DISCUTIAMONE DI WILLY BECK

 

Collage critico

Me le lasciate dire ancora due parole sulla mostra dedicata a Fontanesi, anche se si è chiusa da un paio di settimane? Lo so, la cronaca d’attualità incalza e ci sarebbe già altro di cui parlare , ma io personalmente la patisco un poco quell’urgenza di starle dietro a tutti i costi, che comporta spesso la rinuncia alla riflessione, alla meditazione riposata degli eventi, artistici e non, con la conseguente necessità di archiviare quanto prima ciò che è appena accaduto e lasciarselo dietro le spalle, riporlo in fondo alla memoria e magari non riportarlo mai più alla luce. Ora, dicevo, la mostra di Fontanesi io l’ho vista e rivista, ne ho studiato il catalogo, ne ho letto le recensioni, sono andato a ripescare testi critici anche lontani nel tempo; e tutto questo soprattutto per risolvere alcuni dubbi che ho sempre avuto circa il valore di questo artista, non tanto sul piano squisitamente pittorico, quanto sul piano più profondamente storico-artistico, sul significato, il peso, il posto che gli debba competere in una ricostruzione, veridica il più possibile, dei fatti artistici dell’Ottocento, del nostro in particolare, ma anche più latamente di quello europeo.

Devo riconoscere che tutto il mio sforzo è stato vano, starei quasi per dire che alla fine ho più dubbi di prima. Proviamo a riassumere, attenendoci rigorosamente agli scritti che ho potuto consultare. Insomma, ha proprio ragione chi lo ritiene il miglior pittore del nostro Ottocento, chi lo colloca "sul piano dei maggiori romantici d’Europa" e comunque "tra i più moderni pittori italiani sul finire del secolo"? Oppure risulta eccessiva la equiparazione "a quei grandi paesaggisti francesi e inglesi dal cui esempio, invece, egli spesso si mostra fin troppo dipendente", come altri sostiene? Possiamo davvero considerarlo un rivoluzionario anticipatore della "gestualità materica", solo parzialmente comprensibile oggi, "dopo Soutine e il naturalismo informale di Melotti"? Oppure "la sua reale dimensione è quella di un artista nobile e tormentato, un po’ monocorde... ma che talvolta, in un limitato numero di casi... sfiora il grande capolavoro?"

Ha ragione chi ne esalta anche certi aspetti meno riconosciuti, e ad esempio, annovera "tra i suoi capolavori" persino il "Ritratto di Arpalice (o Elisa)", unica presenza in mostra per questo genere pittorico? Oppure, in una disamina impietosa, "La Quiete" risulta un "fallimento"; la materia di certi studi "resta un’amalgama inerte"; e "l’albero, il famoso albero, che tutti gli intenditori magnificavano come il senso, il valore, il centro artistico dell’Aprile, è proprio il gran difetto di questo quadro"; e spesso, più in generale, "la composizione sa di faticoso artificio, di quadro costruito"?

Non so se mi spiego, un bel rompicapo. Forse è meglio chiudere nel tesoro della memoria i quattro ovali dipinti per Cristiano Banti, gli studi di scenari palustri e quanto altro ad essa appaia degno di conservare e il giudizio finale rimandarlo, sospenderlo senza eccessive preoccupazioni. La prossima mostra su Fontanesi a Torino sarà almeno fra qualche decennio: un problema che probabilmente non mi riguarderà più.

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