FINE SECOLO NUOVO MILLENNIO

Di Antonio Miredi

 

MARK KOSTABI: OMAGGIO A TORINO

 

Nato a Los Angeles nel 1960 da immigrati estoni Kostabi è cresciuto in California. Nel 1982 si è trasferito a New York e nel 1984 è diventato una figura portante dell’East Village Art Movement. Noto come uno degli artisti più influenti e discussi emersi dall’epoca cosiddetta post-moderna a Torino ha inaugurato una personale alla Galleria Nuova Gissi dove è stata raccolta la presente intervista.

 

La Torino guardata da Kostabi è una città vista attraverso l’occhio di de Chirico. In realtà sembra una Torino nata in un viaggio telematico…

Considero de Chirico ancora vivo. Credo di sentirmi ispirato da Torino e da de Chirico in egual modo. Ho una innata simpatia verso questo grande artista. Ho cominciato a dipingere a 20 anni, in California, figure senza volto, senza sapere che de Chirico le aveva già dipinte. Avverto una stessa "Simpatia" per la città di Torino.

Della Torino metafisica di de Chirico alla patafisica di Baj. Cosa lega artisti così diversi?

Ho avuto la fortuna di conoscere Baj di persona e poi di lavorare con lui nel ’92. Ho da poco ricevuto un diploma dal movimento "patafisico", consegnatomi proprio da Baj. Lo considero un grande artista. Come tutti i grandi artisti è pieno di vita, pieno di energia.

Per de Chirico un manichino aveva mistero. Per Kostabi il mistero appartiene anche a un elemento di un computer?

Io dipingo figure senza volto per esprimere la paura dell’individualità nella società, ma anche per avere una lingua universale. Sono certamente ispirato anche dalla tecnologia: il computer può offrire elementi di creatività e quindi di mistero. Non saprei spiegare bene perché dipingo oggetti tecnologici. Forse per sentirmi in comunione con il nostro tempo. Sento il bisogno urgente di riflettere l’ossessione della società per la tecnologia. Ogni volta che esce un nuovo "oggetto" telematico mi sento obbligato a "divorarlo" con l’olio sulla tela, a fissarlo con colore sulla superficie. E’ un modo per sentirlo conquistato, possedere la tecnologia quando è fissata sulla tela".

Le sue forme sprigionano anche sensualità.

La sensualità dei dipinti è anche il diretto riflesso del mio modo di vivere. Io non mi drogo, non bevo, non fumo: esalto allora la sensualità nella purezza delle forme.

Lei si divide fra l’Europa e l’America. L’arte contemporanea guarda più ad oriente o a occidente?

Ha uno sguardo universale. In questo periodo io abito un mese a Roma e un mese a New York. Faccio il pendolare di lusso. Mentre sono a Roma eseguo acquerelli, disegni; penso a nuove idee per i quadri e poi spedisco il tutto in America ai miei collaboratori che dipingono. Quando torno a New York firmo i quadri finiti. Stabilisco una specie di concorso alla settimana: dò un mio disegno invitando ad aggiungervi qualcosa…

Un sistema dell’arte giocato con l’interattività. Un po’ come per Internet.

Personalmente non uso Internet perché già molte persone utilizzano nella rete mie immagini. Ho impegni che mi portano verso altre forme di conoscenza.

Si dice che Torino sia una città magica. Cos’è per lei la magia? Ci crede?

Si anche se è difficile spiegarla. La magia può essere vista come una vibrazione spirituale che richiama le persone. A Torino può capitarmi di sentire l’aura di de Chirico, mentre cammino sotto i portici, ma anche la presenza spirituale di altri artisti: Nespolo, Salvo…

L’uomo del Terzo Millennio assomiglierà sempre di più alle sue figure senza volto?

Credo di si, ma non lo considero negativo. L’individualità è un’aura. Io sono ottimista. Credo a una esplosione di creatività di originalità individuale, seppure nascosta da una maschera anonima.

 

 

ANCHE IL MOUSE E’ METAFISICO

 

A prima vista sembrerebbe che l’omaggio a Torino di Mark Kostabi sia un guardare la città subalpina attraverso l’occhio pittorico di De Chirico. Un modo indiretto, se vogliamo, per pensare la tradizione, certo in senso anche ironico, e cogliere il legame necessario fra modernità e culto della memoria storica.

Il richiamo al pictor optimus è invece più spirituale che formale, serve a riconoscere una dimensione, una poetica, un’atmosfera: quella metafisica intrinseca a una città caratterizzata da strade dirette, ampi viali, palazzi signorili, piazze e portici in grado di creare profondità e prospettiva e giochi di ombre, l’intima ammirazione prima di Nietszche e poi dello stesso de Chirico.

I manichini di Kostabi sono diversi, come differenti sono le prospettive, le linee, le forme e quindi anche la Torino guardata da Kostabi è diversa.

La Torino di de Chirico, paradossalmente pur attraversata dalla filosofia e dalla poesia di Nietszche che l’avevano fissata in modo astratto e ormai oggi, irriconoscibile, è stata una città realmente posseduta e quindi amata.

Kostabi, al contrario, dipinge una Torino non conosciuta, ma rappresentata e vista da un occhio globale.

E’ qui l’originalità. Se Kostabi si fosse limitato a fare un omaggio a Torino più realistico, rimanendo fedele alla visione deChirichiana, avrebbe ripetuto uno sguardo "metafisico" poco credibile per una città diventata nel frattempo una metropoli "mediterranea" che ha sostituito l’elemento vitale del mare a quello artificiale delle automobili.

La Torino dell’artista è una città virtuale, ma non per questo incapace di dare emozioni, di provocare echi, di suscitare nostalgia.

E’ possibile, al contrario, riconoscere il mistero e la forza metafisica nelle linee, nelle forme delle stesse macchine che permettono il viaggio telematico.

I manichini di Kostabi sono simili alle periferiche di un computer, posseggono la forma curvilinea di un mouse, sono in altre parole "macchine desideranti".

La tecnologia al servizio del sogno, in questo caso il sogno dell’arte. Un sogno condiviso nel passato dallo stesso maestro della Metafisica.

Può sembrare irriverente questo accostamento tra un artista – pittore che ha sempre combattuto gli eccessi della modernità attraverso il richiamo di un ritorno all’ordine, e un artista – mediologo che non nasconde di dipingere attraverso la mano di altri pittori, che cura la sua immagine con Show televisivi, che cura le copertine di album di stars musicali.

E tuttavia è un accostamento capace di riconoscere un’estetica della forma, un’immagine di bellezza, feticci di desiderio. E se de Chirico ha continuamente dipinto il suo ritratto ideale, Kostabi moltiplica le sue ormai famose autointerviste. .

Nespolo che ha scritto sul Kostabi world in modo divertente e acuto entra nel vivo dell’argomento: "I suoi advisors preparano idee e bozzetti, i suoi pittori ad ore eseguono le opere i cui titoli vengono votati a maggioranza, Kostabi firma e manda al mercato. Gioco pulito e provocatorio, corretto e dichiarato. Warhol ha mai toccato un pennello? Oppure, ancor prima: il sogno di Depero non era forse la fabbrica produttrice di opere d’arte montate a catena? Che male c’è dunque nel rendere caricaturale un’attitudine che è già velata prassi corrente?".

Già che male c’è? Il sistema arte non è più quello del quadro tradizionale e neanche quello avanguardistico delle performance autolesioniste (malgrado recenti residui romantici).

Le caricature rimangono però caricature. Le figure "metafisiche" di Kostabi hanno invece quella ricchezza polisemica che le innovazioni tecnologiche possono anche offrirci.

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Antonio Miredi