FINE SECOLO NUOVO MILLENNIO

Profano e Sacro

ipertesto Terra

 

Del 990 è il Grand Tour di Sigerico da Canterbury a Roma. 1008 anni dopo si prenotano i viaggiatori per il Giubileo del Duemila. E per Monti e Vie Francigene anche l’arte ipermediale ama i viaggi della "Res ostensa"; e li propone agli artisti.

(1.) A differenza delle vie del Signore, che si dice siano infinite, le vie della routine quotidiana per i futuristi del 1909 erano finite: "Il Tempo e lo Spazio", proclamavano nel loro Manifesto di fondazione lanciato a Parigi, "morirono ieri", perché li sostituiva già, secondo loro, "l’eterna velocità onnipresente", che interpretavano come un modo, creativo, di vivere nell’assoluto. L’investimento metafisico del dinamismo, come sintesi inscindibile di spazio e tempo, opponeva alla contemplazione estetica passatista la concezione cosmica di un essere per via come puro atto di riferimento, condizione permanente di corsa, volo, navigazione, odissea, viaggio, pellegrinaggio, percorso interattivo, simbolico e rituale: il volante marinettiano dell’automobile in corsa "più bello della Vittoria di Samotracia" con la sua "asta ideale" attraversa la Terra, che a sua volta corre velocissima in orbita.

(2.) Nell’aprile del 1994 il Consiglio d’Europa riconosce la "Via Francigena" come "Itinerario culturale europeo", includendola così fra gli "Itinerari storici europei" (come era già avvenuto precedentemente, ad esempio, per il "Camino" di Santiago de Compostela in Spagna). Questa strada che nasce dalla terra dei Franchi si era affermata nell’epoca carolingia come itinerario di transito fra l’attuale Francia e Roma. Il primo documento che la riguarda geograficamente è il diario di viaggio scritto nel 990 da un segretario dell’arcivescovo di Canterbury Sigerico, che per la sua promozione arcivescovile era dovuto andare a Roma per ricevervi dal Papa Giovanni XV la "veste", appunto, dell’"investitura", costituita da un "pallium" di lana decorato con la croce. Il percorso seguito al ritorno da tale pellegrinaggio romano (chiamato anche "Il Cammino del Cielo") è trascritto in un elenco di papi del X secolo conservato alla British Library di Londra. Dove la Via Francigena diviene un segmento di quelle vie del sacro che portavano a Gerusalemme, Roma, Santiago.

(3.) Il termine "investire" deriva dal latino "in", nel senso di "intorno", e "vestire" cioè avvolgere, coprire con una veste, che nel medioevo diventa anche vestizione simbolica di potere, oppure trasferimento simbolico di potere attraverso la concessione di toccare un lembo della veste. La traslazione corporale oppure virtuale del vestimento, inteso come segno indossabile del potere, divisa, immagine interattiva di appropriazione e di appartenenza, individua quindi l’esternarsi di un passaggio, il rappresentarsi di un cambiamento, il tramutarsi di un ruolo: fra il viaggio di Sigerico da Canterbury a Roma (Via Francigena compresa) per la sua investitura arcivescovile, e il metaforico viaggio spirituale del credente nel "cammin di nostra vita", il passo è breve.

(4.) La Via Francigena emerge nello scorcio del Primo Millennio che aveva visto nell’anno 800 la fondazione del Sacro Romano Impero ad opera di Carlo Magno, e la fiancheggiante rinascita europea etichettata poi come carolingia. Alla crisi delle strade consolari romane, divenute in gran parte impercorribili, si era avvicendata, specialmente dal VI secolo, una rete di itinerari minori e alternativi che rifletteva la dispersione territoriale delle comunità, dei conventi e dei centri di potere, spaziando dalla diffusione del monachesimo al crepuscolo del sistema feudale. La Via Francigena stessa non consiste tanto in un’unica strada quanto in un insieme di collegamenti direzionali, cioè in una sorta di "strada-territorio" percorribile attraverso diverse varianti reticolari, scegliendo di volta in volta, nella sua struttura alla Internet geograficamente articolata sull’ipertesto della Terra, le linee direttrici diramate dall’Europa nord-occidentale a Roma e viceversa. L’area delle manifestazioni artistiche riguardanti la Via Francigena, che si sviluppano adesso fra il 1998 e il Giubileo del Duemila, risulta quindi singolarmente articolata e flessibile.

(5.) Il "pallium" dell’investitura arcivescovile di Sigerico, al tempo della Via Francigena, era un tessuto di lana decorato con la croce. Conservava ancora la denominazione che la lingua romana aveva derivato da una fonte pre-indeuropea: oggi il "pallio" è una stola portata sulle spalle dal papa e da altri ecclesiastici; ma per i greci e romani antichi era un mantello, veste dei filosofi e delle etere, un tessuto quadrangolare con cui si coprivano inoltre i cadaveri, o anche una coperta del letto, un tendaggio o un arazzo. Il guardaroba liturgico di Sigerico è ricco di risonanze etimologiche non meno della Via e del viaggio, ed evoca indirettamente affinità con sudari e sindoni. Quadrata o rettangolare, la forma del pallio (che con una elle in meno diventa anche "palio", drappo ricamato o dipinto dato in premio a una gara, come il drappellone del Palio di Siena) può diventare senza soluzione di continuità la forma del quadro che il pittore dipinge, delle tele o dei teleri bianchi, intelaiati o arrotolati come arazzi, da lavorare per esporli od ostenderli poi nei più diversi luoghi di irradiazione e di interazione del loro messaggio.

(6.) L’archetipo dell’essere per via (pervia o impervia che sia) emerge fra le sacre estrapolazioni dell’esperienza quotidiana dagli albori della civiltà planetaria. La riflessione sull’esistenza in chiave di viaggio, la traslazione di reliquie e memorie dagli spazi e dai tempi vissuti all’ecumenicità del mito e della consapevolezza storica, la metafora viaria e viatoria della condizione umana, contribuiscono alla continuità di una immagine (praticabile e conoscitiva) dell’appartenenza al genere Homo sapiens e dell’appropriarsi proiettivo della consonante identità: al punto da configurarsi idealmente anche come cammino iperbolico nell’alieno assoluto per eccellenza, l’Aldilà, e da riverberarsi fino alle crisi sublimi dei linguaggi nell’arte come nella poesia. Così le vie del Sacro e del profano risultano meno separate di quanto si direbbe dalla loro denominazione; e l’impropria titolazione dell’"Amor sacro e profano" tizianesco può rimandare al polisemo e al polisenso del viatico, fra il bancomat dei turisti e la comunione dei moribondi. Da Gilgamesh a Dante, da Goethe a Neil Armstrong, le vie dell’"amor che move" e le vie del movimento nello spazio e nel tempo cosmici si sviluppano separatamente, ma interagiscono anche spesso nei termini del reale come in quelli dell’immaginario, investendosi reciprocamente di significati più complessi.

(7.) Se non tutti potevano avventurarsi come pellegrini nelle vie del Sacro che portavano a Gerusalemme, per andare a vedere i Sacri Luoghi della Palestina, i Sacri luoghi però potevano invece andare, in effigie e in simulacro, incontro alle persone e ostendersi, attraverso questa traslazione figurale, plastica, architettonica e ambientale, alla vista ben più velocemente ravvicinata di ben più lontani visitatori. A tale scopo l’Ordine dei Minori Osservanti di San Francesco realizzò dalla fine del Quattrocento il Sacro Monte di Varallo, riguardante i "Sacri Luoghi perché veda Gerusalemme chi in pellegrinaggio non può andare"; e, da circa un secolo dopo, il Sacro Monte di Orta dedicato alla vita di San Francesco d’Assisi. Dopo quasi mezzo millennio il traslato dei luoghi, e delle vie devozionali che li collegano mediante l’iperrealismo teatrato del linguaggio immaginale, viene ora affiancato dalla tecnologia estrema delle comunicazioni in tempo reale: dalle metafore multimediali della televisione a quelle più ecumeniche della telematica in rete, fino alla messa natalizia celebrata dal papa in mondovisione o all’indulgenza planetariamente estesa tramite teleschermi. A tale "ipertesto Terra" si riferiscono anche alcuni interventi espositivi, e video e presenze in Internet, di operatori artistici (fra cui l’Intercity Team e altri pittori e scultori) ai Sacri Monti di Varallo e di Orta e di Siauliai (Lituania), e nelle rovine archeologico-industriali di uno straordinario edificio a Vercelli, che meriterebbe di venire salvato dalla parziale demolizione, potendo fra l’altro trasformarsi in un grande museo d’arte; e che fin da ora viene temporaneamente occupato dagli artisti come "Ostensorio".

(8.) La numerazione dei nove capoversi in cui si articola questa pagina è puramente casuale: sono infatti proposti come "stazioni" per una rete di "links", che costituiscono un ipertesto altrettanto leggibile attraverso tutte le altre sequenze combinatoriali possibili, 362.880 in tutto. Se la loro proposta critica ipermediale ne individua alcune vie (e punti e reti) di riferimento, la creatività degli artisti ne avvalora invece i peculiari percorsi (e ne serba la memoria e ne intensifica il movimento) partecipando con i personali lavori alla formazione di quell’esperienza ipertestuale del viaggio che può coinvolgere ognuno nel comunicare con tutti.

(9.) Reversibilmente le vie del Sacro si avvicendano e si intrecciano alle vie del profano. Il mito e la realtà del viaggio, con i loro metaforici e storici slittamenti negli spazi e nei tempi della memoria fantastica e culturale, si puntualizzano anche ripetutamente in specifici eventi espositivi: come la mostra torinese di Franco Bonetti su "Il Tour del Grand Tour"; o la mostra, sempre a Torino, di Gino Cavezzale, Giancarlo Milano, Maria Gabriella Piazza, Giulia Robino su "Ritratto di donna. Immagini dal mondo", fotografie di viaggio esposte a La Fionda; o l’estensione a Vercelli della "Starred map of wonder: angeli e altri prodigi prodighi di cielo", con immagini di Being Interset Press, Being Interset Team, Degaudenzi, Stage Edersheim, Falciola, Fiorini, Frosio, Giammarinaro, Giraudi, Intercity Team, Molinari, Onnis, Prassi, Re, Vigliaturo, Zopolo e altri, dove l’estendere non esclude l’ostendere.

Lucio Cabutti

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