La popolazione boliviana si ribella agli aumenti delle tasse decretati dal governo. A
capeggiare le proteste lo stesso corpo della polizia che si è ammutinato e chiuso nelle
caserme. Pesantissime le conseguenze degli scontri, un bilancio provvisorio parla di 16
morti e 90 feriti.
A inizio febbraio il popolo boliviano si è svegliato con una finanziaria che, senza
nessun preavviso, ha istituito una imposizione fiscale del 12,5 % per tutti redditi
superiori a 880 bolivianos mensili (poco più di 100 dollari). Una misura che colpisce
soprattutto i ceti medio-bassi.
Il governo, alla prese con l'ennesima recessione economica, non ha trovato niente di
meglio che optare ancora una volta per le ricette di aggiustamento strutturale suggerite
dal Fmi (Fondo Monerario Internazionale) a tutti i paesi del mondo, indipendentemente
dalle loro peculiarità economiche e sociali. Gli effetti sono stati, come sempre,
disastrosi.
Secondo la Banca Mondiale, è considerata povera la persona che possiede meno di 2 dollari
al giorno per vivere ed estremamente povera chi possiede meno di 1 dollaro.
Un impiegato medio in Bolivia guadagna al mese 2000 boliviani che, decurtati delle varie
tasse, tra le quali l'ultima, si riducono a 1315 bolivianos mensili (circa 180 dollari),
che divisi per i 5 componenti di una famiglia media boliviana e per i 30 giorni di un
mese, non risultano più di 1,15 dollari al giorno. La maggioranza della popolazione
boliviana è quindi sulla soglia della povertà estrema.
Le misure economiche adottate sono riuscite ad ottenere quello che solo fino a qualche
giorno fa sembrava impossibile. L'intera società civile boliviana, senza alcuna
eccezione, si è ritrovata unita nel criticare la politica del governo. Vigorose proteste
sono state mosse sia dai partiti di opposizione, campeggiati dal Mas (Movimento Al
Socialismo) di Evo Morales, leader molto popolare tra i ceti più deboli, sia da tutte le
organizzazioni di categoria a cominciare dai sindacati fino alla organizzazione degli
industriali. Anche la chiesa cattolica ha preso posizione affermando che non si può
togliere il "pane a coloro che non hanno niente".
Ma l'elemento che ha fatto scattare gli atti di violenza è stato l'ammutinamento delle
forze di polizia che, esasperate per i salari bassissimi, si sono rinchiuse nelle caserme
e hanno lasciato incustodite le strade della capitale. La situazione è degenerata nei
pressi di Piazza Murillo, la piazza dove si affacciano i palazzi del congresso, del
governo e la cattedrale. Circa 200 poliziotti, asserragliatisi nel palazzo del Ministero
degli Esteri, sono stati circondati da reparti dell'esercito decisi a riprendere il
controllo della piazza. Lo scontro è stato inevitabile ed è durato 6 ore con scambi di
colpi anche di grosso calibro che hanno lasciato sul terreno 16 persone tra poliziotti,
militari e civili che si erano inseriti nella contesa. A quel punto, malgrado il
diffondersi di un messaggio della Presidenza che annunciava la sospensione delle misure
fiscali, la situazione è ulteriormente degenerata. Gruppi numerosi di cittadini, tra i
quali molti studenti, hanno iniziato ad assaltare e ad incendiare alcuni ministeri e le
sedi dei partiti di governo. In serata, approfittando dell'oscurità e dell'assenza
dell'ordine pubblico, è iniziato il saccheggio di negozi ed uffici da parte di centinaia
di vandali che hanno imperversato indisturbati per tutta la zona del centro.
Alla fine La Paz appariva come una città presa al sacco. Tutte le attività, di qualsiasi
tipo, sono paralizzate.
A soli sei mesi dalle elezioni che hanno sancito il ritorno al governo del presidente
Gonzalo Sanchez de Lozada, esponente del partito di destra Mnr (Movimento Nazionalista
Rivoluzionario), la Bolivia si ritrova nel caos. In questi mesi sono falliti tutti i
tentativi promossi dalla presidenza per trovare un accordo con la seconda forza politica
del paese, il Mas di Evo Morales, un leader carismatico che, salito alla ribalta
internazionale per la sua lotta a difesa dei piccoli coltivatori di coca (cocaleros)
minacciati dalla politica statale di sradicamento delle piantagioni, ha saputo unificare
sotto un'unica bandiera gruppi sociali molto eterogenei tra loro: movimenti indigeni,
sindacati, alcune forze politiche di sinistra, cocaleros, studenti.
La situazione della Bolivia non fa che appesantire il quadro di una America Latina che
soffre di una cronica instabilità politica, economica e sociale che non si presta a
facili soluzioni. Dopo il fallimento delle politiche economiche sostenute dal Fmi e dalla
Banca Mondiale, l'intero continente guarda con speranza al Brasile di Lula per poter
credere ancora in un futuro che appare sempre più grigio ed incerto. Troppo peso, forse,
per un uomo solo.
Federico Ginato
Volontario Mlal
La Paz, Bolivia
Arrivi & partenzeSono partiti a gennaio per il Burundi Livio Quaranta, agronomo, e Irene Palese, linguista. Svolgeranno il loro servizio di due anni a Nyabikere, occupandosi rispettivamente del settore agricolo e del Progetto famiglia multietnica del Cisv. A conclusione di un periodo di riposo in Italia, dopo due anni di servizio in Zambia, Marta Canova e Alberto Contarini sono ripartiti per Siavonga (Zambia) dove per un anno seguiranno rispettivamente un progetto di educazione sanitaria e prevenzione dell'Aids nelle scuole e un programma di microfinanza promossi dal Celim Milano. Giovanni Calvi Parisetti è ripartito per Livingstone (Zambia), dove, nei prossimi sei mesi, seguirà gli aspetti organizzativi del Centro di formazione Giovanile per ragazzi vulnerabili del Celim Milano. |
Caro "Volontari per lo Sviluppo",
faccio riferimento al vostro dossier "il mercato del peace-keeping" apparso sul numero di novembre 2002, firmato da Silvia
Pochettino e Maurizio Dematteis.
A cominciare dal titolo risulta chiaro che il mantenimento della pace è diventato un
affare a cui tutti gli stati industrializzati sono interessati per giustificare le loro
spese militari. Può darsi che i miei quattro abbonamenti a riviste simili alla vostra
siano stati insufficienti a farmi conoscere prima d'ora questa realtà: a giudicare dal
vostro scritto essa appare ben radicata e diffusa; vengono elencate 15 operazioni in corso
quasi tutte organizzate dall'Onu in diversi punti di Africa, Europa, Medio Oriente e Asia.
Del resto il fatto che ci siano due università italiane (Torino e Padova) e una scuola
superiore (militare?) di Pisa che organizzano corsi di peace-keeping mi conferma che la
mia ignoranza in proposito è legata al mio essere pensionato, quindi fuori dal giro delle
informazioni che non siano quelle dei quotidiani.
Così senza tante chiacchiere inutili il sistema capitalista ha chiamato "pace"
la guerra e "difensori della pace" gli eserciti! Mi torna in mente un dibattito
televisivo del 20/10/1988 (ho la registrazione video) tra padre Balducci e il generale
Jean: alle ragioni della nonviolenza sostenute dal primo il generale affermava con
spavalda sicurezza che l'esercito è il più grande movimento pacifista del mondo. Come
chiameremo i governanti che dichiarano la "guerra infinita"? Proporrei di
definirli "benefattori dei fabbricanti di armi".
Per mia fortuna ho un nipotino di due anni e comincio a guardare il mondo con i suoi
occhi. Per questo sono allibito dall'articolo apparso su La Stampa del 8/1/2003
nell'inserto Tuttoscienze e tecnologia firmato Ezio Giacobini e intitolato
"Sui bambini il marchio della guerra". Il giornalista, dopo aver esaminato i
danni prodotti dalla guerra sulla psiche dei bambini, riferisce che secondo
l'Organizzazione mondiale della sanità già oggi mancano psichiatri sufficienti a curare
tali danni: potremmo concludere che la guerra crea posti di lavoro, in particolare nelle
imprese funebri! Neppure un accenno al fatto che la cosa migliore sarebbe che la guerra
non ci fosse.
Sono proprio un ingenuo: le tonnellate di armi ed esplosivi prodotti tutti i giorni dove
li mettiamo? E ai militari cosa gli facciamo fare? Per non dire dei disoccupati a causa
della chiusura delle fabbriche di armi! Pacifisti "incompetenti"! E pensare che
negli anni '70, tra le forti spinte ideali di cui si è nutrita la mia generazione (ho 63
anni) si era parlato di conversione delle fabbriche di armi a produzioni civili: per varie
cause, non ultima la divisione dei sindacati, la proposta non venne attuata. [...]
Sono d'accordo con l'osservazione finale del vostro articolo da parte dell'antropologo
Antoniotto di Torino: anche il peace-keeping può trasformarsi in un modo elegante per
difendere gli interessi dei paesi ricchi nei confronti di quelli poveri, e, aggiungo io,
per allontanare la nascita di rapporti fraterni rispettosi delle diversità e il traguardo
di una giusta ridistribuzione dei beni del nostro pianeta.
Enrico Rinaldelli
Seguo con interesse, da quando è uscito, "Volontari per lo Sviluppo" e da
allora vado alla ricerca di qualche accenno sulla Repubblica Centroafricana.
Eppure fa parte dei paesi più poveri di risorse, d'infrastrutture, di servizi, di governi
capaci di risollevare un paese esteso quattro volte l'Italia e popolato da quattro milioni
di abitanti, in concreto abbandonati a se stessi.
Perché scrivo? Perché dal mese di ottobre è in atto una rivolta di ribelli che hanno
tentato di far "saltare" il Presidente in carica. Respinti, si sono ritirati
verso il nord del paese, pare che da lì provengano, e da circa un mese occupano alcuni
importanti villaggi con relative uccisioni, saccheggio, violenze che interessano
soprattutto le Missioni presenti nel territorio, visto che la gente non ha beni di alcun
genere. Nessuno ne parla, neanche una rivista come "Volontari".
Solo l'agenzia Misna su internet aggiorna ogni tanto la situazione, nessuno raccoglie
racconti di sequestri di missionari a fini ricattatori.
Il paese è veramente allo sbando, si dice ci sia petrolio al nord e presumo sia questo
uno dei motivi che ha favorito la rivolta; il Centro Africa, a suo tempo protettorato
francese, forse per la sua "scarsa consistenza" in termini di risorse da
sfruttare non richiama "interventi umanitari" risolutivi.
Nel frattempo molti volontari hanno lasciato il paese. Resistono i missionari, ma questa
situazione di precarietà non può durare ancora a lungo.
Domando quanti morti sono necessari perché qualcuno si accorga del Centro Africa, a
tutela anche di tanti italiani che da anni spendono le loro energie nel tentativo di dar
vita a un paese tra i più belli dell'Africa subsahariana, incapace di reagire e trovare
autonomamente la strada almeno verso la sopravvivenza.
Dopo due mesi la situazione non muta e tutto è paralizzato. I missionari non possono
svolgere appieno le attività che sono vitali per la gente. L'aeroporto funziona a
settimane alterne.
Mi auguro tanto che mi aiutiate a capire, continuerò a leggervi.
Caterina Caminati
Carissima Caterina,
la sua lettera ci interpella. È vero, riguardo il dramma della Repubblica Centrafricana
siamo stati assolutamente manchevoli. E purtroppo lo siamo anche riguardo molti altri
paesi. Siamo sollecitati da mille cose e non sempre abbiamo fonti dirette nei diversi
paesi. Selezionare e scegliere non è semplice.
Ecco che allora il vostro ruolo in quanto lettori diventa centrale. Non è per girare la
frittata, ma davvero le indicazioni che ci arrivano da voi ci aiutano a ridefinire
priorità e scalette. Grazie, allora, Caterina. E le assicuro che stiamo già raccogliendo
materiale sul Centro Africa.
Carissimo Dott. Massimo,
la lettura della sua lettera (vedi VpS
dicembre 2002) mi ha spinto a riflettere riguardo il concetto di
"interesse" e dei suoi limiti. Condivido il suo stato d'animo di fronte a
quell'enorme brulicare di informazioni, stimoli e possibilità che ci vengono
quotidianamente gettati addosso e che si traducono in opportunità variegata ma anche in
confusione e destabilizzazione. In questo mese, non è tanto l'interesse per i paesi
poveri e per la loro dignità a venire sopraffatta, quanto il concetto stesso di interesse
nella sua accezione più nobile, e cioè in quella che la traduce in stupore e
partecipazione. [...]
A mio avviso, l'indignazione e la legittima rabbia creativa di fronte agli occhi di un
bambino morente come a quelli di un animale torturato a morte in quelli che chiamano
laboratori scientifici non possono che essere della stessa mattina, perché della stessa
mattina sono l'indifferenza e la malvagità che tali brutture permettono.
Alessandra Gabbanelli
Volontari per lo sviluppo -
Marzo 2003
© Volontari per lo sviluppo