Al Teatro Erba, conversando con Cinzia Leone

Ci siamo divertiti un mondo durante lo spettacolo "Questo spazio non è in vendita" di Cinzia Leone, ci siamo liberati da quelle tensioni che sempre ci portiamo addosso, anche quando entriamo in un teatro, riconoscendoci ridicoli nei nostri luoghi comuni, come lo smitizzato spaghetto aglio olio e peperoncino o la catena di insulti che lanciamo quando siamo al volante, e nel nostro stupido buon senso, che ci permette di commuoverci di fronte alle tragedie del Terzo Mondo in Tv e di negare 500 lire al marocchino per la strada, e ci siamo sentiti, attraverso un sorriso ed una ironia incanzanti, stimolati ad essere più vivi e più creativi. Nel camerino del teatro Cinzia Leone ci ha accolto con una straordinaria affabilità e simpatia, ci eravamo organizzati per realizzare un intervista con tutti i canoni e invece ci siamo ritrovati come da un'amica alla quale è stato spontaneo dire "grazie".

Cinzia, il tuo spettacolo comincia con un'affermazione forte: il teatro è morto. Lo pensi davvero? A quale teatro ti riferisci?

Sì, è morto per come lo trattano alcuni, quelli che ancora pronunciano frasi banali con enfasi e retorica. Il teatro dovrebbe essere un luogo di confronto e di conforto, dove c'è gente viva che parla e gente viva che ascolta. Abbiamo bisogno di un motivo per sopportare una vita infernale, soluzioni a contraddizioni personali e sociali incontenibili, si può lavorare non necessariamente in temi comici, ma almeno trattando i nostri problemi, le violenze ingiustificate della moda, delle strafighe di successo che turbano il nostro amor proprio, analizzando il tessuto sociale e cercando un motivo per sopportarlo.

Quindi il teatro è una sorta di riunione, come dicevi scherzando all'inizio, un ritrovo fra amici che discutono delle loro esistenze?

Lo era già in Grecia, quando hanno inventato il teatro, parlavano dell'Edipo, mettendo i problemi veri in scena, i rapporti fra madre, padre, figlio. Se risaliamo alle origini della tragedia scopriamo delle intuizioni storiche di portata straordinaria, cose alle quali noi siamo arrivati nel 900 con Freud.

C'è da parte tua attraverso la critica sociale in chiave comica una sorta di messaggio morale legato alla realtà?

Quando uno parla deve sempre pensare di comunicare, o almeno di dire qualcosa, se vogliamo possiamo anche definirlo messaggio; di gente che parla a vanvera ce n'è già abbastanza. La comicità mette in luce le nostre contraddizioni, prima fra tutte l'intolleranza. E' difficile farsi anche carico dei problemi altrui ma ci si deve rendere conto di chi realmente sta peggio di noi.

Quali sono i tuoi rapporti rapporti attuali con la televisione?

Non mi piace per cui non la faccio più, almeno fino a quando non mi permetteranno di farla in un altro modo. Quello che si può fare in teatro secondo me si può fare ancora meglio in televisione. Ho trovato questa chiave di lettura alla quale pensavo da anni: uno spettacolo che coinvolgesse il pubblico in modo diretto.

Cinzia, tu prendi lo spettatore per mano e lo fai salire sul palcoscenico, mettendo la vita sotto la luce dei riflettori. Allora dov'è la differenza, dove reciti di più, sul palco o nella vita?

Non recito da nessuna parte oppure in tutte e due. Sono identica, vivo e recito allo stesso modo. C'è il calore umano, importantissimo nel coinvolgere le persone, facendo leva sulla loro creatività sulla fantasia, senza bisogno di speculare sulle tragedie, mettendole in piazza come fa la televisione, tirando fuori il peggio.

Sembra una coincidenza, spesso ci cogli nei nostri modi, nelle nostre abitudini, nelle nostre vane "chiacchiere", facendone parodia. Qual è la risposta del pubblico alle tue "provocazioni"?

E' una risposta calorosa, emotiva, istintiva. A volte non riuscivo a dire le battute per gli applausi continui. Non esiste il problema di essere freddi o non esserlo, un altro luogo comune, credo esistano motivazioni convincenti o non convencenti. Io sento un'esigenza viscerale di comunicare, se non lo faccio divento pazza e non mi interessa che la gente mi dica brava alla fine dello spettacolo, ma che mi dica grazie, questo mi fa capire di aver raggiunto lo scopo.

Monica Luccisano

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