di Elisabetta Burba
"Sui giornali italiani gli articoli sul Sud del mondo non trovano molto spazio perché non interessano la maggior parte dei lettori". Carlo Verdelli, vice-direttore del Corriere della Sera (e prima ancora direttore del magazine Sette e vice-direttore di Epoca), parla con cognizione di causa. Perché dalla sua poltrona di via Solferino ha potuto osservare da una posizione privilegiata il gioco mediatico, ma anche perché è da sempre sensibile alle notizie sui Paesi in via di sviluppo. Il motivo? Uno zio missionario passionista in Tanzania, padre Rinaldo Verdelli, fratello gemello di suo padre.
Come mai i lettori non sono interessati al Sud del mondo?
Perché riflettono il Paese in cui vivono. L'Italia non ha mai avuto una vocazione
internazionale: è chiusa in se stessa, non ha quasi avuto colonie, la sua lingua non è
parlata nel mondo... Insomma, non la si può paragonare alla Francia o alla Spagna. E
infatti nessun giornale italiano segue gli esteri come fanno Le Monde o El Pais.
Questo vuol dire che bisogna togliersi ogni illusione?
No: l'Italia sta cambiando e stanno cambiando anche i suoi giornali. Negli ultimi
anni, in particolar modo da quando il concetto dell'Europa da chimera teorica è diventato
realtà concreta, i quotidiani hanno dato sempre più importanza agli esteri. Nel caso del
Corriere della Sera, per esempio, sono arrivati a occupare le pagine vetrina del giornale:
la prima e quelle che vengono subito dopo, il cosiddetto"Primo piano". In questi
ultimi mesi l'Algeria ci è finita più volte, anche se è evidente che nella prima
cerchia d'interesse rimangono le notizie sull'Europa e sugli Stati Uniti... Visto però
che il mondo sta diventando sempre più piccolo, vale il principio della macchia d'olio:
la cerchia s'allarga. I massacri del Rwanda e del Burundi hanno per esempio avuto un'eco
sulla stampa italiana inimmaginabile solo cinque anni fa. In sintesi, le cose stanno
cambiando anche se si tratta di un cambiamento lento.
Alcuni addetti ai lavori fanno un'analisi diversa: accusano i giornali di essere
lontani dalla società civile e non capire le reali esigenze dei lettori.
I giornali hanno tanti difetti, ma non mi sembra che siano così sordi da non
rendersi conto che la gente vuole più articoli sul Sud del mondo... La realtà è che
c'è un problema di sensibilità italiana, di scarsa cultura sulla materia. Lo si vede
dalle lettere che ci scrivono i lettori, dai sondaggi, dalle ricerche di mercato.
Allora chi ha a cuore il Sud del mondo deve rassegnarsi?
No, però deve avere pazienza, molta pazienza. I cambiamenti non si ottengono con la
bacchetta magica, ma con un lento lavoro di promozione, di pubbliche relazioni, di
contatti con giornalisti attenti a questi temi ...
Un consiglio concreto per chi vuole iniziare questo lavoro?
Ricordare sempre che i giornali hanno bisogno di storie e di personaggi. Se si parla
tanto del Chiapas, per esempio, è perché ha un testimonial facile da rappresentare: il
subcomandante Marcos, con il suo alone di mistero, il passamontagna, il viso che non si
vede...
Volontari per lo sviluppo -
Febbraio 1998
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