di Maurizio Dematteis
«Il ceto politico dei paesi cosiddetti democratici non si rende conto della
pericolosità del momento - tuona Paul Ginsborg dal palco della Sala Ronda nella Fortezza
da Basso di Firenze - la democrazia dei paesi occidentali è in crisi». L'occasione è
ghiotta: al Social Forum di novembre 2002 è stata organizzata un'intera giornata sulla
democrazia partecipativa, presentata come vero antidoto alle malattie della nostra
democrazia occidentale, con l'intervento dei maggiori esperti europei di strategie di
partecipazione dal basso: storici, sociologi, sindaci, assessori e chi più ne ha più ne
metta. E sì, perché chi l'ha detto che la partecipazione popolare alla gestione della
cosa pubblica sia prerogativa di Porto Alegre? Sicuramente l'esempio di "bilancio
partecipato" della città del sud Brasile, di cui tanto si è parlato, è
un'esperienza unica e interessantissima. Ma non dimentichiamo che la democrazia
partecipativa non si limita alle decisioni di bilancio, e che anche in Italia (come in
Francia e Germania) c'è una lunga tradizione di partecipazione popolare al governo delle
città, dai comitati di quartiere degli anni '70 all'attuale "boom" di
esperienze all'avanguardia di coinvolgimento dei cittadini da parte delle amministrazioni
pubbliche, come nel caso del comune marchigiano di Grottammare (vedi box) o di quello
francese di Bobigny (www.ville-bobigny.fr).
Ma qual è stato l'input che ha ridato vita alle esperienze di democrazia partecipativa in
Italia?
Ancora Paul Ginsborg, nel discorso d'apertura della lunga rassegna fiorentina di
esperienze, spiega il particolare momento storico facendo una prima distinzione: esistono
oggi democrazie puramente elettorali e democrazie liberali. Mentre le prime si limitano ad
offrire ai cittadini libere elezioni, le seconde offrono anche libertà civili, uno stato
di diritto con uguaglianza, autonomia della magistratura, società civile e mezzi di
informazione liberi e pluralisti, e controllo sulle forze armate. «L'Italia oggi rischia
un passaggio rapido - sostiene lo storico - da una democrazia liberale a una puramente
elettorale». I sintomi di questa "malattia democratica", vero propulsore delle
esperienze partecipate, si possono cogliere nella crescita dell'astensionismo al voto, nel
dilagante carrierismo e nell'aumento vertiginoso dei processi tra amministratori pubblici.
Lo strapotere dei ricchi nelle elezioni, il mercato dei mass media ormai incontrollabile e
il declino della società civile e dell'associazionismo segnano il passo, secondo
Ginsborg, all'ascesa di esperienze ibride tra democrazia rappresentativa e democrazia
diretta. Gli amministratori sempre più dovranno impegnarsi in processi decisionali di
partecipazione attiva, per creare una cittadinanza cosciente e capace di decidere in modo
informato, frenando i processi di esclusione e alimentando quelli di inclusione.
Il nuovo municipioUna carta per governare dal basso«Come reagire a questa distruzione di democrazia?». È la domanda con cui Alberto
Magnaghi, uno dei massimi studiosi della democrazia partecipativa in Italia, entra nel
vivo del suo intervento al Social Forum di Firenze. Docente di Pianificazione ambientale e
direttore del Laboratorio di progettazione ecologica degli insediamenti all'Università di
Firenze (www.unifi.it/lapei),
Magnaghi ricorda l'esperienza fatta con i colleghi al Forum mondiale 2002: «Abbiamo
presentato a Porto Alegre la nostra Carta Il nuovo municipio e ha avuto un gran
successo». Nel documento si elencano vari punti attraverso cui è possibile, come recita
il sottotitolo, "una globalizzazione dal basso, solidale e non gerarchica".
Sviluppo locale, nuove forme di democrazia diretta, ruolo attivo degli enti locali,
multiculturalità e reti di scambio equo e solidale diventano un cocktail magico con cui i
cittadini possono correre in aiuto di una democrazia rappresentativa gravemente malata. A
patto che la partecipazione democratica non si limiti al voto ogni cinque anni ma si
trasformi in partecipazione reale. L'intento dei promotori è arginare la globalizzazione
dall'alto e i suoi squilibri creando vari laboratori nel maggior numero possibile di
realtà locali. «In Italia - continua Magnaghi - siamo giunti a oltre 300 adesioni al
documento da parte di amministratori locali, dalla Regione Toscana al Veneto, dalla
provincia di Torino a quella di Bolzano, dal comune di La Spezia a quello di Pomigliano
D'arco. Ora dobbiamo promuovere alleanze tra gli enti per mettere in pratica ciò che
questo movimento teorizza». Secondo i promotori dell'iniziativa, agricoltori,
commercianti, addetti ai servizi, lavoratori autonomi e cittadini del maggior numero di
municipalità dovranno unirsi in movimenti "pluralisti e progettuali" per la
costruzione di una nuova società. «Pensate a un comune - dice Magnaghi - dove
l'amministrazione incentiva il commercio equo e solidale, l'agricoltura biologica e
promuove le risorse locali; si creerebbe un'alternativa al neo-liberismo, senza dover
seguire le leggi di profitto delle multinazionali. In definitiva, dobbiamo proporre agli
amministratori locali la disobbedienza a questo processo di distruzione della
democrazia». |
Partecipazione all'italianaDemocrazia dal basso "made in Italy". La spiega a Volontari per lo Sviluppo uno dei suoi padri, Giorgio Ferraresi, ordinario di Urbanistica presso il Politecnico di Milano (Diap) e membro del Laboratorio di progettazione ecologica del territorio (www.diap.polimi.it/lab/lpe/) nonché promotore della Carta Il nuovo municipio Porto Alegre è noto, oltre che per il Forum Sociale, anche per la democrazia
partecipata applicata dal governo municipale. Si può paragonare quell'esperienza alle
forme di partecipazione presenti in Italia? Una sorta di democrazia rivoluzionaria? Associazioni e gruppi new global si sono accorti di quest'opportunità? Come può il cittadino in Italia esprimere la propria partecipazione? Così verrebbe meno l'antagonismo storico tra amministrazione pubblica e
associazionismo? |
di Mauro Giusti
Dottore di ricerca in pianificazione territoriale e ricercatore dell'Istituto della
ricerca sociale di Milano
Ormai da tempo si è persa la fiducia nella corrispondenza fra attività pubblica e
interesse collettivo, ed è sotto gli occhi di tutti la non completa corrispondenza tra
l'azione dello Stato, delle amministrazioni locali e delle agenzie di settore e una
qualche forma di interesse generale. Inoltre, non vale più la tradizionale dialettica fra
conservazione e progresso: ridefiniscono il campo nuovi valori legati ad ambiente,
sicurezza, socialità, cura dei luoghi e delle persone, senso di identità, che si
combinano in modo da definire orientamenti e alleanze a volte sorprendenti.
Anche se il coinvolgimento degli abitanti è spesso interpretato come valore in sé, e in
particolare come progresso verso una sorta di democrazia diretta, l'esame degli studi in
materia permettono di avanzare l'ipotesi che riconosce almeno tre interpretazioni
politico-culturali: una conservatrice, una progressista e una libertaria.
La prima forma di partecipazione ha un'impronta sostanzialmente conservatrice. È un
atteggiamento più diffuso di quanto si pensi, soprattutto nel "Primo Mondo",
dove la maggioranza della popolazione ha conseguito pieni diritti e un buon livello di
benessere economico. La partecipazione degli abitanti in questi casi è una consultazione
su decisioni già prese, con possibilità di modifica limitate e riservate ad aspetti
marginali. Le modalità adottate sono orientate alla cattura del consenso, predomina la
comunicazione monodirezionale: si tengono "eventi" pubblici patinati, con un
linguaggio molto tecnico, difficilmente accessibile ai soggetti locali, che da un lato
trasmettono agli abitanti la sensazione di un grande sforzo progettuale e di una grande
attenzione dei decisori nei loro confronti, e dall'altro li lusingano con la presenza nel
quartiere di personale politico e tecnico-scientifico per lo più inaccessibile, come il
sindaco, il dirigente comunale, il grande architetto. Le modalità di comunicazione sono
sostanzialmente mutuate da quelle della pubblicità e derivano direttamente da quelle
della propaganda politica.
In particolare, le tecniche "partecipative" in questi casi sono in genere legate
alla consultazione di un numero elevato di persone. Tipicamente sono impiegati
questionario e assemblea, due strumenti con scarsa interattività (il questionario ha
domande definite a priori, l'assemblea permette di intervenire solo a poche persone
abituate a parlare in pubblico), facilmente controllabili negli esiti previsti e non in
grado di mettere in gioco le decisioni già consolidate. In tale situazione nessuno muta
la sua posizione, ma il sistema politico aumenta la propria legittimazione favorendo
l'espressione di atteggiamenti affioranti, considerati naturali, "dati".
Questa forma di partecipazione in molti casi è istituzionalizzata: si pensi al
"contratto di quartiere", uno strumento di recupero urbano destinato
all'intervento pubblico integrato in quartieri con situazioni di disagio abitativo che
prevede espressamente la partecipazione degli abitanti. Nella maggior parte dei casi la
partecipazione ai contratti di quartiere è stata concepita più come comunicazione
pubblica dei risultati che come coinvolgimento progettuale degli inquilini.
Un secondo tipo di pratiche partecipative fa riferimento a una concezione progressista
in politica. In tal caso il coinvolgimento dei soggetti locali (abitanti, associazioni,
comitati ecc.) nel processo di trasformazione del territorio corrisponde alla costruzione
di un alleato ulteriore alla coalizione orientata verso la trasformazione delle strutture
sociali. In questo ambito stanno peraltro esperienze diverse, lungo un continuum
che va dal sostegno a iniziative di difesa da progetti esterni percepiti come minacce,
alla definizione di scenari di sviluppo alternativo.
Un esempio del primo caso è il sostegno di autorevoli esperti ai comitati locali di
abitanti che si oppongono al prospettato insediamento, di solito in qualche periferia
metropolitana, di un'infrastruttura utile al sistema urbano nel suo complesso ma di scarso
pregio o di impatto nettamente negativo: un inceneritore, una discarica, un aeroporto, uno
svincolo autostradale, ma anche un campo nomadi o un centro di prima accoglienza per
immigrati. Non appena l'amministrazione decide di sviluppare uno di questi progetti, la
popolazione locale si mobilita e costituisce un comitato "Nimby": ovvero Not
In My BackYard (non nel mio cortile). "Questa attrezzatura non ci serve, non ci
interessa che sia di utilità collettiva - recitano gli slogan - fatela da un'altra parte,
ma non nel mio cortile, non nel mio giardino". Peraltro da iniziative del genere
possono nascere anche forme originali di pianificazione strategica, volte a definire
quadri generali e coerenti di sviluppo alternativi al modello corrente.
Spesso poi i flussi di azione in un contesto progressista o alternativo, o addirittura
antagonista, rimangono extraistituzionali: si pensi ai centri sociali autogestiti, che a
volte producono esperienze rilevanti; o al carattere "molto locale" e del tutto
reversibile dei comitati "di protesta" contro minacce provenienti dall'esterno.
Esiste una terza via, che potremmo definire "libertaria", caratterizzata da
un atteggiamento costruttivo, che usa l'interazione sociale in senso creativo. Qui la
partecipazione acquista significato per far emergere e mettere in discussione i bisogni,
sospendendo il giudizio sulle coalizioni di interesse già in campo. Ciò porta a definire
nuovi quadri sociali di significato, capaci spesso di riavviare processi bloccati da veti
reciproci, ma anche di conferire potenza a soggetti sociali deboli, marginali, esclusi.
Tra le peculiarità di questo tipo di atteggiamento partecipativo c'è
l'"interattività": si tratta di coinvolgere il più ampio spettro di attori in
un processo di costruzione pubblica delle scelte in cui è importante ascoltare. Bisogna
però guardarsi dalla facile retorica dell'ascolto: ascoltare significa osservare le
pratiche concrete, raccogliere le voci degli abitanti, essere attenti ai loro
suggerimenti, ma soprattutto riconoscere pertinenza e significato alle forme di conoscenza
e di costruzione di senso proprie dei soggetti estranei all'amministrazione. Troppo spesso
infatti l'apparente disponibilità da parte degli esperti si traduce in una benevola
raccolta di informazioni che non riescono però a superare il filtro dei loro quadri
interpretativi. Ascoltare significa per il progettista interattivo sospendere il giudizio
persino sulla propria expertise, metterla in discussione, accettare la critica
radicale dei propri fondamenti conoscitivi, praticare l'autocritica della propria
identità di esperto.
Una seconda connotazione della progettazione interattiva è allora la
"radicalità", cioè l'andare alla radice delle cose, mettere in discussione
posizioni consolidate, elementi che sembrano acquisiti, immodificabili, "dati di
fatto". Assumere un atteggiamento radicale comporta inevitabilmente anche la
verifica, cioè la contestazione, dei punti di vista e degli argomenti dominanti, spesso
funzionali al mantenimento dello status quo, degli equilibri di potere consolidati.
C'è poi l'elemento della "soggettività", cioè dare spazio alle componenti
emotive, innamorarsi del luogo ma con gli occhi di chi ci deve abitare.
Infine, un tratto fondamentale della partecipazione libertaria è la
"specificità". Ogni situazione problematica presenta caratteri nettamente
distinti, e non valgono che in prima approssimazione le categorie, buone solo per
interventi globalisti, astratti, freddi, decontestualizzati. Diventa importante
valorizzare la componente sperimentale, non routinaria, dell'intervento di ogni soggetto
coinvolto. E diventa decisivo riconoscere e valorizzare le modalità di conoscenza dei non
esperti.
Tra tutte, la visione conservatrice è la più diffusa nel "Primo Mondo",
perché da un lato alle persone pare conveniente conservare lo status quo, dall'altro
subiscono il condizionamento dei grandi eventi. La visione progressista corre il pericolo
di perdere sempre. Infatti, sebbene "nuovi valori qualitativi" siano sempre più
diffusi, essi si scontrano con visioni del mondo ancora egoistiche, in cui magari ci si
oppone all'inquinamento ma solo della porzione di territorio che abito. La visione
libertaria infine, sebbene meno diffusa, è di certo la migliore, in grado di scavare a
fondo e mettere in crisi i modelli finora utilizzati.
È importante sottolineare comunque come nella forma di democrazia partecipativa
conservatrice esista solo trasmissione (monodirezionale) di informazioni. In quella
progressista trasmissione (monodirezionale) di educazione, cioè di forme di conoscenza
spaziali e sociali, dagli esperti (di parte) ai cittadini. Infine, nella versione
libertaria, c'è una vera comunicazione, un apprendimento reciproco, una forte
interazione, sulle informazioni e sulle modalità di conoscenza, tra cittadinanza e
amministrazione pubblica.
Cittadini protagonistiTre esempi di applicazione concretaTenendo presente che i tre modelli individuati da Mauro Giusti sono "tipi ideali", riconducibili solo con difficoltà a modelli concreti con caratteristiche proprie, proviamo a individuare tre esempi per spiegare le categorie teoriche. Ricordiamo che i tre modelli potrebbero anche essere tutti presenti in varie fasi del medesimo progetto. Centocelle: contratto di quartiere Genova: tutti contro l'Ilva Grottammare: cittadini progettisti M. D. |
Volontari per lo sviluppo -
Aprile 2003
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