LINEA D’ORIZZONTE

 

Callà, Di Maria, Laganà, Lupano, Rolando:

Cinque racconti al castello di Rivara

"Vi racconto una storia"... Non è la solita formuletta da imbonitori, ad accogliere i visitatori all’ingresso del Castello di Rivara: una passeggiata in salita attraverso il parco, il tempo di fermarsi ad ammirare la facciata del castello, rinnovata dal D’Andrade a fine Ottocento, ed eccoci alle antiche scuderie, sorta di dependance del castello in cui è stata allestita la mostra. La storia comincia prima dell’ingresso nell’edificio di pietra e legno: uno strano veicolo troneggia a pochi passi dall’entrata, una carrozza che potrebbe essere stata utilizzata per le riprese di "Ritorno al futuro": la forma generale richiama infatti una di quelle carrozze che, fino alla metà del secolo scorso e oltre, assicuravano i collegamenti sulle lunghe medie distanze. Basta avvicinarsi per restare sbalorditi. Se l’insieme corrisponde a quello di una carrozza, non altrettanto si può dire delle parti: il nucleo intorno al quale è costruita l’opera è un cassonetto metallico, di quelli utilizzati per raccogliere la spazzatura dei quartieri; intorno ad esso sono stati organizzati e disposti pezzi meccanici eterogenei provenienti da automezzi di ogni epoca e categoria. Assi, marmitta, differenziale, ammortizzatori trasformano il veicolo del passato nel simbolo di una poetica che dialoga criticamente con la contemporaneità. Nulla infatti, nelle opere di Mimmo Laganà, va perduto: come in certe espressioni dell’arte contemporanea, l’opera si compone attraverso la rivalutazione critica di quanto una società abituata alla filosofia dell’usa e getta bolla come "scarti". Ciò che rende unici i lavori di Laganà è la particolare natura dei residui con cui opera: come suggerisce la definizione "carrozziere scultore", la materia prima viene da un mondo, quello dell’automobile, che ben rappresenta la tendenza generale a gettare via e sostituire piuttosto che riparare o riutilizzare. Lavorando su auto d’epoca, al tempo in cui la produzione in serie non era limitata che a pochi modelli ed il carrozziere aveva parte attiva nel "tagliare" la forma definitiva dell’auto, Laganà ha imparato il valore di ogni pezzo apparentemente insignificante e inutile ed ha saputo restituirgli importanza, collocandolo in una prospettiva diversa da quella abituale in cui la "Gente" è stata condizionata a vederlo. Ecco allora scaturire, con ritocchi spesso minimi, fantasie strabilianti da forme date per scontate: da un collettore di gas di scarico nasce la lupa di Romolo e Remo, la marmitta di una Cinquecento diventa un mastino inferocito alla catena, un pistone di Vespa diventa il centro di una futuristica maschera funeraria egizia. La malinconia per i pezzi abbandonati si sublima nella gioia divertita della creazione che le resuscita a nuova vita, talvolta insaporendola con un’ironia sempre garbata: provate a riconoscere il Napoleone dell’automobile sul manifesto, oppure il Cavaliere che reca una televisione al posto della testa.

Si cambia decisamente genere accostandosi ai lavori di Salvatore Callà, scultore che predilige il legno. I suoi lavori si presentano spesso in tratti aspri, tormentati, squadrati, che scaturiscono anche dall’ardua lavorabilità della materia prima prescelta (prima tra tutte il difficilissimo faggio); le composizioni si innalzano verso l’alto con strutture che ricordano quella dell’albero, imprigionando soggetti e simboli come entro le pareti tese allo spasimo d’un contenitore sul punto di esplodere. Si mischiano insieme l’iconografia religiosa (presepi, colombe), mani che si contorcono fuori della massa per invocare aiuto (una delle composizioni si riferisce al massacro dello stadio Heysel), uccelli inquietanti e forme né animali né antropomorfe, che suggeriscono l’instabilità di continue ed inquietanti trasformazioni.

Passando ai lavori di Alessandro Lupano ci si ritrova in tutt’altro territorio: le opere abbondano di riferimenti "colti", con vere e proprie citazioni letterarie (Borges, Yourcenar) incise sulle superfici delle pietre. La pietra diventa infatti il tramite cui Lupano affida una riflessione spesso oscura, che tende a suggerire più che a chiarire, muovendosi in varie direzioni nello spaziotempo della storia dell’uomo: ecco che sasso inciso in modo analogo alla stele di Rosetta, ecco la selce dell’uomo primitivo farsi ornamento ad un attaccapanni, e infine tutta una serie di statuette che richiamano l’archetipo, non soltanto mediterraneo, della Terra Madre Generatrice in quanto simbolo di fertilità universale.

Nella storia si muove anche Pier Luigi Rolando, che fa del ferro battuto e della lamiera i suoi strumenti privilegiati: il metallo diventa il centro di una visione che sottolinea la polivalenza della creatività umana (la spada e l’aratro), puntando a colpirne con l’ironia gli aspetti più "degenerati": ecco che i guerrieri in armatura assomigliano più all’Uomo di Latta di Alice che non al prode Lancillotto, ecco che tutta la serie dei ritratti di personaggi storici (Zar russi, re italiani, sovrani inglesi) tende a ridicolizzarne la pompa più che a rifletterne la solennità. Al ferro battuto, modellato con la tecnica della saldatura, si ispira infine Antonio Di Maria, che condensa in pochi essenziali simboli (la scacchiera, il drago) le strutture contorte, spesso sfuggenti, del metallo.

Castello di Rivara, Piazza Sillano 2 Rivara (TO) Tel-fax 0124/31122. Orario sabato domenica, 14.30 - 19.30 Fino al 31 luglio

Dimitri Di Salvo

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