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Musica e impegno - Incontro con Daniele Sepe

Il folletto del pentagramma

Diventato famoso con Lavorare stanca e Conosci Victor Jara?, ama risuscitare vecchie canzoni rivisitandole con il suo stile personalissimo, infarcito di ritmi sudamericani. Molti lo corteggiano, ma lui rifiuta le grandi case discografiche.
"Una questione di coerenza", dice, e le sue opere se le produce da solo.

di Stefano Valanzuolo

L'hanno definito in molti modi: "folletto" o "frullatore musicale", per esempio, a voler sottolineare la sua grande abilità nel saltare da un genere all'altro, metabolizzando temi, suggestioni e concetti prima di riproporli all'ascolto, in forma nuova e personale. Oggi che si fa un gran parlare di contaminazione in musica, Daniele Sepe un po' se la ride, perché lui, sedotto in conservatorio dal flauto, convertito poi al sax e ad un jazz senza etichette, assurto agli onori della cronaca col Premio Tenco nel '98 (per il Cd "Lavorare stanca"), al cocktail di stili c'è abituato da sempre. "È l'unico modo di comporre che conosca" dice, sommerso da dischi e da strumenti vecchi e nuovi, nella sua casa affacciata su Posillipo. "Musicalmente sono un onnivoro, curioso e sempre alla ricerca di uno spunto. Ogni tanto, ad esempio, mi capita di ritrovare su disco una vecchia canzone ormai dimenticata, ed allora la tiro fuori, mi diverto a ricamarci su a modo mio prima di condividerla col pubblico.

Un lavoro da archeologo musicale, dopo tutto...
Forse sì. Se ne avessi la possibilità, proverei a diffondere dal mio computer, via Internet, tutto quel repertorio che credo sia giusto resuscitare. Ma sono un musicista, non un ripetitore, ed allora questi pezzi preferisco rileggerli, dandogli, inevitabilmente, la mia impronta.

Un'impronta che è influenzata dalle tue radici?
Naturalmente ognuno di noi, nel proprio lavoro, è sollecitato dall'ambiente in cui s'è formato, dai giornali che legge, dalle persone che frequenta, dalle idee politiche e così via. E se scelgo, spesso, di cantare in napoletano, o di sviluppare un progetto su Totò una ragione c'è (dall'idea di fare musica dal vivo ed in tempo reale su spezzoni di film del grande attore è nato, nel '99, il delizioso Cd TotòSketches, ndr.). Come c'è una ragione, anche ideologica, nella predilezione, da parte mia, verso autori come Victor Jara o Violeta Parra.

Riallacciamoci a questo tuo amore assodato nei confronti della cultura latino-americana per parlare di musica etnica. Ci credi a questa moda della world music?
Diciamo che devo crederci per forza: i risultati parlano chiaro, il numero di dischi venduti e quello di articoli sui giornali non è irrilevante. Ma non mi piacciono i modi in cui il boom si è sviluppato.

Ad esempio?
C'è un gruppo storico in Campania, quello dei Zezi, col quale ho lavorato in passato. Loro, come la world music, preesistono a molte mode, perseguendo da sempre tradizioni ed interessi culturali ben precisi. Poi, un giorno, è arrivato Peter Gabriel, ha deciso di farne un fenomeno discografico, di acquisire tutti i diritti sul repertorio, anche quelli pregressi, con l'effetto di spaccare il gruppo e di rompere l'incantesimo.

Oggi questa si chiamerebbe globalizzazione...
Lo so. E per un artista la globalizzazione ha risvolti promozionali notevoli, specie in termini di visibilità. Prendi due dischi, uno con un marchio importante e l'altro no: stai sicuro che, a parità di copie vendute, del primo troverai recensioni ampie e dettagliate, del secondo rare tracce clandestine su riviste per cultori del settore. Ho visto colleghi spiccare il volo, solo cambiando scuderia.

Eppure tu ti sei sottratto, per scelta, a questa logica delle multinazionali...
I miei dischi, quando posso, me li produco da solo. Specie adesso che tante etichette piccole, purtroppo, sono scomparse, inghiottite più che acquisite dai giganti del settore. I diritti sui miei pezzi li tengo stretti e mi sento, sinceramente, più libero. Anche se poi succede che un disco come "Conosci Victor Jara?" (uscito nel 2000 e distribuito con Il Manifesto; più di 20 mila copie vendute ndr.) non trovi un'eco promozionale pari al successo di vendita; ma è uno scotto che pago senza troppi rimorsi.

Sempre a proposito di contaminazioni, occorrerebbe citare anche l'ultimo prodotto di Daniele Sepe: si chiama "Jurnateri", e mette insieme le canzoni di Raffaele Viviani - portate in scena, in questi mesi, dal musicista napoletano in uno spettacolo di Mario Martone - , le poesie di Ignazio Buttitta ed i vecchi stornelli dei marinai bretoni. "Stavolta -dice Sepe- m'interessava dar voce a questo repertorio. Ma ho già in mente almeno un paio di progetti nuovi, tutti diversi, persino aperti all'elettronica".

Mica ti convertirai alla dance music?
No, quello è un settore che non m'interessa. Ma non ho nulla contro chi si dedica a rifinire l'aspetto commerciale del proprio prodotto.

Neanche contro l'eroe del momento, Manu Chao?
Questa storia di un mio presunto rancore nei confronti di Manu Chao nasce da un'intervista fraintesa e da qualche parola, riportata su un settimanale, che davvero non ho mai pronunciato. Conosco Manu Chao e trovo che sia bravo. Non per questo mi deve piacere per forza tutta la sua musica. E soprattutto non mi piace che tanti giornali si sforzino di beatificare lui o qualsiasi altro personaggio per assecondare questa o quella tendenza del momento".

Vale a dire?
Spesso ci si affanna a voler convincere l'ascoltatore-lettore che tutto quanto, in un certo ambito, è bello e pulito. Esce un disco contro la guerra, per esempio, e subito viene eletto a modello di santità. Anche se poi, magari, a produrlo è una multinazionale impegnata, tra l'altro, nello sviluppo di tecnologie per i sistemi di puntamento dei missili. Tutto questo, a dire il vero, mi sa un po' di ipocrisia...

E Daniele Sepe, di militanza in campo sociale, ne sa qualcosa: basti ricordare l'impegno a fianco del Consorzio italiano solidarietà, o al progetto per la costruzione di una scuola a Quito con l'associazione napoletana Ines Bellomia, o ancora alle iniziative prese, anni fa, a favore degli immigrati di Villa Literno.

Cosa suggeriresti a chi volesse uscire da questo circolo vizioso...
Forse con un po' di consapevolezza in più da parte di tutti. A volte ho paura che gran parte del pubblico di nuova generazione ami chiudere un occhio sulle brutture del sistema musicale in cambio dell'illusione, avallata dai media, che un disco ed un concerto possano esaurirne l'impegno sociale. Ma ci vuole ben altro...

Volontari per lo sviluppo - Novembre 2001
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