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Dossier

Democrazia in movimento

Non è solo a Porto Alegre. La partecipazione dei cittadini all'amministrazione pubblica, in forme diverse, esiste anche in Italia. E si sta sviluppando.
Di seguito tre esperti ci illustrano la "via italiana" alla democrazia partecipativa: Alberto Magnaghi presenta la Carta de Il nuovo municipio (manifesto italiano della partecipazione democratica), Giorgio Ferraresi spiega la democrazia dal basso, Mauro Giusti analizza le diverse tipologie di esperienze. Il tutto con una serie di esempi concreti.

di Maurizio Dematteis

«Il ceto politico dei paesi cosiddetti democratici non si rende conto della pericolosità del momento - tuona Paul Ginsborg dal palco della Sala Ronda nella Fortezza da Basso di Firenze - la democrazia dei paesi occidentali è in crisi». L'occasione è ghiotta: al Social Forum di novembre 2002 è stata organizzata un'intera giornata sulla democrazia partecipativa, presentata come vero antidoto alle malattie della nostra democrazia occidentale, con l'intervento dei maggiori esperti europei di strategie di partecipazione dal basso: storici, sociologi, sindaci, assessori e chi più ne ha più ne metta. E sì, perché chi l'ha detto che la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica sia prerogativa di Porto Alegre? Sicuramente l'esempio di "bilancio partecipato" della città del sud Brasile, di cui tanto si è parlato, è un'esperienza unica e interessantissima. Ma non dimentichiamo che la democrazia partecipativa non si limita alle decisioni di bilancio, e che anche in Italia (come in Francia e Germania) c'è una lunga tradizione di partecipazione popolare al governo delle città, dai comitati di quartiere degli anni '70 all'attuale "boom" di esperienze all'avanguardia di coinvolgimento dei cittadini da parte delle amministrazioni pubbliche, come nel caso del comune marchigiano di Grottammare (vedi box) o di quello francese di Bobigny (www.ville-bobigny.fr).
Ma qual è stato l'input che ha ridato vita alle esperienze di democrazia partecipativa in Italia?
Ancora Paul Ginsborg, nel discorso d'apertura della lunga rassegna fiorentina di esperienze, spiega il particolare momento storico facendo una prima distinzione: esistono oggi democrazie puramente elettorali e democrazie liberali. Mentre le prime si limitano ad offrire ai cittadini libere elezioni, le seconde offrono anche libertà civili, uno stato di diritto con uguaglianza, autonomia della magistratura, società civile e mezzi di informazione liberi e pluralisti, e controllo sulle forze armate. «L'Italia oggi rischia un passaggio rapido - sostiene lo storico - da una democrazia liberale a una puramente elettorale». I sintomi di questa "malattia democratica", vero propulsore delle esperienze partecipate, si possono cogliere nella crescita dell'astensionismo al voto, nel dilagante carrierismo e nell'aumento vertiginoso dei processi tra amministratori pubblici. Lo strapotere dei ricchi nelle elezioni, il mercato dei mass media ormai incontrollabile e il declino della società civile e dell'associazionismo segnano il passo, secondo Ginsborg, all'ascesa di esperienze ibride tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Gli amministratori sempre più dovranno impegnarsi in processi decisionali di partecipazione attiva, per creare una cittadinanza cosciente e capace di decidere in modo informato, frenando i processi di esclusione e alimentando quelli di inclusione.

Il nuovo municipio

Una carta per governare dal basso

«Come reagire a questa distruzione di democrazia?». È la domanda con cui Alberto Magnaghi, uno dei massimi studiosi della democrazia partecipativa in Italia, entra nel vivo del suo intervento al Social Forum di Firenze. Docente di Pianificazione ambientale e direttore del Laboratorio di progettazione ecologica degli insediamenti all'Università di Firenze (www.unifi.it/lapei), Magnaghi ricorda l'esperienza fatta con i colleghi al Forum mondiale 2002: «Abbiamo presentato a Porto Alegre la nostra Carta Il nuovo municipio e ha avuto un gran successo». Nel documento si elencano vari punti attraverso cui è possibile, come recita il sottotitolo, "una globalizzazione dal basso, solidale e non gerarchica". Sviluppo locale, nuove forme di democrazia diretta, ruolo attivo degli enti locali, multiculturalità e reti di scambio equo e solidale diventano un cocktail magico con cui i cittadini possono correre in aiuto di una democrazia rappresentativa gravemente malata. A patto che la partecipazione democratica non si limiti al voto ogni cinque anni ma si trasformi in partecipazione reale. L'intento dei promotori è arginare la globalizzazione dall'alto e i suoi squilibri creando vari laboratori nel maggior numero possibile di realtà locali. «In Italia - continua Magnaghi - siamo giunti a oltre 300 adesioni al documento da parte di amministratori locali, dalla Regione Toscana al Veneto, dalla provincia di Torino a quella di Bolzano, dal comune di La Spezia a quello di Pomigliano D'arco. Ora dobbiamo promuovere alleanze tra gli enti per mettere in pratica ciò che questo movimento teorizza». Secondo i promotori dell'iniziativa, agricoltori, commercianti, addetti ai servizi, lavoratori autonomi e cittadini del maggior numero di municipalità dovranno unirsi in movimenti "pluralisti e progettuali" per la costruzione di una nuova società. «Pensate a un comune - dice Magnaghi - dove l'amministrazione incentiva il commercio equo e solidale, l'agricoltura biologica e promuove le risorse locali; si creerebbe un'alternativa al neo-liberismo, senza dover seguire le leggi di profitto delle multinazionali. In definitiva, dobbiamo proporre agli amministratori locali la disobbedienza a questo processo di distruzione della democrazia».
La Carta Il nuovo municipio è scaricabile da www.unifi.it/lapei/Carta.html

Partecipazione all'italiana

Democrazia dal basso "made in Italy". La spiega a Volontari per lo Sviluppo uno dei suoi padri, Giorgio Ferraresi, ordinario di Urbanistica presso il Politecnico di Milano (Diap) e membro del Laboratorio di progettazione ecologica del territorio (www.diap.polimi.it/lab/lpe/) nonché promotore della Carta Il nuovo municipio

Porto Alegre è noto, oltre che per il Forum Sociale, anche per la democrazia partecipata applicata dal governo municipale. Si può paragonare quell'esperienza alle forme di partecipazione presenti in Italia?
L'esperienza specifica di Porto Alegre non è esportabile come modello, però ha messo in evidenza tre elementi che vanno presi ad esempio, anche se, ovviamente, da sviluppare secondo la nostra realtà. Prima di tutto è necessario che questi processi di partecipazione democratica non siano più scelte temporanee ma sistematiche e ricorrenti. In secondo luogo c'è il principio della responsabilità: queste pratiche diventano impegnative politicamente, cioè la democrazia elettiva e delegata si impegna a passare attraverso la consultazione popolare su alcune questioni. In terzo luogo, si discute di scelte fondamentali, legate a questioni vitali, come la sicurezza o la disponibilità di acqua. Nel nostro paese, dove i tanti esempi di partecipazione sono anteriori a quelli brasiliani, la questione si pone a livello comunale, sia per l'articolazione storica del nostro territorio, sia per creare un'interfaccia tra potere delegato e democrazia diretta.

Una sorta di democrazia rivoluzionaria?
In un certo senso sì. Purtroppo stiamo andando verso forme autoritarie in Italia e a livello mondiale. Di fronte a questa crisi democratica, la visione partecipativa è radicale, chiede di rivoluzionare le cose, propone nuove forme di sviluppo, nuovi attori. Si gioca una partita sul destino del territorio, e lottare contro il pensiero unico significa sostenere e valorizzare il diritto alla differenza culturale e territoriale. Una critica che si può muovere alla Carta dei municipi è che non siamo ancora riusciti a sostituire la parola "sviluppo", cui per ora aggiungiamo degli aggettivi, come sostenibilità ambientale.

Associazioni e gruppi new global si sono accorti di quest'opportunità?
Secondo me il movimento sottovaluta ancora questa Rete di nuovi municipi. Ciò non accade in Sud America, dove l'associazionismo si è reso protagonista.

Come può il cittadino in Italia esprimere la propria partecipazione?
Ci sono molte vie. La Rete de Il nuovo municipio ha come interlocutori gli enti pubblici, comuni e province, ma ci sono anche associazioni, operatori e realtà no profit che possono dilatare gli spazi di autorganizzazione. Noi pensiamo che la cartina di tornasole delle decisioni politiche sia la pianificazione di scenari di sviluppo, che a volte possono partire dal basso e altre volte essere indotti dall'alto. Per esempio: si può ricorrere al privato sociale delegando alcune responsabilità pubbliche a soggetti esterni, oppure si può pianificare un potenziamento dei servizi con l'aiuto del no profit. Bisogna creare una sorta di spazio pubblico permanente.

Così verrebbe meno l'antagonismo storico tra amministrazione pubblica e associazionismo?
Serve una dialettica di potere, un'interazione. Una politica può essere radicale anche quando non è antagonista.

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La terza via

Non tutto ciò che è partecipativo è buono. A volte si consulta la popolazione solo per creare consenso, o per "tirarla dalla propria parte" nella difesa di privilegi locali, raramente c'è un coinvolgimento reale nella costruzione pubblica delle scelte di un'amministrazione. Eppure è possibile.
Ecco come orientarsi.

di Mauro Giusti
Dottore di ricerca in pianificazione territoriale e ricercatore dell'Istituto della ricerca sociale di Milano

Ormai da tempo si è persa la fiducia nella corrispondenza fra attività pubblica e interesse collettivo, ed è sotto gli occhi di tutti la non completa corrispondenza tra l'azione dello Stato, delle amministrazioni locali e delle agenzie di settore e una qualche forma di interesse generale. Inoltre, non vale più la tradizionale dialettica fra conservazione e progresso: ridefiniscono il campo nuovi valori legati ad ambiente, sicurezza, socialità, cura dei luoghi e delle persone, senso di identità, che si combinano in modo da definire orientamenti e alleanze a volte sorprendenti.
Anche se il coinvolgimento degli abitanti è spesso interpretato come valore in sé, e in particolare come progresso verso una sorta di democrazia diretta, l'esame degli studi in materia permettono di avanzare l'ipotesi che riconosce almeno tre interpretazioni politico-culturali: una conservatrice, una progressista e una libertaria.

Consultare crea consenso

La prima forma di partecipazione ha un'impronta sostanzialmente conservatrice. È un atteggiamento più diffuso di quanto si pensi, soprattutto nel "Primo Mondo", dove la maggioranza della popolazione ha conseguito pieni diritti e un buon livello di benessere economico. La partecipazione degli abitanti in questi casi è una consultazione su decisioni già prese, con possibilità di modifica limitate e riservate ad aspetti marginali. Le modalità adottate sono orientate alla cattura del consenso, predomina la comunicazione monodirezionale: si tengono "eventi" pubblici patinati, con un linguaggio molto tecnico, difficilmente accessibile ai soggetti locali, che da un lato trasmettono agli abitanti la sensazione di un grande sforzo progettuale e di una grande attenzione dei decisori nei loro confronti, e dall'altro li lusingano con la presenza nel quartiere di personale politico e tecnico-scientifico per lo più inaccessibile, come il sindaco, il dirigente comunale, il grande architetto. Le modalità di comunicazione sono sostanzialmente mutuate da quelle della pubblicità e derivano direttamente da quelle della propaganda politica.
In particolare, le tecniche "partecipative" in questi casi sono in genere legate alla consultazione di un numero elevato di persone. Tipicamente sono impiegati questionario e assemblea, due strumenti con scarsa interattività (il questionario ha domande definite a priori, l'assemblea permette di intervenire solo a poche persone abituate a parlare in pubblico), facilmente controllabili negli esiti previsti e non in grado di mettere in gioco le decisioni già consolidate. In tale situazione nessuno muta la sua posizione, ma il sistema politico aumenta la propria legittimazione favorendo l'espressione di atteggiamenti affioranti, considerati naturali, "dati".
Questa forma di partecipazione in molti casi è istituzionalizzata: si pensi al "contratto di quartiere", uno strumento di recupero urbano destinato all'intervento pubblico integrato in quartieri con situazioni di disagio abitativo che prevede espressamente la partecipazione degli abitanti. Nella maggior parte dei casi la partecipazione ai contratti di quartiere è stata concepita più come comunicazione pubblica dei risultati che come coinvolgimento progettuale degli inquilini.

I cittadini alleati

Un secondo tipo di pratiche partecipative fa riferimento a una concezione progressista in politica. In tal caso il coinvolgimento dei soggetti locali (abitanti, associazioni, comitati ecc.) nel processo di trasformazione del territorio corrisponde alla costruzione di un alleato ulteriore alla coalizione orientata verso la trasformazione delle strutture sociali. In questo ambito stanno peraltro esperienze diverse, lungo un continuum che va dal sostegno a iniziative di difesa da progetti esterni percepiti come minacce, alla definizione di scenari di sviluppo alternativo.
Un esempio del primo caso è il sostegno di autorevoli esperti ai comitati locali di abitanti che si oppongono al prospettato insediamento, di solito in qualche periferia metropolitana, di un'infrastruttura utile al sistema urbano nel suo complesso ma di scarso pregio o di impatto nettamente negativo: un inceneritore, una discarica, un aeroporto, uno svincolo autostradale, ma anche un campo nomadi o un centro di prima accoglienza per immigrati. Non appena l'amministrazione decide di sviluppare uno di questi progetti, la popolazione locale si mobilita e costituisce un comitato "Nimby": ovvero Not In My BackYard (non nel mio cortile). "Questa attrezzatura non ci serve, non ci interessa che sia di utilità collettiva - recitano gli slogan - fatela da un'altra parte, ma non nel mio cortile, non nel mio giardino". Peraltro da iniziative del genere possono nascere anche forme originali di pianificazione strategica, volte a definire quadri generali e coerenti di sviluppo alternativi al modello corrente.
Spesso poi i flussi di azione in un contesto progressista o alternativo, o addirittura antagonista, rimangono extraistituzionali: si pensi ai centri sociali autogestiti, che a volte producono esperienze rilevanti; o al carattere "molto locale" e del tutto reversibile dei comitati "di protesta" contro minacce provenienti dall'esterno.

Dal trasmettere al comunicare

Esiste una terza via, che potremmo definire "libertaria", caratterizzata da un atteggiamento costruttivo, che usa l'interazione sociale in senso creativo. Qui la partecipazione acquista significato per far emergere e mettere in discussione i bisogni, sospendendo il giudizio sulle coalizioni di interesse già in campo. Ciò porta a definire nuovi quadri sociali di significato, capaci spesso di riavviare processi bloccati da veti reciproci, ma anche di conferire potenza a soggetti sociali deboli, marginali, esclusi.
Tra le peculiarità di questo tipo di atteggiamento partecipativo c'è l'"interattività": si tratta di coinvolgere il più ampio spettro di attori in un processo di costruzione pubblica delle scelte in cui è importante ascoltare. Bisogna però guardarsi dalla facile retorica dell'ascolto: ascoltare significa osservare le pratiche concrete, raccogliere le voci degli abitanti, essere attenti ai loro suggerimenti, ma soprattutto riconoscere pertinenza e significato alle forme di conoscenza e di costruzione di senso proprie dei soggetti estranei all'amministrazione. Troppo spesso infatti l'apparente disponibilità da parte degli esperti si traduce in una benevola raccolta di informazioni che non riescono però a superare il filtro dei loro quadri interpretativi. Ascoltare significa per il progettista interattivo sospendere il giudizio persino sulla propria expertise, metterla in discussione, accettare la critica radicale dei propri fondamenti conoscitivi, praticare l'autocritica della propria identità di esperto.
Una seconda connotazione della progettazione interattiva è allora la "radicalità", cioè l'andare alla radice delle cose, mettere in discussione posizioni consolidate, elementi che sembrano acquisiti, immodificabili, "dati di fatto". Assumere un atteggiamento radicale comporta inevitabilmente anche la verifica, cioè la contestazione, dei punti di vista e degli argomenti dominanti, spesso funzionali al mantenimento dello status quo, degli equilibri di potere consolidati.
C'è poi l'elemento della "soggettività", cioè dare spazio alle componenti emotive, innamorarsi del luogo ma con gli occhi di chi ci deve abitare.
Infine, un tratto fondamentale della partecipazione libertaria è la "specificità". Ogni situazione problematica presenta caratteri nettamente distinti, e non valgono che in prima approssimazione le categorie, buone solo per interventi globalisti, astratti, freddi, decontestualizzati. Diventa importante valorizzare la componente sperimentale, non routinaria, dell'intervento di ogni soggetto coinvolto. E diventa decisivo riconoscere e valorizzare le modalità di conoscenza dei non esperti.

Dal dire al fare...

Tra tutte, la visione conservatrice è la più diffusa nel "Primo Mondo", perché da un lato alle persone pare conveniente conservare lo status quo, dall'altro subiscono il condizionamento dei grandi eventi. La visione progressista corre il pericolo di perdere sempre. Infatti, sebbene "nuovi valori qualitativi" siano sempre più diffusi, essi si scontrano con visioni del mondo ancora egoistiche, in cui magari ci si oppone all'inquinamento ma solo della porzione di territorio che abito. La visione libertaria infine, sebbene meno diffusa, è di certo la migliore, in grado di scavare a fondo e mettere in crisi i modelli finora utilizzati.
È importante sottolineare comunque come nella forma di democrazia partecipativa conservatrice esista solo trasmissione (monodirezionale) di informazioni. In quella progressista trasmissione (monodirezionale) di educazione, cioè di forme di conoscenza spaziali e sociali, dagli esperti (di parte) ai cittadini. Infine, nella versione libertaria, c'è una vera comunicazione, un apprendimento reciproco, una forte interazione, sulle informazioni e sulle modalità di conoscenza, tra cittadinanza e amministrazione pubblica.

Cittadini protagonisti

Tre esempi di applicazione concreta

Tenendo presente che i tre modelli individuati da Mauro Giusti sono "tipi ideali", riconducibili solo con difficoltà a modelli concreti con caratteristiche proprie, proviamo a individuare tre esempi per spiegare le categorie teoriche. Ricordiamo che i tre modelli potrebbero anche essere tutti presenti in varie fasi del medesimo progetto.

Centocelle: contratto di quartiere
Centocelle è un quartiere romano tristemente noto per il suo degrado, dovuto a una crescita edilizia spontanea e disorganica a partire dagli anni Venti. Oggi la situazione è a livelli di allarme, e per porre rimedio allo stato di abbandono l'amministrazione pubblica cittadina ha deciso di effettuare interventi di ristrutturazione su alcuni edifici residenziali e commerciali di sua proprietà nella parte più vecchia del quartiere. Fin qui tutto normale. Ma la novità è che per far questo ha creato un tavolo sociale di cittadini, associazioni e istituzioni locali, presentandogli il piano di recupero per avere pareri o suggerimenti. Oltre a stipulare un "contratto di quartiere" con l'amministrazione per stabilire le modalità di futura gestione degli spazi comuni nell'area ristrutturata, il tavolo sociale è riuscito a far accettare una serie di variazioni rispetto al progetto originario. È stato pattuito, ad esempio, di ridimensionare i volumi della prevista area residenziale a vantaggio delle zone comuni, in cui è stato addirittura previsto un percorso pedonale per portatori di handicap. Si è poi deciso, su suggerimento del Tavolo, di realizzare box auto per tutti i residenti del nuovo complesso.
Il tavolo sociale e il contratto di quartiere hanno avuto una grande popolarità a Centocelle, creando negli abitanti coscienza sociale e speranza in un futuro abitativo migliore, tanto che sulla sezione dedicata del sito del Comune di Roma (www.comune.roma.it/uspel/printegrati/01_023b.html) si legge: "Gli edifici comunali rappresentano il fulcro di un risanamento che dovrà riverberarsi nel contesto urbano circostante", con "l'attivazione di Forum locali allo scopo di ottenere una visione dell'assetto urbano futuro cui seguirà un action planning rivolto al recupero dell'area degradata circostante".

Genova: tutti contro l'Ilva
Nel quartiere genovese di Cornigliano (circa 20.000 abitanti) un gruppo di cittadini, stanco delle promesse dei vari politici di turno e preoccupato per la salute pubblica, nel '99 si auto-organizza in comitato spontaneo (http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/percornigliano/) per protestare contro il polo siderurgico altamente inquinante dell'Ilva situato in mezzo alle loro case. L'associazione lamenta il levarsi di "pennacchi di fumo contenenti note sostanze cancerogene", continui rumori assordanti, depositi di rifiuti abusivi (il pretore di Sestri con sentenza n. 251 del 18/02/91 condannava la Società Ilva per aver realizzato una discarica abusiva a Cornigliano in cui erano depositate circa 20.000 tonnellate di scorie e fanghi) e chiazze oleose che fuoriescono in mare dalle acciaierie. I cittadini, non senza contrasti con gli occupati del sito siderurgico, hanno deciso di auto-gestire la propria lotta, supportati da Legambiente, dal comitato "La Città delle Merci", dai comitati del Ponente genovese e da svariati esperti in riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile. Scopo della loro attività è portare a soluzione i problemi di Cornigliano sino alla completa attuazione del risanamento del quartiere.

Grottammare: cittadini progettisti
Nel novembre '94, presso il comune di Grottammare (14.000 abitanti circa), sulla costa marchigiana, la lista civica "Solidarietà e partecipazione", in seguito alla vittoria elettorale, si insedia alla guida dell'amministrazione pubblica cittadina. Si tratta di un'aggregazione politica originale che vede militanti di Rifondazione uniti a verdi, socialisti, cattolici, ambientalisti e indipendenti, con l'idea di realizzare un metodo di governo che veda il coinvolgimento diretto dei cittadini nelle scelte amministrative. Una delle operazioni attuate dalla giunta, dopo aver dato vita ad assemblee di quartiere organizzate da comitati spontanei di cittadini e aver creato un apposito Assessorato alla partecipazione, è stata una campagna informativa sul piano regolatore cittadino. Scopo, creare un nuovo piano regolatore partecipato in grado di arricchire tutta la città e "non solo i circoscritti settori beneficiari del precedente - scrive il sindaco Massimo Rossi - che prevedeva uno sviluppo scriteriato dell'edificazione a fini esclusivamente speculativi". Usando linguaggi d elaborazioni comprensibili a tutti, uno speciale "ufficio di piano" creato ad hoc ha coinvolto tutte le assemblee di quartiere cittadine nell'elaborazione del progetto, esponendo alle pareti dei locali che ospitavano gli incontri le elaborazioni via via prodotte in modo chiaro e leggibile. Così, uno strumento considerato per "addetti ai lavori" è stato socializzato, e la cittadinanza è riuscita ad attuare scelte coraggiose, come la riduzione dello spazio edificabile a fini turistici, imposto dalla famigerata speculazione "dell'industria delle vacanze" già presente in altre zone costiere limitrofe (un milione di metri cubi in meno rispetto al piano precedente) e la sottrazione di oltre tre km quadrati di territorio attualmente destinato ad uso agricolo. Inoltre, in seguito alle scelte "partecipate", è stato possibile bloccare la crescita e la supremazia della grande distribuzione commerciale, spesso presentata come scelta obbligata dettata dalle spietate leggi del "libero mercato", a vantaggio del piccolo commercio locale. Ma i risultati della giunta non si esauriscono al piano regolatore: i cittadini di Grottammare hanno potuto partecipare alle scelte di bilancio comunale e alla creazione di quattro progetti di cooperazione decentrata verso paesi del Sud del mondo, un centro polivalente per immigrati, vari centri di aggregazione giovanile e per anziani, una consulta per la fratellanza tra i popoli e, addirittura, alla gestione diretta di servizi pubblici strategici quali la depurazione delle acque e la gestione della farmacia.

M. D.

Volontari per lo sviluppo - Aprile 2003
© Volontari per lo sviluppo