VERNICE FRESCA DI EDOARDO STRADELLA

Tra Pop Art e arte plebea

Campi e campielli stipati di turisti e persone che si scambiano toccamenti accidentali, a volte inopportuni: colpa della gran ressa; si ripiega allora su vicoli secondari ma..., ahimè, saturi anche quelli! Per non parlare dei battelli, la loro linea di galleggiamento è paurosamente ribassata per i quintali di visitatori, curiosi e appassionati d’arte che continuamente imbarca. Sì, siamo alle solite; Venezia deve vincere l’ennesima scommessa di restare a galla - è proprio il caso di dire. Una missione ancor più ardua quest’anno visto che ospita dal 15 giugno (sino al 9 novembre ‘97) la 47ma Esposizione Internazionale d’arte, "la Biennale" insomma, come è da tutti conosciuta. E come i cavoli non c’entrano se di merenda si tratta, o i maccheroni non sono più tali senza l’inseparabile cacio, così anche questa edizione ‘97 reclama i suoi strascichi di polemiche: i duellanti sono questa volta il curatore della mostra in persona, Germano Celant, potente burattinaio nel teatrino di certa arte contemporanea, e l’eccentrico critico Achille Bonito Oliva. Come dire, colui che ha tenuto a battesimo l’Arte povera ( ma oggi sono altre le maestranze artistiche a trovarsi in stato di indigenza e di precariato) e che ha nutrito in terra straniera la Pop Art americana, e chi invece negli Anni ‘80 ha posto un baluardo alla dilagante e famelica conceptual art, recuperando il gesto pittorico e teorizzando il movimento della Transavanguardia.

Tutto questo a Venezia; ma basta lo spazio di un centinaio di chilometri e ci si trova sprofondati in un territorio artistico (non solo tale, per carità, ma io di questo voglio parlare) e anche interiore così diverso, da dubitare che tutto quel gran baillamme sia davvero in corso. Mi riferisco a Verona; premetto subito che non prediligo questo centro ad altri quali Vicenza piuttosto che Padova piuttosto che Mantova, ma trovandomi nei giorni scorsi nella città scaligera meglio ho potuto apprezzare quanto sia rivitalizzante concedersi una pausa, cristallizzare il tempo, anzi invertirne il corso e godere esteticamente di altre bellezze, di quelle che hanno il profumo e la fisicità dei secoli scorsi, epresse in particolare dalle chiese romaniche e gotiche disseminate lungo un itinerario urbano, un piccolo Gran Tour al termine del quale, forse, si potrà avere per un attimo quella insospettata quanto inebriante sensazione di benessere (anche organico e corporeo, perché no) ormai così difficile da agguantare. Un percorso per così dire terapeutico, oltre che tutto intimista e privato, che si snoda a partire dal potente trittico del Mantegna esposto nell’abside di S. Zeno Maggiore sino all’imponente Duomo (al suo interno la famosa pala "L’Assunta", di Tiziano) e alla basilica di S. Anastasia, al cui interno è custodito il delicato affresco di Pisanello "S. Giorgio e la principessa"; passando attraverso il fascino ruvido e un po' inquietante delle romaniche chiese di S. Fermo e S. Lorenzo. E lungo le pareti di tutte, altri affreschi e dipinti la cui funzione principale, non dimentichiamolo, era soprattutto didascalica nei confronti di un popolo di fedeli ancora ignorante e piuttosto maldestro nel sorreggere pagine scritte. Anche questa, dunque, "arte popolare" come la più moderna e chiassosa Pop(ular) Art; diametralmente opposti invece i presupposti: fatte subito salve le dovute differenze per periodi storici e culturali tanto distanti, nel primo caso si tratta di arte anche colta e raffinata, i cui interpreti sono spesso maestri di chiara fama dell’epoca, di cui viene fatto dono al volgo illetterato per corroborare il suo timor di Dio e la sua fede. Nel secondo caso, l’oggetto stesso che sarà poi elevato a forma d’arte viene attinto da una dimensione più prosaica, quotidiana, vicina a quella che l’uomo della strada sperimenta ogni giorno.

Due cifre quanto mai distanti, dunque, ma in sostanza complementari l’una all’altra in quanto espressione del bisogno di realizzarsi attraverso il piano sociale nel caso del movimento degli Anni ‘60, e dell’esigenza per contro di recuperare una dimensione più privata, tutta personale, nel secondo. E allora, salomonicamente, dapprima una salutare abluzione nelle acque dell’Adige veronese e poi, ritemprati da questo bagno "secolare", di filato a Venezia per guadagnare quella condizione di aggregazione che comunque ci compete, da bravi "animali politici" quali siamo.

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