita con whiskey e sigarette
puo` fare... ricordate Tom Waits?! Musicalmente per ottenere questo risulta-
to il biondo Mark rifugge dai riffs incandescenti e dai ritmi frenetici
degli Screaming Trees, e si lascia trasportare dal fluire di suadenti bal-
lads, pressoche' totalmente acustiche. Non e` che con questo disco LANEGAN
voglia dimostrare qualcosa di piu` rispetto a quando e` col suo gruppo,
semplicemente vuol fare musica diversa, esibirsi in quei ritmi e quei suoni
tipici del folk, del blues e del rock-country che sono, e si sente, il
suo background musicale, quella musica che probabilmente ha accompagnato
la crescita e la formazione musicale di LANEGAN. Sicuramente cosiderati
questi punti si puo` dire che WHISKEY FOR THE HOLY GHOST sia un disco
autobiografico, sia per le sofferenze tipiche del cantante, sia per l'inti-
mita` che riesce a trasmettere all'ascoltatore. Per ottenere questo stupefa-
cente risultato, MARK LANEGAN si e` avvalso della collaborazione di amici
di Seattle: Mike Johnson e J. Moseis (Dinosaur Jr.), Dan Paters (Mudhoney),
Tad Doyle (Tad) e Mark Pickerel (ex Screaming Trees). Per finire una racco-
mandazione: malgrdo Mark sia di Seattle e sia uno degli esponeti di punta
della scena musicale di questa citta`, questo disco col grunge non c'entra
assolutamente nulla, anzi forse questo termine ormai obsoleto non ha
mai voluto dire nulla, se non un modo di vestirsi,quindi dimenticatelo
per il bene di tutti.
Aymaro
SCREAMIN' JAY HAWKINS
Somethin' funny goin' on
(Demon Records)
Ahaauuh, bloo pruu. Il mio nome e` SCREAMIN' JAY. Io sono il Diavolo
e voglio parlarvi del peccato e di quando voi peccate... E' la potente
voce baritono che sovrasta la struttura musicale, che gioca con urli con
profondita` abissali e pernacchie. E' difficile orientarsi sicuramente
sta arrivando qualcosa di bizzarro, pazzo di misterioso di freddo come
l'Inverno. Nessuno deve spaventarsi bisogna solo conoscersi molto bene
per non prendersi troppo sul serio. Sono per la maggior parte brani che
corrono su pochi accordi con atmosfere a tinte forti: questa e` la realta`
ma aspettatevi da un momento all'altro un ribaltamento totale. Ripetitivita`
dei ritmi: 'Brujo' (stregone): tamburi dai richiami di danza rituale tribale
cosi` la voce ipnotica di questo insolito stregone; ripetitivita` dei ritmi
delle chitarre (tra cui quella "pazza" di Mike Keneally ex chitarrista
di Frank Zappa) sempre con una distorsione fredda da scarica elettrica.
I temi sono quelli caratteristici del Blues: l'amore, Il Diavolo, la
morte trattati pero` da una personalita` del tutto fuori dagli schemi.
C'e` anche in 'I'm the cool' il tema del freddo della ghiaccia infernale
della rivelazione islamica: Io sono il freddo, sono il piu` freddo al mondo,
lo sono da quando sono nato... Sono l'Inverno; che equivale a quell'inizia-
le: Sono il Diavolo. Ricordiamoci pero` sempre che Qualcosa di bizzarro
sta arrivando (SOMETHIN' FUNNY GOIN' ON) lo si scopre molto spesso nelle
musiche: il sax che fa il verso alla voce o i cori femminili troppo leggeri
per essere presi sul serio accanto alla sua voce profonda da predicatore
o ancora l'accostamento dei brani. Il suo e` un Blues urlato, beffardo
dato come un comando 'Scream the blues': Io ti amo baby e per questo suono
il Blues. Amore vissuto ma sempre nell'incertezza dovuta al fatto che lui
e` pazzo, folle: Nessuno dice che sia facile... amarmi e` difficile e tu
pensi di aver bisogno di me... Vuoi darci un taglio ('Give it a break')
e allora bye bye love. Ti do un'altra possibilita` e tutto quello che mi
sai dire e` che sono pazzo, allora diamoci un taglio e addio amore. Circola-
rita` della chitarra sempre ghiacciata e ruggente; lavoro semplice, efficace
e puntuale dell'armonica in controcanto. Per quanto riguarda l'armonica
colpisce la sonorita` in 'When you walked out the door' (rifacimento di
Mannish boy) "elettrica" quasi scariche registrate a distanza. Misteriosa
e preveggente la tromba con un riff di fiati in discesa mentre si passa
fischiettando accanto al cimitero ('Whistling past the graveyard').
Questo disco emerge come ho gia` detto per le atmosfere: atmosfere
gia` collaudate: qui attraverso l'utilizzo di brani del suo repertorio.
Secondo me bisognerebbe lasciare piu` libero, questo artista, nella sua
pazzia e la Demon non e` proprio la casa discografica piu` adatta e questo
album ne risente. E poi questo e` un personaggio che e` da incontrare sul
palco come tutti i grandi Bluesmen e il divertimento e` assicurato.
Johnny
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l'autunno
le sere
le musiche:
INTERFERENZE blu sta preparando una sorpresa per voi
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HOOTIN' THE BLUES
Goodtime Music
(Ger)
E' uscito un nuovo Cd, e` un blues sincero, pieno di ritmo, convincente
ed entusiasmante; tradizionale ma consueto. Nel ricordo di Walter Horton,
Robert Johnson, Blind Blake, Sonny Terry, Son House e molti altri della
storia del Blues. Il Cd e` GOODTIME MUSIC degli HOOTIN' THE BLUES, gruppo
tedesco.
La loro musica ha origini nel Blues tradizionale, con influssi di
musicisti come Ry Cooder e Charlie Musselwhite. Il gruppo e` nato nell'88
a Munster. Hanno suonato in varie citta` tra cui Danzica, Varsavia, Torun,
Praga, Vienna, Brno, con partecipazioni radiofoniche e televisive. GERD
GORKE (armonica e voce) suona professionalmente blues dall'83; tra i miglio-
ri armonicisti blues in tutta Europa, ha fondato la Q-Blues Band, suona
nei Blues Mafia e ha lavorato con, tra gli altri, Jeanne Carolle, Louisiana
Red, Angela Brown, Johnny Hartsman. GUNTER LEIFELD-STRIKKELING (voce, chi-
tarra, banjo, mandolino) sulla scena da molti anni, ha suonato chitarra
e banjo nella Chicken Skin String Band. Suona molto il Dobro, spesso con
la tecnica "slide" del bottleneck. RUPERT PFEIFFER (voce, chitarra) ha
studiato per cinque anni chitarra jazz; ha suonato con i Bluespray e con
la cantante Meike Kohne. Puo` vantare numerose registrazioni radiofoniche
e discografiche e molti anni di insegnamento.
Ottime le interpretazioni dei brani di Robert Johnson con un 'walking
blues' che inizia con un assolo di Gerd e la sua voce di basso profondo,
che ha molto di nero e niente di tedesco. Tutti i brani hanno un tiro mici-
diale e la costante del feeling di una band che con tre elementi riesce
a riempire e a convincere. Tre personalita` di spicco e nessuno sotto.
Ecco un gruppo dove non c'e` la star, ma che trae la propria forza dal
bilanciamento dei ruoli. Gunter: il piu` Woody Guthrie, il piu` festaiolo,
il polistrumentista con una voce molto "rurale". Rupert: il mago della
chitarra, il punto di equilibrio, voce baritonale. Gerd: il clown, il pazzo,
sicuramente musicista in grado di poter primeggiare in ogni formazione,
ma che invece sceglie il dialogo e il lavoro di squadra. Un album mozzafiato
e unico nel suo genere, diciotto (e non son pochi) brani che scorrono all'a-
scolto senza stancare, con continui capovolgimenti di fronte. 64 minuti
e 40 secondi di genuinita` e di vero Blues. Comunque vada ci troviamo di
fronte ad una delle piu` belle realta` del blues acustico europeo composto
da musicisti del circuito degli artisti da strada, dove e` nato il Blues.
Come e dove poterli vedere ed acquistare il loro Cd? All'On the Road
Blues Festival che si svolgera` in tutta Italia dal 1/8 al 15/8/94. Per
concerti o saperne di piu` scrivete o telefonate a: ON THE ROAD BLUES
FESTIVAL c/o Cascina Macondo - Sezione Musica, Via Roma 26 - 10023 Chieri -
011/9411495.
ON THE ROAD BLUES FESTIVAL
Quest'anno parte la prima edizione dell'On the Road Blues Festival,
rassegna internazionale di blues acustico da strada. Il festival e` itine-
rante e si svolge in Italia dal 1/8 al 15/8/94 presso quelle amministrazioni
locali che sceglieranno questo progetto. Unico nel suo genere in quanto
itinerante, ha gli obiettivi di diffondere il blues acustico nella sua
forma piu` popolare, quella che prevede il contatto diretto con il pubblico
e la comunicazione, e l'offerta diretta alle amministrazioni di una rassegna
gia` strutturata e pronta a svolgersi.
Questo risultato lo si e` ottenuto grazie ai numerosi scambi interna-
zionali di Cascina Macondo (associazione da artisti da strada) che ha
verificato sul campo, oltre alla qualita` dei gruppi partecipanti ogni
anno, la capacita` comunicativa dei musicisti, tenendo presente che in
Italia questo genere specifico viene proposto ad un pubblico eterogeneo.
Il Blues, quindi, a chi non lo conosce per far scoprire che questa forma
di musica popolare americana da strada non e` cosi` lontana dai nostri
cantastorie e puo` coinvolgere non soltanto i giovani, ma anche le altre
fasce d'eta`. Aprono la prima edizione due formazioni (una italiana, l'altra
tedesca) che da anni operano in questo genere musicale da ascoltare e da
vedere. Il programma e` corredato di una mostra grafica in 20 tavole di
C. Cataruzza intitolata "La donna nel Blues".
PROGRAMMA:
concerto BLUESJEANS
concerto HOOTIN' THE BLUES
mostra grafica LA DONNA NEL BLUES 20 tavole di C. Cataruzza
CHARLES MINGUS
in Wonderland
(Blue Note Jazz portraits)
Due sono abitualmente gli atteggiamenti che si seguono ascoltando
un brano musicale. C'e` chi sdraiato su di una comoda poltrona, non calco-
lando il rischio di assopirsi, abbandona ogni scetticismo per lasciarsi
compenetrare dall'armonia creata dalle sequenze dei suoni, egli sa di aver
di fronte una realta` adeguatamente conosciuta ed e` quindi consapevole
della propria imprescindibile sintesi fra il sentire dell'animo ed il conte-
nuto di bellezza della musica ascoltata. Non perplesso bensi` ammaliato,
ne subisce il fascino, un incanto che gli permette di muoversi a livelli
di comprensione musicale "intimi", "ravvicinati"; pur tuttavia il suo non
e` un naufragio. E' un fondersi senza residui, una immedesimazione delibera-
tamente istituita che e` pressoche' incomunicabile, ma facilmente immaginata
da ogni ascoltatore. Questa conoscenza profonda anche se ottenuta in modo
passivo, favorisce il miracolo di una assimilazione diretta e a ragion
veduta e` questa la via piu` semplice per raggiungere la meta che anche
la recensione scritta si pone: generare interesse per uno specifico composi-
tore o gruppo di musicisti. Ma non potendo tradurre i suoni in parole,
almeno finora non e` mai successo, introduco il secondo possibile atteggia-
mento dell'ascoltatore. Pensate ad un personaggio canagliesco e bisbetico
che non cede mai a stati d'animo imprevisti, giocherellanti; un tipo dotato
di una crudele imperturbabilita` che non concede mai nulla, costui ingaggie-
ra` una silenziosa lotta con quanto sta ascoltando. Opporra` la sua incande-
scente volonta` razionale alla pura impalpabilita` della musica, cioe`
tendera` a non avvertire la "musicalita`", quindi la componente piu` ine-
briante in questo caso va perduta. Eppure egli e` la persona piu` adatta
per esprimere un giudizio critico, poiche' il suo fare e` di non-identifica-
zione, distacco ovvero straniamento. E se noi chiedessimo al primo ascolta-
tore cosa ne pensa, egli cadrebbe nella peggiore banalita` che nasconde
un reale non-poter-dire, mentre quest'ultimo avrebbe una sua linea interpre-
tativa, seppur appena abbozzata. Questi due esempi sono certamente ideali
e nel nostro saggio hobby dell'ascolto, non possiamo far a meno di oscillare
fra entrambe le posizioni. Le prudenze del distacco si annullano cosi`
in gioie e piaceri e tutto cio` non frena il grande vento, il ritmo Jazz.
La musica Jazz possiede infatti la seguente caratteristica: l'oscuro
dono di trasmettere una certa passione che ci fa star sempre all'erta,
accanto ad una consistenza concettuale che pungola il nostro intelletto.
Le due componenti formano nei migliori un'identita` assoluta col massimo
di ascesa verso impreviste variazioni. Ma quella che certo e` polivalenza
e forse ambiguita`, lascia intravedere legami ben distinti con le basi
tradizionali, con la "coscienza blues". Avviene cosi` che nessuna delle
parti in causa (introduzione, tema, variazione sul tema, etc.) la vince,
regna bensi` ordine ed equilibrio, tradizione e innovazione.
Eppure cio` da` vita a molti sentimenti. Spesso per il semplice fatto
di leggere fra le note ascoltate, di brani come 'No Private Income Blues'
a propisito del quale MINGUS disse: <<The idea is to get a tighter and
tighter feeling in a piece before squeezing something and breaking it (l'in-
tenzione e` di ottenere un sentimento verso il brano musicale sempre piu`
intimo, prima di premere un qualcosa e finire inevitabilmente per romper-
lo)>>, che personalmente mi fa ricordare ineffabili malinconie subito asso-
ciate agli interni di una chiesa, dove profonde zone d'ombra si alternano
a luci provenienti da direzioni imprecisate, quanto imprecisabile era il
sentimento che animava le riunioni nel "Holiness Church" (la chiesa negra),
dove il giovane MINGUS si infilava nella piu` vicina fila di banchi. Forse
conobbe cosi` una delle sue muse ispiratrici. Si udivano ininterrotamente
le lunghe lamentazioni ("moanings") ed il rituale delle frasi ripetute
senza fine (i "riffs"). Cosi` egli pieno di attenzione non resto` indietro,
quest'esperienza lo preparo` a conoscere Duke Ellington, Charlie Parker
e Art Tatum.
Alla fine degli anni sessanta, quindi nel periodo di incisione di
MINGUS IN WONDERLAND (concerto dal vivo, suonato al Nonagon Gallery), egli
era gia` un personaggio famoso e anche pittoresco. Strano pure cio` di
cui e` diventato emblema: la sensibile dolcezza sposata a una tempra violen-
ta, un moderno "Dr. Jeckill and Mr. Hyde". Pulsioni tanto dissimili formano
un sofisticato "groviglio romantico" che e` l'eredita` nella sua musica
del nostro tempo di rabbia e ilarita`. Ma accanto al terrore che fa tremare,
c'e` il soffice pervadere della espressivita`. Mi riferisco a due brani
scritti da Gershwin e magnificamente interpretati da MINGUS: 'A Foggy
Day' (contenuto in PITHECANTHROPUS ERECTUS del '55) e 'I Can't Get Started'
presente nell'album di cui parliamo. La prima e` una canzone romantica
di circa otto minuti, descrittiva dei suoni della metropoli, se non che
con MINGUS siamo a San Francisco, non a Londra, comunque anche qui e` la
nebbia, il correlativo oggettivo dello stato d'animo. Tempestosamente indi-
viduale ed irrequieto e` il secondo pezzo, dalla passionalita` un poco
selvaggia ed astratta per essere concreta. Poi ciclici susseguirsi di acce-
lerazioni e rallentamenti del tempo trasmettono quel qualcosa che vuole
spiccare il salto, tuttavia la resa non e` aggressiva o esasperata come
in alcuni esperimenti di Free Jazz, bensi` classicamente discreta. Alla
negazione di tutte le convenzione stabilite, MINGUS giungera` in seguito,
verso il '64. Qui vi sono piuttosto tracce della concezione ritmica circola-
re o "circolarita`" della musica (rotary perception), vale a dire rallenta-
menti e improvvise accelerazioni. Nel '59 MINGUS era un magnifico contrab-
bassista, sia per capacita` tecniche che per espressivita`, si ascolti
in proposito la bellezza e la potenza dei suoni di 'Nostalgia in Times
Square'. Le note del contrabbasso diventano il canto del cigno, oltre l'af-
follamento del testo. Avrebbe dovuto essere la colonna sonora del film
di Cassavantes "Shadows" ma venne in seguito rifiutata e fu da MINGUS inse-
rita come primo pezzo in questo suo concerto.
In conclusione la musica contenuta in MINGUS IN WONDERLAND, non puo`
che appagare con la sua trama i nostri atteggiamenti nei suoi confronti,
che ben inteso vanno verso un "sentire" che e` estasi (trance-like excite-
ment) ma anche affermazione di appassionata intelligenza. In questo capola-
voro: pensiero e` musica e musica e` pensiero.
Decus
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/ REDAZIONE \
| |
| M.P., Marziobarbolo, Johnny, Emma |
| Dulcamara, Jaco, Dronag, T-Bone Malone, Pinky |
| Vincenzo Capitone, io, Axiom, Aymaro, Decus, |
\ Cascina Macondo /
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