La distrofia facio-scapolo-omerale

Che cos'è la distrofia facio-scapolo-omerale?

E' una distrofia muscolare che interessa soprattutto i muscoli del volto, delle scapole e, in parte, del braccio.

Questa forma è in genere lieve, pur variando molto da un soggetto all'altro, anche all'interno dello stesso nucleo familiare.

Da che cosa dipende?

Si tratta di una malattia ereditaria, che può essere trasmessa da un genitore ai propri figli, con una probabilità del 50% per ogni gravidanza, indipendentemente dal sesso del nascituro.

In alcuni casi i genitori del paziente sono sani, e ciò perché esiste anche la possibilità di un cambiamento casuale e imprevedibile nel DNA di un uovo o di uno spermatozoo, che porta alla malattia. In ogni caso, per quel soggetto, il rischio di avere figli affetti è del 50% come nelle forme familiari.

Il gene responsabile della malattia non è ancora noto.

A che età si manifesta?

Generalmente i primi sintomi compaiono in adolescenza o in età giovane-adulta.

A volte, però, l'esordio può essere anche nei primi anni di vita, oppure la malattia può essere così lieve da passare inosservata fino a tarda età.

Quali sono i sintomi principali?

I primi sintomi - che compaiono lentamente e passano spesso inosservati - sono in genere riferibili alla compromissione dei muscoli del volto, di quelli fissatori delle scapole e della muscolatura prossimale degli arti superiori. I più frequenti sono: il volto inespressivo, per problemi di motilità facciale (specie delle palpebre); la difficoltà a compiere atti come succhiare una cannuccia, oppure fischiare; il dormire con gli occhi semichiusi; la difficoltà a fare gesti come pettinarsi o prendere oggetti da ripiani alti; un aspetto particolarmente "cadente" delle scapole e delle spalle.

Per molti pazienti le condizioni cliniche restano più o meno invariate nel tempo.

Gli arti inferiori, che possono risultare compromessi anche assai precocemente ad una valutazione strumentale, il più delle volte non danno problemi clinici e il paziente svolge normalmente le attività quotidiane (spesso può fare anche dello sport).

Altre volte il decorso è più severo e determina una riduzione significativa di forza sia agli arti superiori che a quelli inferiori. Sono rari i casi in cui la progressione della malattia è tale da determinare la perdita della deambulazione autonoma. Anche qui, comunque, le prospettive di vita sono generalmente normali.

Rarissime sono invece le difficoltà respiratorie.

Come si evolve la malattia?

Al momento della diagnosi, non lo si può prevedere: ovviamente, più grave è la compromissione all'esordio, più probabile è un'evoluzione progressiva.

Fattori esterni (come periodi di immobilità forzata) possono inoltre determinare aggravamenti del deficit di forza.

Una discreta percentuale di pazienti - secondo alcuni studi più del 50% - avrebbe anche un interessamento uditivo e della retina, il quale, riscontrato con esami strumentali, non sempre ha un'evidenza clinica. In altre parole, gli effettivi problemi alla vista e all'udito possono essere minimi o non sussistere affatto.

Anche se vi è la tendenza a inserire la valutazione di tali problemi fra i criteri diagnostici, si sta ancora studiando se essi facciano parte del quadro clinico della distrofia facio-scapolo-omerale, oppure se siano difetti associati, ma indipendenti dalla patologia di base.

Quali esami sono utili per la diagnosi?

Il primo sospetto viene dall'esame clinico e dalla storia familiare.

Sarà poi utile l'elettromiografia per confermarlo e per discriminare questa malattia da forme clinicamente simili ma con una diversa origine.

La biopsia muscolare non è indispensabile per ora, poiché non sono ancora stati individuati dei marcatori specifici della malattia, cioè non è ancora noto se esista una proteina, un enzima o altro, la cui presenza o carenza possa permettere la diagnosi certa. Può tuttavia essere utile confermare la presenza di segni di sofferenza della fibra muscolare.

Attualmente l'indagine genetica, importante per la ricerca, non ha utilità ai fini della diagnosi.

Da quanto detto in precedenza, vanno incluse tra le analisi diagnostiche anche l'esame audiometrico, i potenziali evocati uditivi e la fluorangiografia retinica.

Si può fare la diagnosi prenatale?

Trattandosi di patologia ereditaria, è naturale chiedersi se si può sapere prima della nascita se il bambino si ammalerà, oppure no.

Non essendo ancora noto il difetto genetico, la risposta non è semplice. Studi recenti hanno stabilito in quale regione cromosomica dovrebbe essere localizzato il gene responsabile; e tuttavia per ora si sa solo che esiste un'associazione tra la presenza della malattia e dei marcatori genetici localizzati sulle braccia lunghe del cromosoma n. 4.

Tale associazione potrebbe essere utilizzata nella diagnosi prenatale, cioè nell'analisi del DNA del nascituro, grazie al prelievo dei villi coriali (entro la dodicesima settimana di gravidanza) o all'amniocentesi (dopo la sedicesima settimana). Tuttavia, questi accertamenti possono soltanto dire con che probabilità il bambino può essere malato. Non hanno un valore di certezza, né in senso positivo, né in senso negativo, ma presentano un certo margine di errore.

Ad una coppia a rischio che desideri dei figli è consigliabile: il colloquio con un genetista medico; l'analisi del DNA della persona ammalata e dei suoi genitori (è sufficiente un prelievo di sangue venoso).

Esistono possibilità terapeutiche?

Non ci sono terapie causali. È possibile fare della fisioterapia ed utilizzare dei tutori, se necessari. Alcuni propongono un intervento di fissazione della scapola per migliorare la funzionalità degli arti superiori.

È opportuno che i pazienti vengano controllati periodicamente e che si valutino di volta in volta le loro necessità.

In questo tipo di distrofia non c'è coinvolgimento cardiaco, per cui i controlli cardiologici non sono fondamentali. Può essere invece utile effettuare monitoraggi della funzionalità respiratoria nel sonno e in fase di veglia.

a cura di Angela Berardinelli

Fondazione Istituto Neurologico "Casimiro Mondino" dell'Università di Pavia. Testo redatto in collaborazione con Rossella Tupler, genetista dell'Istituto di Genetica Umana dell'Università di Pavia.

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