FINE SECOLO NUOVO MILLENNIO DI ANTONIO MIREDI

 

Ugo Nespolo

L’arte invade la vita

 

- Nell’evocazione dei titoli, l’esordio pubblico ha qualcosa di prospettico. Alla Galleria "Il girasole" di Roma e al "Punto" di Torino esordisce con una mostra emblematicamente intitolata "Percorso della mente e degli occhi". Un riferimento non solo a una poetica visiva, ma anche a una avventura mentale.

"D’altronde, credo, sia così per tutti gli artisti: si vive essenzialmente un’avventura mentale. Anche se, per quanto mi riguarda, tengo molto a ribadire che non si possono scindere i due momenti. Voglio dire, l’arte non può essere eminentemente soltanto concettuale, ma che debba riguardare anche la manualità. Un percorso è fatto degli obbiettivi che uno si pone. Gli obbiettivi presuppongono delle scelte. Non a caso ha citato la mia prima mostra. Quando si esordisce ci si mette come un timbro sulla schiena e c’è il rischio di un timbro da portarsi sempre dietro. Per questo è difficile scegliere, iniziare. Mi piace allora pensare che la concettualità e la manualità, che è poi leggibile in tutta la storia stessa dell’arte, siano presenti entrambe nel mio lavoro. E questo spiega il desiderio di passare attraverso i media, di usare varie tecniche. i quadri sono lavori intagliati nel legno, ma mi piace anche dipingere, scolpire, fare ceramiche, i bronzi, i vetri a Murano... E’ proprio nella tradizione dell’artista che per definizione è multimediale. Ci sono state deformazioni ideologiche che hanno portato a visioni distorte dell’arte, come quella romantica dell’artista tutto sentimento e niente ragione. Visione hegeliane o crociane che hanno considerato l’arte slegata dall’utile o dall’utilitarismo. I miei obbiettivi, al contrario sono stati rivolti alle contaminazioni. Non mi interessa "la purezza", la distinzione fra cultura alta e cultura bassa. Le mie opere cercano di essere generose, nel senso che devono sempre mescolarsi con la vita. Mi capita, per esempio, spesso di mescolare il sacro col profano".

- Tante volte è difficile distinguere i confini tra sacro e profano, perché quello che appare sacro tante volte è profano, e viceversa il profano ha l’essenza di una sacralità.

"E poi non si sa bene quali siano i limiti fra la cosiddetta arte alta e arte bassa. Io mi sono fatto naturalmente delle idee a tale proposito, soprattutto in questo fine millennio in cui bisogna fare i conti con una realtà che non è più quella ereditata dalle avanguardie storiche."

- Sempre in riferimento al suo esordio pubblico, il 1966 vede la mostra tenuta al "Punto" intitolata "Immagine del sogno, la logica del puzzle". Ecco la conferma di quel connubio di avventura dell’immagine e di discorso logico. E del resto la differenza che si può individuare tra collage e puzzle. Il secondo permette di riprendere in mano il mondo, confonderlo e ricostruirlo in una sintesi apparente, sempre cioè in movimento.

"E’ vero. E’ vero. Il puzzle a me ha dato sempre sicurezza. E’ come quando si mette ordine in un cassetto. L’idea di logica che c’è nella costruzione è una voglia di rifare il mondo, di riscrivere confini... una tecnica che in me non è nata casualmente, ma da una ricerca. Naturalmente in questo contesto logico, c’è anche una dimensione ludica, se si vuole fantasiosa, ma sempre dentro una specie di cornice logica."

- Questa logica si è sempre sposata con una certa sperimentazione, spesso controcorrente. Non a caso fra le sue contaminazioni e attraversamenti, l’esperienza cinematografica è stata coltivata anche con il gusto della provocazione. Nello stesso tempo, però, è riuscito a diventare un marchio. Il successo quali vantaggi e quali svantaggi può portare nel campo dell’arte?

"Quella del marchio è un’idea che a me è sempre piaciuta, ma si è presentata anche come necessità, il bisogno di costituire come un piccolo mondo autonomo. Ho sempre notato una carenza organizzativa e comunicativa nel sistema dell’arte, fatto tutto a caselle, casettine, con poca connessione. A questo si è unito lo scadere progressivo dei mercanti e dei galleristi. Io ho avuto la fortuna di cominciare con grandi mercanti come Schwarz, Palazzoli, e oggi mi ritrovo con una serie di mercantucoli il cui unico scopo è quello di comprare e vendere. La vecchia generazione era fatta di amatori che oggi sembrano scomparsi. Ho capito che da me stesso potevo essere capace di costruirmi un piccolo sistema, è stata quindi anche un’esigenza strumentale. Da qui è nata la voglia di formare una specie di marchio che io ho chiamato "Casa d’Arte Nespolo" in una recente mostra di Milano. E’ comunque una vecchia idea che era stata dei futuristi. L’idea che un artista in una sua struttura possa muoversi più liberamente e agire a tutti i livelli: non solo agire in un museo, ma lavorare, per dire, anche su un bicchiere. Ho fatto così lavori di pubblicità, collaboro a un progetto con Renzo Arbore. Tutto questo mi dà una continua soddisfazione perché permette anche di divertirmi. Altrimenti lo specifico dell’arte rischia solo di essere noioso e asfittico, e non mi va di frequentarlo.

I vantaggi sono stati quelli di lavorare anche in tempi spaventosi di crisi, mentre, diciamo, lo svantaggio nel successo può essere quello che avendo scoperto le carte, la gente sa quello che si aspetta da te, e quindi bisogna essere sempre all’altezza della situazione. L’altro svantaggio è che, tutto sommato, il contesto globale non sembra ancora pronto verso una figura di artista così vecchia. L’artista che io ripropongo, infatti, può essere ritrovato nel Rinascimento. Ma sono rischi che si corrono e che non mi spaventano. L’ho già detto: non mi interessa la posizione dell’artista romantico chiuso nel suo studio."

-In un suo film, in modo inquietante ha trattato il concetto di "atto gratuito". Fatti recenti di cronaca hanno riproposto questa assurda idea. L’arte anticipa il reale?

"L’arte dadaista ha anticipato molto il nostro presente. I dadaisti erano per l’atto gratuito, quello di uscire per strada e sparare sulla folla. L’atto gratuito in senso artistico può essere ricondotto a un fatto creativo di illogicità-logica. Il caso della cronaca recente è a un livello diverso, non certo creativo"

-Per concludere, partendo dal titolo di una sua ultima opera "Avanguardia educata", il nuovo millennio regalerà ancora avanguardie e di che tipo?

"E’ difficile dirlo. Per quanto mi riguarda io spero che il nuovo millennio regali una maggiore integrazione delle arti nella società. L’arte non deve essere territorio asettico, noioso, separato dal mondo. Non voglio dire che l’arte debba diventare popolare, ma che dovrebbe avere una forte predisposizione a comunicare."

-L’arte capace di invadere la vita.

"Un’arte che invada e vada verso la vita."

 

Nelle stanze del gioco

Uno dei primi lavori nel quale l’artista utilizza la tecnica dell’incastro, è intitolato emblematicamente "Qui si gioca". Sembra quasi il manifesto di un percorso che partendo da suggestioni pop ("si definiva così la delineazione nell’iconografia infantilistica. Questo era certamente un modo di riprendere liberamente alla cultura della Pop Art. Tuttavia l’accentuazione infantile era per Nespolo un modo di rifarsi all’immaginazione più elementare e spontanea, sfuggendo l’iconografia seria prevalente nel sociologismo pop": Enrico Crispolti), recuperava le istanze vitalistiche del futurismo, per arrivare ad anticipare quell’esplosione di forme e colori e di linguaggio fumettistico tanto caro alla odierna arte medialista e metropolitana.

Ma il titolo-manifesto non deve trarre in inganno: il gioco è sempre qualcosa di terribilmente serio, ha le sue regole, a volte una logica ferrea, strategie e calcoli. Il gioco, in fondo, è il continuo tentativo di organizzare la realtà a proprio piacimento. Del resto l’incastro, la tecnica del puzzle, richiama proprio questo modo di confondere il disegno del mondo per poi ritrovarlo sotto un aspetto nuovo. E semmai la sfida consiste nel rimettere i pezzi in posti imprevisti e sempre diversi. Questo permette il divertimento, quella ludica gioiosa e spontanea creatività che appartiene in modo originale a Nespolo.

Ho un ricordo personale in grado di spiegare questo concetto. Al teatro Carignano si dava uno spettacolo futurista con testi, costumi, scenografie, ecc. di Nespolo. La creatività dell’artista era anche nel modo in cui seguiva il divertimento del figlio. Il suo stupore inseguiva lo stupore del suo bimbo. Forse questo è il gioco delle arti che hanno padri da amare e tradire e figli da spiare e inseguire.

La forza, inoltre, di diventare un marchio non ha tuttavia rinunciato al gioco dell’ironia, a cominciare da se stessi. E infatti "Avanguardia educata" potrebbe benissimo diventare una futura raffinata autocitazione: "Lo stesso termine avanguardia - ha scritto - mi pare oggi totalmente spompato e privo di valore. Basti pensare che l’avanguardia oggi nasce nei musei, sponsorizzata dalle grandi corporations..."

Antonio Miredi

 

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