DISCUTIAMONE DI WILLY BECK

 

Un consiglio per l’estate

Certo La Spezia non è precisamente quel che si suol definire una città d’arte: gran parte di ciò che c’era di antico se l’è portato via l’ultima guerra, che ha colpito duramente la città del porto e dell’arsenale, delle fabbriche d’armi e di munizioni. A parte il Museo Navale - un lungomare aperto e alberato e la lunga e tortuosa via XX settembre sono le sue attrattive maggiori; il meglio però va cercato nei luminosi siti sparsi lungo il golfo da Lerici a Portovenere, che non hanno bisogno di essere segnalati alla vostra attenzione. Ma in quella città dalla storia quasi azzerata, deserta la sera, tanto quanto ardua per l’automobilista in cerca di parcheggio di giorno, proprio lì da qualche mese si è aperto un museo straordinario che non deve sfuggire all’amatore d’arte.

Lo ha promosso Amedeo Lia, imprenditore di origine pugliese, che ha deciso di donare alla comunità centinaia di oggetti raccolti in cinquant’anni di collezionismo, curandone la collocazione nell’antico convento dei Paolotti di via del Prione, ristrutturato elegantemente nel tempo record di un anno. Tredici sale dislocate lungo un percorso che si snoda attraverso spazi diversi per forma, dimensione ed illuminazione, a volte collegati da inattesi scorci visuali; un itinerario che trova il suo filo conduttore nell’allestimento tutto in bianco, nero e grigio, nelle funzionali strutture espositive degli oggetti più delicati, nelle soluzioni riservate alle tavole fondo oro, inserite in alti pannelli a muro o in trittici liberi nello spazio, grazie a ben misurate sagomature.

Si è portati a pensare che il pregio di una collezione, soprattutto privata, consista preliminarmente nella sua concentrazione nello spazio, nel tempo e nella tipologia; la sua specializzazione insomma è, di norma, il primo requisito della sua validità. L’idea di un collezionare vario ed esteso induce subito diffidenza nell’esperto, lo indirizza al dubbio di superficialità e di scarsa attendibilità storico-scientifica. Simili precauzioni sono legittime, ma occorre riconoscere che nel caso in questione ci troviamo di fronte ad una limpida eccezione. Qui si svaria, è vero, dalle tele d’autore ai coralli trapanesi, dagli oggetti liturgici ai manoscritti miniati d’argomento sacro e profano, dai marmi ai vetri, ma, oltre ad una certa delimitazione cronologica e geografica (peraltro molto relativa), la qualità dei singoli pezzi appare elevata anche allo sguardo più critico, e le scelte superano sia il criterio più semplicemente mercantile, sia la pura dipendenza da un estro arbitrario e capriccioso. Il museo "Lia" appare piuttosto come una collezione di collezioni, ciascuna dotata di un alto grado di compattezza e omogeneità, che compone un insieme cementato da un gusto sicuro (sorretto forse anche da autorevoli consigli), ma anche le logiche rigorose che informano ogni singolo capitolo del grande volume. Basti pensare alla saletta dei ritratti cinquecenteschi e a quella dei vedutisti veneziani, ad esempio; o al gruppo numeroso dei bronzetti e all’intera ultima sala, in cui, disposto secondo un calibrato gioco di corrispondenze e integrazioni, stanno, immobili e pur vibranti, ben ventidue nature morte, a raccontare il trapasso dall’oscura e quasi tetra visione lombarda di inizio ‘600 al tripudio vitalistico del Settecentesco napoletano Andrea Carnevale.

Di più non vi dirò, scoprirete in loco il fascino dell’autoritratto su embrice del Pontormo, il presunto Raffaello del S. Martino che divide il mantello con il mendicante; ma anche lo splendore delle iniziali miniate, lo scintillio dei tondi vetrati con figure di Mesi, la severità dei Crocefissi processionali e le decine d’altre preziosità che stanno ad attendervi nel cuore di questa città da poco rinata all’arte.

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